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Autore: _Frame_    01/03/2015    0 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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26. Piangere e Combattere

 

 

L’artiglieria piazzata nel foro rettangolare sulla cupola tappava l’entrata della luce violacea nella stanza. Le due lampadine agli angoli delle pareti sfarfallarono, la luce ronzò passando attraverso i cavi di rame che serpeggiavano sulla pietra, e tornò a far brillare i bulbi. Una luce fredda e grigia scintillò sul mirino squadrato del mitra che perforava il soffitto e puntava il cielo.

Il generale Leroy chiuse il taccuino davanti al viso, lasciando che una pagina scollata sbordasse dal blocco di appunti. Allargò la giacca dell’uniforme e lasciò scivolare il taccuino nella tasca interna.

“Poi le fiamme hanno raggiunto un deposito.” Lasciò la divisa sbottonata e raddrizzò le spalle. L’ombra del cappello celava il riflesso dei suoi occhi. “Saltato quello, l’incendio è risultato incontrollabile e l’intera città è andata a fuoco.” Prese un sottilissimo sospiro. La fronte rimase bassa. “Sono stati costretti ad arrendersi e ora sono sotto occupazione.”

Le gambe di Belgio si rannicchiarono contro la cassa di munizioni. Belgio si chiuse tra le spalle, i pugni stretti in grembo stropicciarono la stoffa dei pantaloni e le unghie tintinnarono contro la fibbia della cinta. Belgio deglutì ritirando il labbro inferiore. Annuì piano, il viso pallido e lo sguardo stravolto.

“Ca-capisco. Lui ha...” I muscoli si irrigidirono. La gola secca e il peso che gravava sul petto rifiutavano di far uscire le parole. Le labbra tremarono, le palpebre appesantite cominciarono ad appannarsi. “Ha resistito fino all’ultimo.”

Leroy posò una nocca sulla frontiera del berretto. Alzò l’ombra dal viso, gli occhi ruotarono sul fianco di Belgio e incrociarono lo sguardo del maggiore De Backer. Il maggiore spostò il peso da una gamba all’altra, ingarbugliò le dita intrecciate dietro la schiena facendo gemere la pelle dei guanti, e si schiarì la voce. I piedi traballarono ancora. De Backer sollevò la punta di uno stivale e la strofinò sul polpaccio con movimenti rapidi e nervosi.

Il generale Leroy tornò a guardare Belgio. Gli occhi oscurati dall’ombra si ammorbidirono, un sospiro gli intenerì la voce.

“Sono certo che si sia fatto onore, signora.”

Belgio avvicinò un pugno alla bocca e annuì. Gli occhi avvolti nel velo di lacrime fissavano i piedi dondolanti sulla cassa di legno. Le scritte tra le tavole chiodate diventarono una macchia nera sfumata.

Leroy sospirò sgonfiando il petto. “Ma con un nemico così...”

Belgio accostò le nocche piegate alle labbra. Le pizzicò con le punte degli incisivi, assottigliando le palpebre. Un denso grumo di lacrime pizzicanti traballò davanti agli occhi.

“Sì,” mormorò.

Il pianto si sciolse in due caldi rivoli che bruciarono sulle guance. Quando la vista tornò limpida, e le lacrime aprirono due macchie scure sui pantaloni, Belgio sobbalzò dalla sorpresa e premette il palmo contro un occhio.

“Ah, mi perdoni, generale.” Si tappò anche l’altro occhio, piegandosi sulla pancia. Solo un singhiozzo. Belgio strofinò via il pianto dal volto e sorrise. Le guance si imporporarono. “Non dovrei lasciarmi andare in questo modo.” Rise a fatica. Asciugò la pelle passandoci sopra il palmo e il fianco della mano. Due ciocche di capelli inumiditi si incollarono alle guance vicino agli angoli della bocca.

Una piega di compassione inarcò le sopracciglia del maggiore De Backer.

Belgio diede un’ultima profonda sfregata alle palpebre e respirò a fondo. “Speriamo che almeno Spagna e Romano stiano bene.” Il rossore sbiadì lentamente dalle guance.

De Backer smise di traballare sulle suole. Appoggiò i piedi a terra, aprì il primo bottone della giacca e vi infilò la mano, voltandosi di fianco.

Leroy sollevò il mento lasciando scivolare lievemente il capello all’indietro. La fredda luce artificiale brillava sulle pieghe che attraversavano le contrazioni sul viso. Lo sguardo fermo, di nuovo composto.

“Signora.”

Belgio sollevò gli occhi tenendo il fianco di una mano appoggiata allo zigomo, proprio sotto la palpebra.

La tensione sotto l’uniforme di Leroy si allentò. La stoffa sul petto e sulle gambe si sgonfiò.

“Mi permetto di ricordarle che non abbiamo notizia di una sua scomparsa, ma solo di una cattura.” Allargò di poco le gambe. La voce assunse un tono più forte e deciso. “Il paese è stato bombardato e accerchiato, ma la difesa ha lavorato bene per limitare i danni, e l’obiettivo dei tedeschi non è mai stato la piazza pulita.”

De Backer continuò a muovere le dita nella tasca interna. Le spalle si abbassarono quasi volesse tuffarsi dentro la giacca.

“Sono sicuro che la rappresentanza tedesca lo abbia trattato con riguardo,” disse Leroy. L’ombra scese dal viso del generale e scoprì la luce severa ma gentile dei suoi occhi. “Non appena sistemeremo le cose qui, mi occuperò personalmente di rintracciarlo per mettervi in contatto.”

Belgio sbatté le palpebre inumidite e annuì. Le labbra non tremavano più, gli angoli della bocca si sollevarono in un sorriso spontaneo.

Si tolse le due ciocche di capelli incollate al viso e si strofinò nuovamente la guancia con il fianco della mano. “Grazie, generale.” Le ciglia bagnate brillarono.

De Backer tolse la mano dalla tasca sfilando un fazzoletto di stoffa ripiegato in un quadrato. Chinò le spalle e lo porse davanti al viso di Belgio.

“Ecco. Si...”

Belgio sollevò di scatto gli occhi lucidi. Il maggiore arrossì, le labbra si restrinsero e balbettarono. De Backer guardò altrove.

“Si asciughi con questo.”

Spinse il fazzoletto più vicino. Le dita si strinsero sulla stoffa, incresparono le trecce di filo blu che cucivano i bordi e componevano le iniziali su un angolo. N.D.B.

Belgio gli sorrise e prese il fazzoletto. “La ringrazio.” Lo premette sulle guance senza spiegarlo. Assorbì le ultime lacrime guidando gli angolini di stoffa già calda e umida sotto le palpebre e fino al mento.

De Backer camminò verso Leroy e si mise di fianco al generale, sull’attenti.

