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Autore: Night_    02/03/2015    1 recensioni
Il calare soffice dei fiocchi di neve, avvolgente e caldo, era passato in secondo piano. Ecco che tutto attorno a loro era diventato uno sfondo senza valore, anche se era di una bellezza luccicante, con le luci natalizie brillanti nella notte – con il passeggiare lento delle persone.
Tutto era diventato immobile o rallentato, mentre finalmente si avvicinarono.
Le loro labbra si toccarono.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non posso dire cos'è giusto, ma posso almeno pensarlo?

Yuki.

 

 

 

 

 

 

 

La loro perfezione diventava un imperfezione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"La coppia perfetta".
Da un po' di tempo a quella parte, era questo il soprannome che veniva bisbigliato e invocato lungo i corridoi scolastici, la terrazza, il grande giardino dietro all'edificio, al cancello. A momenti veniva spifferato anche nei bagni – non sarebbe stato molto igienico. Una mano a coprire la propria bocca, ardivano sussurri: «Eccoli, che belli! "La coppia perfetta"!».
Lui: un enigma silenzioso quanto affascinante.
Lei: una Regina incrollabile bella come la luna.
Insomma, agli occhi altrui apparivano sul serio come una coppia- particolare, sicuramente, ma soprattutto avvenente e indistruttibile, perfetta, appunto – come lo sguardo dell'albina. Che, a dire il vero, da quando era cominciato quel tormentone era più inclinato per il... "furioso".
«Se non chiudono quei dannati forni, un bel giorno... », ringhiava, un braccio mollato pigramente sul banco e l'altro sulle gambe accavallate e lo sguardo più torto che potesse mostrare – non molto carino.
Ma sia Takeshi che Sayumi erano abituati a quei occhi spesso arrabbiati col mondo o con gli altri e scrutavano, analizzavano, scoprivano – puntavano come falchi. E i due, il primo appoggiato al lato del banco di Yuki e la seconda seduta affianco, sorridevano placidi. «Credo che questa sarebbe l'unica scusa che ti porterebbe a lasciare Takeshi», diceva Yumi, inarcando un sopracciglio e guardando in direzione del moro – lui aggrottò la fronte.
«"Non lo lascerei per nessun motivo al mondo"», disse. «"Non dire idiozie". Ecco, Yumi, dovresti ascoltare cosa ti dice la tua amica falco».
Sayumi scoppiò allegramente a ridere, reclinando il capo indietro.
«Un genocidio organizzato in fretta e furia dovrebbe andare bene comunque», diceva intanto Yuki, una mano al mento e realmente seria. «Non credo che Adolf me ne farebbe una colpa... ».
«Tra colleghi ci si capisce», disse Takeshi, alzando lo sguardo verso la porta scorrevole che venne aperta con grinta; una donna entrava, trafelata, con imbraccio un libro e qualche scheda, qualche foglio – sospirò pesantemente. «Ehi. E' arrivato un tornado».
Le iridi turchine di Yumi si spostarono rapidamente dalla porta – e dalla donna, disinteressata – a Takeshi, seguendo attentamente i suoi lineamenti; la chioma scarmigliata, che gli copriva la fronte e cadeva confusa persino un poco sul naso, dalla linea dritta, e le labbra vermiglie incurvate in un leggero e spensierato sorriso – l'opera d'arte su una scultura. Più lo guardava, più si rendeva conto di quanto fosse bello.
In contemporanea, ricordava che lui e la sua migliore amica si erano fidanzati una settimana prima – aveva provato una strana sensazione. Non tristezza, non gelosia.
«Dovresti tornare in classe», era meglio mettersi a parlare, quando cominciava a riaffondare. «Già fai abbastanza schifo, con i voti, almeno con la condotta... ! Forza, pussa via!».
«Ehi», sbottò lui, aggrottando la fronte e gettandole un'occhiata a metà fra l'indignato e il consapevole – già.
«Non ha tutti i torti», Yuki ridacchiò appena – poi lo guardò con occhi gentili.
Sayumi era un po' colpita da quello sguardo così amabile. Non le aveva mai visto addosso un'aria simile. Ne era felice, davvero
Ma con una strana sensazione che non voleva tardare ad insidiarsi.

