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Autore: Blacket    01/03/2015    7 recensioni
[...]Rompendo la monotonia del chiacchiericcio provinciale, un ragazzo bruno si fece avanti- nella sua acuta provocazione, i suoi gesti ed il suo fare chiedevano luce ed attenzioni. Era sicurezza e genuina gloria quella di cui si vestiva, e nel suo passo fluido si ricalcava il superiore condottiero.
Fu vicino ad Ariovisto, ed il suo fiato sapeva d’oro.
-Visto da lontano, somigliavi ad una donna.- scherno, mostrò i denti felini con un sorriso accomodante, lo scrutò da sotto i ricci scuri- mostrandosi poi incredibilmente padrone delle proprie parole, sfiorò incauto i suoi capelli biondi. [...]
|Audace AU in un minestrone di antichi. OC!Gallia, OC!Aestii, OC!Scandinavia, OC!Celt, OC!Britannia|AU- start 1755, Torino|
Genere: Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Antica Grecia, Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tempo antico 3

"Così giovane, così sciocco."





-Avanti, mangia!-
Connell diede sfogo a quella sua voce rauca e sporca di un terribile accento tedesco. La fece scandire secca ed asciutta, e ribollente fra le pareti strette della taverna, illuminata prepotentemente dal chiacchiericcio insistente dei clienti, ridondante nella sua effettiva modestia.
Vi era uno sciabordio continuo di pinte piene, e le risate gonfie di stanchezza e sudore- sedevano operai unti dal ferro e la fatica, dalle mani callose e grandi e stanche.
Ariovisto non apprezzava il rumore insistente, ma il silente senso di comunanza che derivava dalle vesti, dai modi, lo tranquillizzava e chetava come un animale selvatico oramai domato.
-Signorina, non ho intenzione di aspettare che quella faccia fessa rinsavisca, mangia.- tirò da parte di capelli folti e rossi, ponendo poi una mano sulla barba che già iniziava a crescere, tempestando il volto d’una peluria purpurea, -Come mai sei finito a Torino, poi?-
Sul bollore continuo delle voci altrui, il giovane biondo prese a mangiare, osservando con diffidenza il suo compagno.
Eppure non si lamentò come dovuto, non fece intendere la sua rabbia e la sua stizza, in quanto la polenta e la carne lasciata nel piatto davanti a sé catturavano con ferocia la sua attenzione- affamato ed in un certo senso riconoscente, dimenticò gli spifferi freddi che sgusciavano maligni da sotto i vetri, ed il legno dei tavoli dall’odore alcolico, il volto spigoloso di Connell che lo osservava soddisfatto.
Fra le luci dorate e opache del posto, Ariovisto approfittò di quella magra consolazione alla sua becera condizione, che nemmeno tentava di accettare- oh!, ragazzo impudente e selvaggio, sopravvive solo il cauto che scaccia l’infido orgoglio e si adatta volgendo la mala sorte ai suoi affari, non certo la tua rabbia.
Connell fiutava silente l’anima ribelle del biondo, e si compiaceva, sornione, di aver trovato un altro individuo tanto impudente e cocciuto. Sebbene più giovane di lui, Ariovisto gli somigliava nello schietto modo di mangiare e riempirsi la bocca con fretta, quasi a voler impedire al cibo di fuggire, poiché vi era un solo tipo di fame che portava a quell’esasperazione.
Insoddisfazione.
-Hai proprio capelli da donna. Come il culo, del resto.-
Il tedesco tossì più volte, spaventato dall’affermazione così grezza e dura, tremenda perché fatta scivolare in modo naturale dalle labbra del rosso, tranquillo e curioso nell’osservare il rossore prorompente delle guance di Ariovisto: è ancora troppo inesperto ed altalenante per poter nascondere l’imbarazzo sotto uno sguardo carico d’odio.
Dopo la tosse dalla sua gola uscì un ringhio infastidito, uno sguardo tagliente quanto la brina serale, ora umida ed aggrappata alle inferiate legnose, grattava sulla pelle, la penetrava con indiscrezione.
Per quanto fosse animato da insano fastidio, Ariovisto apprezzava il latitante silenzio dell’altro, impegnato a fischiettare una vecchia giga dai toni opachi ed imprecisi- non vi era necessario ausilio di parole, tanto di gesti o di inutile sproloquiare, ambi apprezzavano il silenzio oltre il rumore soporifero del luogo, gli odori acri e pungenti, i chiari scuri stilettati sulle pareti dalle poche luci.
Il giovane vide, fra i ricordi mutevoli e foschi, le osterie appollaiate nei pressi della Schwartzwald, che più lontana ululava il suo mistero e la sua potenza.
Era scura e violenta, sfidava la volta scura con le sagome appuntite dei cipressi e i pini, dirimpetti , precisi soldati di guardia. Volle ricordare ancora l’odore di muschio e bagnato, il tempo lontano nel quale lui e Diederik si allenavano con un paio di spade di legno, complici di desideri e speranze molto simili- immersi in una semplicità genuina e felice.
E d’improvviso, le memorie si fecero più violente e fastidiose, atte ad incorniciare il muso appagato di Lucio, che giorni prima lo aveva sconfitto dopo poche stoccate. Aveva mostrato le fauci in un sorriso, sorprendendolo impacciato persino dove credeva d’eccellere, facendo poi leva su una bontà che Ariovisto disgustava.
Non la comprendeva, e per questo non la assaporava con la stessa attenzione con cui lo faceva Lucio.
Ricordò poi i ricci scuri, i gesti semplici e calorosi.
S’innervosì.
-Ah, domani hai da fare la biblioteca. – Connell lo riscosse battendo una mano sul tavolo, annuncio palese della sua stanchezza e malavoglia, minaccioso a vedersi se incorniciato dalla ribelle chioma rossa, sorretto dalla sua vertiginosa altezza nonostante l’età tutto sommato giovane.
Ed era ancor più estraneo ed escluso, il suo aspetto strinava dolorosamente se confrontato con quello di chiunque altro.
-Biondina, muoviti.-

