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Autore: Persej Combe    21/02/2015    2 recensioni
Negli ultimi mesi Sinnoh è stata colpita da un'anomala perturbazione che nel corso del tempo sembra continui a peggiorare sempre di più, mettendo a rischio l'intera popolazione della regione. In seguito, tuttavia, si scoprirà che la causa che ha generato il cataclisma sono in realtà i Pokémon Leggendari, il cui ordine è stato violato dal Team Galassia nel progetto di creazione di un nuovo universo.
Il Professor Platan, presa coscienza della pericolosità degli eventi, si precipiterà a Sabbiafine in cerca del suo mentore, il Professor Rowan, nella speranza di poterlo aiutare a sistemare le cose. Ad accompagnarlo ci sarà Elisio, diventato ormai una presenza costante, che nonostante le prime resistenze dell'uomo si ostinerà a volerlo seguire, per mantenere fede ad una richiesta fattagli dallo stesso Rowan.
Tra ricordi del passato, conoscenze abbandonate e ora ritrovate, incertezze e dubbi, riusciranno ad afferrare l'impalpabile ombra del vecchio Professore?
[Perfectworldshipping]
[Midquel della storia "Risplenderemo insieme nell'eternità di un mondo perfetto"]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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II
.Un aiuto dall'alto.

Platan si trovava in quello stato in cui la mattina presto, appena ci si sveglia, si rimane con gli occhi chiusi a rimuginare sui sogni appena fatti dimenticandosi della vita reale, coccolati dal tepore delle coperte e dalla morbidezza del cuscino. Sentiva qualcosa poggiata intorno alla vita che lo stringeva debolmente. Poi si accorse che qualcos’altro gli premeva lungo la schiena, che soffiava stancamente accanto alle sue spalle. Si raggomitolò su se stesso, sentendo la cosa cercare il suo corpo e accoccolarsi di nuovo contro di lui. Provava appagamento dal calore e dal senso di dolcezza che gli trasmetteva. Allungò una mano e distrattamente tastò quello che sembrava... un braccio, forse. Sì, doveva essere un braccio, pensò. Ecco, infatti qui c’è una mano, si sentono i peli sul dorso, e poi ci sono le nocche e le dita, pensò ancora. Quelle dita le strinse teneramente, lasciandosi andare a un sospiro trasognato. Se la mano di Elisio era unita alla sua, allora era al sicuro, e nessun pericolo li avrebbe potuti separare.
Socchiuse leggermente gli occhi e si ritrovò in una camera d’albergo. Sulla parete c’era l’armadio e accanto al bordo del letto c’era il comodino con il lumetto e l’agenda dove si era appuntato qualche nota riguardo agli ultimi avvenimenti di Sinnoh.
Ecco. Sinnoh.
Improvvisamente si ricordò tutto, che lui in quel momento era a Sinnoh per cercare il Professor Rowan, che i Guardiani dei Laghi si erano mostrati, che il Team Galassia stava per rompere l’equilibrio dei Pokémon Leggendari, che però in quel viaggio spericolato non era da solo, no, che Elisio, quel testardo di Elisio, si era impuntato perché voleva venire con lui, che lo aveva rincorso scalzo come un disperato per le scale perché lo doveva sostenere, che lo aveva promesso al Professor Rowan, che gli aveva comprato il succo di frutta invece del caffè, che la sera prima aveva passeggiato con lui in riva alla spiaggia, che avevano fatto quel patto e poi erano venuti in albergo, che gli aveva anche fatto guidare la sua macchina perché in quel momento era troppo perplesso e aveva bisogno di riflettere su ciò che era accaduto in quella serata.
Elisio, che in quel momento era nel letto con lui, che stavano abbracciati tenendosi per mano.
Gli ci volle qualche secondo per realizzare che quella parte dei suoi pensieri non si trattava di un sogno; quindi con un guizzo fulmineo si mise a sedere e prese a osservare la faccia addormentata di Elisio con un’espressione confusa. La sua mano ancora lo sfiorava, posata sul suo fianco. Un po’ rosso in viso la prese e la allontanò piano perché non voleva svegliarlo, poi uscì dal letto e senza fare tante cerimonie andò in bagno a farsi una doccia. Il romanticismo era l’ultimo dei suoi pensieri in quelle circostanze. Tuttavia, sotto il getto d’acqua che gli punzecchiava le spalle, non poté fare a meno di domandarsi come avesse fatto Elisio a finire nel suo letto. Gli era già capitato qualche volta di dormire assieme, anche nello stesso letto, ma mai così vicini. Gli era successo qualcosa, forse? Qualcosa che gli aveva fatto sentire il bisogno di dormire accanto a lui? Era un comportamento un po’ strano da parte sua, per lui che non dipendeva da nessuno se non da se stesso, si disse.
«Bah.» sbuffò sciacquandosi i capelli ricoperti di schiuma.
Qualsiasi cosa fosse successa non era di suo interesse.
Chiusa definitivamente questa parentesi, passò alle cose importanti: si mise a riflettere sulle mosse che avrebbero dovuto compiere quel giorno e studiò uno schema preciso di luoghi dove andare e cose da fare nel corso della mattina e del pomeriggio.
Tornato in camera da letto si vestì, dando le spalle a Elisio, sempre stando attento a non fare rumore nell’aprire l’armadio e i cassetti. Nonostante questo, Elisio si svegliò comunque. Lo vide coi jeans addosso e la schiena contro cui si era appoggiato per tutta la notte nuda. Rimase a fissarla in silenzio per non intromettersi nella sua intimità. Con gli occhi ne percorse ogni linea, ogni curva, gli accarezzò le scapole e lo baciò sulle spalle. Poi, quando si infilò la canottiera e coprì tutto, sospirò, non sapeva neanche lui se di delusione o compiacimento. Platan mise addosso una maglietta nera e girò di poco la testa, richiamato da quel sospiro. Si accorse che Elisio era sveglio e si voltò di nuovo.
«Buongiorno.» disse con voce calma inzeppando la maglia nei pantaloni «Dormito bene?»
«Sì, grazie.» rispose Elisio passandosi una mano sulla nuca «E tu?»
Lo vide accarezzarsi i capelli e notò che sulle punte erano umidicci.
«Sì.» si era preso un po’ di tempo prima di rispondere «Bene.»
Chiuse la cinta e ripose il pigiama nell’armadio, poi si sedette sul bordo del letto.
«Allora, Professore, cosa facciamo oggi?» domandò il rosso osservandolo dal basso.
«Pensavo di andare a Canalipoli. Lì c’è la biblioteca più importante della regione di Sinnoh.»
«Ho capito. Ed è molto lontana?»
«No, non molto. Saranno un paio d’ore in macchina.»
