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Autore: Lys    03/12/2008    1 recensioni
"...La preside tentava di mantenere il clima presente ad Hogwarts prima della morte di Silente, ma era impossibile. Era difficile da spiegare, ma Silente era Silente. Con lui ci si poteva sentire tranquilli in ogni momento, sicuri che avrebbe vegliato su tutti. Ora, nonostante gli Auror incaricati di controllare la scuola e la presenza dei professori che non erano certo dei novellini nella lotta contro il Signore Oscuro, la vita scorreva in una sorta di precarietà, come se tutti si aspettassero succedesse qualcosa da un momento all'altro..." Gli Eroi sono partiti per combattere il Signore Oscuro e ad Hogwarts sono rimasti pochi studenti. Gli altri. Quelli che attendono, quelli che sperano.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Thomas, Pansy Parkinson
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2



Seduta a cena tra Hannah Abbott e Dean Thomas, Pansy non riusciva ancora a credere di essersi davvero accomodata a tavola con gli studenti delle altre Case. E ancora più incredibile era il fatto che nessuno sembrasse trovare la cosa particolarmente sconvolgente.

Era l'unica a pensare che le tradizioni andassero rispettate?

Certo, pochi com'erano rimasti, non aveva più senso stare divisi, ma Pansy si sarebbe aspettata una minima resistenza, un fastidio generalizzato, ma non stava accadendo niente del genere. Gli studenti dei primi quattro anni occupavano una tavolata alla destra della Sala Grande mentre quelli del quinto, sesto e settimo condividevano quella di sinistra. Era come se le Case fossero scomparse, ma le clessidre erano sempre lì. Ultima Serpeverde e prima Corvonero. La Coppa delle Case era l’ultimo dei problemi, ma i professori continuavano ad assegnare e, soprattutto, a togliere punti agli studenti.

La preside tentava di mantenere il clima presente ad Hogwarts prima della morte di Silente, ma era impossibile.

Era difficile da spiegare, ma Silente era Silente. Con lui ci si poteva sentire tranquilli in ogni momento, sicuri che avrebbe vegliato su tutti. Ora, nonostante gli Auror incaricati di controllare la scuola e la presenza dei professori che non erano certo dei novellini nella lotta contro il Signore Oscuro, la vita scorreva in una sorta di precarietà, come se tutti si aspettassero succedesse qualcosa da un momento all'altro.

Riscuotendosi da quelle riflessioni, Pansy si rese conto che Lavanda Brown continuava a fissarla insistentemente, come volesse dirle qualcosa, ma non trovasse il coraggio. Alla terza volta che si trovava ad incrociarne lo sguardo, Pansy fece per aprir bocca, ma Lavanda si affrettò a voltarsi verso Lisa Turpin, seduta accanto a sé, mettendosi a parlare di cosmetici. Scrollando le spalle Pansy si dedicò completamente alla propria cena: spostò il coniglio in una parte del piatto e raggruppò la purea e le carote in un'altra mangiando esclusivamente quelle.

La Abbott, interrompendo per un attimo l'opera di pulizia del vassoio dagli ultimi pezzi di carne rimasti le chiese: "Non mangi la carne, Pansy?"

Gli occhi sgranati della Serpeverde al sentirsi chiamare per nome dalla Abbott e la sua espressione erano talmente buffi che Hanna scoppiò a ridere finendo per strozzarsi col coniglio che stava ancora masticando. Dopo un attimo di incertezza in cui nella mente di Pansy balenò l'idea di lasciarla morire soffocata, la Serpeverde le diede delle pacche sulla schiena porgendole anche un bicchiere di succo di zucca. Preferiva non essere accusata di omissione di soccorso…

Appena si fu ripresa Hanna le sorrise piena di gratitudine aggiungendo, quasi a volersi scusare: "Grazie. Sai, mi capita spesso. Di solito è Ernie ad aiutarmi, ma in questi giorni è troppo preso da Nott."

Un dubbio attraversò la mente di Pansy. Hannah ridacchiava indicandole qualche posto più in là, verso la tavola dei professori, dove effettivamente Theo e McMillan stavano chiacchierando come vecchi amici. Innervosita dalla situazione di cui non sapeva assolutamente niente, si mise ad infilzare il coniglio col coltello, quasi sfogandosi su di lui, senza mangiarlo.

Da quando Theo familiarizzava con 'quello lì'?

"Ma sei vegetariana?!"

