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Autore: IleWriters    27/02/2015    1 recensioni
[Storia scritta con Misery007]
Capelli biondi e occhi blu. Capelli neri e occhi viola. Le due gemelle Ilenia e Misery non potrebbero essere più diverse. Nate sotto l'influsso di una cattiva stella, entrambe sono costrette a convivere con un'immenso dolore. Una per via di un dolore che pian piano, segretamente, le sta divorando l'anima. L'altra per la malattia e le sue conseguenze. Una dovrà essere la luce per l'altra. Una le tenebre. I due ragazzi che hanno fatto breccia nei loro cuori dilaniati ce la faranno a salvarle? O le gemelle si autodistruggeranno prima?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo I - Welcome back to Paris


 


Mentre l'autista guida lungo la superstrada “A1” che condurrà me e mia madre all'aeroporto di Charles de Gaulle, il più famoso a Parigi, ripenso alla mia adorata gemella, Misery. Adesso finalmente si ricorderà di me? Ricordo che da piccola spesso si scordava chi ero, la cosa mi faceva sempre soffrire molto. Ricordo la sua pelle diafana, ma forse era così solo per colpa della malattia, che le faceva spiccare i suoi enormi occhi color ametista, circondati dalle lunghe ciglia nere. Nere come la massa di capelli lisci che aveva sulla testa. A Seattle le cure glieli avranno mai fatti perdere? Temo di sì. Sospiro guardando il paesaggio fuori dal finestrino oscurato del nostro SUV nero.

Da quando Misery e papà se ne sono andati la mamma è diventata sempre più oppressiva e protettiva nei miei confronti, tanto che delle volte sono arrivata ad odiarla. Non mi lasciava quasi più uscire, se non per la scuola e la spesa. Telefono vietato, potrebbe causarmi tumori alla testa, diceva lei. Era fortuna se ero in possesso di una TV e di una console per giocare. Ma appena ho compiuto i miei diciotto anni, il 9 maggio scorso, ho cambiato regime, con i soldi guadagnati con il lavoro al bar che mi sono trovata il giorno dopo aver compiuto i sedici anni, e i soldi che mi mandava papà per le varie festività e compleanni, mi sono comprata un benedetto cellulare e la sim telefonica, e finalmente anche io sono in contatto con il mondo. Per il computer aspetterò un altro po', tanto ormai i cellulari li hanno quasi rimpiazzati del tutto.

Mi giro e guardo la mamma, che legge una rivista di gossip. Ha dei lunghi capelli lisci e corvini (in realtà ne avrebbe anche alcuni bianchi, ma se li tinge, ma meglio non farglielo notare, quindi ssssh su questo dettaglio), le lunghe ciglia tinte di nero con il mascara fanno da cornice dei suoi splendidi occhi viola. Insomma credo che sia la copia di mia gemella Misery ma più in avanti con gli anni, anche se la mamma ne mostra un po' meno di quarantaquattro. Sorrido, nonostante la sua protezione estrema nei miei confronti è sempre stata un'ottima madre, contando il fatto che è lontana da suo marito e una delle sue figlie da tredici lunghissimi e pesantissimi anni. Finché ero piccola cercava di proteggermi dal mondo in cui era Misery, dal suo meningioma al cervello e tutte le altre brutte cose. Poi quando sono diventata adolescente mi spiegò tutto, in modo che io capissi, nonostante i suoi singhiozzi dovuti al pianto.

A destarmi da questi miei pensieri è proprio il mio cellulare che vibra mentre emette una musichetta simile a un'arpa. Un messaggio. Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, beccandomi un'occhiataccia dalla mamma.

 

«Almeno tienilo in borsa quel dannato affare» afferma la mamma stizzita. «Sai quante schifezze rilascia nel tuo corpo quell'arnese se lo tieni nella tasca?» mi domanda retoricamente.