«Perfetto. E poi? Sai già cosa faremo dopo?» si tirò su e incrociò le gambe.
«Poi andremo a Memoride. È un po’ distante, perciò sarebbe meglio se riuscissimo a partire subito dopo pranzo.»
Lo sguardo di Elisio si fece un po’ incerto.
«Scusa, Platan, potresti prendermi la Mappa Città, per favore? Dovrei averla messa nella tasca della giacca.»
Platan gliela andò a prendere, poi Elisio la distese sul materasso e la studiò qualche minuto.
«Noi siamo qui, giusto? A Giubilopoli.» mise un dito sul punto della carta in cui si trovava la città.
«Sì. Memoride è qui.» si risedette vicino a lui e gli indicò il pallino azzurro che contrassegnava Memoride. Elisio allontanò la mano e se la portò al mento, accarezzandosi la barba arruffata, ancora fresca di dormita, col pollice.
«Perciò dovremmo attraversare il Monte Corona.» disse infine. Rivolse lo sguardo a Platan e si rimise a riflettere.
«Che c’è?» chiese quello, incuriosito dal suo atteggiamento.
«L’altra sera Edwin ha detto che la fonte della perturbazione è situata in cima al Monte Corona. Se la zona non è sicura, potrebbero aver già chiuso ogni passaggio.»
«Forse non proprio tutti i passaggi.» ribatté, e, indicando di nuovo la cartina, spiegò meglio ciò che intendeva «Anni fa sono stato con il Professor Rowan sul Monte Corona. Secondo una leggenda è proprio in questo luogo che si sarebbe formata l’intera regione di Sinnoh. Avendo sentito questa storia, il Professore stava cercando qualche traccia che potesse testimoniare qualche forma primitiva di Pokémon... Fossili, pitture rupestri... Aveva scoperto per caso questo passaggio nascosto durante una delle nostre spedizioni e aveva cercato di mantenerlo segreto. Diceva anche che c’erano buone probabilità che potesse portare fino alla Vetta Lancia: in alcuni punti avevamo visto delle rovine di edificazioni che le popolazioni più antiche avevano costruito per onorare Dialga e Palkia. Migliaia di anni fa era stato battuto un cammino che potesse portare fino alla cima della montagna, che si riteneva essere la dimora dei due Pokémon, e raggiungendola la gente poteva portargli dei doni per onorarli. Il Professor Rowan riteneva che quelle macerie potessero essere i resti di quel percorso. Comunque sia, il passaggio porta fino a Memoride, perciò potrebbe tornarci utile.»
Guardò Elisio accarezzarsi i capelli spettinati e sperò di essere stato chiaro. Il rosso se ne accorse e annuì, facendogli cenno di aver inteso tutto. Gli diede una pacca sulla spalla e scese giù dal letto.
«Mi lavo e mi vesto. Cerco di sbrigarmi così possiamo partire subito.» disse stirando la schiena. Prese qualche vestito dall’armadio e si diresse verso il bagno.
«Elisio, ti ringrazio per quello che stai facendo per me. Lo apprezzo molto, ecco.»
Non sapendo che cosa dire in risposta, Elisio si limitò a guardarlo negli occhi e a rivolgergli un sorriso. Chiuse la porta e lo lasciò da solo. Platan ne approfittò per mettere in ordine in una borsa ciò di cui avrebbe avuto bisogno, poi chiamò fuori dalle Poké Ball Bulbasaur e Garchomp per fargli qualche coccola e assicurarsi che dopo quella giornata frenetica stessero bene.
Garchomp infilò la punta del muso fra i suoi capelli ed emise un leggero brontolio. Platan sorrise perché il vibrare della sua gola gli faceva il solletico. Gli accarezzò il petto e ci poggiò la testa. Il Pokémon cinse le braccia attorno a lui in modo protettivo, mentre Bulbasaur, in braccio al Professore, strofinava la fronte contro lo scollo della maglia. Platan gli diede un bacio in mezzo alle orecchie e lo sentì mugghiare contento. Anche lui era felice di avere i suoi Pokémon con sé. Insieme a Elisio gli facevano compagnia e gli infondevano un po’ di fiducia in se stesso.
Quando tutti furono pronti, scesero in salone per fare colazione. Mentre beveva un sorso di caffè, Elisio guardava incuriosito gli altri ospiti seduti ai tavoli vicini.
«Anche tu mangiavi riso e pesce a colazione quando studiavi qui?» chiese a Platan.
«Sì, tutte le mattine. Mi ricordo che mi alzavo sentendo l’odore del pesce che Rosabella cucinava alla griglia. Ci ho messo un po’ ad abituarmi...» spalmò della marmellata su una fetta di pane «All’inizio mi sembrava più un pranzo che una colazione.»
«Professor Platan, vuole altro caffè? O un po’ di latte?» la cameriera che li aveva serviti poco prima si riavvicinò al tavolo, tenendo in una mano una brocca di latte caldo e nell’altra una caffettiera con del caffè bollente. Sentendo il profumo del liquido nero e forte, il Professore alzò la testa, pronto a chiedere che gliene versasse ancora qualche goccia nella tazza; tuttavia uno sguardo al modo in cui Elisio lo stava guardando gli fece subito cambiare idea. “Pas de café” dicevano le sue labbra silenziosamente, per non farsi capire dalla ragazza: ne aveva già bevuto abbastanza.
«Sto bene così, la ringrazio.» rispose Platan sorridendole. Quella arrossì pesantemente e dopo essersi piegata in un piccolo inchino fece per andarsene, ignorando completamente Elisio, il quale però la fermò prima che si allontanasse troppo.
«Mi scusi, signorina,» la chiamò.
«Sì?» si girò e tornò indietro, cercando di non pensare a quel bel sorriso che il Professore di Kalos le aveva appena regalato.
«Posso farle qualche domanda? Io e il Professore stiamo viaggiando insieme e avremmo bisogno di qualche informazione.»
«Certamente, dica pure.» poggiò la caraffa e la caffettiera sul tavolo e congiunse le mani di fronte al grembiule bianco, ascoltando l’uomo con interesse.
«Stavo notando che nonostante la forte perturbazione, in albergo ci sono molti ospiti...»
«Ah, le sembra strano? In effetti parecchi non sono qui per turismo. Da ieri pomeriggio ogni collegamento all’esterno di Sinnoh è stato interrotto. Alcuni hanno dovuto prolungare qui il loro soggiorno a causa dell’allerta.»
«E quest’allerta fino a quando durerebbe?»
«Per ora hanno detto che secondo le previsioni la situazione potrebbe peggiorare in questa settimana. Infatti da ciò che ho sentito gli aeroporti di tutta la regione saranno chiusi fino a mercoledì prossimo.»
