CAPITOLO 2
Seduta a cena tra Hannah Abbott e
Dean Thomas, Pansy non riusciva ancora a credere di essersi davvero
accomodata
a tavola con gli studenti delle altre Case. E ancora più
incredibile era il
fatto che nessuno sembrasse trovare la cosa particolarmente
sconvolgente.
Era l'unica a
pensare che le
tradizioni andassero rispettate?
Certo, pochi
com'erano rimasti, non
aveva più senso stare divisi, ma
Pansy si sarebbe aspettata una minima resistenza, un fastidio
generalizzato, ma
non stava accadendo niente del genere. Gli studenti dei primi quattro
anni
occupavano una tavolata alla destra della Sala Grande mentre quelli del
quinto,
sesto e settimo condividevano quella
di sinistra. Era come se le Case fossero scomparse, ma le clessidre
erano
sempre lì. Ultima Serpeverde e prima Corvonero. La Coppa
delle Case era
l’ultimo dei problemi, ma i professori continuavano ad
assegnare e, soprattutto,
a togliere punti agli studenti.
La preside
tentava di mantenere il
clima presente ad Hogwarts prima della morte di Silente, ma era
impossibile.
Era difficile
da spiegare, ma Silente
era Silente. Con lui ci si
poteva sentire tranquilli in ogni momento, sicuri che avrebbe vegliato
su tutti.
Ora, nonostante gli Auror incaricati di
controllare la scuola e la presenza dei professori che non erano certo
dei
novellini nella lotta contro il Signore Oscuro, la vita scorreva in una
sorta
di precarietà, come se tutti si aspettassero succedesse
qualcosa da un momento
all'altro.
Riscuotendosi
da quelle
riflessioni, Pansy si rese conto che Lavanda Brown continuava a
fissarla
insistentemente, come volesse dirle qualcosa, ma
non trovasse il coraggio. Alla terza volta che si trovava ad
incrociarne lo
sguardo, Pansy fece per aprir bocca, ma Lavanda si affrettò
a voltarsi verso
Lisa Turpin, seduta accanto a sé, mettendosi a parlare di
cosmetici. Scrollando
le spalle Pansy si dedicò completamente alla
propria cena: spostò il
coniglio in una parte del piatto e raggruppò la purea e le
carote in un'altra
mangiando esclusivamente quelle.
La Abbott,
interrompendo per un
attimo l'opera di pulizia del vassoio dagli ultimi pezzi di carne
rimasti le
chiese: "Non mangi la carne, Pansy?"
Gli occhi
sgranati della
Serpeverde al sentirsi chiamare per nome dalla Abbott e la sua
espressione
erano talmente buffi che Hanna scoppiò a ridere
finendo per strozzarsi col
coniglio che stava ancora masticando. Dopo un attimo di incertezza in
cui nella
mente di Pansy balenò l'idea di lasciarla morire soffocata,
la Serpeverde le
diede delle pacche sulla schiena porgendole anche un bicchiere di succo
di
zucca. Preferiva non essere accusata di omissione di
soccorso…
Appena si fu
ripresa Hanna le
sorrise piena di gratitudine aggiungendo, quasi
a volersi scusare: "Grazie. Sai, mi capita spesso. Di solito
è Ernie ad
aiutarmi, ma in questi giorni è troppo preso da Nott."
Un dubbio attraversò
la mente di Pansy.
Hannah ridacchiava indicandole qualche posto più in
là, verso la tavola dei
professori, dove effettivamente Theo e McMillan stavano chiacchierando
come
vecchi amici. Innervosita dalla situazione di cui non sapeva
assolutamente
niente, si
mise ad
infilzare il coniglio col coltello, quasi sfogandosi su di lui, senza
mangiarlo.
Da quando Theo
familiarizzava con
'quello lì'?
"Ma sei
vegetariana?!"
Massaggiandosi
una tempia con due
dita e domandandosi ancora una volta cosa ci facesse lì,
Pansy rispose ad Hanna
scandendo le parole lentamente, era pericolosamente vicina
alla sua soglia di sopportazione.
"Umpf,
sì Abbott. Sono
vegetariana."
Lavanda
interruppe il cicaleccio
con la Turpin per guardarla
a bocca aperta.
"Non l'avrei
mai detto! E da
quando?"
Pansy si
domandò se dovesse
davvero degnarla di una risposta. E in aggiunta
a questa brillante uscita
ecco Dean Thomas che, riscossosi da uno dei suoi tanti sogni
ad occhi
aperti, esclamò con assoluta convinzione, guardandola:
"Neanche io avrei mai pensato che Pansy Parkinson potesse
essere vegetariana!"
