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Autore: Gru    01/02/2015    5 recensioni
"Ma noi non siamo pericolosi! E se... e se lo spiegassimo? Potremmo dire loro che siamo bravi, eh papà? Veniamo fuori sotto una grande coperta e... e poi diciamo che... no, anzi, scriviamo un bigliettino! Scriviamo un biglietto e lo spingiamo verso il primo umano che passa, così lui capirà e lo dirà agli altri umani, e potremmo uscire! Eh papà?"
Raccolta di drabbles su quanto la vita sia ingiusta con le persone sbagliate.
(La cronologia disordinata dei capitoli è ispirata ad una fanfiction in lingua inglese che ho letto tempo fa. Spero di non venire arrestata per questo.)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Età: 3 anni



Il dolore sarebbe dovuto essere insostenibile, eppure il tormento non cessava mai.
Non vedeva nulla, non sentiva nient’altro. I sensi erano completamente concentrati sul fuoco gelido che lo stava divorando, talmente incontenibile da pretendere l’attenzione di ogni percezione con la violenza più brutale che avesse mai subìto. Riusciva a sentirlo muovere dentro di se - o era fuori? - mentre gli scuoteva le ossa e premeva sui tendini, gli sembrava quasi di udire lo sfrigolìo ardente che artigliava la carne e saliva su per gli arti, appropriandosi di tutto ciò che trovava, mordendo e martoriando, ma senza distruggere completamente nulla, rendendo interminabile la tortura.

Disteso o in piedi. Immerso nell’acqua ghiacciata o esposto alle fiamme. Un minuto o delle ore. Aveva perso completamente la cognizione di se stesso e del resto del mondo, e quando - quando? - il dolore smise di attanagliargli completamente la mente, il primo pensiero che riuscì a liberare fu indirizzato a questa prima realizzazione. Dopo un altro interminabile arco di tempo riuscì a fare appello a tutta la lucidità che aveva lentamente riconquistato per cercare, scavando faticosamente nella sua memoria confusa, di ritrovare il momento in cui era precipitato in quel tunnel di disumana sofferenza. Perché senza dubbio - era finalmente riuscito a concepire il pensiero - c’era stato un tempo, benché lontano anni luce, in cui il suo corpo era stato libero da quell’inferno. Doveva capire cosa fosse accaduto.

La sensazione gli attraversò la mente rapida e irruenta come un treno in corsa, e un’improvvisa urgenza rischiarò il buio denso e soffocante in cui era immerso. Non sapeva se i suoi occhi si fossero effettivamente aperti solo in quel momento quando tornò a vedere. C’era ancora tanto nero, tutto emanava ostilità, ma il suo sguardo non riusciva a mettere a fuoco niente in particolare. Aveva paura di muoversi, sapeva che il dolore era solo in agguato, ritiratosi temporaneamente in un punto del petto, attenuato ma non abbastanza da non lasciarne il ricordo, come una minaccia spietata e sottile, e sapeva perché. Sapeva cosa doveva fare, ma questo non diminuiva il suo terrore.

Sentiva di essere vicino. 
Ricordò con orrore e smarrimento come la sua giornata si fosse trasformata in un vortice di ignoto e oscurità prima che fosse riuscito a rendersene conto, anche se ancora non capiva quanto tempo prima fosse successo. Sembrava che avesse tirato più del lecito un lembo sporgente di una carta da parati dai motivi innocui e di aver scoperto qualcosa di oscena malignità appena sotto di essa, qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere la luce del sole e che fino a poco tempo prima aveva fatto sì che le sue stesse membra si muovessero fuori dal proprio controllo.
Ma c’era ancora qualcosa che dimenticava, un altro particolare di cui non riusciva a scorgere che una vaga sagoma nella nebbia della sua memoria, era una cosa…
No, non era una.
Non era solo.


