Fanfic su attori > Ben Barnes
Segui la storia  |       
Autore: Nadie    02/03/2015    5 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
16. Coniglio



Da quando ha cominciato a fare il suo lavoro, i compleanni gli sono diventati tremendamente antipatici.
Un miscuglio disordinato di chiamate, gente che a distanza di un oceano gli ripete le solite parole;  sua madre e la sua voce un po’ soffocata mentre gli chiede di raccontarle tutto ciò che ha fatto e che farà in quel giorno che è speciale, tesoro, è un giorno speciale; suo padre che gli parla come se i chilometri di distanza tra di loro non esistessero e l’hai vista ieri la partita? Questo campionato è un bello schifo!
Suo fratello e le sue solite battute che coprono, tentano di coprire una mancanza fastidiosa e si comincia a sentire la vecchiaia, eh? Hai già trovato qualche capello bianco?
E sulla sua lingua sempre un ‘mi dispiace’ un po’ annacquato che non ha il coraggio di dire, mi dispiace per cosa, poi? Che colpa ne ho se il mondo è tanto grande?
Ma gli dispiace, gli dispiace che il suo compleanno gli sia diventato così antipatico, gli dispiace che abbia perso quell’alone speciale che lo macchiava tanti anni fa, quando era ancora un bambino e si svegliava sempre all’alba di quel 20 Agosto correndo per casa e svegliando tutti.
Oggi è il Mio compleanno, il Mio giorno, un grande giorno!
E sembrava dovesse accadergli qualcosa di speciale e pretendeva gli auguri persino dalla Regina d’Inghilterra!
Sarebbe stato capace di svegliare anche lei di prima mattina, toglierle di dosso le coperte e Cara Regina d’Inghilterra, oggi è il Mio compleanno, il Mio giorno e lei deve farmi gli auguri, cosa aspetta?
Sorride e come siamo buffi – pensa – quando siamo bambini.
È tardo pomeriggio e ha appena smesso di piovere, le strade e i marciapiedi di Dublino sono bagnati e nell’aria resta sospeso un familiare odore di umidità e pioggia.
Cammina sotto il pallore del cielo appeso ai tetti delle case irlandesi e arriva fino al bar in cui lavora Occhi Verdi; attraversa il gazebo e i tavolini ed entra dalla porta spalancata, i suoi occhi la cercano e la trovano poco dopo, china sul bancone con uno straccio stretto in una mano.
Ha i capelli che le ricadono sulle spalle e la faccia di chi è stanco della giornataccia che ha avuto.
«Buonasera, signorina barista!» dice. Occhi Verdi sobbalza, poi incontra il suo sguardo e accenna un sorriso.
«Che ci fai qui?»
«Festeggio il mio compleanno.»
«E ti diverti?»
«Non lo so, sono arrivato da un minuto e mezzo ed è presto per dirlo.»
Lei sorride di nuovo e abbassa lo sguardo sul bancone che sta pulendo, sembra un po’ a disagio e sta attenta a non guardarlo e lui sa, sa che è per la notte passata insieme, sa che è per la loro pelle troppo vicina e i loro corpi troppo avvinghiati ma Lei ora non può, non può più tirarsi indietro, lui non glielo permetterà.
Sono andati oltre, sono diventati l’Oltre e adesso lui sente, nascosta tra le pareti di carne del suo petto, una scintillante, luminosa speranza che nutre, lo nutre e lo spinge con forza a continuare la sua missione, a non ritirare quelle mani tese a cui Prudence, cara Prudence, prima o poi ti aggrapperai di nuovo.
«Tutto bene?» chiede, Occhi Verdi alza per un istante lo sguardo su di lui e annuisce quasi automaticamente.
«Sicura?»
«Sono solo… solo un po’ stanca.»
Lui resta a guardarla ancora per un po’, lo sguardo fisso sul Suo volto diafano e sulla sua espressione così concentrata.
