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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    02/02/2015    1 recensioni
Incredibile quanto la guerra e la perdita possano sconvolgere la vita delle persone.
Ellie Nightshade e Henry Faircross lo sanno bene.
Nella prima guerra contro Valentine entrambi hanno perso tutto: la propria famiglia, la propria casa, le proprie certezze...
Quando Magnus Bane li porta via da Idris diretto all'Istituto di New York, sono ben consci che l'unica cosa su cui potranno fare affidamento sono loro stessi.
Per questo decidono di diventare Parabatai.
Perché avere un Parabatai vuol dire proteggersi a vicenda, amarsi incondizionatamente, essere amici, fratelli ed essere pronti a sacrificare tutto per la felicità dell'altro: essere una famiglia.
Quando la guerra mortale minaccerà di distruggere ogni cosa ancora una volta, i Cacciatori dell'Istituto di New York si ritroveranno a combattere non solo contro i Demoni evocati da Valentine e Sebastian - intenzionati a creare una nuova stirpe di Shadowhunters - ma anche contro quelli che si annidano nelle loro anime e dovranno essere pronti a perdere tutto pur di proteggere coloro che amano.
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love Turns to Ashes

VII
Visita a domicilio
 
 Dopo aver fatto una doccia ed essermi cambiata, esco dalla mia stanza. Mi chiudo la porta alle spalle, prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e mentre cammino scrivo un SMS.
 
