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Autore: kate95    03/03/2015    12 recensioni
Le sue mani scattarono verso quel viso gentile, spinte dalla voglia irrefrenabile di accarezzarla.
“Non lo fare mai più” fu lui a supplicarla questa volta “mai più”
Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca si avvicinava sempre di più, sfiorando la pelle del suo viso con la punta del naso.
“Mai più” accarezzò gli angoli della sua bocca ricevendo come risposta solo il respiro ansante di Felicity.
“Non devi più rischiare così per me. Promettimelo” fermò un istante quella dolce tortura, aspettando una sua conferma.
“Te lo prometto” disse flebilmente.
“Mai più” sussurrò Oliver per l’ultima volta, in un soffio sopra le sue labbra.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Never again

Le tue mani sono la sua salvezza

Il viaggio in auto fu lungo e incredibilmente silenzioso.

Oliver teneva gi occhi puntati sulla strada, il volante stretto tra le mani, quasi a volerlo stritolare mentre i suoi pensieri erano concentrati sulla donna seduta al suo fianco.

Felicity osservava il paesaggio che scorreva veloce fuori dalla macchina, le luci della città che sembravano scie sfuggenti.

Aveva abbandonato il capo contro il  finestrino, la testa che continuava a pulsare dolosamente e la stanchezza che stava prendendo il sopravvento su di lei.

Chiuse gli occhi abbandonandosi al dolce tepore che proveniva dalle bocchette di riscaldamento della costosa berlina di Oliver.

Quando finalmente giunsero sotto casa, Felicity era sul punto di addormentarsi profondamente.

Oliver scese dall’auto e aprì la portiera per la ragazza, aiutandola ad uscire dall’abitacolo.

Fu più complicato di quanto avesse previsto.

La bionda sentì ogni muscolo farle male, mentre il suo equilibrio precario la fece barcollare sui tacchi alti.

Lui la aiutò ad entrare in casa, sorreggendola con le sue braccia.

La fece stendere sul divano chiaro, cercando di essere il più delicato possibile.

“Non pensavo avrebbe fatto così male” disse lei, la voce provata dal dolore.

Oliver si sedette sul tavolino basso, davanti al divano: “È l’effetto degli antidolorifici … sta svanendo”

Felicity sospirò e perfino questo le fece male: “Vuoi dire che prima, quando stavo meglio di ora, era solo l’effetto dei farmaci?”

“Temo di sì” gli rispose sincero “e sono passate solo poche ore quindi dovrai resistere un altro po’ prima di poterne assumere degli altri”

La ragazza si tolse gli occhiali, strofinandosi gli occhi stanchi.

Rimasero in silenzio per qualche minuto fino a quando Oliver le consigliò di andarsi a coricare e farsi una bella dormita.

La accompagnò in camera e lei si lasciò andare sul letto, troppo debole per restare ancora in piedi.

“Riesci a cambiarti?” le chiese Oliver, cercando il suo pigiama.

Quando lo trovò aiutò Fel a mettersi seduta.

La donna annuì mentre armeggiava più volte con la cerniera del vestito, posta sulla schiena, senza riuscire a raggiungerla.

Le braccia le facevano male appena le muoveva, come il resto del corpo.

Si fermò a guardare attentamente la sua pelle notando i segni violacei sparsi ovunque, dal polso fino alle spalle.

“Felicity” Oliver le bloccò le braccia con delicatezza, notando lo sguardo triste sul suo viso “Ti aiuto io”

Le alzò il mento con le dita in modo tale che lei incrociasse il suo sguardo e le sorrise, sperando che questo potesse distrarla dai brutti pensieri su quanto le era accaduto.

La ragazza non rispose, troppo scossa da tutto per parlare.

Lui si sedette sul materasso, dietro la donna, per riuscire a raggiungere la cerniera del vestito.

Fece scivolare giù la zip, sfiorando appena la pelle che si scopriva man mano.

Felicity tremò al contatto delle mani di lui sulla schiena: sentiva il tocco leggero dei suoi polpastrelli su di sé, scatenandole piccoli brividi di piacere.

