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Autore: Sara Saliman    08/02/2015    6 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ringrazio tutti i lettori e le lettrici che hanno commentato, messo la storia tra le seguite e tra le ricordate, e ringrazio Leda Swan per il betaggio

"Quando guardi a lungo nell'abisso
l'abisso ti guarda dentro"
(F. Nietzsche)

Il Fiume si avvolgeva in spire e gorghi, le acque nere sprofondavano scrosciando nelle viscere di Gea. Il boato risuonava attraverso le caverne sotterranee, tappezzate di stalattiti scintillanti di calcare, riempiva anfratti scoscesi e umidi che non avevano mai conosciuto la luce di Elios, il Sole.
L’oscurità era densa e pastosa, un’entità quasi fisica che impregnava l’atmosfera ed entrava e usciva dai miei polmoni insieme all’aria umida. Mentre respiravo, avevo la sensazione che una parte di quel buio mi restasse attaccata alla gola come una patina viscida.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo, nel timore che quell’oscurità potesse insinuarsi sotto la mia pelle e scollare una per una le fibre della mia carne, fino a sfaldarla.
Lentamente, dallo sfondo di tenebra emersero tre vecchie magre e ricurve, abbigliate di cenci color fango.
Una di loro sollevò il capo. Due occhi color cenere, velati dalla cataratta, mi scrutarono attraverso una ragnatela di rughe. La vecchia reggeva fra le mani ossute uno stame, attorno a cui attorcigliava un filo.
 -Ah… sei tu!-
Riuscii ad udire la sua voce gracchiante nonostante il rimbombo che scuoteva le tenebre.
Anche la seconda vecchia posò lo sguardo su di me. Ciocche di capelli bianchi e unti sfuggirono da sotto lo scialle che le copriva il capo e le spalle.
-Non ti aspettavamo così presto.- Tendeva tra le mani nodose il filo prodotto dalla sorella, e se lo avvolgeva attorno al braccio scheletrico in movimenti lenti, per misurarlo.
- Sei lontana dalla Superficie. Vicina al cuore del Mondo.- sussurrò la terza vecchia. Era seduta nell’ombra, il mento sorretto da una mano ossuta. Tra le dita deformate dall’artrosi, scintillava un grosso paio di forbici.
Cominciai a battere i denti, un tintinnio patetico che si perdeva nel boato che riecheggiava lontano, lontano...
-Voi siete…-
-Siamo ciò che siamo.-
-Siamo ciò che rappresentiamo.-
-Siamo ciò che sappiamo di essere.-
Indietreggiai.
La mia schiena andò a sbattere contro qualcosa, il petto di qualcuno che si trovava dietro di me. Il terrore mi prese allo stomaco. Parlava di una tenebra informe, di forze senza controllo antiche quanto il Tempo e gli astri, di volti essiccati che spiavano nel buio e bocche senza labbra piene di denti.
Sentii un viso chinarsi sopra la mia spalla, una guancia sfiorare la mia. Non osai voltarmi. Non osai nemmeno respirare.
- Non guardare l’oscurità, piccola Kore.-
-Chi sei?-

-Se guarderai l’oscurità, anche lei ti guarderà.-
Come in risposta alle sue parole, le tenebre si diradarono e io li vidi.
Corpi scheletrici, come mummificati, con troppe braccia e troppe mani; creature enormi, prive di faccia, le costole esposte del loro torace che grondavano fango e ruggine.

Identificai finalmente il rombo che sentivo intorno a me. Non erano le acque del Fiume che scendevano, ma qualcosa, dalle profondità della terra, che saliva.