 Ciao, sto meglio, grazie per averci aiutato con quei vampiri.
 xoxo Ellie
 
 Cerco il nome di Magnus in rubrica e quando lo trovo premo INVIA.  
 Imbocco il corridoio che porta alla biblioteca. È poco illuminato e caldo come sempre. Non ci sono finestre e le camere, essendo sempre chiuse, non fanno penetrare nemmeno un po’ d’aria fresca. Svolto a destra e quasi mi scontro con Tom che sta venendo nella mia direzione.
 - Oh, vedo che stai bene. - mi dice sorridendo. I suoi occhi verdi sono luminosi come sempre. Sono veramente meravigliosi, non avevo mai conosciuto nessuno con degli occhi così.
 - Sì, sto bene. - ribatto tentando di non far trapelare che stavo pensando ai suoi occhi. Spero che il rossore sulle mie guance non mi tradisca.
 - Stai andando in biblioteca? – chiede indicando il corridoio.
 - Sì. -
 - Vuoi che ti accompagni? -
 - No, conosco la strada. - dico sorridendo.
 Lui ride. - Non vorrei che ti perdessi. -
 Lo saluto con un cenno della mano e quando arrivo davanti alla biblioteca apro la pesante porta con una spinta. Il profumo del legno degli scaffali mi pervade, è così famigliare che mi tranquillizza quando sono preoccupata o mi fa stare meglio quando sono giù di morale.
 Hodge è in piedi accanto alla scrivania, intento a consultare un libro. I suoi occhi si muovono velocemente sulla pagina, soffermandosi solo qualche secondo su qualche frase o parola. Anche questo mi è famigliare. Sono abituata a stare in biblioteca a leggere e spesso con me c’è anche Hodge: l’ho osservato spesso e quando lo fa, sembra quasi ringiovanire, come se le parole lo rinvigorissero.
 Hugo è appollaiato sul suo trespolo e sta sonnecchiando.
 Detesto quel pennuto e credo che lui detesti me. Cerco sempre di evitarlo, ma sembra che lui voglia infastidirmi, infatti quando mi sente, solleva la testa e gracchia facendomi sobbalzare.
 Il mio tutore si volta e quando mi vede sorride. I suoi occhi si illuminano.
 - Eleanor. - dice poggiando il libro sulla scrivania e venendomi incontro. Scendo le scale e quando lo raggiungo mi stringe forte a sé. - Come stai? - mi accarezza i capelli. So quanto tenga a noi e so che quando stiamo male si preoccupa.
 - Grazie a te molto meglio. - rispondo ricambiando la stretta venendo pervasa dal suo profumo di sapone e legno.
 Ci separiamo e lui mi scosta un ciuffo di capelli dagli occhi. - Mi hai fatto preoccupare. -
 - Lo so, scusami. - dico. Mi dispiace davvero, non che farmi pugnalare da un vampiro mi sia piaciuto, ne avrei volentieri fatto a meno. Comunque non do voce ai miei pensieri.
 I suoi occhi grigi mi osservano cercando la conferma che sto veramente bene. Lo fa ogni volta che torno da una missione. Mi aveva detto che aveva promesso ai miei genitori di proteggermi nel caso in cui fossero morti e quando è successo, dopo aver passato due mesi con Magnus, il mio amico stregone mi ha portata qui da lui, insieme a Henry. Devo dire che Hodge ha preso seriamente il suo compito.
 Mi accarezza una guancia e sorride. - Hai già incontrato i nostri due ospiti? -
 - Sì. - si riferisce a Clary e Simon. - Be’, solo Simon era cosciente. -
 - Lo so. Clary è stata attaccata da un Demone Superiore, ma credo che tra poco si sveglierà. -
 - Ho visto l’iratze. Deve avere sangue di Cacciatore se non l’ha ancora uccisa. - spiego. Altrimenti come minimo sarebbe già impazzita. 
 - Infatti è così. Anche se sembra che lei non lo sappia. -
 - La conosci? - chiedo. Sa che è una Cacciatrice, deve conoscerla sicuramente.
 - Conoscevo i suoi genitori. Sua madre, in particolare. -
 - Sua madre? Quella che è stata rapita? - domando.
 - Sì. Si chiama Jocelyn Fray. Anche lei viveva a Idris, una volta. Il suo cognome era Fairchild. -
 - Perché è venuta a New York? -
 - Fuggiva da Valentine. -
 Oh.
 Questo spiega tutto.
 Valentine era pazzo. Ovvio che fuggisse da lui, come molti altri. Aveva tentato di uccidere molti Shadowhunters per creare una razza pura.
 - La aiuterete a cercarla? - domando ancora.
 Lui annuisce e si volta verso la scrivania.
 Quando faccio per avviarmi verso la scrivania e seguirlo, una fitta mi attraversa il fianco. Mi sfugge un gemito e reggendomi il fianco, quasi perdo l’equilibrio.
 Hodge è immediatamente accanto a me e mi sorregge per le spalle. Nonostante passi la maggior parte del suo tempo in biblioteca, non ha perso il suo allenamento da Shadowhunter e la sua prontezza di riflessi.
 - Stai bene? - mi domanda preoccupato.
 Annuisco anche se non è vero. La ferita mi fa male. Infatti gemo ancora.
 - Eleanor. - dice con fermezza.
 - Non preoccuparti. – rispondo. Non voglio che si preoccupi.
 Lui scuote il capo e quando tenta di aiutami ad avvicinarmi alla poltrona, cado in ginocchio.
 Ok, non sto bene.
 Ma perché? La ferita non dovrebbe essere guarita?
 La vista mi si appanna ancora, poi sento il famigliare cigolio della porta che si apre.
 - Hodge? - una voce irrompe, ma mi sembra che sia distante centinaia di chilometri. - Che succede? – chiede dopo un momento.
 - Thomas, vieni qui. - dice il mio tutore.
 In un attimo il Cacciatore è accanto a me.
 - Prendila. -
 Lui mi afferra per le spalle, mi fa voltare e poi mi solleva tra le braccia.
 Gli circondo il collo con le mie e i nostri occhi si incrociano, riesco a vederli anche attraverso la foschia che li annebbia. Sono così luminosi…
 - Portala in camera sua. - dice Hodge - Ti raggiungo. -
 - D’accordo. - dice lui semplicemente.
 Quando usciamo dalla biblioteca, sorrido debolmente. - Che cavaliere. - sussurro - Sei immediatamente accorso in mio aiuto. – ma che sto dicendo? Per favore, qualcuno mi fermi, ho perso tutti i freni inibitori.
 - Sono un vero eroe. - ridacchia.
 Quando arriviamo alla mia camera apre la porta con una spinta e mi adagia delicatamente sul letto. Mi sorride, si siede accanto a me e mi scosta una ciocca di capelli dagli occhi.
Quando le sue dita mi sfiorano, ho una fitta al cuore. La fitta più piacevole che abbia mai provato.
 Dopo cinque minuti, dalla porta fa capolino Henry.
 - Lea. - dice, poi quando vede Tom, si blocca. - Cosa fai qui? - chiede rude.
 - L’ho portata qui. Me l’ha chiesto Hodge. - risponde lui, mantenendo la calma.
 - E pensi di rimanere? -
 - Henry! - intervengo io. - Non essere scortese. Voleva solo aiutarmi. – dico con voce flebile.
 Nei suoi occhi vedo un luccichio. - Ha già fatto abbastanza. -
 Tom si alza e mi sorride. - Me ne vado, non preoccuparti. A dopo. - ed esce.
 - Henry. – dico a mo’ di rimprovero.
 Lui si siede accanto a me. - Non mi piace quel Tom. - ringhia sulla difensiva sedendosi accanto a me. Mi sfiora la fronte e io sorrido.
 - Solo perché ti ha atterrato con qualche mossa? -
 - No, non solo per quello. È una sensazione. - spiega.
 Scuoto il capo. Lui e le sue sensazioni…
 - Che succede? - chiede.
 - Niente. La ferita mi fa un po’ male. Nulla di grave. -
 - Be’, Hodge mi sembrava molto preoccupato. - mi fa notare.
 - Lo è sempre. -
 - Be’, tiene molto a te. -
 - Lo so, ma sono quasi maggiorenne. - aggiungo. Non potrà sempre trattarmi come una bambina. Sa che i Cacciatori corrono rischi ogni giorno.
 - Sarai sempre la sua bambina. - ribatte con voce melensa.
 - Ah. Ah. - rido divertita, ma un’altra fitta interrompe la mia risata.
 Lui mi prende una mano e la stringe tra le sue disegnandomi piccoli cerchi sul dorso.
 Sorrido, ricomponendomi. - Henry, non preoccuparti, sto bene. - dico. Anche se so che è impossibile non preoccuparsi. Quando il Demone Superiore l’aveva ferito era preoccupata anche io.
 Un rumore di passi ci costringe a voltarsi.
 Questa volta a varcare la soglia della mia camera sono Hodge e Magnus.
 I suoi occhi di gatto traboccano di preoccupazione e mi osservano con apprensione. Mi sbagliavo, non nasconde così bene la preoccupazione.
 - Magnus. - dico - Perché sei qui? -
 - Il dottor Bane è venuto per una visita a domicilio. - scherza. - Potresti spostarti, Henry? - chiede a Henry.
 Lui riluttante lascia spazio allo stregone che allunga le braccia su di me e apre le mani con i palmi rivolti verso il mio corpo. Rimane immobile un attimo, chiudendo gli occhi, per poi riaprirli e parlare. - Il pugnale era avvelenato. – spiega. - Comunque basterà un po’ di riposo e qualche goccia di questo. - apre la mano e sul palmo compare una piccola boccetta.
 - Grazie, Magnus. - dice Hodge.
 - Nulla. - sorride e poi si rivolge a me - Fortunatamente stai bene. Immagina se stessi male. - scherza.
 - Infatti prima stavo bene. - dico accennando un sorriso.
 - Riposa. - mi consiglia e dopo avermi sfiorato la fronte con le labbra esce.
 Hodge mi fa bere lo strano intruglio di Magnus e mi aiuta a sdraiarmi sotto le coperte. Mi dice che potrò dormire quanto vorrò e chiudendo la porta se ne va insieme a Henry che prima di uscire mi sorride e mi fa l’occhiolino.
 