Le notti scorrono su basi disarmoniche e fredde, l’Accademia ne respira comunque le esalazioni stanche.
L’aria è livida e bruna, si affaccia scura sul novembre a venire, più rigido ed umido del previsto- la luna culla docile l’edificio, ne accarezza le membra molli, sorride fra la nebbia spessa e traditrice, presente in eugual misura nei sogni turbolenti e negli spasmi di un ragazzino malinconico; la falce sussurra, convinta, che domani si vedrà di nuovo il sole.


Per un intorno frenetico vi è un punto statico, e viceversa.
Così si combatteva, fra rovi pungenti e radici spinose; così si danzava nella lotta, più con la pancia che con la logica.
Ariovisto aveva fatto suo il precetto, e viveva con la stessa volontà con cui scendeva sul campo bellico; istinto fugace e diffidenza, lui punto fermo e silente, attorno grida e polvere devastanti- e sebbene il binomio fosse incredibilmente semplice, gli occhi verdi del ragazzo indugiano sorpresi su una quantità memorabile di tomi, carta, giunture in ferro e pelle spessa, e poi rotoli più ampi e scaffali ripieni quanto un tacchino nelle più gaie festività; incredibile odore di polvere e silenzio.
Il biondo osservava con cura lo sconosciuto ed il nuovo, avanzò  come un esploratore nelle foreste cariche di fronde e piene di frutti esotici. Lo sguardo si posò insicuro sugli scaffali ampi, i tavoli cosparsi di pergamene particolari, serbate per studi altrettanto inusuali.
Fu un momento di totale spaesamento ed apprensione- poiché posto la solitudine e la totale ignoranza culturale, il libro non poneva giudizio sulle mani di chi lo afferrava, che fossero rozze o gentili o distratte e si lasciava aprire senza remore, conscio della portata del suo sapere.
Conoscenza proibita ad Ariovisto, osservata con languore da lontano e nulla più. Era un neonato nel vasto mondo del sapere, e tale probabilmente sarebbe rimasto.
Il giovane sfilò i libri per poi impilarli al suo fianco, e ne tastò curioso le fattezze e la consistenza, riservò per loro carezze rozze ma aride: non poteva apprezzarne il contenuto, le parole, il messaggio. Eppure vi era pace, circondato dal silenzio e la luce tremolante di una giornata ibrida, appena iniziata.
-Non è il tuo posto, questo.-
Ariovisto s’irrigidì in modo secco, respirò piano captando la voce milleflua di Lucio, seduto poco più in là, in mano un enorme tomo scuro. Era rimasto mobile e guardingo, felino, osservando ridacchiando l’intimità fra il biondo, il suo sfidante, e la biblioteca.
La figura del tedesco era livida e immobile, concentrata sugli occhi della fiera inannzi a lui. Oltre la rabbia ed il rancore, aveva desiderato scontrarsi con lo sguardo ambrato dell’altro per poterci trovare un’occasione buona e prospera, ed il suo orgoglio fremeva per ottenerla.
Lo sguardo si fece tagliente, tanto che un osservatore acuto come Lucio avrebbe potuto accoglierlo direttamente come una sfida, mentre pensava ed analizzava, la mano destra ad accarezzare la barba curata.
Lucio era abile imperatore della sua persona ed i suoi gesti, colpiva con lo sguardo potente la sua preda, la incatenava a sé col suo sorriso.
-Ariovisto, giusto?- si alzò con calma, ostentando il suo portamento deciso e padrone, avvicinandosi all’altro con cautela, impegnato ad imitare il cacciatore che spera di non far fuggire la preda, entrando con discrezione nel suo spazio personale.
-Che vuoi?- il biondo bisbigliò, indeciso, senza però essere ascoltato; Lucio teneva ora in mano il suo libro, lo rigirava e curava curioso, ridendo ancora.
-Erbologia alchemica. Ti interessano le piante? Peccato sia in francese.- rigirò distratto l’oggetto fra le mani, prima di posarlo e concentrare l’attenzione sul biondo, ancora rosso e frastornato, umiliato nel suo io più profondo. Non conosceva altre lingue, Ariovisto, ed era quella una limitazione terribile oltre che sfavorevole- ed il romano giocava sulle sue sventure, insisteva nel vedere in difficoltà il più giovane, ne assaporava l’imbarazzo e la rabbia, uniche espressioni che senza remore mostrava.