“Se...” De Backer tornò a spostare il peso da una punta del piede all’altra. Le mani giunte dietro la schiena sfregarono tra loro con maggior insistenza. Il maggiore chinò il capo e lo sguardo vacillò. “Se ha bisogno di piangere non serve che si trattenga, signorina.”

Sia Belgio che Leroy voltarono gli occhi su di lui.

De Backer si strofinò la nuca. Scrollò le spalle. “Piangere è umano, dopotutto.” Una risatina nervosa gli scosse la schiena e il petto.

Belgio abbassò gli occhi. Il movimento dei piedi si bloccò, i talloni si fermarono contro le assi di legno della cassa. Le sottili dita tremanti strinsero sulla stoffa del fazzoletto umido di pianto.

Leroy inarcò un sopracciglio. Aprì il palmo come a voler tagliare l’aria e rifilò un colpetto alla nuca del maggiore.

“Maggiore De Backer.”

De Backer raggelò sull’attenti. Viso teso, occhi spalancati, e braccia tese lungo i fianchi.

Leroy inacidì la voce. “È pregato di controllare il linguaggio.”

Piangere è umano...

De Backer si morse il labbro. Le guance sbiancarono. “Ops.”

“Va tutto bene, generale.” Belgio sventolò la mano che stringeva il fazzoletto. Senza accorgersene, la infilò nella tasca dei pantaloni. Belgio riacquistò il sorriso e rivolse lo sguardo addolcito a De Backer. “Il maggiore ha ragione, non devo buttarmi giù così.” Si posò una mano sul petto. Il cuore rimbombò sotto il palmo aperto, scaricò una forte vibrazione che la attraversò lungo tutto il corpo. Belgio strinse le dita. “Non è questo che il mio paese si merita.” Sollevò il pugno. Raddrizzò la schiena, i capelli fluirono sulle spalle, il nastro del fiocco sciolto si ammosciò sulla stoffa della divisa troppo larga. La scossa fluì attraverso le vene e bruciò nel petto, scaldandole il cuore. “Diamoci da fare e fermiamo questa avanzata.”

Leroy e De Backer batterono i tacchi a terra. Scattarono sull’attenti e l’aria fredda e pesante della stanza si riempì della loro voce squillante.

“Sissignora!”

Belgio si sollevò dalla cassetta di munizioni. Intrecciò le dita, stirò le braccia al soffitto e fece scricchiolare le vertebre della schiena. Si prese una spalla e la massaggiò fino alla scapola. Gli occhi si levarono verso la linea di cielo che passava attraverso lo spazio nel calcestruzzo. Una sfumatura cremisi si aprì attraverso la luce blu che brillava sull’acciaio dell’artiglieria. Il raggio rosso trapassava l’aria chiusa e umida della stanza e colpiva le ruote dentate del meccanismo di elevazione.

Belgio sbatté le palpebre. “Sta per sorgere il sole.” Camminò davanti all’arma che penetrava nel muro e si fermò di fianco, rivolgendosi ai due uomini. Il raggio scarlatto le carezzò la spalla, schiarì i riflessi dei capelli e illuminò le fibbie dell’uniforme. “Abbiamo notizie sui movimenti di questa notte?”

De Backer guardò Leroy.

Il generale annuì. “Le sentinelle esterne e i soldati dalle casematte periferiche confermano di aver captato il passaggio di alianti. Non abbiamo ricevuto alcun segnale dagli Alleati, dunque devo dedurre che si sia trattato di movimenti nemici.” Si spinse sulle punte dei piedi, riatterrò sulle suole degli stivali e sollevò gli occhi al cielo. Una mano andò ad accarezzare la punta del mento. “Sono state fatte esplodere molte mine che avevamo piantato attorno al confine del forte ma...” Scrollò le spalle. “Oltre a questo, nulla.”

Belgio aggrottò un sopracciglio. “Non hanno tentato un attacco al forte?”

“Nossignora.”

Belgio increspò le labbra. Abbassò lo sguardo e si strofinò i capelli dietro l’orecchia. “Ma allora a cosa sono serviti quei bombardamenti?”

“È quello che stiamo cercando di capire.” Il maggiore Leroy si spostò di lato e camminò verso un muro della stanza. Si fermò sotto la piantina della roccaforte inchiodata al cemento. La luce artificiale emanata dai bulbi ronzanti splendeva a ondate sulla superficie metallica. Leroy tracciò con lo sguardo una linea invisibile che percorreva il perimetro a forma di diamante di Eben-Emael. Una freccia rossa puntava il cerchio nella parte più gonfia, contrassegnato dalla scritta ‘Cupola Centrale’. “Invierò dei soldati a esaminare le buche che si sono create. Forse potremmo trovare ancora qualche traccia di esplosivo in modo da verificare che si tratti effettivamente di un attacco tedesco.”

“Bene.” Belgio annuì con decisione. “E la difesa sul resto del territorio?”

Gli occhi di Leroy si spostarono per un istante su De Backer. Il generale socchiuse le palpebre e si guardò i piedi. Sospirò. “Il canale Alberto è perduto, signora.”

Belgio sussultò, stringendo un pugno sul cuore. “Oh.”

Leroy tornò a raddrizzare le spalle. Il tono di voce di nuovo deciso, quasi rassicurante. “Era stato richiesto anche l’intervento della RAF, ma i bombardieri non hanno avuto successo e sono sopravvissuti solo meno della metà.”

Il viso di Belgio impallidì, il generale Leroy fece un passo avanti. “Non si disperi per questo, signora. Ora dobbiamo pensare solo a difendere Eben-Emael e la parte di canale ancora sotto il nostro controllo, e così anche il loro attacco arretrerà.”  

Belgio prese un forte respiro che le colorì le guance, e annuì. “Conto su di lei, generale.”

Le mani di Belgio si rilassarono, le dita scivolarono lentamente verso i fianchi, lungo le gambe. Si fermarono sul bordo della tasca rigonfia e Belgio sollevò le sopracciglia, con una punta di sorpresa. Tuffò la mano dentro la tasca e incontrò il quadrato di stoffa ripiegata, i polpastrelli tastarono il rilievo di filo intrecciato sul bordo.

