Epilogo| L’Ombra
di Peter
«To live will be an awfully big
adventure.»
― J.M. Barrie, Peter Pan
Un paio di settimane dopo la fine della
scuola, Sebastian incominciò a tempo pieno il suo lavoro al peschereccio dei Rivers. Tuttavia, non abbandonò mai l’impiego come
guardiano del faro. Con il trascorrere degli anni le passeggiate notturne alla
baia vennero lentamente sostituire dalle serate trascorse ad ammirare il mare
dalla torre, o a guardare le stelle dal giardino nella sua nuova casa, dove si
era trasferito assieme a Lyla. Annie viveva con loro – Sebastian aveva
preferito non lasciarla sola – e Adrian, quando era di ritorno dai suoi
peregrinaggi in giro per Panem, passava spesso a trovarli.
Vivere con Lyla non era sempre semplice;
era ancora brava a farlo sorridere, ma il suo pensiero felice le veniva
trascinato via con frequenza dalle onde e, in quei momenti, il suo sguardo
tornava a farsi malinconico. Le giornate trascorse assieme alternavano curiosi
brandelli di felicità[1]
a momenti di tenue tristezza, quando il suono di una vecchia e polverosa ninna nanna
tornava a risuonare nelle loro orecchie.
E poi arrivò Maggie; quel vuoto che
Sebastian aveva avvertito sin da bambino si ridusse drasticamente la prima
volta che la vide, accoccolata al petto di Lyla. Aveva ereditato gli occhi verdi di suo padre
– gli stessi di Finnick – e, a detta di Annie,
anche l’allegra spontaneità del nonno. Divenne subito chiaro che quella
bambina sempre sorridente fosse destinata a diventare il nuovo pensiero felice
di Annie Cresta. Maggie insegnò a Sebastian a piangere, nella maniera dolce e
delicata in cui avviene quando si è felici. Pianse la prima volta che si sentì
chiamare ‘papà’, e quando sua figlia gli capitombolò fra le braccia ridendo,
dopo aver compiuto i primi passi.
Nonostante quegli eccessi di lacrime
improvvisi, con l’arrivo di Maggie il tempo per rattristarsi divenne sempre
meno. Fino a svanire del tutto quando a lei si aggiunse il piccolo Jack.
Sebastian non impiegò molto a intuire che in lui ci fosse qualcosa di diverso,
rispetto alla sorella. Lo sguardo
di suo figlio scappava ogni volta che
cercava di incrociarlo. Di rado Jack dava cenno di accorgersi che qualcuno gli
stesse parlando. Aveva un suo mondo – un posto impenetrabile di cui solo lui
aveva la chiave per accedere – ed era lì dentro che viveva, la maggior parte
delle volte. La cosa più insolita di Jack era la sua fissazione per le ombre;
Sebastian lo sorprendeva spesso a muovere le mani alla luce di una lampada con
espressione assorta, incantato dal
disegno prodotto dalle sue dita sulla parete. Giocava spesso con la sua ombra:
la cercava sempre, specialmente nei momenti in cui si sentiva particolarmente
frustrato o spaventato. C’era qualcosa di quel rituale che lo faceva sentire al
sicuro.
“Jack è a casa” esclamava con un lieve
sorriso – ma senza mai guardare nessuno negli occhi – quando riusciva a
scorgerla a terra.
“Torna a casa, Jack[2]”
borbottava invece, preoccupato, quando non c’erano ombre attorno a lui. Per
Lyla e Sebastian non c’erano dubbi: la famiglia Odair
aveva trovato un terzo Peter Pan.
Se Maggie aveva insegnato a Sebastian a
piangere, assieme a Jack il giovane imparò a ridere più spesso. La risata di suo
figlio rallegrava spesso le passeggiate lungo la baia della famiglia Odair ed era anche incredibilmente contagiosa. Al padre
piaceva ridere con lui, perché sapeva che quella era la maniera più facile per
far capire a Jack che gli voleva bene.
Con il passare degli anni Sebastian
trovò finalmente il suo pensiero felice: era una sera come tante e la stavano
trascorrendo alla baia tutti e cinque: lui e Lyla, sua madre e i due bambini. Jack
stava rimirando affascinato le ombre degli oggetti sulla spiaggia alla luce
timida della luna e i genitori stavano cercando di partecipare al suo gioco,
tentando di intavolare una conversazione con il piccolo.
Maggie era seduta sulle ginocchia di
nonna Annie e stava sfogliando assieme a lei un vecchio album di fotografie. Si
soffermò a rimirarne una in particolare, che ritraeva i suoi nonni paterni il
giorno del loro matrimonio: era una copia di quella che Annie custodiva ancora
gelosamente in camera sua.
“Com’eri bella, nonna!” esclamò la bambina indicandola
con il dito. Annie le sorrise.
“Anche il nonno era bello. Lui è nonno Finnick, vero?”
La donna annuì.
“Questa foto è stata scattata il giorno del nostro
matrimonio” spiegò, sfiorando con tenerezza la testa della nipotina. Maggie
esaminò meglio la fotografia.
“Assomiglia a papà” osservò poi, tracciando con l’indice
il contorno del volto di Finnick. “Era bravo come lui?”
La nonna annuì di nuovo; un lieve alone di malinconia le
velò lo sguardo.
“Cantava sempre per me” mormorò poi, stringendo la
nipotina fra le braccia e ondeggiando a destra e a sinistra.
Lo sguardo della ragazzina si illuminò.
“Posso cantare anch’io per te, nonna?”
Annie le rivolse un’occhiata sorpresa, prima di
sorriderle.