La pazienza ha
sempre un limite,
per tutti. Il limite di Pansy Parkinson arrivava molto, molto presto e
quella
sera era appena stato superato.
Voltandosi
verso Dean Thomas con
un sopracciglio inarcato si rivolse a lui con un tono di voce molto
basso e
distaccato che preludeva lo scoppio: "E per quale motivo?"
Dean sembrava
cercare le parole
adatte per rispondere mentre si toccava nervosamente l'orecchio.
L'imbarazzo
era palpabile.
Da quando si
fanno degli scrupoli
a dirmi cose spiacevoli?
Ci
pensò Luna Lovegood, a
tirare tutti fuori dall'imbarazzo. O
meglio, a dire le cose come stavano: "Perché i vegetariani
non vogliono
mangiare carne in quanto non vogliono nutrirsi di esseri viventi
uccisi.
Pensavamo, quindi, che fosse impossibile che una figlia di Mangiamorte
potesse
condividere questo pensiero. Che buona che è questa purea!"
Luna riprese
tranquillamente a
mangiare e Pansy la imitò masticando una carota senza
guardare in faccia
nessuno. Tentando di alleggerire l'atmosfera Hannah cercò di
iniziare una
conversazione: "Hai ragione, Luna, è davvero buona. Non
credi anche tu,
Pansy?"
Pansy non le
rispose. Non aveva
voglia di parlare. Per quanto la riguardava l'esperimento dell'unione
tra Case
era fallito. Forse era permalosa, ma non aveva intenzione di dover
mangiare
ancora accanto a quelle persone.
Per di
più era stanca e la gamba
le faceva male. Si era dimenticata di portarsi dietro la pozione contro
il
dolore e si stava maledendo per quella distrazione. Voleva andarsene
nella propria stanza,
sdraiarsi e stare
sola, come sempre. Cercare di cambiare, di essere gentile, era inutile:
lei non
era una da sorrisini scemi e confidenze fatte ai quattro venti come
sembravano
essere Hannah e Lavanda oppure da “scherziamo
in ogni momento” come
Dean.
"Senti,
Pansy…"
"Lasciami
stare,
Thomas."
Non voleva
sentirlo parlare. Si
portò una mano alla tempia socchiudendo leggermente gli
occhi. Non bastava la
gamba, anche la testa le pulsava da quando si era seduta a tavola.
"Non fare
così, non volevamo
offenderti."
La risata amara
di Pansy fece
voltare tutta la tavolata verso di lei. In molti la guardavano stupiti,
Dean
sembrava dispiaciuto, realmente dispiaciuto, alzando lo
sguardo incontrò
gli occhi di Theo. Sembrava preoccupato.
"Certo, non
volevate
offendermi. Tranquilli."
La Serpeverde
si alzò. Dean fece
un gesto per trattenerla mentre Lavanda tentava di rabbonirla:
"Parkinson,
eravamo solo curiosi. Non…"
Non
riuscì a finire la frase
perché Pansy prese il bastone e,facendo un cenno
con la testa a Luna e
Lisa, vi
si appoggiò pesantemente
uscendo dalla Sala Grande.
La gamba le
faceva sempre più male
e si vergognava a dirlo, a farsi vedere debole, perché
sapeva di esserlo.
Si sentiva
sempre più vuota
dentro.
Draco le
mancava.
Non si era mai
resa conto di
quanto bisogno di affetto avesse.
Bisogno di
calore umano.
Per poco, solo
per poco, aveva
pensato davvero di poter voltare pagina.
Impossibile,
lei era Pansy Parkinson.
Era quasi
comico. Se qualcuno le
avesse chiesto chi era, chi era Pansy, non avrebbe saputo rispondere,
ma tutti
loro non avrebbero avuto problemi a dirlo.
Era
così stanca e il sotterraneo
sembrava sempre più lontano. Si appoggiò alla
parete fermandosi un attimo a far
riposare la gamba. Era vicina alle scale per scendere, ma il
dolore si stava facendo
insopportabile. Aveva voglia di piangere, sfogarsi, ma non voleva
cedere.
Per cosa doveva
piangere? Basta.
Doveva smetterla di compatirsi, di illudersi di poter cambiare
qualcosa, di
pensare a Draco. Doveva smettere di pensare.
"Pansy,
aspetta, ti
aiuto."