Vorrebbe che non fosse così, così strano e scomodo; vorrebbe che fosse come otto anni fa quando passavano la notte insieme e Lei non scivolava via di nascosto da sotto le lenzuola; come otto anni fa quando poteva baciarla, abbracciarla, stringerla e Prudence, cara Prudence, non preoccuparti perché io e te siamo l’Oltre e facciamo dell’ordinario lo straordinario.
Resta ad osservarla ancora per un po’, poi fa il giro del bancone, le si avvicina e la stringe forte baciandole la fronte; Lei non lo respinge e posa una guancia sulla sua spalla.
«È a posto, Prudence, è tutto a posto.» sussurra al suo orecchio e la sente annuire, la sente annuire e vorrebbe dargliene un po’, di speranza.
La speranza, che cosa meravigliosa!
Un cuore pulsante e splendente che fa andare avanti le cose e vorrebbe ne avesse un po’ anche Lei: dove ce l’hai la speranza, Prudence?
Gliene infilerebbe un pezzetto sotto la pelle e tieni, un a piccola dose di speranza, usala bene e credici un po’ di più nelle cose che si aggiustano, non pensare che non esista mai una soluzione ai problemi, cerca di capire che niente si rompe irreparabilmente, nessuno si perde per sempre.
Scioglie l’abbraccio, si china sul suo viso e la bacia; bacio normale, naturale, come i baci di otto anni fa dati nei posti più ordinari possibili: nelle metropolitane, su una spiaggia abbandonata, sotto ad un albero troppo alto per poter toccare le foglie, su un divano di fronte alla TV, sotto le lenzuola, in un bar.
Un bacio resta sempre un bacio, dovunque e comunque.
«È a posto, d’accordo?» le dice, dopo che le loro labbra si sono separate e Lei non risponde, non parla, ma si aggrappa stretta alla sua schiena e chiude gli occhi.
«Prue? Prudence?»
Nessuna risposta.
«Ehi?»
Nessuna risposta.
«Terra chiama Prudence.»
«Benjamin.» dice Occhi Verdi, ma non accenna ad alzare il capo e resta nascosta in quell’abbraccio-dona-speranza, raggomitolata contro il suo petto.
«Sì?»
«Abbiamo due nomi assurdi.»
Non le risponde subito, assapora mentalmente i nomi, i loro due nomi accostati uno accanto all’altro.
BenjaminPrudenceBenjaminPrudenceBenjaminPrudence e sarebbe capace di ripeterselo nella testa senza smettere mai, continuando a pronunciare quei due nomi che possono, che sanno fondersi in un unico suono, una sola parola, lettere che si tengono per mano senza mai lasciarsi.
BenjaminPrudenceBenjaminPrudence.
«Dici?»
«Dico.»
«Secondo me sono originali.»
«Secondo me non si possono sentire.»
«Secondo me hai paura.»
Lei non risponde, non alza il capo, il volto nascosto contro il petto di Occhi Bui, contro la sua maglietta scura e il suo odore che sa circondarla, stringerla, bagnarla e non vuole guardarlo, non vuole rispondere e desidera solo restare accucciata all’interno di quell’abbraccio senza dover parlare, sentendo sotto le sue mani l’inconfondibile presenza di quel ragazzo-uomo che non ha paura di sfidare il tempo.
«Hai paura.» ripete e la costringe ad alzare il capo, ad uscire dal suo nascondiglio inventato.
Lei lo guarda negli occhi ma non può, non sa rispondergli e fatica a reggere il suo sguardo, si sente circondata e trafitta da quegli occhi bui che cercano, cercano, cercano risposte e spiegazioni rimaste in sospeso, perché esistono ancora tanti punti di domanda silenziosi frapposti tra loro che danno fastidio, gli danno tremendamente fastidio.
Occhi Verdi volta il capo e abbassa lo sguardo sul bancone.
«Devo… devo lavorare.» sussurra, ma le braccia di Occhi Bui continuano a cingerle la vita in una stretta che fa quasi male.