“Certo. Certo che puoi, tesoro.”
Maggie si voltò verso di lei, per
poterla guardare negli occhi, e incominciò a cantare. Aveva una voce esile, che
si sposava bene con la melodia malinconica che stava eseguendo. La sua era una
canzone che Sebastian conosceva bene: era la ninna nanna che Lyla cantava di
tanto in tanto, ai bambini, per aiutarli ad addormentarsi. La stessa nenia che
aveva intonato durante uno dei loro primi incontri, da ragazzi.
Quando si voltò verso sua madre,
Sebastian si accorse che aveva gli occhi umidi di lacrime. Un alone di gioia,
misto a malinconia, le imperlava il volto. Per un attimo il vecchio peso
all’altezza del petto incominciò a farsi sentire con più insistenza nel giovane,
ma si assottigliò fino a sparire quando Annie parlò di nuovo.
“È questa” mormorò la donna, stringendo
a sé la nipotina, prima di posarle un bacio sui capelli. Lo sguardo di entrambe
andò a posarsi sulla pagina dell’album ancora aperta, dove un giovane sorrideva
allegro, abbracciando la donna che amava. Un giovane con un sorriso da
ragazzino. “È questa la ninna nanna, Finn.”
Sebastian non disse nulla; si limitò a
contemplare il sorriso raro di sua madre, osservandola ridere assieme a Maggie.
Si voltò poi verso destra, attirato dal rumore di suo figlio che schioccava
soddisfatto la lingua; accovacciato di
fianco a lui, Jack stava ancora giocando con la sua ombra.
“Jack è a casa” esclamò compiaciuto il
bimbo, appoggiando le mani sulla sabbia, come a voler toccare le cinque sagome
scure dei suoi familiari.
E, solo per un istante, a Sebastian
sembrò quasi di scorgerne una sesta.
L’ombra di suo padre.
L’ombra di Peter
Pan.
Note Finali.
Buongiorno! Finalmente mi sono decisa a
pubblicare l’epilogo di questa storia. Ho scelto di ambientarlo a distanza da
anni per dare una risoluzione ancora più ampia alla storia di Sebastian, ma
anche al resto dalla sua famiglia – a Lyla e Annie. Ovviamente non è detto che
la ninna nanna di Lyla (che qui canta la piccola Maggie) sia effettivamente
quella che Finnick cantava a Annie. Penso che Annie desideri crederlo talmente
tanto che per lei effettivamente è così. E, confesso, anche a me piace pensare
che in fondo lo sia.
Passando ai due nuovi piccoli di casa Odair, ci
tenevo a mostrarveli e ad aggiungere un paio di cosine su loro due. Anzitutto,
i nomi sono l’ennesimo tributo a Hook Capitan Uncino, dove i due figli di Peter
Pan si chiamano appunto Jack e Maggie. Maggie (il cui nome intero è
Margaret) si chiama come Mags nel mio head-canon. In “Footprints in the Sand”
Mags spiega a un piccolissimo Finnick che il suo vero
nome è Margaret e che suo padre la chiamava Maggie, ma che tutti la conoscevano
come Mags. Non penso che questo Sebastian lo sappia.
Mi piace pensare che il nome della bimba sia una coincidenza; oppure potrebbe
aver sentito parlare di Mags da Annie. Per Jack (il suo nome intero è
Jacob) devo fare ancora un discorso ulteriore: come si è potuto notare dal prologo è un bambino
particolare. È infatti affetto da una lieve forma di autismo. Ogni persona
affetta da autismo ha delle caratteristiche e delle stereotipie completamente
sue, ma ci sono tre tratti che accomunano tutte le persone rientranti nello spettro,
anche se i problemi sono più o meno gravi a seconda del grado di funzionamento:
deficit nell’interazione sociale (difficoltà a interpretare e a utilizzare il
linguaggio del corpo, per esempio. I bimbi autistici spesso e volentieri non
mantengono il contatto visivo e hanno difficoltà a interpretare il significato
delle varie espressioni facciali) deficit nel modo di comunicare (spesso
parlano di se stessi in terza persona, come fa qui Jack) e atteggiamenti
ripetitivi e stereotipati (nel caso di Jack, per esempio, c’è quest’ossessione
per le ombre).
Se volete conoscere un po’ meglio Jack
e il modo in cui interpreta il mondo che lo circonda, linko una raccolta di drabble che scrissi qualche tempo fa sul modo in cui lui
vive il ciclo delle stagioni: “Le stagioni di
Jack – Il mondo fuori.”
Che altro aggiungere? Grazie infinite a
chiunque abbia letto questa storia e, soprattutto, alle tre persone che l’hanno
recensita capitolo dopo capitolo. Tengo veramente moltissimo a questo racconto,
sia per via del mio vergognoso attaccamento alla favola di Peter Pan, che perché
l’ho scritta in un periodo un po’ così e quindi le ho attribuito un significato
un po’ speciale.
Ancora grazie infinite!
Un abbraccio e a presto!
Laura
[1]
Piccolissima ripresa dell’unico passaggio nella saga in cui viene menzionato il
figlio di Annie e Finnick: “Curiosi brandelli di felicità, come la foto del
figlio appena nato di Finnick e Annie” (Il Canto della Rivolta, Ultimo
Capitolo).
[2] Riferimento
al film “Hook” e, in particolare, alla scena in cui Jack (il figlio di Peter
Pan) sta giocando a Baseball sulla Jolly Roger e i pirati invertono i cartelli
con su scritto “Home Rune Jack”, formulando invece la frase “Run Home Jack” (Torna a casa, Jack).