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Autore: Vanoystein    12/02/2015    2 recensioni
Quando la donna si fermò sulla soglia della porta della stanza di pittura, vide solamente una bambina. Voltata verso una tela, intenta a colorare con le tempere mentre quelle parole lasciavano le sue labbra. I lunghi capelli mori ricadevano sulle spalle, legati da un grazioso fiocco rosso. Lo stesso ed unico colore che occupava la sua tela.
(...)
– Come ti chiami, Cara? –
– Lena. -
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Salve a tutti gente, scusate se ho aspettato davvero taaanto per pubblicare questo capitolo ma ho avuto una miriade di impegni.
Spero vi piaccia, e spero di ricevere qualche bella recensione ^w^
Buona lettura :**


Oggi, 2006.

Il sole che spiccava tra gli alberi si rifletteva perfettamente contro l’enorme vetro dell’aula 248 e contro gli occhi scuri della ragazza, che aveva ormai lo sguardo incantato sul cortile esterno da una decina di minuti.
Le parole del professore e della rivoluzione americana le entravano da un orecchio per poi uscire dall’altro subito dopo, senza lasciare alcuna impronta di passaggio nella sua mente che era completamente altrove.
Persa, immersa di pensieri.
Qualunque altro pensiero.
- Lena! Ehi! – Un paio di dita schioccarono davanti al viso della mora, richiamandola dai suoi pensieri e riportandola alla realtà.
La sua amica Jackie, così come tutti gli altri all’interno della classe erano voltati verso di lei.
Lo sguardo del professore era fermo su di lei, un ovvia punta di rabbia si infiltrava tra i suoi occhi chiari.
- Signorina, è da metà lezione che ha la testa tra le nuvole. – Sibilò l’uomo, facendo qualche passo verso di lei e incrociando le braccia al petto.
Attese una risposta per qualche secondo, ma ovviamente non arrivò.
Lena si limitò a fissarlo, senza batter ciglio.
Era così tutte le volte, con il professore di storia.
Lei si distraeva immancabilmente e la tensione che ogni volta si creava tra i due era palpabile.
- Lasci che succeda un’altra volta e invece che guardare fuori dalla finestra, guarderà la presidenza. – Il tono di voce del professore si alzò, facendo roteare gli occhi di lei al cielo appena lui si voltò.
Lena lo trovava dannatamente irritante, dalla prima volta che aveva messo piede in quella classe due anni prima.
A volte, malediva il fatto che la donna che l’aveva adottata e portata con sé abitasse in quello stupido e piccolo paesino vicino a Londra.
La signora Moore-O Abby-aveva deciso di prendersi cura di Lena un esatto anno dopo che l’aveva vista per la prima volta.
Le aveva fatto lasciare le mura dell’orfanotrofio il 24 Dicembre del 1998, alle nove e trentasei di sera.
Lena tirò un sospiro, fermando una mano sul viso e portando poi gli occhi sulla lavagna davanti a sé.
Era piena di gessetto, di date e parole che lei nemmeno aveva ascoltato.
Le dita delle sue mani si spostarono sulle tempie, che massaggiò lentamente, cercando di non soffermarsi troppo a pensare al mal di testa che la martellava.
Ma ecco che subito dopo una fitta le attraversò il cranio, facendole stringere la mascella con uno scatto.
Abbassò per un attimo il viso e poi scattò in piedi, correndo verso la porta d’uscita senza degnare di uno sguardo nessuno.
- Signorina Moore! – La voce del professore risuonò subito alle sue spalle, cupa e lontana alle sue orecchie.
Ma non gli diede ascolto, infatti continuò a correre, spedita verso il bagno.