“Ah, maggiore De Backer, ho ancora –”

La corrente ronzò. La luce delle lampadine saltò prima dell’arrivo del tuono. Il boato esplose facendo tremare le pareti, il suolo e il soffitto. Il terreno vibrò, Belgio perse l’equilibrio, tentennò, e sbatté la spalla contro il muro di cemento. Strinse i palmi sulle tempie e sulle orecchie prima di colpire la testa sulla parete. Strizzò le palpebre, cacciò un piccolo urlo che venne assorbito dal feroce rombo dell’esplosione. Belgio scivolò a terra, si accucciò a gambe raccolte, piegando le ginocchia al petto, e si strinse nelle spalle. Una manciata di polvere di cemento piovve dal soffitto, le sporcò i capelli, si posò sulle palpebre chiuse e sulle labbra. La luce sfarfallante emanava rapidi lampi che battevano contro il buio degli occhi serrati, le colpiva la vista come una successione di pugni. Belgio sfregò la guancia contro il pavimento ruvido, freddo, che puzzava di polvere e di umido. Le dita aperte sulle orecchie si aggrapparono ai capelli e il nastro di stoffa si intrecciò all’indice e al medio. Un altro boato fece tremare nuovamente il terreno, con minor intensità. La scossa si assestò, vibrando fino all’interno delle sue ossa. I bulbi tornarono a riempirsi di luce ferma, la corrente smise di sfrigolare e la pioggia di polvere di cemento cessò.

Belgio socchiuse un occhio. Batté più volte le ciglia, l’immagine della stanza tornò a fuoco. Con una manata si tolse la sabbia grigia dalle guance, dalle palpebre, aprì la bocca e dei granelli scricchiolarono tra i denti. Belgio tossì, e sfregò via la polvere dalle labbra e dai capelli. Fece leva sulle braccia e si rialzò su un fianco, stando appoggiata sui gomiti. Le gambe ancora abbandonate a terra, con le punte dei piedi che toccavano la parete.

De Backer tossì. Si piegò su un ginocchio e rimase chino a terra, lo sguardo intontito volò verso lo spazio della finestrella. Una nube nera tappava i raggi dell’alba. “Che cos’è stato?” Aveva la voce scossa.

Belgio si mise seduta e districò i capelli che si erano annodati davanti agli occhi. “Un’esplosione?” Strofinò via il prurito di un granello di polvere nella palpebra e rivolse un’occhiata interrogativa a Leroy. “Generale?”

Il generale Leroy si diede una spinta sui piedi facendo singhiozzare le suole degli stivali al suolo. Scattò ai piedi della parete, spalle al muro, e avanzò verso il blocco di artiglieria. Strinse la mano attorno a uno spuntone della manovella di elevazione, e il corpo della mitragliatrice si abbassò, aprendo uno spazio più largo sulla parete. Uno sbuffo di fumo nero entrò nella stanza e si dissolse espandendosi nell’aria.

De Backer camminò sulle ginocchia, con tre falcate arrivò di fianco a Belgio e le mise una mano sottobraccio, aiutandola ad alzarsi.

Leroy tese l’indice verso il basso senza mollare la postazione.

“Non si muova, maggiore,” ordinò.

De Backer annuì e strinse di più la presa sul braccio di Belgio. Restarono entrambi accucciati a terra.

Altri boati, echi di rombi in lontananza, fecero vibrare le mura della stanza e l’aria si addensò di polvere. Leroy strinse entrambe le mani sui fianchi della mitraglia, chinò le spalle e accostò l’occhio al mirino balistico. Il generale strinse i denti, il suo ringhio si unì ai ruggiti delle esplosioni che smembravano il cielo.

“Merda.”

Leroy scollò il viso dal mirino, si spostò di lato tenendo una mano sul mitra e chiamò Belgio con un gesto del capo.

“Venga a vedere, signora.”

La stretta di De Backer aiutò Belgio a rialzarsi. Le gambe della ragazza tremarono per un istante, lei pestò i piedi a terra, le ginocchia rimasero salde, le forze tornarono a irrigidirle i muscoli, e corse verso il generale.

Belgio si sollevò sulle punte e avvicinò gli occhi al quadrante segmentato. Dense scie di fumo attraversarono il cielo grigio inquadrato dal mirino. Gli Stukas bombardieri sfrecciarono oltre il confine del forte, i ronzii fecero tremare le pareti, i portelloni sulle pance metalliche si richiusero, e gli schianti fecero sobbalzare la vista. Belgio strizzò gli occhi per un istante. Quando li riaprì, la luce della raffica di bombe si era già spenta. La mira si inchinò, racchiuse nella lente una porzione di spiazzo di terra reclinata a formare una duna che rialzava il forte. I fumi lasciati dalle bombe si aprirono, grossi riccioli plumbei scivolarono lungo i pendii. Un gruppo di uomini stretti nelle uniformi tedesche corse lungo i versanti, fucili imbracciati, e maschere antigas in gomma nera allacciate alla testa. Due di loro si arrampicarono da una buca, si sfilarono gli zaini imbottiti e li lasciarono cadere dalle schiene. Si unirono al gruppo, corsero saltando tra le rocce. Un’esplosione li sorprese davanti agli occhi, lo scoppio di luce si riflesse sulle lenti tonde delle maschere. Il fumo fece chinare gli uomini che aprivano il gruppo, i soldati continuarono a correre e si gettarono pancia a terra sul pendio. I grossi zaini cilindrici legati alle spalle li nascosero sotto il loro peso. I soldati gettarono dei pacchi a forma di tavoletta contro il grosso tubo di filo spinato che attraversavano il campo. Gli uomini urlarono qualcosa alle loro spalle, rotolarono sui fianchi tenendosi le teste tra i palmi e si allontanarono dai rovi d’acciaio. Il rotolo spinato brillò. Le scintille metalliche esplosero in tre grossi grumi di luminoso fumo spumante. Zolle di terra e frammenti di sassi schizzarono al cielo come proiettili. Quando il fumo si abbassò, la breccia nel filo spinato aveva aperto un cratere nel terreno. I soldati tedeschi si rialzarono da terra, corsero a spalle chine dentro il varco fumante e sparirono tra i riccioli di vapore grigio. Alcuni di loro tenevano delle canne sottobraccio che uscivano come tubi aspiratori dagli zaini cilindrici.

“Guastatori.” La voce improvvisa del generale fece sobbalzare Belgio.

Le mani di Belgio strinsero sul mitra. La vista dietro il quadrante del mirino vacillò. “Oh, no.” Sudore ghiacciato cominciò a scorrere lungo la schiena, facendo accapponare la pelle.

Dietro i segmenti del mirino, i soldati belgi presero la carica e si lanciarono alla rincorsa lungo i pendii di Eben-Emael. Tre esplosioni, una dietro l’altra, illuminarono il campo di battaglia ancora immerso nella chiara luce dell’alba offuscata dal fumo. Il rimanente filo spinato brillò sotto le scintille rosse e bianche. I crateri trivellavano il terreno sbriciolato e ribaltato a grumi di zolle, i soldati si ammassavano all’interno dei riccioli di fumo che salivano al cielo, li perforavano con la punta delle armi e, una volta dentro, i vapori scintillavano di nuovo sotto la luce degli scoppi.