Lucio sorrise di nuovo, distogliendo il suo fastidioso sguardo dal ragazzo e posandolo lieve sull’ambiente.
-Amico mio! Ti insegnerò a parlare francese e italiano, se questo può rassicurarti.- Ariovisto lo guardò stranito, incapace di ribattere a tanta incredibile spavalderia, quale l’utilizzo improprio della parola “amico”, quella forzata apertura e calore che lo spaventavano terribilmente- ore gli occhi chiari squadrano il capo riccioluto dell’altro, colgono lo sbuffo ilare in seguito alla sua reazione.
-Tu, in cambio, la pianterai di essere così ostile. Anche le bestie più selvagge possono essere domate, sai?-
Rosso, il viso del biondo, una rabbia ed orgoglio crescenti che ruggivano e latravano d’essere liberati, contenuti a stento dai lineamenti già duri di un ragazzino.
L’idea suadente di conoscere e portarlo ad un livellamento istantaneo con gli altri lo rinfrancava, eppure il mezzo della sua riuscita lo faceva desistere e digrignare i denti. Un mezzo spiacevole, incredibilmente facile da incontrare: così diverso, colorati di ori e fuoco, pareva lo cercasse e stanasse, pregiudicando la sua pace. Agì d’istinto, cocciuto, com’era abituato a fare.
-Nein.-
Non vi era rapporto alcuno che facesse intuire un loro legame o amicizia, ma il romano pareva costretto a fargli credere il contrario.
Fece per voltarsi, ma la presa autorevole di quel fastidioso lupo si serrò sul polso, fermandolo. Nonostante il gesto semplice, l’unica arma che Lucio stava utilizzando per catturare la sua attenzione era lo sguardo severo ed acuto- antico, sibilante, temibile.
I ricci solleticavano il volto espressivo, tradendo della pacifica preoccupazione. Eppure il polso di Ariovisto scottava, bruciava sotto quel contatto indesiderato, formicolava impietoso e distruttivo, un disagio sia mentale che fisico.
-Non sopravviveresti  senza saperti esprimere.-
Lucio si avvicinò sinuoso, lasciandolo intuendo il fastidio crescente per poi posizionarsi a poco da lui, attendendo una qualche reazione. Utilizzava la sua statura per darsi autorità, per dominare e non farsi dominare, ed Ariovisto inconsciamente lo comprese.
Osservò gli occhi bruni, il sorriso e gli intenti benevoli, e volle scrollarseli di dosso velocemente, timoroso di quella vicinanza soffocante.
Infine il lupo rise, un suono ricco e spontaneo, mentre scostò i capelli ribelli.
- Puzzi di muschio.-


Vide Diederik dopo tempo, il cuore si mosse dolcemente verso lui- lui che era casa, una pacca confortante sulla schiena, un silenzio cercato quanto benevolo.
Ne vide gli occhi, illuminati e grigi, il sorriso vibrante, sincero, desiderato da Ariovisto. Le fatiche lo lasciarono per poco, scambiate veloci con un senso di sicurezza estrema, di un odore pungente di casa.
-Ariovisto, che ne dici se ti propongo per l’allenamento?-
Il sorriso continuò ad alimentarsi, speranzoso, sicuro di essere accompagnato da un piano più grande e sinceramente migliore. Incontrò noncurante il volto rilassato del più giovane, che ancora scalciava nella sua scomoda posizione, e chiedeva più spazio.
Nella piccola stanza fu solo silenzio e muffa, prima d’un lieve sorriso fiducioso.
-Va bene, ‘Erik.-











Ringraziamenti dovuti:

Grazie! Grazie al lettore giunto alla fine del capitolo. Grazie per aver dato attenzione alla fic, per aver proseguito- e forse, per esserti fatto un'idea di quello che è.
Proseguo, a volte, indecisa, e nel caso vi fossero consigli di qualsiasi tipo non esitare a farmeli sapere, a dire la tua in qualche modo.
Ricordo ancora che il personaggio ci Connell (nome che io ho scelto) è di Kochei e della sua splendida arte.
Grazie ancora a Adeline_Mad, Aranciata_, Il_Signore_di, GrandeMadreRussia, McBlebber, H2o, Cosmopolita per aver recensito!
A poi, auguro una buona settimana a tutti!
Blacket
  
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