 

Certo che lo so, me lo avrà ripetuto centinaia e centinaia di volte, ma spesso se lo tengo in borsa finisce sempre che non lo sento o che lascio la borsa a casa con il cellulare dentro. Così lo tengo in tasca, ottenendo sempre lo sdegno di mamma. Alzo gli occhi al cielo e leggo il messaggio su Whatsapp. E' Rosalya, che mi chiede se sono arrivata in aeroporto. Sorrido e le rispondo, poi metto il cellulare dentro la borsa, così faccio felice la mamma e i miei padiglioni auricolari, che non dovranno sorbirsi le lamentele della mamma durante la strada.

 

 

Appena arriviamo davanti l'aeroporto, il nostro autista ci lascia davanti alla fermata della navetta che ci porterà al Terminal 2E. Dopo cinque minuti di attesa ecco arrivare la piccola navetta, dentro è affollato, ma io e mamma siamo piccole, il problema verrà dopo che avremo due persone in più con chissà quante valigie. Mamma mi tiene per mano durante tutto il viaggio in navetta. Santo cielo. Nemmeno ne avessi otto di anni, al posto di dieci in più. Ma le mamme sono così, dico dentro di me, sconsolata.

 

 

Dopo un viaggio di 10 minuti circa, arriviamo al Terminal e con mia grande gioia scendiamo da quella scatoletta di sardine umane. Guardo l'imponente struttura in acciaio e vetro, a forma di tunnel. Ne resto sempre incantata, sorrido e seguo dentro la mamma. I miei tacchi dodici ticchettano piano sul pavimento e presto il loro ticchettio è coperto dai rumori tipici dell'aeroporto. Gente con i trolley, assistenti di volo che danno indicazioni, persone che arrivano e si abbracciano con amici e famigliari parlando e ridendo. Sorrido guardando i vari negozi che ci sono e seguendo sempre da vicino la mamma, che ogni tanto si gira a controllare se ci sono ancora. Mentre cammino mi vedo riflessa nelle vetrine. I capelli ricci e biondi mi arrivano sotto il sedere, le punte sfiorano l'inizio delle cosce, avvolte nei pantaloni di jeans neri, che hanno degli strappi sulle cosce. La mia immagine mi sorride, tirando le labbra rosse accese in un sorriso soddisfatto, mentre il mio sguardo, di un blu intenso, quasi elettrico, messo ancora di più in evidenza dal mascara nero che mi ha allungato ancor di più le ciglia e l'eyeliner nero con tanto di matita nella parte inferiore dell'occhio, è vivace e pieno di impazienza. Impazienza di riabbracciare mia sorella e mio padre. Mi liscio la maglietta blu che mi lascia la spalla destra scoperta, intorno al collo ho delle stelle bianche e nere. Dopo un pochino vedo il riflesso della mamma dietro di me, le braccia incrociate e lo sguardo divertito.

 

«Hai finito di ammirarti e vantarti? Ti ricordo che a breve atterrerà il volo di tua sorella e tuo padre» mi informa con un sorriso sulle labbra.

«Aspetta un secondo» rido mentre fingo di pettinarmi le sopracciglia e la frangetta centrale liscia tagliata in modo che sia più corta a sinistra e più lunga sulla destra. «Ora sono pronta» dico ridendo.

 

Mamma alza gli occhi al cielo sorridendo mentre ci incamminiamo verso la porta degli arrivi dei voli. Quando arriviamo alla striscia gialla che delimita l'area davanti al porta da lasciare sgombra guardo il tabellone degli orari.

 

Seattle- Parigi

13:15 – 08:35

 

Guardo l'ora sull'orologio nero di Minnie che mamma mi ha fatto per Natale, al posto delle ore ci sono dei piccoli brillantini e sul lato destro c'è metà Minnie che sorride tenendo le mani unite in grembo. La lancetta delle ore color nero segna le otto e quella dei minuti rossa segna che sono 30. Ancora cinque minuti e la nostra famiglia sarebbe stata riunita, per sempre.