Massaggiandosi una tempia con due dita e domandandosi ancora una volta cosa ci facesse lì, Pansy rispose ad Hanna scandendo le parole lentamente, era pericolosamente vicina alla sua soglia di sopportazione.

"Umpf, sì Abbott. Sono vegetariana."

Lavanda interruppe il cicaleccio con la Turpin per guardarla a bocca aperta.

"Non l'avrei mai detto! E da quando?"

Pansy si domandò se dovesse davvero degnarla di una risposta. E in aggiunta  a questa brillante uscita ecco Dean Thomas che, riscossosi da uno dei suoi tanti sogni ad occhi aperti, esclamò con assoluta convinzione, guardandola: "Neanche io avrei mai pensato che Pansy Parkinson potesse essere vegetariana!"

La pazienza ha sempre un limite, per tutti. Il limite di Pansy Parkinson arrivava molto, molto presto e quella sera era appena stato superato.

Voltandosi verso Dean Thomas con un sopracciglio inarcato si rivolse a lui con un tono di voce molto basso e distaccato che preludeva lo scoppio: "E per quale motivo?"

Dean sembrava cercare le parole adatte per rispondere mentre si toccava nervosamente l'orecchio. L'imbarazzo era palpabile.

Da quando si fanno degli scrupoli a dirmi cose spiacevoli?

Ci pensò Luna Lovegood, a tirare tutti fuori dall'imbarazzo. O meglio, a dire le cose come stavano: "Perché i vegetariani non vogliono mangiare carne in quanto non vogliono nutrirsi di esseri viventi uccisi. Pensavamo, quindi, che fosse impossibile che una figlia di Mangiamorte potesse condividere questo pensiero. Che buona che è questa purea!"

Luna riprese tranquillamente a mangiare e Pansy la imitò masticando una carota senza guardare in faccia nessuno. Tentando di alleggerire l'atmosfera Hannah cercò di iniziare una conversazione: "Hai ragione, Luna, è davvero buona. Non credi anche tu, Pansy?"

Pansy non le rispose. Non aveva voglia di parlare. Per quanto la riguardava l'esperimento dell'unione tra Case era fallito. Forse era permalosa, ma non aveva intenzione di dover mangiare ancora accanto a quelle persone.

Per di più era stanca e la gamba le faceva male. Si era dimenticata di portarsi dietro la pozione contro il dolore e si stava maledendo per quella distrazione. Voleva andarsene nella propria stanza, sdraiarsi e stare sola, come sempre. Cercare di cambiare, di essere gentile, era inutile: lei non era una da sorrisini scemi e confidenze fatte ai quattro venti come sembravano essere Hannah e Lavanda oppure da “scherziamo in ogni momento” come Dean.

"Senti, Pansy…"

"Lasciami stare, Thomas."

Non voleva sentirlo parlare. Si portò una mano alla tempia socchiudendo leggermente gli occhi. Non bastava la gamba, anche la testa le pulsava da quando si era seduta a tavola.

"Non fare così, non volevamo offenderti."

La risata amara di Pansy fece voltare tutta la tavolata verso di lei. In molti la guardavano stupiti, Dean sembrava dispiaciuto, realmente dispiaciuto, alzando lo sguardo incontrò gli occhi di Theo. Sembrava preoccupato.

"Certo, non volevate offendermi. Tranquilli."

La Serpeverde si alzò. Dean fece un gesto per trattenerla mentre Lavanda tentava di rabbonirla: "Parkinson, eravamo solo curiosi. Non…"

Non riuscì a finire la frase perché Pansy prese il bastone e,facendo un cenno con la testa a Luna e Lisa, vi si appoggiò pesantemente uscendo dalla Sala Grande.

 

La gamba le faceva sempre più male e si vergognava a dirlo, a farsi vedere debole, perché sapeva di esserlo.

Si sentiva sempre più vuota dentro.

Draco le mancava.

Non si era mai resa conto di quanto bisogno di affetto avesse.

Bisogno di calore umano.

Per poco, solo per poco, aveva pensato davvero di poter voltare pagina.

Impossibile, lei era Pansy Parkinson.

Era quasi comico. Se qualcuno le avesse chiesto chi era, chi era Pansy, non avrebbe saputo rispondere, ma tutti loro non avrebbero avuto problemi a dirlo.

 

Era così stanca e il sotterraneo sembrava sempre più lontano. Si appoggiò alla parete fermandosi un attimo a far riposare la gamba. Era vicina alle scale per scendere, ma il dolore si stava facendo insopportabile. Aveva voglia di piangere, sfogarsi, ma non voleva cedere.