Belgio tolse gli occhi dal mirino, allontanando il capo di lato.

“Guastatori?” chiese De Backer.

“Un attacco suicida in piena regola,” spiegò Leroy. Il generale si massaggiò la fronte con movimenti concentrici. Il viso si contrasse in un’espressione afflitta e affaticata. Rigida come marmo. “Ecco a cosa sono serviti bombardamenti.” Leroy aggrottò le sopracciglia. “Dovevano semplicemente creare dei crateri in modo da nasconderci dentro i guastatori.”

De Backer sbatté le palpebre. Lo sguardo confuso guardò il riflesso proiettato dentro il mirino del mitra e tornò su Leroy. “E quelli da dove sono arrivati?”

Leroy gorgogliò una risata amara. Il palmo sempre premuto contro la fronte stropicciata. “Paracadutisti, maggiore.” Raddrizzò il collo e fissò il soffitto. “Questo spiega il passaggio degli alianti durante la notte.”

I capelli tornarono a incollarsi alle guance di Belgio, madide di sudore freddo. Belgio si coprì la bocca e lasciò scivolare la mano sul viso.

“Hanno davvero intenzione di servirsi dei guastatori solo per una semplice avanzata su una roccaforte? Ma non possono, questo è...” Le labbra rimasero socchiuse. Gli occhi infossati nelle palpebre sciupate ruotarono lentamente verso Leroy. La voce di Belgio uscì flebile, tremante. “È inumano.”

Una piega attraversò il volto di De Backer. La polvere del pavimento aveva steso un sottile strato grigio sulle sue guance e sulla fronte.

“Ma cosa sono i guastatori, generale?” chiese.

Leroy chiuse gli ultimi due bottoni dell’uniforme. Sollevò il colletto e lo aggiustò dietro la nuca. “Vere mine vaganti.” Abbassò il berretto sulla fronte, gli occhi si accesero nell’ombra, ruotarono su De Backer. “Si ricoprono di qualsiasi arma a disposizione. Tritolo puro, fucili, mitra, granate, lanciafiamme.”

De Backer deglutì. Un piccolo spasmo attraversò il volto contratto, lo fece rabbrividire fino alla punta dei capelli.

Leroy si voltò verso l’uscita della stanza in cima alla cupola. “Probabilmente avranno in mente di farsi una bella arrampicata lungo i pendii di Eben-Emael distruggendo qualsiasi cosa gli si piazzi davanti. Non escludo nemmeno la presenza di chimici armati di fumogeno per confondere il nemico.”

Una scossa fece ronzare le pareti. Le luci saltarono, i bulbi sfrigolarono e lampeggiarono, fino a riassestarsi. Belgio guardò la cima del blocco di artiglieria, dove la buia luce rossastra colorava i batuffoli di fumo che si gonfiavano e scendevano lentamente dalla fessura alla parete.

L’immagine dei soldati tedeschi le tornò alla mente come un colpo alla tempia.

Ecco perché hanno le maschere antigas!

“Dobbiamo evacuare subito il forte,” esclamò Belgio.

Leroy e De Backer si voltarono. Il generale si fermò sulla soglia della porta, le mani già ferme sull’arma agganciata alla cinta.

Belgio fece due passi avanti e aprì un palmo al soffitto. “Non posso permettere che –”

“No.”

L’unica sillaba di Leroy le fece rimangiare le parole in bocca. Leroy si voltò, scosse il capo, e tolse la mano dalla pistola foderata.

“Signora, tutto quello che resta da fare ora è difendere lei.”

Belgio strinse i pugni sui fianchi. Chinò il capo lasciando scivolare davanti alla spalla il nastro intrecciato ai capelli, e una ciocca si incollò alla guancia già sporca di polvere e sudore.

“Io voglio...” Belgio placò i tremori. Batté una mano sul cuore, sopra la stoffa dura e pesante dell’uniforme, e fece un passo verso il centro della stanza. “Anche io voglio combattere, generale.”

Un fischio seguito da un’esplosione fece brillare la luce rossa che filtrava dalla parete. Belgio non si mosse. Attese la fine del boato con le spalle dritte e la mano ferma sul petto.

“Non intendo abbandonare il mio popolo restando con le mani in mano.”

Lo sguardo di Leroy non cedette. Passò davanti a De Backer e si fermò di fronte a Belgio.

“Signora,” disse con voce ferma. “Non le sto chiedendo di abbandonare il popolo belga.”

Belgio sollevò gli occhi, incontrando quelli del generale. Il petto dell’uomo si gonfiò leggermente, le spalle si allargarono facendo vedere i muscoli tesi sotto la stoffa della divisa. I gradi puntati alle spalline e le targhette cucite sulla giacca brillarono per un instante.

“Le sto solo chiedendo di permettermi di fare il mio lavoro, proteggendola e permettendomi di raggiungere i miei uomini.” Lo sguardo autoritario si ammorbidì. Leroy sollevò le sopracciglia. “E le sto chiedendo di adempire al suo di compito, restando viva.”

Le labbra di Belgio rimasero socchiuse, la bocca senza fiato, incapace di ribattere. Belgio strinse la mano sul petto, le unghie si aggrapparono alla stoffa e scivolarono verso il basso, scorrendo tra le cuciture. Abbassò il capo e socchiuse le palpebre. Impotente.

“Maggiore De Backer,” tuonò Leroy.

De Backer si impennò sull’attenti, tramando come le pareti della stanza. “Comandi, generale.”

Leroy indicò Belgio inclinando il capo di lato. “Abbia cura di lei, mentre sono via.”

Belgio e De Backer si osservarono, batterono entrambi le palpebre. De Backer annuì e tornò a rivolgersi al generale. Il suo attenti rigido non vacillava più. La fronte aggrottata nel suo primo vero sguardo da militare.

“Sissignore.” Batté l’attenti pestando il suolo con i talloni. “Agli ordini, signore.”

Belgio lo imitò. Unì le gambe e puntò alla fronte il fianco della mano. I capelli erano ancora sparpagliati sul viso impolverato.

“Buona fortuna, generale.”

Leroy annuì. Ricambiò un rapido saluto, rivolgendolo a entrambi. “La ringrazio, signora.” Sorrise e piroettò verso la porta blindata.

Il generale Leroy si lanciò nella battaglia.