 

 


 

***

 

 

 

«Sbaglio o è la prima volta che torniamo a casa insieme da... ?».
Takeshi non finì la frase, lasciando intendere all'albina il significato nascosto, ma piuttosto palese – un sopracciglio alzato. Lei non rispose, con la bocca sigillata e lo stupore in viso, mentre spostava le iridi ambra da lui alla strada che li avrebbe portati davanti a quella enorme, mastodontica – inutilmente – casa.
Come sempre, Takeshi non si sentiva a suo agio a chiamare un edificio simile "casa" ma... a parte questo particolare, Yuki pensava che il moro avesse piuttosto ragione; un po' perché, all'inizio della prima settimana – che stavano insieme – lei si sentiva ambiguamente schiva, un po' perché Takeshi era stato trattenuto un paio di volte a scuola, dai professori, per... motivi.
Oh, beh.
Di certo il tempo non gli mancava, a quei due, non sarebbe mai mancato. «E' vero. E' la prima volta», concordò lei, arcuando la bocca in un sorriso leggero, languido. Si sentiva un po' languida, lei.
«Posso farti una domanda?», disse lui.
«Hm, dipende. Le tue domande sono sconvenienti».
«Oh, forse – forse lo sarà».
«Allora no, grazie». Yuki e Takeshi si girarono, nello stesso attimo, per guardarsi in viso con espressioni divertite, consapevoli che molte delle loro conversazioni avrebbero preso questa piega così buffa ma screziata d'intesa – nel profondo, però, l'albina aveva dei sospetti sulla domanda. Solo che non voleva pensarci, non voleva provare a cercare una risposta. Sapeva cosa le avrebbe chiesto.
Il leggero venticello, intanto, non tardava ad arrivare, sempre più caldo mentre i giorni proseguivano e l'estate si faceva spazio tra la primavera, prepotente e afosa; la mezzosangue si era sempre ritenuta fortunata della seconda natura da vampira che non permetteva al suo corpo di sentire il caldo in maniera normale. Lo avvertiva appena appena, così come il freddo. Ah, a volte non era male per niente!
Con le ombre prodotte dalle chiome smeraldo, ondeggianti sopra le loro teste, continuavano a camminare, lenti e rilassati, lasciandosi cullare dalla temperatura più mite del pomeriggio mentre, all'orizzonte, l'enorme sfera arancio si nascondeva timidamente – mancava pochissimo alle porte di legno mogano.
Anche troppo poco. Ecco, quella bestia del tempo sembrava deciso a prendersi gioco di loro; proprio quando lei aveva pensato che non sarebbe mancato, ecco, stava scivolando via, man mano che avanzavano. Quasi quasi, sarebbe tornata indietro.
«... Yuki- ehi!», la voce di Takeshi la scombussolò – e si fermò, in tempo per non andare in contro alle porte. «Siamo arrivati. O vuoi passarci attraverso?».
La mezzosangue fece un piccolo passo indietro, storcendo la bocca e aggrottando gravemente la fronte, un solco a formarsi fra le sopracciglia – e sbuffò, sonoramente. «Hm. Vedo».
«Qualcosa-», ed ecco che la bocca, carnosa e rosea, di quel ragazzo si incurvava allegramente, con i denti lindi in bella vista, quasi vanitosi. «Ah... ti manco già?».
Puff!, il viso niveo di Yuki faceva pendant col fiocco cremisi che pendeva all'altezza del petto. Ci aveva azzeccato. Diavolo, se l'aveva fatto – le leggeva nel pensiero o cosa? Si sentiva fin troppo scoperta mentre, con gli occhi un po' bassi, vide i suoi piedi muoversi e toccare le punte dei propri – sollevò lo sguardo di scatto, bordeaux.
Nel pallone.
«Non ti crucciare», lo sentì sussurrare, contro il suo viso. Le sue braccia si avvicinavano, le cingevano elegantemente la vita. Avrebbe aggiunto qualcos'altro, ma ormai, la sua attenzione era focalizzata sulle guance che non volevano smettere di prendere colore e... sulle sottili labbra socchiuse. Sembravano aspettare di essere accolte, amate.
Ah, erano davvero... troppo.
La guardò diritto nelle pupille. Percepiva sul mento, sul collo, il suo respiro freddo e inumano, ma così piacevole e stranamente rinfrescante – chiuse lentamente le palpebre e si sporse verso di lei. Piano, con attenzione, mentre l'aria intorno a loro sembrava già carica di elettricità statica, irradiante.