 

 

-<>-*-<>-

 


Il volo sembra essere interminabile, ma per fortuna ci sono Armin, Alexy e papà con me.


 

«Tesoro va tutto bene?» Chiede mio padre osservandomi con i suoi grandi occhioni blu.

«Sì papà, non vedo l’ora di tornare.» Alzo la testa ed incrocio il mio sguardo col suo.

 

Papà è un uomo alto e muscoloso, ha la carnagione abbronzata e i capelli corti e biondi con qualche ciocca bianca a causa dello stress e della preoccupazione che la mia malattia gli ha causato. Lui spesso dice che da piccolo era riccio come un angioletto perché li teneva più lunghi di come li porta ora, sarei proprio curiosa di sapere come starebbe il suo viso tondo incorniciato da morbidi boccoli. I suoi lineamenti sono autoritari, ma i grandi occhioni dolci che mi fissano amorevolmente fanno intravedere il suo animo di uomo buono e affettuoso che è sempre stato. Indossa un elegante completo grigio, una camicia a maniche corte di colore bianco candido, una cravatta blu scuro e un paio di eleganti scarpe nere, insomma papà sembra sempre pronto ad un meeting aziendale. Lui mi sorride e poi torna a chiacchierare con Emily e Max, i genitori dei gemelli, seduti nei tre posti dietro di noi. Prendo la mia borsa in denim nero, in stile con il look di quel giorno, e tiro fuori la mia agenda viola con cuciture nere. Negli anni ho acquisito la mania di segnare ogni piccolo dettagli della ma vita, controllo la giornata di oggi, c’era scritto ritorno a casa almeno dieci volte sul giorno di oggi e poi c’è un orario, quello in cui saremmo dovuti arrivare a destinazione, cioè 08:35 del fuso orario di Parigi. Istintivamente metto la mano nel taschino del gilè e tiro fuori il mio antico orologio da taschino.

 

«E quella che roba è?» chiede Armin notando il piccolo oggetto argenteo che tengo in mano.

«Questo? È il mio orologio da taschino.» Aggiungo premendo il pulsante che mostra il quadrante dell’orologio.

 

Questo piccolo e antico arnese è un regalo che mi fece mamma poco prima che le mie condizioni peggiorassero. Quando mamma me lo diede capii subito che cosa fosse. Mamma mi consegnò un sacchettino viola luccicante con un fiocchetto argentato, una volta aperto presi in mano quello che sembrava un ciondolo grande quanto il palmo della mia mano, era in argento con incise davanti due rose intrecciate tra loro e due iniziali, una M e una I, quando per la prima volta schiacciai quel pulsantino per guardare il quadrante dell’orologio rimasi estasiata dalla visione atipica che avevo davanti agli occhi, contrariamente all'orologio del nonno che aveva le ore segnate in nero su un quadrante bianco con grosse e spesse lancette nere, il quadrante di quell'orologio era completamente nero con le ore e le grosse lancette bianche, mentre sul retro era impresso il cognome della nostra famiglia, impresso sull'argento che portavo sempre con me.

 

«Grazie mamma, è stupendo, ma perché non si muove? Per caso è rotto?» dissi mostrandogli le bianche lancette che non si muovevano nemmeno.

«No tesoro, non è rotto. Non ho ancora messo la batteria» Disse accarezzandomi la testa, poi prese una minuscola batteria, di quelle piatte e tonde, aprì il retro dell’orologio, la inserì, lo chiuse, sistemò l’ora e me lo ridiede. «Ecco tesoro, così non scorderai più l’ora, questa è l’ora di casa.»

 

Quel giorno non capii il perché di quella frase, ma quando arrivammo a Seattle mi fu tutto più chiaro. Presi in mano l’orologio e notai che l’ora era diversa da quella del grande e tondo orologio appeso al muro, in fondo avevo cinque anni ed era il primo viaggio, se così si può chiamare, che facevo e io non ne sapevo nulla di fusi orari.