 

♦♦♦

 

La bocca ovale del tubo lanciafiamme trafisse il muro di fumo nato dall’esplosione. I riccioli grigi si riavvolsero lungo la superficie nera e scivolarono verso il basso, morendo una volta toccata terra. Il soldato dall’uniforme tedesca spostò il restante velo di fumo con un colpo di palmo, come facendosi spazio tra le pieghe di una tenda. La mano libera strinse sulla maschera antigas, la plastica aderì alla radice del naso, dai pori del beccuccio circolare uscì un respiro roco e schiumoso. Il soldato impennò il lanciafiamme collegato allo zaino a cilindro, azionò la leva laterale e tenne il gomito piegato. Il tubo sputò una lingua di fuoco che sì aprì a ventaglio, sfiorò terra e risalì l’aria. Le fiamme crebbero in un turbinio rosso, si riflessero nelle lenti tonde della maschera in lattice nero. I vortici incandescenti si estesero verso l’esercito belga che avanzava contro i tedeschi.

Il generale Leroy evitò le spire cocenti. Frenò i piedi lungo la discesa del forte spremendo le suole dentro le zolle di terra ribaltata. Toccò gli aghi del filo spinato sfuggito al rotolo che serpeggiava sul fianco del colle. Buttò l’occhio di lato. Una cinta di fumo proteggeva il boa di ferro spinato. Il generale strizzò le palpebre. Fischio lungo. Silenzio. Un boato scoppiò vicino al suo orecchio. Leroy si gettò nel riparo del fumo premendosi la mano sulla bocca. Gli occhi rimasero chiusi. Il terreno e l’aria vibravano sotto le corse dei soldati che salivano e scendevano dal forte. Altro schianto. Grida in tedesco. E un rimbombo più profondo fece tremare la terra.

Leroy strinse i denti e socchiuse gli occhi. Il fumo bruciava le palpebre e il generale le sbatté più volte per schiarire la vista dal lacrimare. Guardò in alto, verso la tonda cima di Eben-Emael che emergeva dalla bufera di fumo.

“Maledetti crucchi.” Tossì due volte, sputando nuvole di fumo. Leroy si fece largo tra il fumo tenendo il braccio davanti alla bocca. Il fucile stretto nell’altro. “Cascasse il mondo, non arriverete mai in cima.”

“Signore!”

L’ombra di un soldato gli si piazzò davanti. Il fumo scivolò giù dal corpo dell’uomo e scoprì la sua figura ferma sul saluto militare. L’elmetto bacato era storto da un lato della testa, le cinghie insanguinate pendevano sulle guance macchiate di nero e ricoperte di ferite. La mano del soldato era tesa vicino a un lacero sulla fronte. Il sangue che lacrimava dal taglio gli tingeva metà viso di rosso, dalla palpebra alla punta del mento.

Leroy abbassò il fucile e il soldato davanti a lui prese un respiro, alzando la voce.

“Il Blocco Due e il Blocco Quattro sono stati valicati.”

Leroy ebbe solo tempo di separare le labbra. Un secondo soldato comparve tra le spirali di fumo e premette la sua schiena contro quella del primo soldato. Continuò a tenere le mani sanguinanti sul fucile, piegò il capo di lato e scoccò una rapida occhiata al generale da sotto la frontiera dell’elmetto.

“Ci stanno spingendo verso il Blocco Sei per arrivare alla Cupola Centrale,” urlò.

Sollevò di più il suo fucile e l’arma tornò a inchinarsi rivolgendo la punta della canna a terra. Il soldato strinse la mano senza riuscire a tenere dritto il fucile. Gli mancavano tre dita delle mani, dai moncherini uscivano fiotti di sangue nero che lubrificavano la superficie di metallo.

Un’altra bolla di fuoco raggiunse il muro di fumo e scoppiò in una pioggia di scintille roventi. I tre ufficiali si gettarono a terra, tra i sassi, le zolle incandescenti e gli avanzi di ferro fuso. Il calore dell’esplosione li colse in un’ondata sopra le loro teste.

Leroy si piegò su un ginocchio e volse lo sguardo alla cima del forte. Il fumo si raggrumava attorno alla pallida figura del sole come un vortice a spirale attorno a un piccolo disco bianco.

I due soldati si rimisero in piedi aggrappandosi l’uno alla schiena dell’altro, tenendosi per le spalle. Il soldato dalle dita mozzate traballò più volte sulle ginocchia. Leroy tese un braccio verso i due e gli indicò l’altra estremità del campo.

“Correte verso il Blocco Cinque, non fateli arrivare alla Cupola Sud!”

I due soldati annuirono, ancora piegati l’uno sull’altro. “Sissignore!” Imbracciarono i fucili sotto le ascelle e corsero a capo chino percorrendo la scia del rotolo di filo spinato.

Il generale Leroy corse verso la cima di Eben-Emael, seguì la scia di sole che bucava il lenzuolo di fumo. La salita gli appesantiva i muscoli, il terreno sabbioso e cedevole assorbiva le falcate, gli piegava le caviglie irrigidite dal cuoio degli stivali.

Fischio. Esplosione doppia, che sollevò altre due colonne di fumo. Il generale teneva il braccio premuto sul naso. L’odore acre gli pungeva le narici e la gola.

No, non possono...

Sagome nere distorte dall’ondulazione del fumo lo attendevano alla fine della corsa, dove terminava il fascio di luce.

Leroy accelerò la corsa. Le ginocchia che forzavano la salita gridavano di dolore come ad aver avuto due spuntoni di ferro conficcati nelle rotule. La scossa di dolore si espandeva su tutta la schiena, mordeva su ogni singola vertebra. Il generale la ignorò. Strinse gli occhi bagnati dal sudore misto al fumo e alla terra, e si focalizzò sulle figure scure in mezzo al fumo.

Non possono arrivare al punto cieco. Se arrivano alla base non ci sarà...

Una mano guantata di nero emerse dalla coltre, l’orlo di una divisa da paracadutista tedesco fasciava il polso. Il braccio si piegò verso l’alto, sollevando la barra di tritolo impacchettata in un cartone verde.

Leroy frenò la corsa. I piedi affondarono tra le pietre, ruotarono di scatto sollevando schizzi di terra, e barcollarono di lato. La paura lo morse al collo, la sensazione dei denti che scarnificano la pelle e affondano nelle ossa scese fino a stringergli lo stomaco.

Quattro micce attaccate al pacco sfrigolavano piccole scintille bianche che piovevano sul terreno. Divoravano gli stoppini fino a brillare sulla superficie verde della barra.

Leroy sollevò un braccio davanti al viso. Chiuse gli occhi, trattenne il fiato, e aspettò.

Il botto e il calore dell’esplosione lo inglobarono in un abbraccio di fuoco.

 

♦♦♦

 

La bolla dell’esplosione si sgonfiò sul campo, i resti dell’ondata travolsero i soldati ammassati attorno al confine spinato e li inghiottirono dentro la coperta annebbiata. Due esplosioni rintronarono più vicino alla cupola, fecero traballare l’immagine rettangolare racchiusa dallo schermo del mirino segmentato.