Per cosa doveva piangere? Basta. Doveva smetterla di compatirsi, di illudersi di poter cambiare qualcosa, di pensare a Draco. Doveva smettere di pensare.

 

"Pansy, aspetta, ti aiuto."

Theodore l'aveva raggiunta. Appena l'aveva vista uscire dalla Sala in quel modo aveva salutato Ernie e le si era precipitato dietro. Pensava fosse andata in infermeria, ma quando non l'aveva trovata lì era andato di corsa verso i sotterranei e l'aveva scovata appoggiata al muro, la mano sulla gamba e lo sguardo malinconico. Il ragazzo la prese in braccio senza sforzi e Pansy pensò che era la seconda volta in un giorno che qualcuno la prendeva in braccio, troppi cavalieri improvvisati ad Hogwarts…

"Non dovevi andartene così, cosa è successo? Pansy?"

Lei non riuscì più a resistere e scoppiò a piangere, aggrappandosi a Theo che le accarezzò la testa dolcemente sussurrandole: "Piangi, piangi. Non ti preoccupare."

Stretta contro di lui non si accorse che il ragazzo aveva attraversato velocemente la loro Sala Comune e l'aveva portata in camera sua finchè non si sentì appoggiare su qualcosa di morbido. Sdraiata con lo sguardo fissò sul soffitto dipinto di nero, Pansy sentiva Theo frugare tra le sue cose borbottando.

"Dove hai messo la pozione? Ma una volta non eri più ordinata? Ah, eccola!"

Le si sedette accanto sul letto e le porse una bottiglietta colma di liquido azzurro. Un solo sorso le fece immediatamente diminuire il dolore e la ragazza si trovò a ringraziare mentalmente Madama Chips per l'impegno che aveva profuso nel cercare una pozione che alleviasse i dolori che provava. Se pensava al mese d'inferno che aveva passato soffrendo in ogni momento per le fitte lancinanti che nessuna pozione sembrava riuscire a placare, si rendeva conto che senza l'aiuto di nessuno avrebbe finito per fare qualche pazzia.

Pansy chiuse gli occhi. La mano di Theodore le accarezzava la testa facendole sentire la sua presenza silenziosa. Era rilassante e improvvisamente si trovò a singhiozzare più forte mentre il ragazzo si sdraiava accanto a lei e la stringeva continuando a sfiorarle i capelli.

Perché stava piangendo?

Non lo sapeva neanche più. Piangeva per il vuoto che sentiva dentro.

La vicinanza di Theo era come un balsamo.

Aveva bisogno di un amico, aveva bisogno di amici, aveva bisogno di carezze, aveva bisogno di abbracci.

"Theo…"

"Dimmi Pansy."

"Non voglio più sentirmi così stanca. Non voglio dovermi sentire in colpa per qualcosa che non sono. Non voglio pensare a quello che è successo..."

"Shh, lo so, lo so. Sai che oggi ho ricevuto una lettera da Goyle? Sta bene, dice di salutarti e che per ora è al sicuro con suo padre. Non mi ha detto dove, ma dice che gli manchiamo e vorrebbe tornare, ma non può lasciare solo l'ultimo membro della sua famiglia."

Pansy sorrise tra le lacrime.

"Sai, non avrei mai creduto che Goyle e la sua famiglia si sarebbero ribellati al Signore Oscuro."

"Neanche io, ma se ci pensi, quanti credevi davvero l'avrebbero fatto? Certo, qui siamo rimasti in una ventina." Theo ridacchiò scuotendo la testa  "Ci pensi? La casa di Serpeverde ospita venti ragazzi. Farebbe ridere in un'altra situazione, ma questo vuol dire che venti famiglie su cui Voldemort contava si sono ribellate. Per non parlare di quelli che si sono apertamente schierati contro di lui o si stanno nascondendo."

"Ma sono stati così tanti a seguirlo! Pensa a tutti quelli della nostra età. Ad Hogwarts siamo rimasti in tre! Se penso a Daphne, a Millicent… io…"

"Lo so Pansy, ma non ci possiamo fare niente. È inutile continuare a pensarci: hanno fatto la loro scelta, noi la nostra e questo è il nostro ultimo anno. Certo, c'è la guerra, ma non possiamo vivere aspettando che accada qualcosa, dobbiamo prendere in mano la situazione e cercare di goderci quest'anno anche se può sembrano assurdo a dirsi."