Non riusciva a concepire come il più piccolo dei suoi tocchi la mandasse quasi in estasi, come se non ci fosse nulla di più bello al mondo delle sue mani sul suo corpo.

Oliver osò di più, passando le mani sulle spalle della ragazza, facendo scivolare le spalline del suo vestito lungo le braccia.

Cercò di controllarsi, senza lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento.

Se avesse semplicemente seguito l’istinto l’avrebbe stretta e sé e l’avrebbe riempita di baci e carezze ma non poteva, non dopo quello che era successo al covo.

Gli mancò il respiro quando lei si lasciò andare contro di lui, appoggiandosi al suo petto.

Oliver si mise seduto più comodo sul letto e l’accolse fra le sue braccia, abbracciandola dolcemente mentre lei si accoccolava su di lui, diminuendo ancora la minuscola distanza fra i loro corpi.

Non era perfettamente lucida, forse se lo fosse stata non avrebbe osato tanto.

Doveva essere arrabbiata con lui ma non ci riusciva.

Oliver aveva la maledetta capacità di mandarla in confusione, tutto di lui le faceva perdere la razionalità: le sue mani, il suo profumo, le sue parole e i suoi occhi.

Quegli occhi azzurri che la guardavano intensamente, così profondi e luminosi che parevano parlarle silenziosamente.

 E qualunque cosa dicessero lei li avrebbe sempre ascoltati.

Tremò più forte quando sentì il mento di lui sfiorarle la spalla, ormai scoperta dal vestito, e la barba solleticarle la pelle.

“Oliver …” lo chiamò prima che perdesse completamente il controllo “che cosa stai …”

“Shhh” sussurrò lui nel suo orecchio mentre la stringeva ancora di più a sé, lasciandole un bacio alla base del collo.

Una scarica di piacere scosse la ragazza mentre lui continuava con un secondo bacio e un altro ancora.

Lei si voltò lentamente, cercando i suoi occhi.

Ritrovò il suo viso così vicino da toglierle il fiato. Sarebbe riuscita a raggiungere le sue labbra in un baleno. Avrebbe tanto voluto farlo.

Ma il cellulare di Oliver squillò.

“È Dig” disse lui sgusciando via dall’abbraccio, allontanandosi a malincuore dal corpo di Felicty per rispondere.

Lei lo guardò mentre parlava con il loro amico sulle sue condizioni. Le dava le spalle e gli occhi di lei finirono inevitabilmente sulla sua schiena possente, sulle sue gambe, cercando di non rimanere bloccata a fissargli il fondoschiena.  

Quando la chiamata terminò Felicity distolse lo sguardo, estremamente imbarazzata. Sperava non l’avesse beccata a mangiarlo con gli occhi.

Anche Oliver era piuttosto in difficoltà, non sapeva che cosa fare.

Se non li avessero interrotti non sapeva con precisione come sarebbero finite le cose.

Si fissarono per un istante, in silenzio.

Lei lo voleva ma lui sembrava continuare a non essere pronto ad impegnarsi davvero, troppo protettivo nei suoi confronti per lasciarsi andare.

E lei voleva più di qualche bacio ogni tanto, di qualche carezza e un paio di sorrisi. Voleva tutto di lui, per sempre, al suo fianco.

Abbassò il capo, non riusciva a guardarlo negli occhi.

“Felicity” Oliver non sapeva davvero cosa dirle, non dopo quello che stava per fare. Non avrebbe dovuto cedere.

“Sono stanca, Oliver …. è meglio se riposo un po’”

“Sì, certo” lui sapeva che era una scusa ma non avrebbe insistito “Hai ancora bisogno di aiuto?”

“No” si affrettò a rispondere quando capì che si riferiva al vestito “Ce la faccio da sola”

Oliver annuì, gli occhi bassi e lo sguardo triste, mentre usciva dalla stanza per lasciarle la sua privacy.

 

 

Vestirsi fu più difficile del previsto.

Quando si lasciò scivolare sul materasso si sentiva distrutta. Infilarsi il pigiama in quelle condizioni era stata l’impresa più ardua che aveva compiuto negli ultimi anni.