Lo voglio anch'io, pensava lei, ma... mi scoppia il cuore!
E intanto il tempo pareva essere rallentato, coma la bobina di un film che veniva analizzato, in ogni sua piccola parte – granelli di polvere immobilizzati e mezz'aria.
Takeshi, urlavano i suoi pensieri, aspetta-
E se gli avesse esposto i propri pensieri, i propri desideri? Invece di sentirsi incrociare gli occhi a causa di quella meravigliosa e distruttiva vicinanza che, docilmente, produceva un'ombra sul viso di lei.
Forse... forse doveva solo... spingerlo via; le mani che si erano prima posate con delicatezza sul suo petto, premettero improvvisamente, con violenza, e lo allontanarono di un metro.
In quello stesso istante, l'anta sinistra delle porte si aprì lentamente.
Un bel quadretto, non c'era che dire; un avvenente ragazzo di, probabilmente, diciassette anni, con un espressione che dire confusa era un eufemismo – con tanto di sopracciglia alte, altissime –, una ragazza albina della medesima età, con i bollori che avvampavano nel suo corpo in ogni dove, e le braccia incrociate dietro la schiena – infine, un uomo. Sembrava sulla quarantina, con i suoi occhi gelidi color bordeaux, la bocca sottile e rigida e i capelli argentei, tirati indietro in modo ordinatissimo e composto. In abiti piuttosto eleganti: un gilet che fasciava il torso altrettanto stabile, con una camicia bianca sottostante e un paio di pantaloni neri.
Un incredibile e bellissimo uomo.
«... », Yuki lo guardava con occhi strani; come se lei fosse diventata una turista ignorante e stesse guardando una scultura con dieci braccia – beh, non aveva senso. «Tadaima*».
Takeshi li teneva d'occhio. Avevano qualcosa di assolutamente somigliante, l'un l'altra. Probabilmente, era lo sguardo che sembrava disperatamente desideroso di strapparti le carni e farcirne poi la bocca, per mettere a tacere. Okay, stava esagerando.
Però, insomma, la luce era la stessa: fiera, orgogliosa, fredda, indistruttibile – ma all'uomo mancava l'ironia della mezzosangue.
Non ci voleva un genio per capire il loro legame, già – padre e figlia.
«Vedo», fece l'uomo.
Takeshi sollevò ancora di più le sopracciglia scure, talmente tanto che a momenti avrebbe sfiorato l'attaccatura dei capelli. Wow. Quanto sentimento, quanta gentilezza: oltretutto, avrebbe dovuto rispondere in un altro modo. Insomma, era una tradizione giapponese – il ragazzo si passò la lingua fra le labbra.
Le sentiva bruciare come tizzoni ardenti e, solo per questo, si rese conto di averle morse parecchio.
«Entra», disse l'uomo – poi, dalla figlia, passò a Takeshi. E che diamine! Era peggio di essere in tribunale a proteggersi dall'accusa di magnificenza esagerata! Solo che, in quel caso, lui non aveva nessuna accusa, nessuna colpa.
A parte, forse, quella di trovarsi nel posto sbagliato: non c'erano momenti sbagliati. Da quei occhi tinti di rosso oscuro e la loro luce infrangibile, aveva capito all'istante che per quell'uomo lui non avrebbe dovuto trovarsi lì – mai.
«Se il mondo starà per precipitare», sbottò Yuki. «In quel caso, prenderò in considerazione l'idea di seguire le tue stup--- ehi! Ehi, sto parlando con te! Dannazione!». Con furia repressa – strano! – scalciò la terra, sotto i suoi piedi, sollevando una leggera coltre di polvere – schioccò un'occhiata alla sua figura, mentre rientrava.
Era sempre così... prendendo un respiro profondo, e poi espirando, ruotò i piedi verso il moro. Lo spettatore.
Indugiò. Adesso lui aveva assunto un espressione che esigeva delle spiegazioni, quanto meno decenti. Era stato respinto con uno spintone per niente delicato, aveva ragione.
«Scusami», borbottò lei. «Avevo sentito i suoi passi. Immagino tu abbia capito chi sia».
«Immagini bene», disse l'altro. «E'... particolare», si fermò per poter incrociare le braccia al petto, la valigetta che pendeva dalle dita della mano più esterna. «Ti somiglia molto».
Yuki aprì la bocca – la richiuse subito dopo.
Lo guardò.
Aggrottò la fronte.
«... ciao, Takeshi, ci vediamo domani».