"E se Potter non dovesse riuscire a sconfiggere il Signore Oscuro?"

La paura più grande di Pansy. La stessa paura di tutti, ma che nei figli di Mangiamorte era ancora più viva. Se il Signore Oscuro avesse vinto, se Voldemort avesse sconfitto Potter, se i Mangiamorte avessero ucciso gli Auror, che ne sarebbe stato di loro, che fine avrebbero fatto i traditori?

Theodore sospirò. La mano che accarezzava la testa di Pansy si fermò, per un attimo solo, forse per un dubbio, forse per la paura di quello che avrebbe potuto riservare loro il futuro, ma poi riprese a scorrere dolcemente fra i capelli di lei mentre rispondeva nell'unico modo possibile per lui in quel momento.

"Non pensarci."

Non dovevano pensarci, dovevano avere fiducia. Avevano affidato il loro destino a un ragazzo, avevano affidato la loro vita agli Auror. Dovevano credere in quella che tutti chiamavano giustizia, nel bene, dovevano sperare.

 

Theodore si svegliò e rimase per un attimo spiazzato. Perché il suo soffitto era nero? Un mugugno accanto a sé gli ricordò che quello non era il soffitto della sua stanza, quella non era la sua camera e guardandosi intorno un sorriso di sollievo gli illuminò il volto. Sì, quella non era la sua camera. Theodore Nott era ordinato come pochi altri; per lui l'ordine era una delle cose più importanti. Ordine e pulizia dovevano essere la base dell'educazione e il pensiero che quella stanza piena di libri, carte, vestiti sparpagliati sulla scrivania, sulla sedia e persino per terra potesse essere la sua l'aveva talmente sconvolto che il sollievo dal fatto che la sua, ordinata, si trovava solo poche porte più in là, l'aveva fatto diventare di umore improvvisamente buono.

Si voltò verso Pansy, il disordine personificato dall'inizio dell'anno a quella parte. Le aveva detto più volte che il disordine fisico implica un disordine mentale, ma Sua Permalosità gli aveva urlato che lei non era pazza. Punti di vista, secondo Theo. La pazzia lo affascinava, ma preferiva la tranquillità e la monotonia. Accarezzò i lunghi capelli di Pansy e la scosse leggermente.

"Pansy, sveglia."

La ragazza mugugnò qualcosa e si mosse leggermente senza però dar segno di averlo sentito.

"Pansy, vieni a fare colazione con me?"

I mugugni ora sembravano voler dire lasciami in pace, ma, non avendo certo intenzione di tentare di tradurre frasi senza senso, Theo insistette e la scosse ancora una volta.

"Pansy, è ora di svegliarsi, lavarsi la faccia, sistemarsi la divisa e affrontare una nuova ed entusiasmante giornata."

L'ironia di Theo non fu colta da Pansy che anzi mugugnò un più che comprensibile "vatti a godere tu l'entusiasmante giornata con McMillan", ma Theo non volle cogliere la provocazione e iniziò a picchiettarle sulla testa l'indice ripetendo come una litania "Sveglia, sveglia, sveglia,…".

Pansy pensava seriamente di aprire gli occhi, lanciargli una Maledizione Senza Perdono e tornare a dormire in pace, ma i suoi propositi vennero interrotti da un violento bussare alla porta. Theo si scostò da lei dicendo: "Avanti."

"Oh, eccoti Theodore. Stavo venendo a chiedere a Pansy se ti aveva visto."

Il nuovo arrivato spostò lo sguardo sulla ragazza ancora sdraiata con gli occhi chiusi e chiese a Theodore: "Come sta?"

Pansy si mise a sedere di scatto: era inutile provare a dormire ancora.

"Vi sento, cosa credete? Sto benissimo!"

Li fissò quasi sfidandoli e incontrò prima l'espressione seriamente preoccupata di Adrian Pucey e poi quella scettica di Theodore.

Adrian le si avvicinò e le si sedette accanto sul letto prendendole la mano. Lei non l'aveva mai calcolato finchè non erano rimasti solo loro tre. Era considerato da tutti un Serpeverde anomalo. Purosangue, ovviamente, e capace di mantenere il sangue freddo in ogni situazione e colpire senza rimorsi come ricordavano bene dei Corvonero con cui aveva discusso al quarto anno e i Serpeverde che non apprezzavano la sua famiglia rea di non aver mai seguito il Signore Oscuro, Adrian sapeva farsi rispettare quando voleva, ma per la maggior parte del tempo era amichevole con tutti, persino con i Grifondoro. Era sempre stato un po' la pecora nera della Casa, ma dall'inizio del settimo anno quel ragazzo dai corti rasta biondi e gli occhi così simili a quelli di Draco nel colore, ma lontani dai suoi per l'espressione di infinita dolcezza che sapevano trasmetterle, si era rivelato un vero amico.