Tremando, rotolò affannosamente sul suolo duro e inospitale che non riuscì a riconoscere finché non si trovò disteso sull’addome, e si guardò intorno con ansia crescente. Nonostante le tenebre avessero ingoiato la maggior parte di ciò che lo circondava, trovò ciò che stava cercando, senza stupirsi di averlo riconosciuto.
Uno di loro, rigido in una posizione innaturale, aveva gli occhi serrati e un’espressione dolorante che gli deformava il volto leggermente allungato sul davanti. Teneva la piccola testa calva incassata nelle spalle e inclinata all’indietro, la bocca spalancata in un grido silenzioso.
Un’altra creatura giaceva alla sua destra, scossa da violenti tremiti e convulsioni, ricominciando ad ansimare ogni volta che i respiri che si le incagliavano in gola con un suono rasposo.
Riusciva a vederne altre due poco più avanti: una di queste, distesa mollemente con il lato anteriore del corpo e quello destro del volto aderenti al terreno, tentava con fatica dei deboli movimenti degli arti, mentre l’altra, riversa su un fianco rivelando la superficie geometricamente decorata e solo parzialmente graffiata di una corazza, non si muoveva affatto.

Non riusciva a capire se quella sfumatura verdastra che macchiava la sua vista ancora debole provenisse dalla luminescenza che emanava la sostanza densa e ustionante da cui si era appena alzato o dalla pelle dei quattro piccoli esseri che giacevano ai suoi piedi.
I suoi piedi…
Barcollò e cadde all’indietro, chiudendo gli occhi e respirando a fondo. Non voleva scoprire nient’altro oltre a ciò che la sua mente stravolta dal dolore aveva ipotizzato mentre il fuoco che lo stava divorando scemava lentamente e che adesso poteva constatare su se stesso. Voleva rimanere fermo sull’asfalto freddo e illudersi di essere scomparso, anche se era un desiderio poco onorevole, perché qualunque cosa gli avessero fatto, qualsiasi maledizione si fosse abbattuta sul suo corpo, era troppo da sopportare se sommato a quel che aveva già sopportato e che avrebbe dovuto sopportare per il resto della vita.
Mentre rimaneva immobile a terra, riuscì a percepire sempre più chiaramente un altro mutamento, più sottile, meno esterno. Quando i suoni si fecero più intensi e distinti e un odore di rancido e di pioggia gli attaccò con forza crescente l’olfatto, spalancò gli occhi irrigidendosi per l’improvviso timore di altre presenze, e sbatté le palpebre più volte: anche la sua vista sembrava essersi modificata, gli sembrava di guardare attraverso una lente, i contorni delle cose più precisi, i colori più nitidi.
Un grido soffocato lo fece sobbalzare, e tentò di alzarsi in piedi incespicando. Il suono proveniva da una delle creature, che come lui cominciavano a riemergere da quel tormento: sembrava quasi un vagito, spezzato e acuto, sicuramente umano.


Il dolore esplose di nuovo, prorompendo dal suo petto preceduto da quel sibilo ardente che lo accompagnava sempre, e oscurando ogni cosa.
Quando tornò a vedere, era al rifugio. Il silenzio era talmente denso da impedirgli di muoversi dal pavimento dell’ingresso su cui era inginocchiato. Nessuna luce, nessuna presenza. 
Era tutto finito. Era al sicuro, lo erano tutti e cinque. Era tutto finito - per favore, basta…
Con un tuffo al cuore, udì di nuovo lo sfrigolìo farsi sempre più intenso, e la sua visuale venne invasa da figure bianche con il volto coperto che si riversarono nella stanza, sempre di più, occupando ogni angolo della sua casa, soffocandolo. Delle mani fredde lo afferrarono, strattonandolo e strappandogli ciuffi di pelliccia, e ciò che vide prima di essere completamente sopraffatto non potè non fare più male. 
Raffaello si dimenava furiosamente con il corpo avvolto da una decina di quelle mani guantate, cercando di raggiungere Leonardo, che era già stato spinto a terra e circondato, mentre Donatello veniva trascinato via per le braccia, la testa abbandonata all’indietro.
Si sentì premere a terra, con le braccia ancora intrappolate in quelle gelide morse dietro la schiena. Doveva salvarli, avrebbe lottato fine alla fine per quest’ultimo scopo. Alzò a fatica la testa e si ritrovò faccia a faccia con uno di loro. Riusciva a vedere il suo volto: dei duri lineamenti orientali contornavano gli occhi di un assassino.
‘Se non sei morto sotto la mia lama, morirai così, un’altra volta’
Quando sentì qualcosa di piccolo e aguzzo pungergli il collo e affondare nella carne, chiese perdono per ogni sbaglio che aveva commesso e che lo aveva portato a quella condanna. Non era riuscito a salvare la sua prima famiglia, non ci sarebbe riuscito neanche adesso, e non avrebbe mai avuto pace per questo.

