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Autore: Bert88    27/11/2008    3 recensioni
il primo capitolo di questa storia a vinto il primo premio letterario del concorso Ghirigoro di Giratempoweb:
"Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono qui per un motivo preciso. Sono qui per dare giustizia ad alcune persone del mondo magico che sono state screditate o credute volgari, malvagie o insignificanti. Anche loro hanno una storia da raccontare, anche loro hanno vissuto una vita, non sempre degna di essere chiamata tale."
Ogni capitolo è a se stante quindi potete leggere solo quelli che vi interessano! Enjoy
Dopo tanto tempo ho aggiornato questa storia...spero piaccia! Continuerò ad aggiornarla comunque :)
cap. 1 Merope Gaunt
cap. 2 James Potter
cap. 3 Severus Piton
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Indicibile

Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono qui per un motivo preciso. Sono qui per dare giustizia ad alcune persone del mondo magico che sono state screditate o credute volgari, malvagie o insignificanti. Anche loro hanno una storia da raccontare, anche loro hanno vissuto una vita, non sempre degna di essere chiamata tale. Anche loro hanno subito violenze, hanno provato amore, hanno sentito il desiderio di volere qualcosa di più dalla loro vita.

Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono qui per permettervi di entrare nei loro pensieri, nei loro ricordi.

Sono un indicibile dell’ufficio misteri. E sono un Ladro di Attimi. Questo è il mio ruolo. Quando la gente sta per morire a me vengono affidati i loro ricordi più cari.

 

Era una fredda giornata invernale. Non ricordo di preciso se fosse capodanno o il primo gennaio. Fatto sta che fuori faceva molto freddo. Imbacuccato nel mio cappotto e avvolto in una calda sciarpa me ne andai verso quello che era un orfanotrofio. Bussai sette volte al portone prima che venissero ad aprirmi. Una giovane ragazza mi si parò davanti: era scarna e sembrava ci fosse qualcosa che la distraesse, quando il suo viso affilato mi fissò, però, sapevo di avere tutta la sua attenzione.

“Prego” disse “Desidera qualcosa?”

“Sto cercando una ragazza, dovrebbe essere incinta, anzi precisamente dovrebbe partorire ora” dissi e da una porta li vicino si sentirono delle urla di una donna a confermare ciò che avevo appena detto.

“Ma-ma lei come…”

“Come faccio a saperlo?” affermai “semplice, l’ho vista entrare qui”. La ragazza sembrò credere alle mie parole e mi fece entrare in un ingresso con il pavimento bianco e nero.

“Mi chiamo Editt Piaf, vorrei parlare con la donna appena possibile. Sono un parente lontano”

“Piacere di conoscerla, sono la signorina Cole. Vedrò di fare il possibile ma dovrei sentire la direttrice. La ragazza si è presentata qui sola e non so se sia il caso di… si insomma, ha capito” e si avviò verso la stanza dalla quale venivano le urla.

Dopo circa una mezz’ora di attesa la signorina Cole si ripresentò con il consenso di farmi entrare nella stanza della giovane. La vidi. Era sporca, trasandata: una poveraccia. Era sfinita dal parto e guardava il suo bambino con uno sguardo strano: un misto tra amore e disgusto. Evidentemente era rimasta molto scottata dall’uomo che l’aveva lasciata, ma questo ve lo mostrerà lei stessa. Perché giusto quella notte lei mi ha consegnato il suo pensiero più caro.

 

La giovine non oppose resistenza. Anzi, sorrise, come se sapesse chi fossi, come se sapesse cos’ero venuto a fare, come se sapesse di stare per morire.

“Merope Gaunt, è lei?” dissi sfoderando la bacchetta.

“Perché me lo domanda, se sa già la risposta? Io so chi è lei. L’ho già vista” mi disse “lei è venuto poco prima che mia madre morisse”

Non poteva ricordarselo, le avevo obliviato la memoria. Ne sono sicuro.

“Non può ricordarsi di me” le dissi “non è possibile” ma ora credo di aver capito il perché di tutto questo: i lividi che aveva, i tagli e le tumefazioni potevano provenire solo da crociatus, botte e schiaffi continui. Un incantesimo di memoria può vacillare sotto tutta questa violenza.

“Lei chi è?” continuò la donna “Vorrei sapere il suo nome. Lei sa il mio!”

“Editt Piaf. Ladro di attimi, Ufficio Misteri”

“E di preciso, signor Piaf, cosa vorrebbe da me? L’unica cosa preziosa che avevo era un medaglione, ma l’ho venduto”

“Non mi interessano quei ninnoli, quegli oggetti inutili. Io signorina Gaunt..”

“Signora Riddle” mi interruppe “sono sposata ormai” disse con un velo di tristezza nella voce.

“Dicevo, signora Riddle [un brivido le percorse la schiena] che io ho bisogno di lei. Anzi della sua memoria. Io ho bisogno del suo ricordo più caro.”

A queste parole la giovine parve perdere la lucidità: iniziò a dimenarsi e ad urlare di una voce diversa, strana, roca. Il suo animo selvaggio prese il sopravvento e la donna diventò violenta. Non mi feci prendere dal panico, scagliai un muffliato, in modo che il personale dell’orfanotrofio non sentisse tutto il rumore o, comunque, non sospettasse niente, e le scagliai contro un incarceramus: una moltitudine di corde la avvolse e, d’un tratto, la rabbia primitiva della donna si placò.

“Signora Riddle,” dissi con voce ferma “con le buone o con le cattive devo avere quel ricordo”.

Attimi di silenzio

interrotti da una voce tornata dolce

“D’accordo. Ma voglio raccontarle personalmente la mia storia, il mio ricordo, cosicché venga compreso al meglio”

 

 

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Fu facile somministrargliela… gliela versai in un bicchiere che gli offrii, naturalmente, assetato, lo bevve… e lì iniziò l’idillio… [brividi lungo il suo corpo] e l’amarezza. Perché in ogni suo gesto, in ogni sua carezza, in ogni suo sguardo c’era un retrogusto amarognolo, come di sbagliato… come se tutto quello non fosse giusto.

Me ne resi conto quando facemmo l’amore, se così si può chiamare. Ci accarezzammo… ci baciammo, ma la sua dolcezza andava a momenti, in alcuni attimi sembrava rendersi conto di ciò che non ero, ovvero il suo vero amore. Decisi di far scegliere a lui, se mi poteva amare. Smisi di somministrargli il filtro e, una notte, se ne andò, conscio di non essere innamorato, conscia di non meritarmi il suo amore. È patetico vero? Il fatto che la mia gioia più grande fosse una finzione.” Disse con voce tremante.

“No, patetico è il fatto che lei sta decidendo di morire e di abbandonare il frutto di quest’amore che, pur fittizio, è comunque stato amore”.

Le mie parole la colpirono come uno schiaffo. Il suo sguardo si fece duro. “Esca,” disse “evidentemente lei non sa cosa vuol dire amare”

“O è lei a non saperlo?! Ad ogni modo, suo figlio dubito lo saprà. La sua debolezza, miss Riddle, avrà conseguenze…si fidi”

Dicendo ciò presi la boccetta dove avevo racchiuso il ricordo e me ne uscii, esattamente quando spirò. Obliviai la memoria del personale dell’orfanotrofio e me ne uscii con l’amaro in bocca.

  
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