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Autore: Alaska__    19/02/2015    1 recensioni
{ Queste storie partecipano all'iniziativa Drabble Meme, indetta dal gruppo facebook The Capitol}
O6 ~ Keith (OC)/Blight (friendship • tribute/mentor) ~ OS (1.914 parole) ~ during 69th Hunger Games ~ prompt: « Gatti »
«Io…» indugiò un istante sulle parole da pronunciare, «… vado in giro. Di notte, nei boschi. Ho un buon senso dell’orientamento. E so muovermi furtivamente» abbassò lo sguardo sul muffin mangiucchiato che giaceva sul piatto, «… come un gatto» aggiunse quasi senza rendersene conto, e un sorrisetto malinconico incurvò le sue labbra.
«Un gatto?» Blight aggrottò la fronte, ma sorrideva.
«Un gatto» confermò Keith. «È il mio soprannome». Non sapeva perché gli stesse raccontando quell’aneddoto – di solito, lui non amava molto parlare della sua vita – ma sentiva il bisogno di sfogarsi e liberarsi, per non aver più sullo stomaco il peso della malinconia.

[...]
«Gatto» sussurrò Blight, come se stesse parlando tra sé e sé. «Quindi, i tuoi talenti nascosti sono infrangere la legge e fare il gatto. Sei anche bravo a miagolare?»
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovi Tributi, Tributi edizioni passate, Un po' tutti, Vincitori Edizioni Passate
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sparks • Picking up the pieces. '
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Prompt: «Ma tu non ti stanchi mai?»
Personaggi: Rue; Thresh.
Coppia: Rue/Thresh; friendship.
Rating: verde.
Genere: introspettivo, malinconico, missing moment.
Lunghezza: one-shot [ 1.198 parole ]
Avvertimenti: //
Note: Rue e Thresh ormai li conoscono tutti, quindi non c'è bisogno di spiegazioni. Questa OS non mi è venuta molto bene, ma entrambi sono personaggi che mi piacciono molto. 
Mi piace immaginare che si siano conosciuti prima degli Hunger Games - o che comunque abbiano avuto qualche contatto, tra di loro.
Niente, buona lettura!

Ringrazio tantissimo three blind mice per il prompt ♥

 
 