«Ben, ti prego. Devo lavorare.» dice, mentre tenta di divincolarsi e allora lui allenta la presa e La lascia scivolare via, Lei si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli volta le spalle, tornando al suo bancone, ai suoi piatti e ai suoi bicchieri.
«Sei cambiata.» asserisce, senza particolare inclinazione nella voce, e rimane a fissare le spalle esili di Occhi Verdi nascoste dai Suoi lunghi capelli.
«Non sono cambiata.»
«Sì, invece: prima non eri un coniglio.»
«Non sono un coniglio.»
«Sì, invece! Un maledetto coniglio!»
Lei non si volta, lui non aggiunge altre parole ma si limita a sospirare, stanco e infastidito, poi scuote la testa e si allontana e gli brucia, brucia, brucia la pelle, lì dove lo hanno toccato le mani di Occhi Verdi; gli brucia la schiena, lì dove le Sue unghie lo hanno graffiato e si sono aggrappate strette e vorrebbe, vorrebbe con tutto se stesso che aggiustare qualcosa fosse più facile che romperla.
Si avvicina all’uscita e scorge la gente ai tavoli che parla e ride spensierata e che nervi, che nervi gli dà!
Volta distrattamente il capo e resta sorpreso quando vede, seduta ad un tavolo all’interno del bar, una bambina con due grandi occhi verdi che tenta di far mangiare ad un alce di peluche dell’insalata.
Non le si avvicina subito ma resta fermo a fissarla, sorride mentre la guarda discutere animatamente con il suo peluche, chissà quali discussioni staranno affrontando; lui non vuole intromettersi nel loro colloquio privato e rimane a guardarla, è giusto così: i bambini e i loro discorsi segreti meritano un certo rispetto, ne è consapevole.
La bambina allunga una fogliolina verso il muso dell’alce, l’alce la fissa con i suoi finti occhi scuri e non si muove. La bambina sbuffa.
Sorride e le si avvicina, attento a non spaventarla, lui sa che la sua giovane presenza è più fragile di tutte le altre; sa che ci sono mancanze che i bambini non possono capire e non sanno sopportare e lui non è suo padre, lui è uno sconosciuto e deve prendere delle misure ben precise prima di avvicinarsi troppo.
«Posso sedermi?» le chiede, e indica la sedia accanto alla sua
La bambina alza il capo e, per qualche istante, resta a fissarlo con i suoi grandi occhi verdi, poi distoglie lo sguardo ed annuisce.
Lui le siede vicino e resta in silenzio.
Adesso cosa potrebbe dirle?
Sente addosso la pressione di quei confini che non può superare, dei limiti da rispettare e delle distanze che deve mantenere; mantenere perché tu, piccola ladra di occhi verdi, non sei mia figlia e noi non ci conosciamo ma non sai, non sai cosa darei per sapere tutto di te.
Vorrebbe conoscere i suoi sogni segreti, sogni di bambina che ha appena messo piede al mondo e che si guarda attorno con quell’ottimismo, quell’immensa gioia che solo i bambini possono avere e che cosa vorresti essere da grande?
Io da piccolo avrei voluto fare l’astronauta, camminare sulla testa del mondo, conoscere i segreti dello spazio, sapere cosa c’è dentro le stelle, accarezzare le guance ruvide della luna e tu, bambina col nome di una principessa spaziale, tu la faresti l’astronauta?
E poi ancora, vorrebbe sapere di cosa ha paura: forse del buio, magari dei ragni.
Gli piacerebbe dirle Leila, Principessa Leila, io ho una gran paura delle farfalle e delle loro ali colorate e silenziose!
Maledette farfalle che sanno volar via da ciò che è sbagliato, che sanno sbattere le ali ed andarsene lontano!
A te piacciono, le farfalle? Magari potresti aiutarmi a non averne più paura, a smettere di invidiarle tanto.
E vorrebbe sapere quand’è stata la prima volta che detto ‘mamma’ e, se nella sua vita appena agli inizi, ancora tutta da scrivere e costruire, è mai riuscita a pronunciare la parola ‘papà’.