 

 

 

 

***

 

 

 

Solo dopo che ebbe avuto la certezza che lui stesse avviandosi, facendo a ritroso per quella strada insidiata nel verde, si decise ad entrare. Lenta, con grossi sospironi e un diavolo per capello.
Somigliarsi? Lei? Con lui?
Ma non diciamo fesserie!, pensò, non per vantarmi, ma sono decisamente meglio di lui. Sono più gentile. E affettuosa. ... okay, ora ho detto una balla.
Inutile dire che, dentro di sé, lei si trovava molto d'accordo con il ragazzo perché, per quanto ne sapeva, era nel gene della famiglia del padre somigliarsi in modo incredibile. Ed essere più freddi di un surgelato scaduto – dimenticato nel freezer.
Mentre faceva per avviarsi in camera sua, dove probabilmente avrebbe rotto qualche mobile, vide la figura del padre in cima alle scale che la guardava, eloquente, palesemente desideroso di parlarle.
«Complimenti», ringhiò Yuki. «Hai proprio la gentilezza – o l'ospitalità? – di un uomo delle caverne. Vuoi anche una clava, visto che ci siamo?». L'uomo non si scompose minimamente, anzi, se possibile si trovò a plasmare una maschera ancora più spessa. Era peggio di Kazuki – sospirò, salendo i gradini.
«Con te ci si diverte da morire, eh», fece, chiudendo le palpebre e lasciando che le folte ciglia nere carezzassero gli zigomi lattei.
«Non ci si deve divertire, difatti», ribatté lentamente l'uomo. «Non sono certo un clown. O un tuo amico».
Yuki riaprì gli occhi, guardandolo senza la minima esitazione o rispetto. Non lo odiava, sul serio.
Ma se avessi un salvagente, pensava, mentre finalmente arrivava in cima, ad un metro da lui, e tu stessi affogando, lo bucherei con un riccio arrabbiato.
«In ogni caso», disse l'albina. Ecco, era davanti a lui; non c'era molta differenza d'altezza, l'uomo non era particolarmente slanciato, quindi riusciva persino a guardare nei suoi occhi. «Volevi qualcosa?».
Attenzione, sarebbe stata la frase più gentile della giornata.
«Sì», rispose lui.
«Andiamo in quello schifo del tuo studio?».
«Vabbene qui. Il mio studio è fin troppo perfetto».
L'albina si morse la lingua, dentro la bocca – perfetto proprio no; freddo, angusto, con una scrivania pregna di documenti e scartoffie varie, privo di finestre e circondato da librerie ricolme di tomi di cui... ignorava il contenuto.
Vide l'uomo battere le ciglia e accennare un leggero, quasi impercettibile sorriso. Le sue labbra sottili sembravano divertite. «Era un tuo compagno di classe? O forse, una preda?».
«Cosa? No», sibilò lei. «Sai che non ho prede».
"Non più" – sentiva di doverlo aggiungere, almeno nel suo subconscio. E... beh, tecnicamente, una volta aveva approfittato del sangue di Takeshi e tuttora, quando i suoi pensieri si focalizzavano su quel ricordo – sembrava così distante – avvertiva il sangue arrivare alla guance e circolare lì, dispettoso. Oh, ricordava benissimo persino il sapore; dolce, denso, delizioso e... per il momento, non le venivano in mente altri aggettivi con la "d".
«Quindi», riprese l'uomo. «non è una tua preda».
«Esatto».
Tuttavia, Yuki non seppe mai dire se lui avesse o meno sospetti sulla neo-relazione dei due. Certo era che, se l'avesse scoperto, i guai non sarebbero stati uno o due – oh, no. Magari.
Ma questo, in quel momento, non aveva importanza; voleva solo sentire cosa diamine cercasse e poi recarsi nella sua ampia e spoglia camera. Con lo sguardo ambra, lo interrogò, laconica.
E l'uomo – Oseroth Akawa, il "Re di ghiaccio" – incurvò ancora una volta la bocca. Sadicamente.
«Ballo».
E Yuki si maledì per non essere una povera orfanella.