Platan annuì, di questo erano già stati avvisati.
«Ma bisogna precisare che è solo una data provvisoria, l’allerta potrebbe continuare anche dopo. È successo varie volte in questi mesi che avessero dato l’allarme per un certo periodo di tempo e poi lo avessero prolungato.»
«Capito. C’è qualche zona in particolare che rischia di essere colpita?»
«Stamattina al telegiornale hanno detto che il centro della perturbazione si concentrerebbe sulla zona del Monte Corona e che le autorità si sarebbero impegnate a chiudere l’area in giornata.»
«Se le cose stanno così, allora dobbiamo fare in fretta.» Elisio si rivolse a Platan con voce decisa. L’amico annuì e alzandosi disse: «Finisci il caffè, io vado a prendere la macchina. Ti aspetto fuori.»
«Comunque, qualsiasi cosa abbiate intenzione di fare, vi consiglierei di non allontanarvi troppo da qui. Se dovesse succedere qualcosa potremmo sempre venire in vostro soccorso.» la cameriera fece un passo in avanti verso il Professore. Lui la guardò e le sorrise un’altra volta.
«Grazie mille, signorina.» le disse, poi vedendo che Elisio aveva già fatto lo esortò a raggiungerlo.

Salirono in macchina e imboccarono la strada verso il Percorso 218. In un primo momento non ebbero difficoltà, nonostante il tempo capriccioso, ma quando uscirono dal tratto che passava in mezzo al bosco e si ritrovarono di fronte al ponte che li avrebbe condotti alle porte della città, si dovettero fermare. Elisio si sporse fuori dal finestrino e vide il mare in tempesta di fronte a loro, con le onde che si scagliavano violentemente sulle piastre di legno, facendo vacillare pericolosamente la passerella.
«C’è qualche altro passaggio per raggiungere Canalipoli?» domandò, ritirando la testa all’interno dell’auto e stropicciandosi i capelli bagnati dalla pioggia.
«No.» rispose Platan tenendo gli occhi fissi sul ponte e le dita avvinghiate al volante.
«Allora non possiamo proseguire.»
Si girò verso il compagno e lo vide digrignare un poco i denti.
«Torniamo indietro. Non è sicuro.» gli disse ancora.
Platan non lo ascoltò. Osservò il ponte che avevano di fronte sballottare a causa dei colpi delle onde. Era l’unica strada che si poteva percorrere. Ed era tutta dritta.
“Il Professor Rowan. Devo raggiungere il Professor Rowan.” pensò.
Abbassò lo sguardo sul pedale dell’acceleratore. Ci mise su il piede, senza spingere. Alzò di nuovo la testa e ad occhio calcolò quanto sarebbe potuta essere la distanza che li separava dall’altra sponda.
Nella mente intanto gli si imprimeva l’immagine del Professore che lo accoglieva a braccia aperte.
«Vieni, Platan. Ti sto aspettando.» gli stava dicendo.
Con un po’ di rincorsa era sicuro che ce l’avrebbe potuta fare. Sì, non aveva dubbi. Fece retromarcia, ed Elisio credette che stesse facendo manovra per fare inversione e tornare indietro come gli aveva consigliato.
«Hai la cintura ben allacciata?» gli chiese Platan.
Rispose di sì, ma solo dopo si rese conto di che cosa si stavano accingendo a fare.
«Platan!»
Spinse il piede sull’acceleratore con tutta la forza che aveva e si buttò a capofitto contro la passerella. Il rombo dell’auto insieme a quello dei tuoni e a quello delle onde che si schiantavano intorno a loro gli trapanava le orecchie. Stringeva le dita sul volante e sudava freddo, mordendosi le labbra quasi a sangue. Schivarono miracolosamente di pochi metri un cavallone enorme, sentendosi dondolare insieme al ponte.
«Ci siamo quasi.» sibilò l‘uomo spostandosi a destra e sinistra con la macchina per rimanere in equilibrio. Ecco, riusciva a vedere il portale di Canalipoli. Spinse ancora più forte il piede sul pedale, ma un grido di Elisio lo fece distrarre. Si girò verso di lui, allarmato. Indicava fuori, in alto, e gli urlava di stare attento. La voce gli si spezzò nel momento in cui si sentirono scaraventati in basso. Erano stati travolti da un’onda e stavano affondando. L’acqua cominciò a entrare nella macchina, e Platan si guardò attorno, roteando gli occhi nel buio, spiazzato, finché non si accorse che il liquido gli era ormai arrivato alla gola.
«Trattieni il respiro!» gli disse Elisio guardandolo negli occhi e facendogli cenno di mantenere la calma. Poi cercò di slacciargli la cintura di sicurezza, che si rifiutava di collaborare. Quando ci riuscì l’auto si era completamente riempita d’acqua e stavano galleggiando all’interno dell’abitacolo. Elisio provò ad aprire lo sportello, ma vedendo che non voleva saperne, afferrò un oggetto a caso che si trovava dentro la macchina e cominciò a colpire ripetutamente il vetro del finestrino finché non si scheggiò. Spinse più forte e dopo un paio di botte riuscì a romperlo. Tirò Platan per un braccio e nuotarono fuori. Lo strinse a sé e battendo le gambe cercarono di portarsi il più in alto possibile, nonostante la corrente li spintonasse con violenza da una parte all’altra. Il rosso diede un’occhiata al viso di Platan per assicurarsi che stesse bene, ma dalla sua espressione capì che non sarebbe riuscito a trattenere l’aria ancora per molto. Nuotò più veloce che poté, tuttavia si rese conto che anche lui fra poco avrebbe ceduto. Chiamò Gyarados fuori dalla Poké Ball e si aggrappò alle sue pinne, stringendo Platan ancora più forte e sentendolo avvolgere le braccia attorno al suo collo. Si lasciarono trascinare dal Pokémon e in pochi secondi si ritrovarono a riva, distesi sul prato di fronte alle porte di Canalipoli, ancora stretti l’uno all’altro. Non avevano alcuna intenzione di separarsi, e boccheggiando e tossendo si abbracciarono, bagnati come stracci, sconvolti e increduli, con il cuore che batteva all’impazzata al pensiero del rischio che avevano appena corso.
«Sei un incosciente...» ansimò Elisio spingendo la testa di Platan contro il suo petto, che gli si contraeva affannosamente. L’altro non disse nulla, perché era palese che avesse ragione, e si sentiva uno stupido per averlo messo in un simile pericolo. Tirò su il viso e gli accarezzò i capelli, sentendo il suo fiato sulle guance.
«Stai bene...?» gli chiese timidamente, spostandogli una ciocca da davanti agli occhi.