Vorrebbe sapere quante sono le parole che conosce, se sa cosa sono un alce o una foglia di insalata; se riesce a pronunciare bene ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera o se si dimentica per le strade astratte delle lingua una doppia, se scambia una elle con una erre; se si ricorda di dire ogni vocale o consonante e lui vorrebbe accucciarsi nelle sue parole a metà, dette male, pronunciate da quella lingua di bambino che le parole sa mangiarsele, inventarsele, cambiarle, dare loro una nuova vita, un nuovo suono, una nuova forma.
Se solo potesse, se solo lui potesse si spaccherebbe, diventerebbe granello di polvere, particella piccola e invisibile dell’aria e si aggrapperebbe alla sua pelle bambina e resterebbe zitto, immobile ad accompagnarla, a seguirla in quel viavai caotico che è la vita.
Perché lui vuole esserci, nella sua vita.
Perché tu, piccola ladra di occhi verdi, non sei mia figlia ma non sai, non sai quanto è profondo l’amore che mi lega a tua madre; così profondo da saper arrivare sotto la pelle, sotto la carne e fino a te, fino a te che sei rimasta nascosta per giorni e giorni dentro una sirena con gli occhi verdi che ha perso un padre, una madre, un fratello e adesso anche la speranza.
«Mangia solo insalata?» le chiede, facendosi coraggio e puntando un dito verso l’alce e i suoi occhi di bottone.
La bambina lo guarda fisso ma non gli risponde.
«A me l’insalata non piace per niente, e a te?»
Lei scuote la testa, e no che non le piace l’insalata.
«Allora non piacerà di sicuro nemmeno a quest’alce. Com’è che si chiama?»
«Molly.» farfuglia, e arrossisce.
«Secondo me a Molly piace il gelato.»
La bambina non risponde, non lo guarda.
Lui capisce che è giusto così, che non può pretendere niente di più.
«Bé, ora devo andare, ho un’astronave da guidare.»
Leila alza lo sguardo su di lui e lo osserva, magari vorrebbe chiedergli qualcosa ma arrossisce di nuovo e torna a fissare Molly.
«A-stro… a-stro… astronave?» dice, ma non lo guarda.
«Già, astronave. Si chiama Millennium Falcon ed è enorme, a bordo c’è persino una gelatiera che fa i gelati al cioccolato migliori del mondo!»
La bambina gli sorride, lui ricambia.
«Mi dai la mano?» le chiede, lei lo fissa curiosa, poi annuisce e gli tende la manina e lui gliela stringe in una stretta delicata, facendole l’occhiolino.
«Prometto di portarti a fare un giro sulla mia astronave.» Leila gli sorride di nuovo, poi lui le lascia la mano e si alza in piedi.
«Arrivederci, Principessa Leila!» dice, accenna un inchino e se ne va.
 
 
 
 
 
 
E niente, ritardo imbarazzante anche stavolta!
Me ne scuso sinceramente, ma non ero nemmeno a casa, non avevo accesso all'Internet e son stati giorni da incubo!
Comunque alla fin fine, arrivo anche io con i miei sfigatoni!
Mi spiace che anche questo capitolo non sia rose e fiori ma, onestamente, credo ci voglia ancora un po' di tempo per rimettere bene le cose a posto tra Ben e Prue.
Annuncio che il prossimo capitolo(che conto di postare in tempi civili) sarà concentrato su Prudence, credo sia il caso di dare un pochino di spazio anche ai suoi pensieri.
E nulla, tutto qui!
Grazie come sempre a chi legge, grazie di cuore!
C.

P.S: Gli amanti di Star Wars avranno notato il riferimento sul finale alla Principessa Leila, Han Solo e la sua mitica astronave(tra l'altro lui aveva le sembianze di Harrison Ford... se semo capiti!)
 

 
 
 
 
 
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Ben Barnes / Vai alla pagina dell'autore: Nadie