 Quando mi sveglio, mi volto verso la finestra e vedo che è giorno. Un raggio di sole penetra la finestra e colpisce la coperta che mi copre le gambe. La sveglia sul mio comodino segna le sette del mattino, ma nonostante sia così presto, il rumore del famigliare traffico di New York penetra la finestra e raggiunge le mie orecchie.
 Ho dormito per quasi un giorno, l’intruglio di Magnus ha avuto l’effetto di due sonniferi.
 Quando mi volto vedo che accanto al mio letto, seduto su una sedia, c’è Tom. Quando i nostri sguardi si incrociano, sorride e si mette a sedere composto. Cosa fa qui?
 - Ehi! Ben svegliata. - mi dice sorridendo.
 - Da quanto tempo sei qui? - chiedo con voce flebile.
 - Un’ora. Più o meno. -
 - Avresti potuto dormire ancora. - spiego sollevandomi sui gomiti. Non avevo bisogno che mi sorvegliassero. Sto bene. Stavo solo riposando.
 - Non avevo sonno. - mi dice – Come ti senti? –
 - Bene. - rispondo, mettendomi a sedere e poi sorrido.
 I suoi occhi scrutano ogni centimetro del mio corpo, come per assicurarsi che io stia bene. Poi quando vede che sto tentando di scendere dal letto, scatta in piedi e mi porge una mano. - Ti aiuto. - mi dice.
 Io scuoto il capo. - Ce la faccio. -
 Butta le mani in aria e ridacchia. - Una donna indipendente e autonoma. - sbotta - Mi piace. -
 Sorrido. È uno strano ragazzo, ma mi piace. È un misto tra Alec, Henry e Jace: responsabile, disposto a dare una mano e simpatico. Un vero Shadowhunter.
 