De Backer sollevò gli occhi dal mitra e tenne le mani strette sul corpo del blocco di artiglieria. Distolse lo sguardo dalla proiezione tra i segmenti incrociati, e deglutì un grosso boccone di saliva che bagnò la gola seccata.

La luce espansa dai bulbi fischiò, l’energia che passava tra i fili di rame si tese, aumentandone l’intensità. Le lampadine sfarfallarono, si spensero di colpo e un forte ronzio tornò a farle ripartire.

De Backer e Belgio sollevarono gli occhi agli angoli del muro abbagliati dai bulbi.

“Oh, no,” disse De Backer.

La luce vibrò di nuovo. Il buio durò più a lungo e Belgio si strinse nelle spalle, avvicinandosi alla parete.

Quando la luce tornò, il maggiore si riparò dall’abbaglio tenendo la mano davanti agli occhi socchiusi.

“L’impianto elettrico.”

De Backer tornò a voltarsi sul mirino dell’artiglieria. Si aggrappò alle manopole e si chinò sul mirino. Accostò la fronte, gli occhi guardarono attraverso il vetro diviso in quattro dalla croce nera. Un muro grigio riempiva la schermata.

Il maggiore fece schioccare la lingua. “Fuori c’è troppo fumo, non vedo niente. Se dovessero arrivare fino a qui...” Un gruppo d’armata emerse dal muro cinereo. Facce nascoste da maschere antigas, uniformi da paracadutisti fasciate sui corpi, bandiere tedesche cucite sui petti. Fucili e pompe lanciafiamme stretti tra le braccia. Correvano risalendo il pendio, verso la cima del forte. La presa di De Backer allentò. Il maggiore sbatté le palpebre e allontanò lentamente la fronte dal visore del mirino. Un morso di paura gli strinse il cuore. “S-Signorina, forse è più sicuro per lei spostarsi nel bunker sot –”

Si voltò. La mascella cadde spalancata fin quasi a toccare il petto.

Belgio inclinò il fucile e spinse il caricatore nello spazio vuoto rettangolare sotto il corpo. Diede due piccole spinte con il palmo e il caricatore si fissò dentro il fucile con uno schiocco. Belgio soppesò l’arma – la cassetta delle munizioni era scoperchiata vicino alle sue gambe – e strinse il pugno sulla cima della canna, avvitandola fino a sentirne il crack finale.

De Backer fece un balzo e si irrigidì. “Wah! Signorina, che sta –”

“Maggiore De Backer.” Belgio si tolse i capelli dal viso, allungò la mano sotto il corpo del fucile, e lo sollevò su un fianco. L’altra mano agguantava già il calcio che premeva sull’anca. “Non intendo starmene qui mentre il mio popolo sta combattendo.”

“Ma...” De Backer scosse il capo. Si avvicinò di un piccolo passo insicuro. “Ma, signorina, non ha sentito quello che ha detto prima il generale?”

Due forti colpi tuonanti scossero la cupola. Mancò la luce, le lampadine emisero ronzii fischianti, e tornarono a splendere accompagnate da sottili vibrazioni.

De Backer corse al mirino. Inclinò la mitraglia e inquadrò le ombre dei tedeschi che si muovevano lungo il campo. La base della roccaforte avvolta da una barriera di filo spinato occupò l’intero quadrante. Il branco di nemici corse verso il punto libero di terreno da cui emergevano le mura di confine.

De Backer sudò freddo. Due gocce salmastre gli bagnarono la fronte e le guance. “Sono alla base.” Fece un tremolante passo all’indietro, scollandosi dal mirino. Il palmo corse dalla fronte al viso, stropicciò la pelle delle palpebre, delle guance. La mano rimase ferma davanti alla bocca. “Di questo passo la fortezza sarà espugnata.”

I passi di Belgio che correvano lontani lo fecero voltare di nuovo. De Backer scattò in avanti, verso la schiena di Belgio che si tuffava sotto l’architrave e spingeva il portellone blindato con la spalla. De Backer volò davanti alla ragazza, scivolò sulle suole e si piazzò sotto la porta. Spalancò le braccia, tenne i palmi aperti sulle due pareti come stesse sorreggendo l’arco di cemento.

Belgio abbassò la punta del fucile. Tese il collo verso l’alto guardando oltre la spalla di De Backer. Fece due piccoli saltelli.

“Si tolga, maggiore, non c’è tempo.”

“Signorina. Io ho...” De Backer tenne il mento alto, il petto gonfio e le spalle sollevate per sorreggere il peso delle braccia premute alle pareti laterali. Violenti tremori gli attraversavano il corpo, gli facevano vibrare le labbra e le sopracciglia tese. De Backer deglutì. La voce uscì con più forza. “Ho l’ordine di proteggerla e, prima di questo...” Tolse una mano dall’architrave e batté il pugno sul cuore. “Io ho giurato fedeltà e ho promesso di difenderla anche con la mia stessa vita, quando mi sono arruolato.”

Belgio guardò in basso come cercandosi le parole da dire direttamente sulle labbra. Anche lei tremò.

De Backer fece scivolare il pugno dal petto, distese la mano allungando il braccio lungo il fianco, insieme all’altro. Il maggiore si morsicò il labbro, il viso rosso e paonazzo sulle guance riprese a sudare, i piccoli tremori scossero il giovane facendogli scintillare i gradi sulle spalline. De Backer strinse i denti sulla carne del labbro.

“Signorina.”

Belgio sollevò lo sguardo.

De Backer divenne viola sulle guance. Unì i palmi davanti al viso chino e strizzò le palpebre.

“Mi perdoni per quello che sto per fare.”

Belgio ebbe solo tempo di piegare un sopracciglio.

Le mani di De Backer le strapparono il fucile dalle mani, lo scagliarono a terra, contro l’angolo della parete. L’arma rimbalzò sul muro e giacque sul suolo di cemento.

Belgio sobbalzò. “Maggiore, ma che – wah!”

Un braccio la avvolse dietro le spalle, l’altro si abbassò dietro le ginocchia, le sollevò le gambe da terra. Le mani del maggiore la strinsero contro il suo petto. La sistemò con una spinta e Belgio si aggrappò d’istinto alla sua spalla. De Backer la tenne avvolta dietro le spalle e dietro le gambe piegate che la tenevano accoccolata contro il suo busto. Belgio guardò in basso, si strinse di più allacciando le dita dietro il collo di De Backer.

De Backer prese un forte respiro e piroettò verso il corridoio di cemento.

“La farò uscire da qui sana e salva, signorina!”

La strinse contro il suo petto. Respirò ancora, le mani tennero saldo il corpo della ragazza contro il suo, e cominciò a correre. Il rimbombo dei passi si perse nello stretto corridoio della cupola.

 

.