 

«Papà perché l’orologio che mi ha regalato mamma mi da un’ ora diversa?» Gli dissi facendolo dondolare di fronte al suo naso tenendo salda in mano la catena che vi era attaccata.

«Piccola mia, quello è il fuso orario francese, l’ora di casa nostra. Vuoi che la sistemi con l’ora che c’è qui?» Mi chiese allungando la mano per prenderlo.

«No papà.» Dissi stringendo forte l’orologio tra le mani. «Quando guarderò te ricorderò gli occhi blu come il mare della mia amata sorellina, quando mi guarderò allo specchio ricorderò lo sguardo dolce di mamma e quando guarderò quest’orologio e la sua ora sbagliata mi ricorderò di casa.» Quando dissi ciò papà mi abbracciò stringendomi forte a lui.

 

 

«Sai proprio non ti capisco Missy cara.» Si lamenta Alexy. «Hai un orologio da polso stupendo che ti ha regalato Armin, sotto mio consiglio...»

«Sotto tuo obbligo.» Lo corregge Armin stizzito.

«Non è questo il punto.» Dice Alexy fulminando con lo sguardo il fratello.

«Alle volte mi chiedo se sei più mestruato tu o nostra madre.» Bofonchia lui con un filo di voce.

«COME HAI DETTO SCUSA???» Dice lui rabbioso verso il gemello.

«Hey ragazzi potete aspettare di scendere dall'aereo, e magari di non avere la sottoscritta tra i piedi, prima di uccidervi a vicenda.» Dico cercando di calmare gli animi.

«Scusa Missy.» Esclamano in coro i due mentre io a fatica trattengo una risata.

«Comunque dicevo che sei parecchio strana, prendi nota di qualsiasi appuntamento su quella tua agenda viola, hai un cellulare di ultimo modello, che ti ha regalato tuo padre per le emergenze, che non usi mai e che dimentichi sempre in borsa, hai un orologio da polso stupendo e non lo indossi mai perché controlli sempre l’ora su quel coso che è pure sbagliato. Se non fosse per il tuo stile decisamente moderno mi chiederei da dove salti fuori.» Conclude Alexy incrociando le braccia dietro la testa e alzando gli occhi al cielo.

«Hahahaha. Sono strana, questo te lo concedo Al, ma sull'ora ti sbagli, ora sono l’unica di tutti noi ad avere l’orologio sul fuso orario giusto. Questa ragazzi è l’ora di Parigi, sono le otto in punto e tra trentacinque minuti finalmente atterreremo sul suolo francese.» Dico sorridendo loro e rimettendo l’orologio nel taschino.

 

Siamo finalmente atterrati e ora, dopo aver salutato i gemelli e i loro genitori, cammino affianco a mio padre. Sto percorrendo il lungo tunnel di vetro, nel quale la mia esile e pallida figura, avvolta dai capelli e gli abiti scuri, si riflette sembrando quasi più uno spettro che una persona reale. Tunnel che conduce dall'aeroplano fino alla sala dove il nastro trasportatore ci consegnerà le nostre valige. Arriviamo nell'enorme sala dove è situato il nastro e passiamo affianco ai divanetti rossi dove i vari passeggeri dei prossimi voli che attendono di partire dall'aeroporto di Charles de Gaulle attendono che chiamino il nome del loro volo da uno degli svariati terminal. Prendo la mia valigia e papà fa lo stesso, non abbiamo portato molto con noi tutto ciò che manca ci verrà spedito da Seattle dalla ditta di traslochi che lui ha ingaggiato.

Ci avviamo attraverso l’ultimo tunnel rappresentante il settore arrivi, la nostra direzione è chiara e sappiamo già che, dopo la porta a vetri che al momento vediamo solo da lontano, ci sono due persone ansiose di rivederci ad attenderci nella hall d’accoglienza degli arrivi.