 

 

 

***

 

 

 

«Ti prego, ti scongiuro... portami con te. Sono o non sono la tua migliore amica?!», dall'altra parte della cornetta, la voce squillante di Sayumi risultava doppiamente più acuta, quasi l'apparecchio stesse amplificandola – a discapito della mezzosangue. «Merito ciò!».
«Proprio perché sei la mia migliore amica», sospirò. «non ti porterò ad uno schifo del genere. Sai come si svolgerà? Tanti pinguini con la puzza sotto al naso che sbaciucchiano manine e tanti saluti ai principi morali».
«Okay», sentì il respiro di Yumi farsi strada fra le sue labbra, abbattuto. «Immagino di essere ferma ai vecchi balli».
«Din din, esatto».
E non sapeva nemmeno quanto avesse ragione, soprattutto perché questo non sarebbe stato un ballo di umani, no, ma di creature che la notte avevano di meglio da fare, da compiere. «Ripetimi il nome del festeggiato?».
«Ichiro. Ichiro Fukanishi».
«Uhm. Dunque- ah, come sospettavo», Yumi ridacchiò sommessamente. «è il figlio di un tizio piuttosto ricco. Dovrebbe avere un'industria di mobili, fa concorrenza all'Ikea». Se conosceva bene l'umana, aveva aggrottato la fronte, mentre sforzava gli occhi turchini per leggere le righe al suo portatile – lo usava sempre, quando cercava qualcosa.
Per quanto Yuki sapesse, l'amica era stata incapace di usare qualsiasi forma di tecnologia almeno fino a quindici anni dove, tutto ad un tratto, ne era diventata piuttosto amica.
«Sì, molte delle persone famose che circolando sono probabilmente... qualcosa», disse. «Cantanti, attori, professori famosi, medici».
«Non so se spaventarmi o farmi dire un paio di nomi».
«... facciamo nessuna delle due?». Yuki sospirò gravemente, premendo l'indice e il medio della mano libera contro il centro della fronte. Quella ragazza era un tornado.
«Per lo meno, ci sarà Tetsuya, con me».
Dall'altra parte, il rumore di un tonfo pesante.
«Yumi?!», esclamò la mezzosangue, spostandosi dal letto su cui, sin dall'inizio della chiamata, si era appostata: gambe stese e incrociate, un braccio dietro la testa e l'espressione di una condannata alla forca.
«Ah, sì – sono caduta dalla sedia», biascicò Sayumi, lamentando dolori sottovoce. «Okay. Dunque. Sarai con Tetsuya. Vi... vi fate una foto?».
Al ché, Yuki era seriamente indecisa se mettersi a ridere o assecondarla e basta, senza aggiungere altro. «Ti faccio una foto dell'interno, vabbene, così?».
«Direi che ti prometto un favore».
Yuki socchiuse le palpebre. Non avrebbe dovuto dire una frase come quella – eh, no: non bisognava mai dare la parola ad una creatura notturna, specie se era una demone dagli infimi scopi. E con la mezzosangue – a maggior ragione.
«Allora, domani sera, siete invitati ad una festa notturna».

 

 

 

 

 

 

* tadaima: significa "sono tornato/a" e la tradizione a cui si riferisce Takeshi è di rispondere con "Okaeri", e cioè: "Bentornato/a".

 

 

 

 

 

NOTA DELL'AUTRICE: 
ZALVE GENTE. 
All'inizio avevo pensato di non scrivere nessuna nota, perché non ho niente in particolare da dire, ma... poi mi sono ricordata che ho fatto una modifica: d'ora in poi aggiornerò il martedì. Perché? 
Hm... SECONDO ATTO, SECONDO GIORNO. 
... a casissimo. Vbb. E niente, come avete potuto constatare, è apparso un nuovo personaggio e, a breve, ne appariranno altre due. Eheh. 
STO ZITTA, HM. 

Night, ovviamente, con affetto.

 

  
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