Theodore
l'aveva raggiunta. Appena
l'aveva vista uscire dalla Sala in quel modo aveva salutato Ernie e le
si era
precipitato dietro. Pensava fosse andata in infermeria, ma quando non
l'aveva
trovata lì era andato di corsa verso i sotterranei e l'aveva
scovata appoggiata
al muro, la mano sulla gamba e lo sguardo malinconico. Il ragazzo la
prese in
braccio senza sforzi e Pansy pensò che era la seconda volta
in un giorno che
qualcuno la prendeva in braccio, troppi cavalieri improvvisati
ad
Hogwarts…
"Non dovevi
andartene così,
cosa è successo? Pansy?"
Lei non
riuscì più a resistere e scoppiò a
piangere, aggrappandosi
a Theo
che le accarezzò la testa dolcemente sussurrandole: "Piangi,
piangi. Non
ti preoccupare."
Stretta contro
di lui non si
accorse che il ragazzo aveva attraversato velocemente la loro Sala
Comune e
l'aveva portata in camera sua finchè non si sentì
appoggiare su qualcosa di
morbido. Sdraiata con lo sguardo fissò sul
soffitto dipinto di nero, Pansy sentiva Theo frugare tra le sue cose
borbottando.
"Dove hai messo
la pozione?
Ma una volta non eri più ordinata? Ah, eccola!"
Le si sedette
accanto sul letto e
le porse una bottiglietta colma di liquido azzurro. Un solo sorso le
fece
immediatamente diminuire il dolore e la ragazza si trovò a
ringraziare
mentalmente Madama Chips per l'impegno che aveva profuso nel cercare
una
pozione che alleviasse i dolori che provava. Se pensava al mese
d'inferno che
aveva passato soffrendo in ogni momento per le fitte lancinanti che
nessuna
pozione sembrava riuscire a placare, si rendeva conto che senza l'aiuto
di
nessuno avrebbe finito per fare qualche pazzia.
Pansy chiuse
gli occhi. La mano di
Theodore le accarezzava la testa facendole sentire la sua presenza
silenziosa.
Era rilassante e improvvisamente si trovò a singhiozzare
più forte mentre il
ragazzo si sdraiava accanto a lei e la stringeva continuando a
sfiorarle i
capelli.
Perché
stava piangendo?
Non lo sapeva
neanche più.
Piangeva per il vuoto che sentiva dentro.
La vicinanza di
Theo era come un
balsamo.
Aveva bisogno
di un amico, aveva
bisogno di amici, aveva bisogno di carezze, aveva bisogno di abbracci.
"Theo…"
"Dimmi Pansy."
"Non voglio
più sentirmi così
stanca. Non voglio dovermi sentire in colpa per qualcosa che non sono.
Non
voglio pensare a quello che è successo..."
"Shh, lo so, lo
so. Sai che
oggi ho ricevuto una lettera da Goyle? Sta bene, dice di salutarti e
che per
ora è al sicuro con suo padre. Non mi ha detto dove, ma dice
che gli manchiamo
e vorrebbe tornare, ma non può lasciare solo l'ultimo membro
della sua
famiglia."
Pansy sorrise
tra le lacrime.
"Sai, non avrei
mai creduto
che Goyle e la sua famiglia si sarebbero ribellati al Signore Oscuro."
"Neanche io, ma
se ci pensi, quanti
credevi davvero l'avrebbero
fatto? Certo, qui siamo rimasti in una ventina." Theo
ridacchiò scuotendo
la testa "Ci
pensi? La casa
di Serpeverde ospita venti
ragazzi. Farebbe ridere in un'altra situazione, ma questo vuol dire che
venti
famiglie su cui Voldemort contava si sono ribellate. Per non parlare di
quelli
che si sono apertamente schierati contro di lui o si stanno
nascondendo."
"Ma sono stati
così tanti a
seguirlo! Pensa a tutti quelli della nostra età. Ad Hogwarts
siamo rimasti in
tre! Se penso a Daphne, a Millicent… io…"
"Lo so Pansy,
ma non ci
possiamo fare niente. È inutile continuare a pensarci: hanno
fatto la loro
scelta, noi la nostra e questo è il nostro ultimo anno.
Certo, c'è la guerra,
ma non possiamo vivere aspettando che accada qualcosa, dobbiamo
prendere in
mano la situazione e cercare di goderci quest'anno anche se
può sembrano
assurdo a dirsi."
"E se Potter
non dovesse
riuscire a sconfiggere il Signore Oscuro?"