 

L’esplosione li colse alle spalle, l’aria gonfia e vibrante del tuono incandescente soffiò il vento contro la schiena del maggiore, spingendolo in avanti. De Backer strinse le braccia sul corpo di Belgio e la tenne protetta contro di lui. Non smise di correre. Piegò le spalle in avanti per attutire l’onda d’urto e serrò i denti. Il fiato pesante che gli bruciava la gola rimase fermo nel petto, smise di soffiare tra i capelli di Belgio che teneva il capo premuto sul suo petto. De Backer sentiva il suo stesso cuore martellare contro la fronte della ragazza.

Il rumore di una frana coprì quello del ruggito di fuoco. De Backer socchiuse una palpebra bruciante di sudore. Continuò a correre giù dal pendio della roccaforte. Le suole degli scarponi scivolarono sull’erba ancora umida di rugiada, incespicarono su un masso aguzzo che spuntava dal terreno. Il maggiore si piegò in avanti, Belgio allacciò le braccia attorno al suo collo, e lui svoltò dando le spalle alla base del pendio. Se fosse caduto di schiena, Belgio non sarebbe finita schiacciata. De Backer spalancò gli occhi. Un pilastro di fumo si allungò da un foro sulla cupola centrale fino a toccare le nuvole. Il soffitto si sgretolò sul bordo dell’apertura, la bocca di cemento si spalancò, le lingue di fumo nero sbriciolarono i rinforzi d’acciaio che emergevano a spuntoni dal calcestruzzo e lo fecero franare lungo le pareti della cupola per poi schiantarsi al suolo. La puzza di zolfo e di pietra incandescente salì al cielo assieme alla colonna di vapore che trafiggeva il soffitto della cupola.

De Backer tornò a voltarsi di scatto. Chiuse gli occhi, diede una piccola spinta al corpo di Belgio, arpionò le dita sulla stoffa troppo larga della sua uniforme, e accelerò.

“Presto, presto, presto, presto.”

La discesa finì. Il contraccolpo del passaggio al terreno piatto fece sobbalzare entrambi. De Backer smise di respirare. Il fiato stagnava nel petto gonfio, nei muscoli appesantiti dalla fatica e dalle ossa doloranti delle gambe, delle spalle e della schiena. Concentrò tutte le forze brucianti sulle braccia incrociate sul corpo di Belgio e si slanciò oltre l’uscita della cinta verso il canale nord. Il suono dell’acqua del fiume che scorreva parallelo alle mura scrosciò giungendo alle sue orecchie, gli carezzò l’udito come un balsamo dopo il frastuono delle esplosioni.

Tre autocarri posteggiati li attendevano all’estremità del pontile. Un gruppo di uomini in divisa belga correva lungo la riva verticale, quattro di loro scesero dai mezzi trascinando zaini rigonfi che si caricarono sulle spalle. De Backer assottigliò la vista e guardò le spalline delle loro uniformi. Soldati semplici. Ottimo.

Col cuore gonfio di fatica e il fiato che graffiava la gola, De Backer raggiunse lo sportello di un autocarro lasciato aperto. Piegò le spalle senza fermare la corsa e scaraventò Belgio sul sedile posteriore. La ragazza cadde di schiena, si tenne aggrappata ai guanciali restando sollevata, facendo leva sulle spalle.

De Backer si appese al tettuccio dell’autocarro. Le ginocchia cedettero, le dita agganciate come uncini alla parte superiore dello sportello tremavano, trattenevano tutto il peso dell’uomo. Respirava a grandi boccate. La sagoma nera del maggiore, contornata dalla luce del cielo annuvolato, oscurava l’abitacolo del mezzo.

Dei piedi in corsa fecero vibrare il terreno. Le ombre di due soldati si avvicinarono alle spalle di De Backer, reggendo i fucili contro il petto. Sulla manica dell’uniforme era rattoppata la bandiera belga. Uno di loro aprì la bocca da sotto l’ombra dell’elmetto, ma non spiccicò parola. De Backer parlò senza voltarsi. Fiato corto e arrochito.

“Portatela via.”

Il soldato che aveva aperto la bocca abbassò la punta del fucile. Sollevò un sopracciglio e il labbro inferiore tremò. “Come?”

Belgio sussultò. Si piegò in avanti e si sporse verso il maggiore, affondando le ginocchia nel sedile.

De Backer si tolse da davanti lo sportello. Inspirò a fondo, la schiena voltata verso Belgio si irrigidì, fece ancora più ombra all’interno dell’autocarro. Il maggiore giunse le mani dietro la schiena e allargò le gambe, gli occhi puntarono i due soldati che si erano fermati, premettero sui loro sguardi.

“Portatela a Bruxelles prima che l’intera fortezza sia distrutta.” De Backer stese un braccio sopra il tetto dell’autocarro e indicò l’altra sponda del fiume. Qualcos’altro esplose dalle pendici della fortezza. “Passate per il canale nord, attraversate il fiume e andatevene prima che blocchino anche quello.” Riprese fiato. Il viso impallidito dalla fatica, madido di sudore che teneva i capelli incollati alla fronte, brillava sotto la tenue luce solare. De Backer scosse la testa. “Ormai non possiamo più fare niente se non metterla in salvo.”

I due soldati si guardarono. Impennarono i fucili lungo i fianchi, giunsero le gambe battendo i talloni a terra. Uno di loro guardò le bende dei gradi sulle spalline di De Backer e annuì. Si irrigidirono entrambi.

“Sissignore.”

De Backer ricambiò il gesto. Un piccolo sorriso fiorì sulle labbra ancora tremanti, secche, e senza fiato. Si spostò dallo sportello spalancato indicandolo a uno di loro con un cenno del capo. L’altro soldato corse al posto di guida.

Un rapido richiamo squillò nell’aria, facendo voltare De Backer.

“Maggiore, aspetti.”

De Backer piroettò nuovamente verso l’autocarro. Il soldato non era ancora salito sui sedili posteriori, il portellone era aperto, la mano di Belgio lo teneva spalancato sotto la sua presa. Belgio si spinse sulle ginocchia, il buio dell’abitacolo scivolò giù dal viso impolverato, i capelli scompigliati e il nastro disfatto fluirono davanti a un occhio e su un angolo della bocca. Belgio gli sorrise. Piegò il gomito del braccio libero e batté il saluto sulla fronte. Lo sguardo brillava anche senza la luce del sole.

“Sono fiera di avere soldati coraggiosi come lei nel mio esercito.”

Gli occhi annacquati di De Backer traballarono. Sentì il cuore sciogliersi come burro fuso, intiepidirgli il petto indolenzito dalla corsa, e rilassargli i muscoli. Le spalle di De Backer tornarono a tremare, il maggiore strizzò le palpebre per nascondere gli occhi lucidi di commozione e ricambiò il saluto.