Spalancò la porta chiara e se la chiuse velocemente alle spalle.
Si assicurò velocemente che non ci fosse nessuno, nemmeno qualcuno nascosto nelle cabine e tornò alla porta, girando la serratura e chiudendola con una mandata.
Ci appoggiò contro la schiena e si prese la testa tra le mani. – Non adesso, non adesso. – Sussurrò piano ansimando. – Non adesso. – Si lamentò ancora un attimo prima che un brivido freddo le percorse tutta la schiena, facendo dissolvere il mal di testa in pochi secondi.
Lena si raddrizzò perfettamente, fermando lo sguardo sullo specchio appeso alla parete davanti a lei.
Camminò lentamente verso di essa, prima di mollarci contro un pugno con tutta la forza che aveva facendo sbriciolare il vetro in mille pezzi che andarono a cadere sul pavimento e sui lavandini.
Le nocche delle sue mani si riempirono di sangue e le sue dita scivolarono tra i cocci di vetro, punzecchiandosi i polpastrelli con le punte, facendo sanguinare la pelle.
In pochi secondi spostò le braccia contro il muro, lasciando che si mossero creando linee di sangue perfette e curve.
Il suo sguardo sembrava perso, fisso sul lavoro che stava facendo, le palpebre quasi incantate e ferme sul muro ormai pieno di rosso.
Alla fine, riabbassò entrambe le braccia lungo i fianchi, ammirando il disegno che aveva appena completato con il proprio sangue.
Un paio di ali d’angelo.
Lena sbattè le palpebre, distogliendo finalmente lo sguardo dal muro per un secondo e sobbalzò appena lo vide, come se avesse realizzato solo in quel momento quello che le sue mani avevano realizzato.
Scattò immediatamente verso il lavandino che aprì veloce, facendo scorrere acqua gelata sotto la quale infilò le dita sporche.
Grugnì, correndo di nuovo verso l’uscita e spalancando la porta dopo averla ri-aperta.
Ricominciò a correre, come se ormai fosse l’unica cosa che le venisse naturale da fare.
Corse per tutto il corridoio, senza dirigersi verso la sua classe ma allontanandosi solamente dallo scenario che aveva creato.
Le sue gambe si muovevano come razzi, ma la sua mente non aveva idea di dove dovesse andare.
Quando poi la campanella suonò, rimbombandole assordante nelle orecchie.
Infatti lei si fermò di scatto, portandosi entrambe le mani contro le orecchie, stringendo i denti.
Quando la campanella tacque, anche il fastidio passò mentre le porte delle aule iniziarono ad aprirsi e i corridoi a riempirsi di studenti.
Lena rimase lì, ferma, con i piedi impuntati sul pavimento.
Abbassò le braccia lungo i fianchi, finalmente il respiro irregolare iniziava a calmarsi e il nodo allo stomaco scomparire.
Per un attimo, si era scordata dei palmi delle mani ancora sporchi di sangue, ma nessuno lì sembrava nemmeno accorgersene.
Era in momenti come quelli, che ringraziava di non essere una che stava al centro dell’attenzione, con mille ‘’amici’’ che le giravano attorno.
Ma a portarla via dai suoi pensieri fu una botta alle scapole, una spallata.
Tutt’altro che delicata, ma forte.
Lo sguardo di Lena girò subito al suo fianco, vedendosi passare vicino un ragazzo il quale stava visibilmente fissando le sue mani sporche.
Un brivido le percorse la schiena, una sensazione di freddo la pervase mentre i palmi iniziarono a bruciarle e a pizzicarle, come se degli aghi le stessero colpendo la pelle.
E subito Lena si tirò ancora più giù le maniche del maglione scuro che indossava, coprendosi completamente entrambe le mani.
Prima che il ragazzo si allontanasse definitivamente, Lena ebbe modo di incontrare i suoi occhi.
Scuri, ma profondi, quasi come i suoi. Freddi, anche. Lontani, in un certo senso.
Sì, lei avrebbe giurato che i suoi pensieri fossero ben lontani dalle lezioni o dalla scuola.
Lena sospirò, iniziando finalmente a camminare verso l’altro bagno che si trovava a fine corridoio.
Lo raggiunse subito, trovandolo fortunatamente per lei vuoto.
Lena si fermò davanti al lavandino, facendo scorrere l’acqua calda e infilandoci sotto le mani.
Ma ci mise pochi secondi per vedere che il sangue era completamente sparito. La pelle era pulita, non c’era più la minima traccia di sangue.
Così, tolse subito le mani dall’acqua, fissandole quasi scioccata.
‘’Impossibile.’’ Continuava a ripetersi.
No, non era possibile che si fossero pulite da sole.
Come diavolo era potuto succedere?

  
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