La paura
più grande di Pansy. La
stessa paura di tutti, ma che nei figli di Mangiamorte era ancora
più viva. Se
il Signore Oscuro avesse vinto, se Voldemort avesse sconfitto Potter,
se i
Mangiamorte avessero ucciso gli Auror, che ne sarebbe stato di loro,
che fine
avrebbero fatto i traditori?
Theodore
sospirò. La mano che
accarezzava la testa di Pansy si fermò, per un attimo solo,
forse per un
dubbio, forse per la paura di quello che avrebbe potuto riservare loro
il
futuro, ma poi riprese a scorrere dolcemente fra i capelli di lei
mentre rispondeva
nell'unico modo possibile per lui in quel momento.
"Non pensarci."
Non dovevano
pensarci, dovevano
avere fiducia. Avevano affidato il loro destino a un ragazzo, avevano
affidato
la loro vita agli Auror. Dovevano credere in quella che tutti
chiamavano
giustizia, nel bene, dovevano sperare.
Theodore si
svegliò e rimase per
un attimo spiazzato. Perché il suo soffitto
era nero? Un mugugno accanto
a sé gli
ricordò che quello
non era il soffitto della
sua stanza, quella
non era la sua camera e
guardandosi intorno un sorriso di sollievo gli illuminò il
volto. Sì, quella
non era la sua camera. Theodore Nott era ordinato come pochi altri; per
lui
l'ordine era una delle cose più importanti. Ordine e pulizia
dovevano essere la
base dell'educazione e il pensiero che quella stanza piena di libri,
carte,
vestiti sparpagliati sulla scrivania, sulla sedia e persino per terra
potesse
essere la sua l'aveva talmente sconvolto che il sollievo dal fatto che
la sua,
ordinata, si trovava solo poche porte più in là,
l'aveva fatto diventare di
umore improvvisamente buono.
Si
voltò verso Pansy, il disordine
personificato dall'inizio dell'anno a quella parte. Le aveva detto
più volte
che il disordine fisico implica un disordine mentale, ma Sua
Permalosità gli
aveva urlato che lei non era pazza. Punti di vista, secondo
Theo. La pazzia lo
affascinava, ma preferiva la tranquillità e la monotonia.
Accarezzò i lunghi
capelli di Pansy e la scosse leggermente.
"Pansy, sveglia."
La ragazza
mugugnò qualcosa e si
mosse leggermente senza però dar segno di averlo sentito.
"Pansy, vieni a
fare
colazione con me?"
I mugugni ora
sembravano voler
dire lasciami in pace, ma, non
avendo certo intenzione di tentare
di tradurre frasi senza senso, Theo insistette e la scosse ancora una
volta.
"Pansy, è
ora di svegliarsi, lavarsi la
faccia, sistemarsi la divisa e affrontare una nuova ed entusiasmante
giornata."
L'ironia di
Theo non fu colta da
Pansy che anzi mugugnò un più che comprensibile
"vatti a godere tu
l'entusiasmante giornata con McMillan", ma Theo non volle cogliere la
provocazione e iniziò a picchiettarle sulla testa l'indice
ripetendo come una
litania "Sveglia, sveglia, sveglia,…".
Pansy pensava
seriamente di aprire
gli occhi, lanciargli una Maledizione Senza Perdono e tornare a dormire
in
pace, ma i suoi propositi vennero interrotti da un violento bussare
alla porta.
Theo si scostò da lei dicendo: "Avanti."
"Oh, eccoti
Theodore. Stavo
venendo a chiedere a Pansy se ti aveva visto."
Il nuovo
arrivato spostò lo
sguardo sulla ragazza ancora sdraiata con gli occhi chiusi e chiese a
Theodore:
"Come sta?"
Pansy si mise a
sedere di scatto:
era inutile provare a dormire ancora.
"Vi sento, cosa
credete? Sto benissimo!"
Li
fissò quasi sfidandoli e
incontrò prima l'espressione seriamente preoccupata di
Adrian Pucey e poi
quella scettica di Theodore.
Adrian le si
avvicinò e le si
sedette accanto sul letto prendendole la mano. Lei non l'aveva mai
calcolato
finchè non erano rimasti solo loro tre. Era considerato da
tutti un Serpeverde
anomalo. Purosangue, ovviamente, e capace di mantenere il sangue freddo
in ogni
situazione e colpire senza rimorsi come ricordavano bene dei Corvonero
con cui
aveva discusso al quarto anno e i Serpeverde che non apprezzavano la
sua
famiglia rea di non aver mai seguito il Signore Oscuro, Adrian
sapeva
farsi rispettare quando voleva, ma per la maggior parte del tempo era
amichevole con tutti, persino con i Grifondoro. Era sempre stato un po'
la
pecora nera della Casa, ma dall'inizio del settimo anno quel ragazzo
dai corti
rasta biondi e gli occhi così simili a quelli di Draco nel
colore, ma lontani
dai suoi per l'espressione di infinita dolcezza che sapevano
trasmetterle, si
era rivelato un vero amico.