Fu il mio stesso grido a svegliarmi. Mi levai a sedere con tanta violenza che una farfalla posata su uno stelo vicino a me pensò bene di prendere il volo.
Sbattei le palpebre e mi guardai intorno. 
La luce di Elios faceva scintillare di verde i fili di erba della collina. Le corolle rosse dei papaveri tremavano dolcemente nella brezza, i gambi coperti di fine lanugine bianca. L’albero sopra la mia testa profumava di resina e albicocche. Potevo sentire sotto le dita il calore rassicurante della terra, e più in basso il dolce brusio dei semi addormentati, che sognavano i fiori che sarebbero diventati.
Un’ombra umana si allungò sul terreno davanti a me, proiettata da qualcuno che stava alle mie spalle.
-Una Vita per una Storia.- Una voce di velluto si fece strada attraverso il gelo che mi imprigionava.
Rovesciai il capo all’indietro: sullo sfondo del cielo azzurro incontrai, capovolti, un sorriso furfantesco e due occhi ridenti.
-Ermes?- le mie labbra di dischiusero di contentezza.-Ermes! Da quanto sei qui?-
Il mio fratellastro si passò due dita sul mento, coperto da un filo di barba.
-Non più di dieci minuti. Eri così graziosa che non ho potuto fare a meno di guardarti dormire.  E se tu sei qui, nei paraggi ci sarà sicuramente anche…- Un’albicocca matura fendette l’aria in direzione del suo viso, e Ermes la afferrò prontamente al volo.- …la dolce e bellissima Leucippe, appunto!-
La testa bruna e le spalle di Leucippe fecero capolino dal tronco dell’albero di albicocche.
-Ermes sei un cialtrone!- lo canzonò con voce musicale.-Sono sicura che riempi di complimenti tutte le ninfe che incontri!-
-Solo quelle che li meritano! E tu e Persefone decisamente li meritate.-
Leucippe gli lanciò un’altra albicocca, che lui prese nuovamente al volo.
-Sei fortunato che Demetra non sia nei paraggi.- lo canzonò la mia ancella uscendo dall’albero.- Se ti sentisse insidiare così la piccola Kore ti trasformerebbe in un cactus!-
Ermes fece un profondo inchino.
-Varrebbe ogni singolo istante. Dolce Lucippe, oggi sei davvero più bella solito!-
-Tu, invece, sei il solito cialtrone!- rise Leucippe, arrossendo di autentico piacere.
Era impossibile tenere il muso a Ermes. Se voleva qualcosa da te, sapevi che in qualche modo ti avrebbe raggirato fino ad ottenerlo, ma lo faceva in modo così garbato da lasciarti con il sorriso sulle labbra e il cuore più leggero. Anche se esagerava volutamente, avevo sempre avuto l’impressione che fosse molto affezionato alla mia ancella.  E, nonostante lei lo respingesse bonariamente, i suoi occhi verdi si illuminavano in un modo tutto speciale quando lui era nei paraggi.
Incrociai le gambe nell’erba, tirando giù l’orlo del vestito il più possibile.
-Sei venuto a farci visita tra un viaggio e l’altro, Ermes? Ti fermi a raccontarci una storia?-
-Mi farebbe piacere, sorellina, ma in realtà sono qui per lavoro.- Infilò una mano nella borsa di camoscio che portava alla spalla e ne estrasse una foglia di quercia, l’albero sacro a nostro padre. Lo posò nelle mie mani strette a coppa. -Ecco, questo è per te.-
Sollevai la foglia davanti agli occhi, contemplandone la superficie tenera e verde percorsa da delicate nervature dorate.
 -Un invito?-
Ermes annuì.
-Un invito sull’Olimpo, presso il palazzo di Zeus, per una festa in onore del suo ultimo nato.-
-Oh… Abbiamo un altro fratello?-
Leucippe e Ermes si lanciarono un breve sguardo. A nessuno piaceva ricordare che anche lui ed io eravamo figli di nostro padre, sebbene non legittimi. Per la nostra nascita non c’era stata alcuna festa: Era non l’avrebbe permesso, e Zeus non era così legato alla sua prole da sfidare il volere della legittima moglie.
-Darò l’invito a mamma, non appena tornerà. Al momento è…-
-In Tracia, a celebrare i raccolti. Lo so, sciocchina, perché vengo da lì.- Ermes si puntellò le mani abbronzate sui fianchi snelli. –Tua madre ha già il suo invito: quello che ti ho dato è per te.-
-Per me?-
-Di cosa ti meravigli? Sei una giovane donna in età da marito, adesso. Hai diritto a un invito anche tu!-
Leucippe mi passò una mano tra i capelli biondi.
-Sei contenta, Kore? Ci saranno tutti gli dei olimpi! Indosserai un bel vestito e renderai orgogliosa tua madre!-
-Io non sono sicura che lei sarà d’accordo…-
-Zeus non ha chiesto il suo permesso.- fece notare Ermes con un inchino. -Dolce Leucippe, mi aspetto sia presente anche tu. Come dio dei ladri, dovrò rubarti almeno un bacio!-