«Non sono ancora morto...» sbuffò, passandogli una mano su una guancia. Era estremamente sollevato di sentirlo parlare ancora. Strinse le braccia attorno a lui in un secondo abbraccio, che Platan non esitò a ricambiare.
«Gyaaaaa!» Gyarados era nuovamente emerso dalle profondità marine e stava spingendo con la fronte la macchina sulla riva. Il Professore si alzò, correndo verso di essa.
«Gyarados, dovevi lasciarla dov’era.» Elisio rimproverò il Pokémon, il quale tuttavia non se ne curò.
Platan aprì uno sportello facendo uscire l’acqua che era rimasta all’interno, poi si precipitò dentro a controllare se c’era stato qualche danno.
«Platan, che cosa vuoi fare? Fermati, potrebbe essere pericoloso...» si tirò su un po’ a fatica, poi si avvicinò alla sponda dove Gyarados stava posando la testa per riposarsi e lo accarezzò sul corno in mezzo al muso per ringraziarlo dell’aiuto. Il Pokémon strofinò la guancia contro di lui per riscaldarlo.
«Platan, mi hai sentito?» cercò di ottenere la sua attenzione, ma vedendo che aveva la testa da tutt’altra parte sbuffò.
L’uomo uscì dall’auto con uno sguardo misto fra la delusione e l’orrore, stringendo tra le mani tremanti una poltiglia di carta. Fece cadere i resti della sua agenda sull’erba, lasciando che si bagnassero ancora di più sotto la pioggia. Tanto non avrebbe potuto recuperare nulla. L’inchiostro si era intriso nelle pagine mischiato all’acqua e i fogli si erano appiccicati tra loro, non si potevano staccare senza rovinarli, gli appunti erano diventati pressoché illeggibili, e in quelle condizioni non se ne sarebbe più potuto servire. Gli diede un calcio trattenendo le lacrime. Frugò nella borsa zuppa e vide che gli altri attrezzi erano per la maggior parte rotti e inutilizzabili. L’Holovox non dava segni di vita e i circuiti elettrici si erano completamente bruciati. Lo buttò a terra e Elisio si mosse in avanti, come offeso. Gyarados lo bloccò.
«Tanto non si può riparare.» fu la giustificazione di Platan. Sospirò, poi guardò il volante. C’era soltanto una cosa che rimaneva da controllare. Si sedette sul sedile e inserì la chiave. Elisio sobbalzò e gli corse in contro. Gli afferrò il braccio prima che potesse girare la chiave.
«Come sono saltati i circuiti dell’Holovox, potrebbero averlo fatto anche quelli della macchina.» gli disse.
«Prima fammi vedere se ho distrutto anche questa, poi potrai dirmi che sono un emerito cretino.»
«Potresti correre un rischio ancora più grande di quello di poco fa, non lo capisci?! Platan!»
La macchina tremò con un rombo e si accese senza fare danni.
«Funziona.» sibilò Platan incredulo. Mosse subito le dita in direzione della radio e del pulsante di accensione dei fanali evitando le mani di Elisio e sussultò, sentendo la musica provenire a palla dagli altoparlanti.
Si scambiarono uno sguardo.
«Prova a fare manovra.» disse Elisio sedendosi vicino a lui e richiudendo lo sportello.
Fecero avanti e indietro, girarono più volte intorno ad un albero senza intoppi. I pedali funzionavano. Le marce erano a posto. I finestrini si alzavano e si abbassavano, anche quello che Elisio aveva spaccato. Il tergicristalli faceva il suo lavoro e scacciava dal parabrezza le gocce di pioggia che picchiettavano sul vetro. I fari parevano accendersi più di quanto avessero fatto in precedenza. Sembrava che la macchina non si fosse fatta nulla.
«È possibile una cosa del genere?» Platan boccheggiava come un Magikarp, echeggiato dai mille rumori che l’automobile produceva.
«È assurdo.» asserì Elisio, che non aveva mai visto una cosa simile e che non aveva idea di come potesse essere accaduto.
«Assurdamente assurdo.» concordò. Spense la radio e rimase in silenzio mentre Elisio richiamava Gyarados nella Sfera Poké. Lo osservò a lungo, preoccupato. Si morse un labbro e si voltò dall’altra parte.
«Ma che cosa pensavo di fare? Cosa cavolo mi è preso?» sussurrò stringendosi nel cappotto intriso d’acqua. Si girò di nuovo verso Elisio, pronto a fargli le sue scuse più sincere, ma la vergogna per quell’azione avventata ebbe il sopravvento. In silenzio mise in moto la macchina e si avviò oltre il portale della città. Percorsero la galleria di Canalipoli in pochi minuti e finalmente arrivarono a destinazione. Nonostante l’auto avesse funzionato alla perfezione fino a pochi secondi prima, svoltata la prima curva cominciò a fermarsi. Un gruppo di marinai dalle braccia forti e i muscoli ben piantati li notò, gli si avvicinò e affacciandosi dal finestrino rotto uno di loro chiese che cosa fosse accaduto. Elisio spiegò sommariamente l’avvenimento, fingendo che si era trattato di un incidente, mentre Platan si tirava i lembi delle maniche con fare nervoso. I quattro uomini si offrirono di spingergli la macchina fino all’officina, l’unica in quella città di mare.
«Ma che accidenti è successo qui?» un signore sulla cinquantina stava fumando una sigaretta mentre leggeva il giornale stravaccato su una seggiola, e nel momento in cui vide tutto quel trambusto buttò il quotidiano sul tavolo che aveva accanto e si alzò di scatto.
«Hanno avuto un incidente lungo il Percorso 218. Un’onda li ha travolti e per salvarsi hanno dovuto spaccare il vetro, poi sono riusciti a recuperare l’auto grazie all’aiuto del loro Gyarados.» spiegò uno del gruppo indicando con un lieve tintinnio della testa i due malcapitati. L’uomo li squadrò per un attimo, poi s’infilò un paio di guanti e gli si avvicinò. Sul viso aveva qualche macchia d’olio, la tuta che indossava era altrettanto sporca. Si mise un pugno sul fianco mentre con l’altra mano allontanava la sigaretta dalle labbra.
«Certo che mettervi in testa di venire qui con questo macello di tempo...» sbuffò facendo uscire una densa nuvola di fumo dalla bocca incorniciata da un paio di baffi folti e scurissimi «È un miracolo che siate ancora vivi...»
«Pensa di riuscire a sistemarla per l’ora di pranzo? La prego, dobbiamo subito rimetterci in viaggio!»