Poco prima che la vista iniziasse ad offuscarsi, oltre quel groviglio di arti e di corpi, vide un’ultima luce. Poco lontano, seminascosti nella penombra, due occhi spalancati dal terrore in un viso inondato di lacrime. Michelangelo era rimasto inginocchiato per terra, non visto se non da suo padre, mentre stringeva a sé un logoro orsacchiotto di peluche e tratteneva le urla davanti a quella scena raccapricciante.
Lottando per rimanere conoscente ancora qualche secondo, incrociò lo sguardo del figlio e, sperando di non attirare l’attenzione di nessun altro, mormorò: “Non muoverti… shhh… watashi wa anata o aishi, watashi no musuko*


Si svegliò come al solito, con il battito cardiaco accelerato, il sudore che gli impregnava il pelo e la paura di richiudere gli occhi.
Ciò che lo spaventava di più di quell’incubo che ricorreva da un paio d’anni a quella parte era la sensazione di debolezza e impotenza che gli trasmetteva tutte le notti e che si prolungava al risveglio, quando si rendeva conto che la maggior parte di ciò che aveva visto e sentito era accaduto realmente, e che il resto sarebbe potuto essere altrettanto reale.
Si alzò di scatto e barcollò verso l’altra camera. 
Guardare i suoi figli dormire era l’unica cosa che sapesse tranquillizzarlo dopo una notte di tormento, assicurarsi che stessero bene e che fossero lì con lui, al sicuro. Si erano addormentati come capitava quasi tutte le volte da quando non dormivano più nella sua stanza, l’uno addossato all’altro, stretti in un unico e saldo abbraccio, i respiri che si accavallavano. 
Rimase in piedi sulla porta, in silenzio, abbracciandoli con lo sguardo e fingendo che bastasse per proteggerli, poi se ne andò.


*Ti voglio bene, figlio mio




ANGOLO INCASINATO DELL'AUTRICE:
...che si diverte a sguazzare sadicamente nell'angst.
Dunque, quali sono le paranoie di oggi? Ah, già:
Mi chiedo se non fosse tutto un po' troppo confuso al di fuori della mia testa. Senza nulla togliervi, davvero, è di me che non mi fido. Certo, doveva essere un po' disorientante, ma nei limiti dell'umano, ecco... Il giorno in cui imparerò almeno un po' a valutarmi oggettivamente la pianterò di tormentarvi con le mie lagne e vi lascerò leggere in santa pace. Perdono.
Spesso non riesco a controllare la lunghezza dei capitoli, e faccio ancora molta confusione tra drabble, one shot e flashfic, quindi se sto sbagliando qualche termine fatemelo presente :)
Ultima cosa... ho fatto l'esperimento del giapponese. Ora... immagino di aver sbagliato qualcosa, è molto probabile nonostante abbia provato e riprovato, quindi insultatemi liberamente T.T
Ok, ho finito. Ora c'è la mia parte preferita, quella in cui ringrazio tutti quelli che visualizzano-leggono-seguono-preferiscono (PREFERISCONO??) questa mia creatura, graziegraziegrazie......
Un bacio grande
Gru
   
 
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