-Ti concederò un ballo,-sorrise Leucippe. –E niente altro!-
-Vedremo! Amo le sfide, - approvò Ermes. Gettò le albicocche in aria, riprendendole con la stessa mano.-Queste le porto con me per il viaggio.- Aprì la borsa e ve le lasciò cadere dentro.
Ora, io non so come e perché avvenne ciò che avvenne. Fu il Caso, forse, o il primo cenno di un Fato che già iniziava a tessere i propri fili.
Fatto sta che la borsa sfuggì alle dita abili di Ermes, e sul prato si sparpagliarono diverse foglie di quercia, simili a quella che avevo ricevuto io, ma di diversi colori. Ne riconobbi una dorata sicuramente destinata ad Apollo, e una blu come il mare che mi ricordò Poseidone. Una rossa come brace mi fece pensare a Estia e…
- E questa di chi è?-
Una foglia completamente nera si era adagiata accanto ai miei piedi nudi.
Prima che arrivassi a posarci sopra le dita, Ermes l’afferrò, traendola lontano dalla mia portata.
-Eh, no, sorellina: questa la prendo io!- Per un istante la sua allegria mi parve un po’ forzata, la sua pelle leggermente pallida sotto l’abbronzatura. -Quella è di…-
Leucippe gli premette una mano morbida contro la bocca.
-Non nominarlo. – La tensione che le vidi in faccia mi spaventò. -Non sta bene chiamare per nome poteri che non si comprendono.- Dopo un istante, Leucippe ritrasse la mano, imbarazzata.  –C’è un invito anche per lui, dunque?-
-Non potrebbe non esserci.- le fece notare Ermes con gentilezza - Lui non verrà, in ogni caso: a questo genere di cose non partecipa mai. Scenderò comunque là sotto a portargli la foglia.-
- Là sotto dove?- chiesi, sempre più confusa.
-Meglio parlarne il meno possibile.- tagliò corto Leucippe.
-Perché ne hai tanta paura?- Chiese Ermes richiudendo la borsa.
Leucippe si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, c’era autentico disagio nei suoi occhi: il nervosismo di un cerbiatto braccato, che si stemperò di tenerezza quando posò lo sguardo su Ermes.
- Anche tu ne avresti, se non fossi l’adorabile cialtrone che sei. Voi divinità olimpiche vivete in un luogo privilegiato, da cui Cronos, il tempo, e Thanatos, la morte, sono banditi. Io sono solo una semplice driade: abbastanza vicina al suolo e alle creature che vi crescono da sapere che la Superficie non è tutta come l’Olimpo. Per i mortali la vita non dura per sempre, e finché dura non è per nulla facile.-
Tesi la mano, stringendo quella serrata di lei. Al mio tocco, lei aprì le dita.
-Leucippe, nessuno ti farà del male. Ti proteggerò io.-
La mia ancella abbassò lo sguardo su di me, sorridendo senza convinzione.
-Grazie, tesoro.-
Ermes le sorrise rassicurante, ma vedevo che non capiva il suo turbamento. Del resto, non lo capivo nemmeno io.
-Ade non verrà, davvero.- le promise.
Conoscevo quel nome per averlo colto, qualche volta, nelle fitte conversazioni bisbigliate tra la mamma ed Estia. Mamma chiedeva di lui come se si sentisse in dovere di farlo, ma interrompeva quasi subito le risposte della zia, come se ascoltarle non le interessasse davvero, o addirittura la mettesse a disagio. Zeus non lo nominava mai: al massimo accennava, ogni tanto, a un fratello maggiore troppo preso dai propri affari per venire a trovarlo.
Leucippe abbassò lo sguardo, lisciandosi nervosamente la veste.
-Non importa se lui verrà o non verrà: è sufficiente che, da qualche parte, lui e il suo regno esistano. Ed esistano creature altrettanto spaventose che lo abitano. In un momento qualsiasi, chiunque di noi potrebbe finirvi dentro e non venirne più fuori.-
Mi voltai verso Ermes.
-Mio zio è davvero sovrano di un luogo così spaventoso?-
-L’Averno ha leggi molto diverse dalle nostre. Ai nostri occhi, questo lo rende spaventoso. D’altra parte, Ade è stato costretto con l'inganno a diventare re di quel mondo di tenebra.-
Alla parola “tenebra” mi strinsi le braccia al petto, scossa da un brivido.
-Kore, tutto bene?-
-Sì, certo.-
Leucippe non mi contraddisse, ma capii che non mi credeva.
Ermes battè le mani.
-Gentili fanciulle, vorrei potermi fermare, ma devo completare il mio dovere.-
Leucippe si mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi.
-Non importa, Ermes: anche noi dobbiamo andare.-
Si avviò verso il palazzo di mia madre e io la seguii, la treccia bionda che mi si disfaceva sulla schiena e le tenebre del mio sogno ancora impresse negli occhi, a dispetto del pomeriggio soleggiato e della campagna in fiore che mi circondavano.
   
 
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