L’uomo guardò Platan con un’occhiata inespressiva. Poi sputò la sigaretta a terra e la schiacciò sotto il tacco della scarpa. Piegò le labbra in una smorfia piena di disprezzo e fissandolo dritto negli occhi grugnì: «Rimettervi in viaggio? Voi state scherzando. Avete appena rischiato di morire e già ci volete riprovare... Matti. Tzè. Io questi giovani proprio non li capisco.» si girò e senza dire altro tornò alla sua seggiola.
«Beh? Ma insomma, che fa?» s’indispettì Platan.
«Leggo il giornale, non si può?»
«Ma la mia macchina...!»
«Puoi dire quello che ti pare, ma quella macchina io non la tocco. Se pensi di ripartire, sei proprio uno stupido.»
Platan si tirò indietro. Quell’uomo pareva avere una testa davvero dura: non ci sarebbe stato verso di smuovere le cose, se avesse continuato a tenere quell’atteggiamento.
«Elisio, andiamo via.» disse all’amico «Tanto non l’aggiusterà. Troveremo qualche altro modo, forse. Se siamo fortunati...»
«Senta,» Elisio lo ignorò, non volendo accontentare la sua richiesta per nessun motivo, irritato da quel comportamento arrogante, e si rivolse all’uomo con voce pesante e ruvida «non so se lei sa con chi sta parlando. Lui è il Professor Platan, ed è uno dei più importanti scienziati di tutta Kalos e probabilmente anche del mondo intero. Con le scoperte che ha fatto e gli anni di studio che si è dovuto addossare, “stupido” è l’ultima cosa che può sognarsi di dirgli. È vero, a volte si comporta in maniera sciocca e irresponsabile, lo so bene, ma in realtà è una persona molto intelligente. Se decide di fare una cosa, allora è perché sa che quella è la cosa giusta da fare in quel momento. E se adesso ha deciso di andare sul Monte Corona è perché è sicuro che è l’unico modo per poter sistemare la situazione. Sta rischiando la propria vita per cercare di salvare la vostra. Quindi glielo chiedo di nuovo io: aggiusti quell’automobile e ci lasci ripartire. Se riusciremo nel nostro intento, allora ne gioverete anche voi.»
L’uomo si strofinò un dito sotto la punta del naso, poi alzò lo sguardo dai fogli di giornale.
«Finché sei rimasto con la bocca chiusa mi sei sembrato un ragazzo coscienzioso. Mi sei caduto proprio sul più bello.» sbuffò. Sospirò, «Che pazienza...», poi si tirò su, si aggiustò i pantaloni dato che la cinta gli si era allentata un po’, guardò i due.
«Siete proprio sicuri di quello che volete fare? In tutti questi anni che lavoro non ho mai incontrato due tizi più testardi di voi. O cocciuti, dipende dai punti di vista. E di gente ne ho conosciuta tanta, io! Ho sentito parlare di questo Professor Platan qualche volta, ma non m’interessa né che laurea abbia e neppure tutto il resto... So che è stato allievo del Professor Rowan e questo mi basta. Il vecchio Rowan sta facendo molto per Sinnoh in questo momento e so che è una brava persona. Insomma, ha il mio rispetto. Perciò se quel tipo accanto a te è davvero il Professor Platan come dici, allora penso che farà un buon lavoro. Se il Professore l’ha scelto come apprendista, non dev’essere il primo arrivato come sembra...»
Andò vicino a Platan e lo studiò facendo cadere lo sguardo dall’alto verso il basso. Ridacchiò.
«L’aria da bamboccio un po’ ce l’hai, però, sai?» commentò. Elisio lo osservava diffidente, non riuscendo a capire da che parte stesse. L’uomo lo notò e rise di nuovo: «Calma, calma! Ho deciso che vi aiuterò, perciò non ti scaldare! Posso avere le chiavi? Vediamo cos’ha questa macchinetta e cerchiamo di rimetterla a posto...»

Mentre il meccanico si dava da fare nell’officina, Platan ed Elisio si fermarono qualche minuto al Centro Pokémon per asciugarsi e darsi una sistemata: non potevano entrare in biblioteca in quelle condizioni penose e gocciolanti come spugne ricolme d’acqua. Uno dei marinai gli aveva prestato un ombrello e dei vestiti asciutti da indossare. Corsero in biblioteca: avevano già perso molto tempo per le loro ricerche. Non appena entrarono nell’edificio vennero accolti dal silenzio. Ai tavoli c’era moltissima gente intenta a leggere.
«Leggere mi distrae da quello che sta succedendo fuori. Prendo un libro e così almeno per qualche ora mi dimentico della catastrofe che stiamo passando.» gli aveva detto un ragazzo a cui avevano chiesto informazioni sui tipi di libri a cui erano interessati. Salirono al terzo piano e cominciarono a guardarsi intorno. Platan sembrava già sapere che cosa voleva trovare.
«Solo che non ricordo dov’è.» sussurrò a Elisio, facendo avanti e indietro per le altissime librerie tenendo il naso all’insù.
«Almeno puoi dirmi cos’è?»
«C’era un’intera sezione dedicata alla mitologia di Sinnoh. Dovrebbe essere da queste parti.»
Fece qualche altro passo e si fermò, con gli occhi che luccicavano. Si avvicinò alla libreria che aveva di fronte e con il dito scorse sui libri per leggerne i titoli.
«Perfetto!» disse, e cominciò a tirarne fuori due o tre «Elisio, potresti per piacere trovare un tavolo libero e mettermeli lì? Un tavolo grande, però, avrò bisogno di spazio...»
«Certo, dammi pure.»
Fece un giro per la sala, le lampade al neon accese a causa del buio gli mostravano la strada da seguire. C’era odore di libri, un odore che lo riportava indietro nel tempo e che adorava, che gli faceva ricordare momenti felici passati durante l’adolescenza. Quante ore aveva passato nella biblioteca di casa sua, fra i numerosi scaffali, nascosto agli occhi indiscreti della madre! Spesso si trovava talmente bene da non volerne più uscire, ci rimaneva tutto il pomeriggio, e se ne andava soltanto quando arrivava l’ora di cena. Poi, finita la giornata, aspettava impaziente che risorgesse il sole e che si stagliasse alto nel cielo, per finalmente poter correre di nuovo in quella stanza e rimettersi a studiare.
Ritornò da Platan e sorrise, pensando che si trattasse di una buffa coincidenza trovarsi in un posto simile proprio con lui: due cose che adorava parevano essersi incontrate e legate, dando nuova linfa ai ricordi.
Lo vide spingersi sulla punta dei piedi per cercare di afferrare un libro su uno scaffale più in alto di dove riusciva ad arrivare. Gli si avvicinò e lo prese per lui, sfiorandogli forse quasi di proposito la mano. Gli mise il volume fra le dita e Platan lo ringraziò.