Mi volto un attimo osservando il mio riflesso sulla parete trasparente di quel secondo tunnel di vetro e osservo nuovamente il mio riflesso. La mia pelle è del colore della neve, non che mi dispiaccia dato che adoro accentuarla con gli abiti scuri e dato che, rispetto a quando ero molto più piccola, il mio pallore era lievemente diminuito grazie alla cura, ma comunque spesso quasi non mi sembra di essere reale. Noto il riflesso di mio padre alle mie spalle e gli sorrido, sono felice che lui mi sia stato affianco in tutto questo tempo, ma mi sento in colpa per averlo tenuto tanto tempo lontano dalla mamma.

 

«Va tutto bene tesoro?» dice posandomi una mano sulla spalla destra.

«Sì papà, mi dispiace tanto.» Dico con un filo di malinconia.

«Non dirlo nemmeno, sai che tu non hai alcuna colpa. Vieni, ci stanno aspettando.» Aggiunge sorridendomi.

 

Continuiamo a camminare fino all'uscita di quel lungo tunnel, percorriamo pochi passi e poi papà viene travolto da una donna con una folta chioma corvina di lunghissimi capelli lisci, due braccia esili ed eleganti con lunghe e candide dita affusolate gli cingono il collo e un romantico bacio gli toglie il respiro. Questa è sicuramente la mamma, penso mentre guardando papà stringerle i fianchi mi viene da sorridere.

 

«Ciao, ben tornata a casa.» Dice una voce dolce distogliendo la mia attenzione da mamma e papà.

 

Mi volto guardando la ragazza di fronte a me che mi aveva rivolto la parola, la carnagione lievemente abbronzata come quella di papà, i grandi e dolci occhioni blu, specchio di un amino buono, e i lunghi capelli biondi e ricci, non c’è alcun dubbio sul fatto che la splendida ragazza di fronte a me è la mia adorata sorella gemella, Ilenia.

 

«Ciao Ilenia, non sai quale gioia provo nel rivederti, sorella mia.» Dico mentre delle lacrime di gioia cominciano a rigarmi le guance.

 

Passano un paio di minuti in cui l’unica cosa che si sente sono i tipici rumori di ogni aeroporto. Lei mi sorride, mi asciuga le lacrime di gioia e mi si butta al collo abbracciandomi.

 

«Mi sei mancata anche tu.» Afferma mentre continua a stringermi a se ed io, dopo un attimo di freddezza iniziale, ricambio quel dolce abbraccio.

«Tesoro ti spiace lasciare salutare anche a me la mia piccolina?» Chiede mamma ad Ilenia che le sorride sciogliendo il nostro abbraccio.

«Ciao mamma, sei esattamente come ti ricordavo.» Dico mentre cerco inutilmente di trattenere altre lacrime.

«Piccina sei diventata una ragazza stupenda.» Aggiunge lei abbracciandomi e scoppiando in lacrime.


 

Restiamo così per un paio di minuti così poi ci mettiamo tutti e quattro a parlare del più e del meno. Ci sono riuscita, finalmente sono tornata a Parigi e finalmente la mia famiglia è unita, dopo tanto tempo finalmente siamo tutti e quattro nuovamente insieme.




Angoletto delle autrici:

Ciao saccottini ripieni di nutella nutellosa (?) buon fine settimana e buon inizio week-end! 
Alla fine, come noterete, abbiamo optato per pubblicare il venerdì :D e questo capitolo è ormai... Una settimana che è pronto :3
Speriamo ve piaccia e che sia di vostro gradimento :) ce scusiamo se è lunghissimo, ma tra tutte e due ce piace descrivere tanto quindi escono fuori punti di vista lunghi sei pagine! E parliamo magari di un solo punto di vista a cui poi ne aggiungiamo un'altro :D 'nsomma poveri voi che leggete ahahah xD
Se volete farci sapere se vi è piaciuto, se ve ha fatto schifo, 'nsomma per darci la vostra opinione, recensite pure :3 
Baci e abbracci :D
IleWriters & Misery007


 
Pubblicato il: 27 febbraio 2015
  
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