“Resti salva, signorina.” Si rivolse al soldato ancora fuori dall’auto e alzò la voce. “Andate!”

L’uomo annuì. Belgio arretrò per farlo passare e il soldato richiuse lo sportello facendo traballare l’intero mezzo. Il motore rombò, un fiotto di gas di scarico plumbeo eruttò dalla marmitta gonfiano una nuvola nera. L’autocarro sgommò, sterzò verso l’uscita del canale sollevando piccoli schizzi di terra e ghiaia. Il motore ruggì di nuovo, l’auto accelerò e svanì davanti agli occhi di De Backer, il suono delle ruote che macinavano il terreno sempre più fioco e distante.

De Backer emise un sospiro di sollievo. Le spalle si rilassarono, le gambe piegate traballarono per un istante. Il maggiore sollevò le mani e si guardò i palmi che ancora tremavano. Un respiro d’orgoglio gli tinse le guance di rosso, piegò le labbra in un sorrisetto sbilenco, e fece luccicare gli occhi.

Wow, è la prima volta che do ordini a qualcuno!

De Backer emise un piccolo risolino che gli fece vibrare il cuore gonfio e caldo, che bruciava nel petto.

Scosse il capo, sciacquò via dal viso l’espressione rintontita e si voltò di scatto verso la roccaforte. Le colonne di fumo continuavano a gonfiarsi e a levitare, unendosi alle nubi del cielo, gli echi delle esplosioni, delle frane e delle fucilate si propagavano dai nuvoloni come rimbombi di temporale.

Il maggiore aggrottò la fronte.

Arrivo, generale!

Allentò il colletto della giacca sotto la gola, fece passare aria sul corpo accaldato, e risalì il forte.

 

.

 

Belgio si accasciò contro l’imbottitura del sedile che sprofondò sotto il suo peso. Abbassò le palpebre, esalò un profondo sospiro assorbendo tutti gli odori dell’abitacolo. La pelle consumata dei sedili, il cuoio degli stivali, il ferro, il sudore e il carburante. Le vibrazioni dell’autocarro in corsa si arrampicavano lungo la spina dorsale, massaggiandole la schiena e le spalle. Belgio si tolse i capelli dal viso, asciugò la fronte con la manica della giacca e piegò il capo di lato, toccando il finestrino con la fronte. Era freddo, e le rinfrescò la pelle.

“Ora è al sicuro, signora,” disse il soldato seduto accanto a lei.

Belgio socchiuse un occhio, sollevò lo sguardo verso l’uomo ma lui non ricambiò. Gli occhi fermi sul parabrezza di fronte a loro, un po’ in soggezione, irrigidivano le pieghe del viso già teso. Il soldato deglutì, diede un piccolo colpo di tosse, e intensificò il tono di voce.

“Evitare i tedeschi non sarà facile, ma le prometto che arriverà a Bruxelles sana e salva.”

Belgio annuì. Si strinse nelle spalle e si accoccolò contro il sedile. La luce che passava dal finestrino le intiepidiva le guance. Belgio si sporse di più premendo il palmo e la guancia sul vetro, e guardò all’indietro. Eben-Emael era già scomparsa dietro il bosco, e un soffio di tristezza le strinse il cuore.

“Ah, quasi dimenticavo.” La voce del soldato alla guida la fece sobbalzare.

L’uomo tenne le mani sul volante, piegò di poco lo sguardo all’indietro inclinando il collo sullo schienale del sedile.

“Le autorità olandesi ci tengono a farle sapere che...”

A Belgio mancò il fiato. Si strinse il cuore che aveva smesso di battere, le vibrazioni dell’auto cessarono, l’abitacolo divenne freddo e buio, il sangue gelido fermo nelle vene, il corpicino tremante come una foglia al vento. Un velo appannato si stese davanti agli occhi. Belgio inquadrò il viso del soldato, ma vide solo le sue labbra sfocate che si muovevano.

“Lui è salvo, signora.”

Belgio sgranò gli occhi. Le vibrazioni che scuotevano l’auto e la luce che entrava dai finestrini tornarono ad avvolgerla. Il macigno che premeva sul petto si sbriciolò in una pioggia di sabbia, il sangue riprese a fluire, scaldò il cuore, i battiti pulsarono lenti e profondi. Il viso riprese colore. Le labbra impallidite arrossirono e si inarcarono in un flebile e incredulo sorriso. Gli occhi brillavano.

“Il territorio è sotto occupazione, e per il momento non possiamo farvi incontrare per la sicurezza di entrambi.” Il soldato tornò a guardare la strada. Le mani strinsero forte sul volante e lui annuì con decisione. “Ma sta bene.”

Belgio sospirò. “Oh.” Lasciò che il fiato uscisse lento, che svuotasse la tensione che gravava sul petto. Premette un palmo sulle labbra, guardandosi le ginocchia piegate. “Meno male.” Solo quando il dorso della mano divenne umido di lacrime, si accorse che stava piangendo. Belgio non le trattene e sbatté le palpebre lasciandole fluire sulle guance, sulla mano, e fino al polso. Rise a singhiozzi. Passò la manica della giacca ad asciugare il viso lucido. “Grazie al cielo.”

Abbassò la mano, le dita umide tastarono il rigonfiamento nella tasca dei pantaloni e Belgio smise di colpo di piangere. Sbatté le palpebre e una luce di stupore le attraversò lo sguardo. “Oh, ma questo...” Infilò la mano nella tasca e i polpastrelli sfregarono contro un rilievo intrecciato, cucito agli strati di stoffa piegati a quadrato. Belgio sfilò il fazzoletto dai pantaloni e lo voltò sul palmo, carezzò le cuciture blu sui contorni, fece correre il tocco sull’angolo in basso a sinistra e sfiorò le iniziali incise sulla stoffa bianca. N.D.B. “Ho ancora il fazzoletto del maggiore,” disse con un sospiro di sorpresa.

Belgio lo chiuse con un gesto delicato tra i palmi e lo infilò di nuovo nella tasca. Tornò ad appoggiare le spalle allo schienale imbottito che odorava di pelle vecchia, e si chinò verso il finestrino. La tenue luce che passava tra gli alberi e batteva piano sul finestrino le asciugò le lacrime dal viso. Belgio sorrise, poggiò la mano e la fronte sul vetro, guardando il paesaggio che scorreva dietro di loro.

Quando le truppe rientreranno glielo restituirò di persona. E poi lo inviterò a fare merenda con i waffle tutti insieme. Chiuse le palpebre e inspirò a fondo. Il corpo rilassato si abbandonò alle vibrazioni che la cullavano e al calore dell’auto che la teneva stretta in un morbido abbraccio. Quel ragazzo è fin troppo serio per la sua età.


 

   
 
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