«Devi prenderne altri che sono in alto?»
«Sì,» rispose mentre raccoglieva i numerosi tomi che aveva poggiato a terra e se li stringeva al petto «mi servirebbero quei due alla tua destra... Sì, esatto, proprio quelli. E poi, e poi avrei bisogno di quel libro là... No, non quello, l’altro. Quello con la copertina verde. Perfetto, Elisio, ti ringrazio!»
Nonostante Platan facesse i complimenti, Elisio decise di prendere alcuni dei libri che stava portando per aiutarlo. Erano troppo pesanti per lui, non se li poteva caricare addosso tutti insieme. Si sedettero al tavolo libero e cominciarono a sfogliare qualche pagina. Il Professore aveva comprato un nuovo quaderno, e adesso lo stava riempiendo un’altra volta di scritte, scarabocchi, citazioni e mappe stilizzate.
«Non siamo andati subito al Monte Corona perché prima devo capire che cosa sta cercando il Professor Rowan. È vero, l’origine della perturbazione si trova lì, ma per quale motivo? E in che punto, di preciso? Sono certo che anche lui è passato qui prima di andare laggiù, perciò spero di trovare delle risposte in questi libri.» spiegò dopo un po’ che aveva già scritto tre o quattro pagine.
Si erano divisi i libri a metà sia per facilitarsi il lavoro, ma anche per una questione di tempo: i minuti sembravano passare troppo velocemente, e non potevano permettersi di provocare ulteriori rallentamenti dopo l’incidente in macchina. Elisio mise da parte l’ennesimo manuale e ne cominciò a leggere un altro. Ancora non era riuscito a trovare qualche informazione che potesse tornargli utile. Aprì la copertina con uno sbuffo. Dopo due ore e mezza trascorse a studiare righe e capitoli senza sosta, l’eccessiva concentrazione si faceva sentire: aveva un po’ di mal di testa, in parte anche perché era abbastanza teso.
Riprese a leggere.
Non guardare i Pokémon negli occhi.
Dopo un istante non saprai più chi sei.
Tornare a casa... ma come... quando non riesci a ricordare niente?
Non toccare il corpo di un Pokémon.
Nel giro di tre giorni non sarai più in grado di provare emozioni.
Ma soprattutto, non fare del male ai Pokémon.
In meno di cinque giorni ti trasformerai in un’unità immobilmente immobile.

Alzò la testa dal libro e fissò indistintamente di fronte a sé, fuori dalla finestra, dove la bufera ancora infuriava, tormentando le strade e il mare. Un’unita immobilmente immobile. Quelle ultime parole gli avevano messo un senso d’inquietudine addosso. Una scena come quella l’aveva già vista, e non aveva intenzione di riportarla alla memoria. E tuttavia, più si sforzava di scacciarla, più ritornava, sgargiante e macabra al tempo stesso.

Corse più veloce che poteva, cadendo e sbucciandosi le ginocchia contro i massi e le radici che gli bloccavano il percorso. Uscì allo scoperto e il sangue che fuoriusciva dalle ferite gli si gelò. Rimase fermo sul posto, con le gambe fattesi improvvisamente pesanti come macigni. Fissò i suoi capelli distesi sull'erba che si mescolavano assieme a quei ciuffi verdi e scuri. La sua mano, aperta, sfiorava il gambo di un fiore che si era appassito. Impaurito lo chiamò, aspettando una sua risposta. Lo chiamò di nuovo, la voce gli si era irruvidita e la vista gli si era appannata. Corse verso di lui, gli prese il viso tra le mani e gridò il suo nome. Non si muoveva. Non respirava. Pareva... Pareva... Scosse la testa e la alzò al cielo. Gli occhi gli si incastonarono in due fessure azzurre e luminose impresse nel buio, agghiaccianti e crudeli. Poi la bestia se ne andò, e rimase da solo, stringendo quel corpo minuscolo tra le braccia.

Si girò verso Platan e lo chiamò, afferrandogli una mano. Il Professore, preso di sorpresa, sussultò. Elisio vide i suoi occhi grigi posarsi sui suoi e si tranquillizzò un po’. Sospirò e chiese scusa, dicendo che quel lavoro lo stava mettendo un po’ sotto pressione. Platan gli sorrise e si allungò verso di lui, infilando la penna dietro l’orecchio.
«Trovato qualcosa?» chiese, sporgendosi sul suo libro e posandogli un braccio attorno alle spalle, come a volerlo rassicurare da quell’ansia che gli aveva visto nello sguardo.
«Questo racconto... A cosa si riferisce?» accolse quella carezza senza protestare, lasciando scorrere via il malumore a poco a poco. Platan lesse le prime righe e parve ricordarsi di quella storia, come se già l’avesse sentita in precedenza.
«Ah, sembra che tu abbia trovato qualcosa di interessante! È una leggenda popolare su Uxie, Mesprit e Azelf. Come sai già, essi rappresentano rispettivamente la conoscenza, le emozioni e la volontà dell’uomo. Si dice che se qualcuno osasse guardare negli occhi Uxie, allora verrà privato del sapere e della memoria. Se invece volesse toccare Mesprit senza il suo permesso, allora il Pokémon per vendicarsi gli toglierà la capacità di provare emozioni. E infine, se anche solo provasse a far del male ad Azelf, allora non sarebbe più in grado di compiere la minima azione, perché il suo animo non verrà mosso da alcuna volontà. È questo che intende dire con “unità immobilmente immobile”. I tre Guardiani proteggono il nostro spirito: ce lo donarono all’origine del tempo grazie a un desiderio, perché ci ritennero degni di avere una parte di loro in noi.»
Stese lo sguardo sul proprio quaderno e studiò per qualche istante un disegno che aveva fatto su una pagina: tre esseri giravano attorno ad una sfera.
«Ho preso tutte le informazioni che mi servivano,» disse coprendolo con una mano e chiudendo il libro di Elisio «ma ho bisogno di andare a Memoride per fare ulteriori accertamenti. Però c’è ancora un punto che non mi è chiaro...»
«Riguardo a cosa?»
«Tra poco te lo spiegherò.»
Mise la borsa in spalla e prese qualche libro dal tavolo per rimetterlo a posto. Si girò verso Elisio e, smaltito l’imbarazzo, dopo un po’ domandò: «Posso offrirti il pranzo?»

Durante il tempo passato a tavola Platan parve sciogliersi un po’ ed Elisio se ne rallegrò. Vederlo teso e preoccupato non gli piaceva affatto. Tuttavia si chiese se quello non fosse in realtà che un modo per distrarsi dagli affanni. Ancora aveva di fronte agli occhi l’immagine del suo sguardo truce durante quella mezz’ora di relax a casa sua il giorno prima di fronte ad una fetta di torta. Ne aveva presa appena qualche briciola, di quella torta, si ricordò. Il resto l’aveva lasciato nel piatto. Invece adesso stava mangiando di gusto. Mentre parlava, spizzicava da un piatto all’altro con appetito.