Si preoccupava sempre per Pansy, quasi quanto Theo, e la faceva sentire quasi amata.

"È normale non stare bene. Pensi che tutti stiano bene? No. Oggi mi sono svegliato pensando che mi sarebbe piaciuto mangiare i croissant al cioccolato che mi preparava sempre mia madre, poi ho improvvisamente realizzato che i miei sono morti e non potrò mai più mangiare croissant così buoni. Non sto bene Pansy, ma tento di andare avanti. Sono qui con voi e penso che sarebbe bello scendere insieme a fare colazione, ingozzarci e poi uscire a giocare a palle di neve. Stanotte ha nevicato, sapete?"

Theodore sospirò, passandosi la mano sul volto, mentre Pansy si avvicinava ad Adrian per abbracciarlo.

Tutti avevano perso qualcosa e non soltanto loro, le Serpi. Tutti. Adrian in fondo aveva ragione, lei stava male, ma non era la sola e piangersi addosso non avrebbe certo risolto né migliorato le cose. Bisognava andare avanti.

Come se fosse facile, però!

Theodore si schiarì la voce e guardandoli disse :"Allora, visto che oggi è domenica e non abbiamo niente da fare, che ne dite di andare a giocare davvero a palle di neve?"

Adrian fissò Theodore a bocca spalancata poi saltò in piedi ridendo e si mise a correre per la stanza come un pazzo. A volte sembrava proprio un bambino.

"Theo, tu sì che sei un amico! Sapete da quanto tempo non gioco a palle di neve?"

Pansy sembrò pensarci un attimo.

"Lasciami pensare… forse dall'inverno scorso con quelle due Tassorosso?"

Il sorriso di Adrian si allargò mentre si lasciava nuovamente cadere sul letto a fissare il soffitto con sguardo sognante.

"Oh, sì… ma quello, Pansy, non era giocare a palle di neve. La battaglia a palle di neve è uno sport da uomini. Bisogna avere riflessi pronti, agilità, precisione…"

Theo scosse la testa, imitato da Pansy che si alzò in piedi dicendo: "Visto che mi farai morire di freddo sicuramente, mi devi promettere qualcosa in cambio…"

Adrian si alzò a sua volta e incrociando le braccia sul petto la guardò sospettoso.

"Cosa vuoi, Parkinson?"

"Il tema di Astronomia."

"Che cosa? Sai quanto tempo ho impiegato a farlo ieri? Al massimo ti posso dare una mano a finire più velocemente il tuo. Tanto non hai troppi problemi in quella materia…"

Pansy gli si avvicinò, per stringergli la mano.

"Affare fatto, allora."

"Ehm, ehm… visto che sembra la giornata adatta. Pansy, non credi che dovresti qualcosa anche a me per tutto l'aiuto che ti do ogni giorno e il tempo che ti dedico?"

Theodore aveva parlato con un sorriso affabile sul volto e la stava ora guardando con espressione da angioletto. Adrian si chinò verso Pansy sussurrandole all'orecchio: "Ha in mente qualcosa. Attenzione"

Lei scrutò Theo per un attimo e rispose, mettendosi una mano sul cuore: "Theodore, tu mi ferisci! Pensavo lo facessi perché eravamo amici, ma se non vuoi più… c'è pur sempre Adrian."

Theo battè il piede a terra e sbuffò infastidito.

"Lo sai che non lo faccio per avere qualcosa in cambio, ma guardati attorno!"

Allargò le braccia indicando l'intera stanza e scandì: "Disordine!"

Le risate dei due non l'aiutarono certo a calmarsi, anzi. Si lanciò in una lunga filippica su tutto quello che il disordine comportava e alla fine, su insistenza di Adrian che le aveva ricordato la colazione che li aspettava forse ancora per poco, Pansy cedette e promise a Theo di sistemare la stanza nel pomeriggio.

Finalmente soddisfatti tutti e tre uscirono dal dormitorio per andare a fare colazione.
 

 

 

  
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