Si preoccupava
sempre per Pansy,
quasi quanto Theo, e la faceva sentire quasi amata.
"È
normale non stare bene.
Pensi che tutti stiano bene? No. Oggi mi sono svegliato pensando che mi
sarebbe
piaciuto mangiare i croissant al cioccolato che mi preparava sempre mia
madre,
poi ho improvvisamente realizzato che i miei sono morti e non
potrò mai più
mangiare croissant così buoni. Non sto bene Pansy, ma tento
di andare avanti.
Sono qui con voi e penso che sarebbe bello scendere insieme a fare
colazione,
ingozzarci e poi uscire a giocare a palle di neve. Stanotte ha
nevicato,
sapete?"
Theodore
sospirò, passandosi
la mano sul volto, mentre
Pansy si avvicinava ad Adrian
per abbracciarlo.
Tutti avevano
perso qualcosa e non
soltanto loro, le Serpi. Tutti. Adrian in fondo aveva ragione, lei
stava male,
ma non era la sola e piangersi addosso non avrebbe certo risolto
né migliorato
le cose. Bisognava andare avanti.
Come se fosse
facile, però!
Theodore si
schiarì la voce e
guardandoli disse :"Allora, visto
che oggi è domenica e non abbiamo niente da fare, che ne
dite di andare a giocare
davvero a palle di neve?"
Adrian
fissò Theodore a bocca
spalancata poi saltò in piedi ridendo e si mise a correre
per la stanza come un
pazzo. A volte sembrava proprio un bambino.
"Theo, tu
sì che sei un
amico! Sapete da quanto tempo non gioco a palle di neve?"
Pansy
sembrò pensarci un attimo.
"Lasciami
pensare… forse
dall'inverno scorso con quelle due Tassorosso?"
Il sorriso di
Adrian si allargò
mentre si lasciava nuovamente cadere sul letto a fissare il soffitto
con
sguardo sognante.
"Oh,
sì… ma quello, Pansy, non era
giocare a palle di neve. La
battaglia a palle di neve è uno sport da uomini. Bisogna
avere riflessi pronti,
agilità, precisione…"
Theo scosse la
testa, imitato
da Pansy che si alzò in piedi
dicendo: "Visto che mi farai morire di freddo sicuramente, mi devi
promettere
qualcosa in cambio…"
Adrian si
alzò a sua volta e
incrociando le braccia sul petto la guardò sospettoso.
"Cosa vuoi,
Parkinson?"
"Il tema di
Astronomia."
"Che cosa? Sai
quanto tempo
ho impiegato a farlo ieri? Al massimo ti posso dare una mano a finire
più
velocemente il tuo. Tanto non hai troppi problemi in quella
materia…"
Pansy gli si
avvicinò, per
stringergli la mano.
"Affare fatto, allora."
"Ehm,
ehm… visto che sembra
la giornata adatta. Pansy, non credi che dovresti qualcosa anche a me
per tutto
l'aiuto che ti do ogni giorno e il tempo che ti dedico?"
Theodore aveva
parlato con un
sorriso affabile sul volto e la stava ora guardando con espressione da
angioletto. Adrian si chinò verso Pansy sussurrandole
all'orecchio: "Ha in
mente qualcosa. Attenzione"
Lei
scrutò Theo per un attimo e
rispose, mettendosi
una mano sul
cuore: "Theodore,
tu mi
ferisci! Pensavo lo facessi perché eravamo amici, ma se non
vuoi più… c'è pur
sempre Adrian."
Theo
battè il piede a terra e
sbuffò infastidito.
"Lo sai che non
lo faccio per
avere qualcosa in cambio, ma guardati attorno!"
Allargò
le braccia indicando
l'intera stanza e scandì: "Disordine!"
Le risate dei
due non l'aiutarono
certo a calmarsi, anzi. Si lanciò in una lunga filippica su
tutto quello che il
disordine comportava e alla fine, su insistenza di Adrian che le aveva
ricordato la colazione che li aspettava forse ancora per poco, Pansy
cedette e
promise a Theo di sistemare la stanza nel pomeriggio.
Finalmente
soddisfatti tutti e tre
uscirono dal dormitorio per andare a fare colazione.