«E dall’uovo che si generò dal caos, nacque la Creatura Originaria.» stava raccontando il Professore «Non so se si tratti di uno spirito o di un’entità superiore. Alcuni dicono persino che la Creatura che diede origine ai Pokémon sia essa stessa un Pokémon.»
«Una sorta di Dio Pokémon?» Elisio lo ascoltava con interesse.
«Sì, alcuni lo chiamano proprio così. Volendo porre un ordine al caos dell’universo, la Creatura Originaria diede vita a due esseri che potessero aiutarlo in questo compito: Dialga e Palkia. Con i battiti del suo cuore, Dialga scandiva le ore, i minuti e i secondi; con il proprio respiro, Palkia permetteva allo spazio di espandersi. La Creatura Originaria generò altre tre forme di vita: Uxie, Mesprit e Azelf.»
«Da cui ricevemmo in dono lo spirito.»
«Esatto, come ti ho detto prima. Espressero questo desiderio alla Creatura, ed essa li accontentò, a patto che si impegnassero a mantenere l’equilibrio fra le anime. Quello che penso io è che ci deve essere un collegamento tra i Guardiani dei Laghi, Palkia e Dialga. I primi preservano l’ordine per quanto riguarda il mondo spirituale,» alzò la mano sinistra «mentre gli altri due per quello che interessa il mondo dimensionale.» alzò la destra «Questi due ordini messi assieme formano l’unità dell’universo.» congiunse insieme le dita e osservò il compagno.
«Credo di aver capito dove vuoi arrivare.» s’inserì Elisio accarezzandosi il mento «Se il legame fra i Pokémon Leggendari garantisce l’unità dell’universo, allora la perturbazione e gli squilibri che si sono generati negli ultimi tempi a cosa sono dovuti? È questo che ti stai chiedendo, non è vero?»
«All’inizio avevo pensato che questo ordine si fosse alterato a causa del Team Galassia, ma poi mi sono accorto che i dati registrati riguardo al cataclisma in realtà risalgono ad alcuni mesi precedenti le sue azioni. Perciò ho completamente escluso questa possibilità...»
Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno gli stesse dando troppa attenzione e che quel discorso stesse rimanendo soltanto tra loro due. Elisio aspettava impazientemente che facesse la sua dichiarazione, nonostante, come al solito, riuscisse a governare in modo straordinario le proprie emozioni, senza che gli altri potessero percepirle dall’esterno. Vedeva Platan accarezzarsi i capelli e passarsi una mano dietro il collo. Differentemente da lui, il Professore era un tipo molto emotivo. Continuava ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno a un dito ed Elisio pensò che doveva essere qualcosa di grosso. Ormai lo conosceva da abbastanza tempo per poter dire che Platan non era affatto stupido: se arrivava ad ipotizzare qualcosa, c’erano buone probabilità che quelle supposizioni si sarebbero potute rivelare veritiere. O meglio, la maggior parte delle volte le cose si erano concluse in questo modo. Chissà che cosa aveva intuito stavolta?
«Il tuo bicchiere è vuoto... Posso versarti un po’ di vino?» domandò Platan prendendo in mano la bottiglia. Mentre si piegava verso di lui per versargli il liquido nel bicchiere, avvicinò le labbra al suo orecchio e sottovoce disse: «Dev’esserci un’altra forza che si sta opponendo a quella dei Pokémon. Non ho trovato informazioni su un fenomeno simile, ma potrebbe trattarsi di un altro Leggendario che ci è ancora sconosciuto.»
Non appena si rimise a posto, Elisio lo osservò senza fiatare. Mandò giù qualche sorso di vino e rimise il bicchiere sul tavolo.
«Me ne verseresti qualche altra goccia?» lo sollecitò ad avvicinarsi un’altra volta. Platan si sporse nuovamente in avanti e ripeterono il gioco di poco prima. Mentre faceva sgorgare il vino nel bicchiere, Elisio lo afferrò con gentilezza per il colletto della maglia per averlo più vicino facendolo involontariamente arrossire un po’. Poi, con la barba che gli sfiorava l’orecchio, sussurrò: «Platan, c’est grave. Tu es certain de que tu as dit?»
«Absolument.» rispose. Gli accarezzò le dita per fargli intendere di lasciarlo andare.
«Merci, ça suffit.» disse allentando la presa.
Platan si allontanò piano e gli rivolse un sorriso.
«De rien, mon ami

«Ci dev’essere qualcuno lassù che vi protegge. Altrimenti non saprei spiegarmi come sia possibile, con quel volo che avete fatto...» gli aveva detto il meccanico quando erano andati a riprendere l’automobile. Sembrava in perfette condizioni, nulla di rotto o danneggiato. Erano passati per Mineropoli e adesso stavano attraversando il Percorso 207. La pioggia si era calmata e il cielo diradato. Fra i dossi rocciosi non c’era nessuno. Né Montanari, né Pokémon di tipo Roccia. Ogni tanto Elisio faceva notare a Platan qualche vettura della polizia e dei PokéRanger, così prontamente s’infilavano in altre strettoie per non farsi beccare.
«Dannazione, è pieno zeppo...» si lasciò scappare il Professore dopo il terzo di giro di controllo dell’area. Fermò l’auto dietro un masso, coperto da alcuni arbusti.
«Siamo arrivati troppo tardi.» disse Elisio reclinando la testa all’indietro «Cosa facciamo? Vuoi provare di nuovo ad azzardare qualche cosa di folle?»
«Sarei tentato, ma...»
Da dietro le ciglia scure appena appena sollevate, spiava il compagno e portava indietro il labbro inferiore, lambendolo con le punte dei denti. Voleva andare, ma doveva anche cercare di tenere a freno le sue emozioni: non poteva rischiare di mettere nuovamente e deliberatamente Elisio in pericolo.
«Ma?» incalzò il rosso, incuriosito da ciò che lo stava frenando.
Platan si girò improvvisamente verso la sua destra. Fece segno a Elisio di rimanere in silenzio e di acquattarsi il più in basso che poteva. Da fuori provenivano delle voci e dei passi, qualcuno si stava avvicinando.
«E questo dovrebbe essere l’ultimo passaggio. Abbiamo terminato, credo.»
«Finalmente, temevo che non avremmo mai finito! I Pokémon sono stati fatti evacuare tutti?»
«Sì, abbiamo mandato diverse squadre all’interno del monte, e mi hanno detto che non ne è rimasto nessuno.»