Picking up the pieces 



V. «Ma tu non ti stanchi mai?»


 
La ragazzina portò una mano alla fronte, appena sopra gli occhi. I raggi del caldo sole estivo sembravano quasi accecarla, impendendole di guardare il paesaggio. Non che fosse una meraviglia: il Distretto 11 era costituito perlopiù da campi coltivati, che si estendevano per ettari e ettari, fino all’orizzonte. Lì – un po’ a fatica – si scorgevano i profili di alcune case – se così si potevano definire. Anche a quella distanza parevano più delle baracche decadenti, come quasi tutte le abitazioni dell’undicesimo Distretto di Panem.
Sospirando, Rue fece dondolare le gambe corte dal ramo sul quale si era arrampicata. I pochi minuti concessi ai lavoratori per la pausa pranzo stavano volgendo al termine e lei, dopo un veloce pasto a base di frutta, era andata ad appollaiarsi là sopra, con la speranza di riuscire a scorgere – tra le fronde degli alberi – una ghiandaia imitatrice.
L’undicenne si alzò, camminando leggera e silenziosa sul ramo, le braccia leggermente allargate per mantenere meglio l’equilibrio. Giunse al tronco e vi si appoggiò, iniziando la discesa, che completò in pochi secondi. Dopo anni, arrampicarsi sugli alberi era diventata una cosa così normale che poteva farlo benissimo ad occhi chiusi, senza rischiare di cadere.
Una volta che arrivò nei pressi del terreno, si staccò dal largo tronco con un balzo e atterrò, piegando leggermente le ginocchia per l’impatto.
Sistemato lo scompigliato chignon in cui aveva legato i suoi folti capelli scuri, si diresse verso il campo dove andava di solito a lavorare. Coloro che erano i suoi “colleghi” erano già all’opera e allungavano con aria stanca le braccia verso i rami degli alberi da frutto, cogliendo ciò che essi avevano da offrir loro.
Un secondo sospiro uscì dalle labbra di Rue, che, notato un Pacificatore in lontananza, si affrettò per raggiungere una pianta.
Al suo fianco, un ragazzo grande e grosso stava gettando pesche dall’aria deliziosa in un cesto di vimini e non dava segni di stanchezza. L’undicenne gli lanciò un’occhiatina, prima di cogliere anche lei un paio di frutti e gettarli nel medesimo contenitore.
Lavorare diventava sempre più stancante e la calura di inizio agosto non aiutava per niente, affondando ancora di più gli animi degli abitanti del Distretto 11 – già non troppo felici, dopo la settantatreesima edizione degli Hunger Games, durante i quali entrambi i tributi loro concittadini avevano perso la vita.
Era ancora troppo piccola per essere Mietuta, Rue, ma dall’anno dopo si sarebbe dovuta presentare in piazza, vestita dei suoi abiti migliori e della paura che da anni era insidiata nel profondo del suo animo. Non passava giorno senza che lei si immaginasse di abitare in un posto diverso, un luogo dove gli Hunger Games non esistevano e dove i bambini come lei non erano costretti a lavorare per tante ora al giorno.
Era stanca, Rue.
A soli undici anni era stanca di quell’orribile vita che avrebbe dovuto condurre anche da grande, dirigendosi al mattino nei campi e raccogliendo la frutta che sarebbe poi andata a Capitol City.
All’improvviso, una voce dietro di lei la fece voltare – così come fece il ragazzo accanto a lei.
Un bambino era a terra e urlava, mentre un Pacificatore – munito di frusta – lo sovrastava.
«Avevo fame! Volevo solo qualcosa da mangiare!» strillava il ragazzino, e nelle sue mani Rue notò una pesca morsicata.
Il soldato in uniforme bianca si abbassò, afferrandolo per la maglietta e trascinandolo via; non prima di aver urlato un «andate avanti a lavorare, voi!» riferito ai colleghi del ragazzino.
Rue tornò ad occuparsi della sua frutta, spaventata da quell’improvvisa svolta che avevano preso gli eventi. Ogni tanto aveva il terrore che un soldato della Capitale potesse picchiarla, proprio come avevano appena fatto con quel giovane che doveva avere pressappoco la sua età.
Con la coda dell’occhio, vide che il ragazzo accanto a lei aveva colto quasi tutti i frutti del suo albero. Rue non sapeva chi fosse – ricordava a malapena il suo nome, Thresh. Di certo non era un tipo di cui lei si sarebbe fidata: era alto almeno il doppio di lei e, probabilmente, pesava anche il doppio di lei. Aveva braccia muscolose e un volto sempre contratto e arrabbiato, come se avesse perso la facoltà di sorridere.
«Ti aiuto». La voce profonda e adulta di Thresh la fece sobbalzare. Si era talmente persa nei suoi pensieri che non si era resa conto di essersi fermata e aver lasciato il lavoro a metà.
Scosse la testa, sbrigandosi ad allungare una mano per raccogliere una pesca. Era tonda e vellutata, con un aspetto davvero delizioso. Sentì lo stomaco gorgogliare per la fame, e si affrettò a gettarla nel cesto di vimini per non cedere alla tentazione di addentarla.
«Grazie, ma non ce n’è bisogno» sussurrò, rivolta a Thresh. «Posso farlo anche da sola, tranquillo».
Con grande sorpresa da parte dell’undicenne, il ragazzo sorrise. «Se procedi a questa velocità, piccolina», indicò le sue braccia, che dopo aver colto l’ultimo frutto erano ricadute lungo i fianchi, «penso che finirai questa sera sul tardi, o domani».
Rue si costrinse ad abbozzare un sorrisetto. Nonostante la frase sarcastica, il tono del giovane era allegro e cordiale – stonava un po’, in confronto a quell’aspetto tanto cattivo che sembrava avere.
«Grazie» mormorò.
Thresh fece spallucce. «Non c’è di che. Ti sei spaventata, prima?»
L’undicenne si costrinse a scuotere la testa in segno di diniego, ma il ragazzo parve capire che quella era una bugia. Non era mai stata brava a mentire, Rue.
«Bisogna stare attenti, qui» concluse, prima di tornare al silenzio di prima e raccogliere le restanti pesche.
Anche la ragazzina non proferì parola, e quel silenzio durò per quella che doveva essere un’altra ora. Più passava il tempo, più la calura estiva si faceva sentire e ben presto Rue si ritrovò a cercare di detergersi il sudore con il magro braccio destro. Thresh, al contrario suo, sembrava instancabile, nonostante il sudore che gli colava lungo il volto.
La ragazzina lo invidiò. Voleva essere anche lei così grande e forte, per poter lavorare ore e ore e proteggere i suoi fratellini e le sue sorelline. Invece, si ritrovava con un corpicino magro e piccolo, che la faceva sembrare ben più giovane della sua età.
«Ti posso chiedere una cosa?» azzardò, guardando di sottecchi il suo collega. Thresh le lanciò una veloce occhiata e annuì, prima di tornare al suo albero.
«Tu non ti stanchi mai?»
Un largo sorriso si materializzò sul volto del ragazzo, mentre gettava l’ultimo frutto nel cesto.
«Sì, mi stanco». Mise le mani sulla zona lombare, inarcando leggermente la schiena all’indietro – un gesto che faceva capire a Rue quanto fosse effettivamente affaticato, dopo tutta una giornata passata a lavorare. «Ma resisto. E tu? Sei stanca?»
«Molto» ammise la ragazzina, grattandosi una guancia con aria distratta. «Ma resisto» aggiunse con un sorriso. Thresh lo ricambiò, prima di tornare al lavoro.
«Sei forte per la tua età, piccoletta».
E all’improvviso – dopo quel complimento gettato lì quasi per caso – Rue sentì tutta la stanchezza scivolare via. Dopotutto, bastava poco per far tornare felice una persona. Si sentì grata a Thresh per questo e sperò, presto o tardi, di estinguere quel piccolo debito che aveva nei suoi confronti.
Grazie, pensò, tornando a lavorare con rinnovata voglia di fare.


 

Alaska's corner

Non ho molto da dire, ad essere sincera. xD 
E' un po' che non aggiorno, ma non avevo voglia e sto passando un periodo un po' brutto per quanto riguarda la scrittura, quindi necessitavo di smuovermi un po' e ho pensato di concludere i progetti iniziati.
A dire il vero, questa OS l'ho scritta tipo mesi fa, ma poi, appunto, non ho più pubblicato.
Niente, come avete visto ho dato la mia idea di Distretto 11, un luogo molto oppresso. Spero di essere rimasta IC! Thresh lo immagino un po' come un gigante buono, che abbaia, ma non morde (spacca solo le teste con le pietre. xD)
Ringrazio ancora three blind mice per il prompt ♥
Spero sia piaciuta! Grazie a chi ha lasciato un commentino nelle puntate precedenti :3
Un abbraccio e un bacino,
Alaska. ~

 
   
 
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