 Dopo aver dormito tanto ho bisogno di una buona colazione e dato che tutti stanno ancora dormendo Tom mi propone di andare a fare colazione fuori. Accetto felice di poter prendere un po’ d’aria. Scrivo per avvertire gli altri che siamo fuori e poi lascio l’Istituto insieme a Tom.
 
 Dopo aver consumato un’abbondante colazione, decidiamo di andare a fare una passeggiata a Central Park.
 Il sole illumina gli alberi e il prato verde e il lago scintilla, in superficie, come se fosse coperto da diamanti e pietre preziose. IL solito spettacolo magnifico e mozzafiato.
 Io e Tom osserviamo le persone passeggiare e quando troviamo un posto all’ombra ci sdraiamo sull’erba come faccio spesso con Henry. L’aria ci sferza i visi e ci libera dal caldo asfissiante dell’estate.
 - New York è davvero fantastica. - dice lui, rompendo il silenzio.
 - Già. - affermo. È vero, è davvero bellissima soprattutto durante l’inverno e l’estate.
 - Ma nulla in confronto a Idris. - mi fa notare subito dopo. Qualsiasi Shadowhunter, sia che sia nato a Idris, sia che ci sia stato una sola volta, la considera casa propria e soprattutto la vede come una terra meravigliosa.
 - Be’, Idris è inimitabile. - ribatto sorridendogli. I suoi occhi mi osservano curiosi e lo vedo sorridere. - Da quale Istituto vieni? - domando. Nessuno glielo ha ancora chiesto.
 - Stoccolma. - spiega - Clima freddo e uggioso, come Londra. -
 - Non sono mai stata a Londra e neanche Stoccolma. - non sono mai stata in nessun posto, a dire il vero, a parte Idris, ovviamente. Londra l’ho vista solo in fotografia o nelle illustrazioni, me la sono immaginata, certo, ma vederla davvero sarebbe diverso. Da sempre sogno di vivere in un posto come l’Inghilterra.
 - Allora dovremmo andarci. - propone - Potrai utilizzare un portale, una volta maggiorenne. - sorride.
 - E dovrei venire con te? - chiedo.
 - Ovvio. -
 - Non mi sembra così ovvio. - lo punzecchio divertita - Dammi un buon motivo, prima. -
 - Be’ - comincia portandosi un dito alle labbra per pensare - sono attraente, simpatico, forte e sorprendentemente intelligente. -
 - E non dimenticare modesto. - aggiungo.
 - Giusto! Quella me la dimentico sempre. -
 Ridiamo insieme, poi lui si interrompe e sfoggiando il suo luminoso sorriso, aggiunge: - No, sul serio. - continua – Mi piacerebbe davvero andarci con te. -
 Abbasso lo sguardo e sento il sangue affluire alle guance.
 Lui sembra notarlo e mi solleva i mento con due dita. - Sei bellissima quando arrossisci. - aggiunge.
Dopo un momento passato ad osservarci, mi schiarisco la voce, sorrido e poi mi alzo in piedi. - È ora di andare. - dico. Sono già le undici.
 E poi la situazione stava diventando abbastanza imbarazzante.
 Lui annuisce e si alza in piedi.
 Usciamo da Central Park e, in silenzio, ci avviamo verso l’Istituto.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Come va?
Ecco a voi il settimo capitolo! Spero vi piaccia!
A Lunedì! ;-*
Eli
 
   
 
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