«D’accordo. Direi che il nostro lavoro allora è finito. Adesso sbrighiamoci a tornare in centrale e a raggiungere gli altri, più tardi diremo a Giubilio TV di informare tutti della chiusura definitiva della zona.»
«Speriamo che questa sia la volta buona e che tutto si risolva presto...»
Platan alzò un poco la testa e guardò fuori dal finestrino. Si stavano allontanando. Allungò una mano e toccò la spalla di Elisio per avvertirlo dello scampato pericolo.
«Se ne saranno andati veramente?» chiese il rosso, ritornando allo scoperto.
«Vuoi venire a controllare con me? Il passaggio del Professor Rowan è nelle vicinanze, comunque. Se proprio dovessimo finire nei guai, potremmo sempre correre a perdifiato fino a lì e nasconderci nella grotta.»
«Beh, da solo non ti ci faccio certo andare!» disse, e si apprestò a seguirlo.
Percorsero pochi metri fino a raggiungere una grossa parete di pietra su cui si arrampicavano alcune piante. Platan vi si fermò di fronte e la guardò per qualche attimo.
«Sì, stiamo andando nella direzione giusta.» sentenziò. Diede un’occhiata a Elisio per essere certo che riuscisse a mantenere il suo passo veloce. Ripresero a camminare e, giunti davanti ad una roccia, il Professore si mise con i pugni sui fianchi a pensare a come risolvere il problema.
«Uno dei tuoi Pokémon conosce Forza, per caso?» si rivolse all’amico, che in risposta scosse la testa.
«Ma magari riusciamo a farne a meno. Mettiti lì e aiutami a spostare questo masso.» gli disse, preparandosi accanto al sasso per spingerlo di lato.
Con un po’ di fatica riuscirono a smuoverlo di qualche passo, lasciando scoperta una piccola apertura dentro cui sarebbero riusciti a passare uno per volta. Avevano appena tolto le mani dalla superficie rocciosa e stavano per entrare, che vennero bloccati all’improvviso.
«Ehi, voi! Chi vi ha autorizzato a stare qui?» gli agenti di prima, ancora non sicuri del lavoro svolto, stavano facendo un ultimo giro di perlustrazione per ricontrollare tutto e li avevano scoperti. Platan spinse Elisio per un braccio: «Va! Va!» lo esortò a scappare oltre la fessura e a lasciarlo lì, ma quello non voleva abbandonarlo. Dopotutto aveva il compito di proteggerlo.
«Non serve che vi allarmiate troppo. Non siamo criminali. Abbiamo l’autorizzazione per entrare.» mentì Elisio cercando di apparire il più convincente possibile. Platan gesticolava con le mani per dirgli di non tirare troppo la corda, che sarebbero potuti finire in guai grossi.
«A giudicare dal vostro comportamento schivo e sospetto, non mi pare proprio...» sghignazzò uno dei due uomini «Forza, venite con noi in centrale. Ci faremo una bella chiacchierata... Ci racconterete tutto sui vostri progetti e sul Team Galassia con calma.»
«Noi del Team Galassia? Ma state scherzando?! Le pare forse la faccia di un delinquente, questa?!» s’indignò Platan, indicando con insistenza il volto del compagno, che riteneva essere il più bello e familiare che avesse mai visto in vita sua.
La lite venne interrotta da un enorme boato che fece tremare la terra sotto ai loro piedi. Elisio cinse la schiena del Professore con un braccio per sostenerlo mentre si aggrappava a lui per non cadere. Poi un ruggito ostile rimbombò fra i cumuli di pietra, e infine, dall’alto di un dirupo, saltò giù un Garchomp dalle forme mastodontiche, che ringhiava e mostrava i denti affilati. Platan ebbe un fremito delle membra e sentì che una delle sue Poké Ball vibrava in una delle tasche del cappotto. La prese con una mano e la strinse forte per non permettere al Pokémon di uscire fuori, avendo ormai capito chi era giunta in loro soccorso: quello sì che era un aiuto inaspettato.
«Hanno la mia autorizzazione per poter stare qui. Non sono membri del Team Galassia, ve lo garantisco. Perciò per favore: lasciateli andare.»
Una donna vestita di nero si fece avanti, lasciando che mentre camminava nella loro direzione i folti capelli biondi le si scuotessero maestosamente oltre le spalle. Postura eretta, sguardo fiero e sicuro di sé, si pose di fronte alla coppia di Kalos per celarla allo sguardo dei due poliziotti. Questi ultimi, dopo averla fissata un attimo negli occhi, se ne andarono: mettersi contro di lei significava cercare rogna e non poterle sfuggire in alcun modo.
Non appena le acque si furono calmate, la donna richiamò il suo Garchomp nella sfera. Accarezzò la superficie rossa e bianca con le dita, concedendosi un sorriso soddisfatto. Poi, voltandosi verso i due, tese la mano al Professore.
«Ci incontriamo di nuovo, eh, Platan?»


 



Quello che Elisio legge in biblioteca è il racconto che si chiama "Un mito raccapricciante". Inizialmente avevo pensato che si trattasse una leggenda su Darkrai, ma poi riflettendoci meglio, mi sono resa conto che gli effetti a cui faceva riferimento si potevano collegare con i poteri di Mesprit, Uxie e Azelf. Avete fatto caso che Uxie tiene sempe gli occhi chiusi? Chissà, forse i suoi occhi nascondono davvero qualche cosa di pericoloso...
Mi sono concessa qualche libertà nel descrivere il Percorso 218 e ho allungato il ponte che si trova all'inizio. In qualche modo chi non ha delle Medaglie e non può usare Surf o nuotare, dovrà pur raggiungere Canalipoli!
Avrete già capito chi è la donna misteriosa che arriva alla fine, penso... Dato che si diceva che da piccola avesse aiutato il Professor Rowan con il Pokédex, ho pensato che in qualche modo si potessero essere conosciuti. Nel prossimo capitolo vi spiegherò meglio!
In queste settimane sono molto impegnata con la scuola, in più a inizio marzo partirò per il campo scuola, perciò non so quanto spesso riuscirò ad aggiornare... Ma aspettate fiduciosi!
A presto e buon fine settimana a tutti!
Persej Combe
 


~ L'angolo del francese ~
 

*"Platan, c'est grave. Tu es certain de que tu as dit?" = "Platan, questa è una cosa seria. Sei sicuro di quello che hai detto?"
*"Absolument" = "Assolutamente"
*"Merci, ça suffit" = "Grazie, così può bastare"
*"De rien, mon ami" = " Di niente, amico mio"
"Va! Va!" = "Vai! Vai!"

  
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