Quando realizzò che era distesa sopra le coperte e che doveva infilarsi sotto il caldo piumone le venne da piangere.

Cercò di spostarsi, tirando le coperte e tentando di infilare le gambe al di sotto delle lenzuola, senza riuscirci davvero.

Ogni più piccolo movimento era una fitta di dolore insopportabile.

Una lacrima le rigò il viso, poi una seconda e poi un’altra ancora.

Anche piangere le faceva male, respirare troppo velocemente le provocava scosse dolorose in tutto il petto. Si sentiva uno straccio.

Aveva cercato di osservare il suo corpo il meno possibile ma non poteva non vedere quelle macchie viola sulla pelle, lividi enormi che ricoprivano il petto, il ventre e le sue gambe.

Il suo corpo era deturpato e si sentiva così inadeguata. Sapeva che i lividi sarebbe scomparsi prima o poi ma fino ad allora non sarebbe più riuscita a mostrarsi nuda a qualcuno.

Non senza sentirsi orribile.

Cercò di calmarsi, ricacciando indietro le lacrime.

Si sentiva così impotente. Era frustrante sapere di dover dipendere da qualcuno per fare le cose più semplici e quotidiane.

“Oliver”

 

 

Lui accorse immediatamente quando sentì la voce della donna chiamarlo.

“Felicty, stai bene?” domandò preoccupato.

“Sì. Solo non riesco a …” era umiliante ridursi a chiedere aiuto per farsi rimboccare le coperte.

“Aspetta” disse avvicinandosi.

La sollevò delicatamente, tenendola in braccio mentre armeggiava come meglio riusciva con la coperta.

La stese di nuovo sul letto ricoprendola per non farle prendere freddo.

“Grazie” sussurrò lei.

Oliver le sorrise, intenerito dalla sua dolcezza e dal lieve rossore sulle guance, chiaro segno di imbarazzo per essersi fatta aiutare a mettersi a letto.

La ragazza si girò, cercando una posizione che le facesse sentire meno male possibile ma era piuttosto complicato.

“Ehi” Oliver si piegò sulle ginocchia, per essere all’altezza del materasso “Prova così” la invitò facendola stendere sul fianco destro, le gambe distese e un braccio sotto il cuscino a sostenere il capo.

“Come facevi a sapere che …” Felicity era stupita che lui fosse riuscito a farle trovare una posizione comoda, per sentire meno dolore.

Lui non sapeva se risponderle, aveva paura di far affiorare spiacevoli ricordi: “Il lato destro del tuo corpo … era esposto verso la strada mentre Miller era alla tua sinistra sul marciapiede. È quello che ha subito meno colpi, perciò farà sicuramente meno male ” 

Lei si diede mentalmente della sciocca per non averci pensato.

“Ti lascio riposare” le disse mentre si rimetteva in piedi.

Felicity lo fermò, bloccandolo per il braccio. Non voleva restare sola.

“Aspetta” disse tirandolo a sé “Io …”

“Va tutto bene?” le domandò preoccupato mentre si abbassava nuovamente accanto al letto.

“Sì, è solo che … non penso di riuscire a riposare molto, insomma sono stanca e dolorante ma per quanto il mio corpo abbia bisogno di dormire io …”

“Felicty” lui la bloccò sorridendo, mettendo fine ai suoi lunghi discorsi senza fine “vai al punto”

“Ok, sì. Certo” rispose lei rendendosi conto di aver ricominciato a parlare senza freni “Il fatto è che sono spaventata. Ho paura che quando chiuderò gli occhi mi tornerà in mente Miller o peggio …”

Si bloccò, realizzando ciò che stava per dire.

“Io” concluse lui al suo posto.

“No, Oliver, non intendevo …”

“Non importa” la rassicurò.

“Potresti …” non lo stava chiedendo davvero, non poteva farlo, non doveva perché lei era arrabbiata con lui. Molto arrabbiata. Anzi furiosa e delusa dal suo comportamento. Quello che le aveva fatto era imperdonabile.

“Potresti restare qui, con me?”

Ok, lo aveva detto davvero. Si morse la lingua ma ormai era troppo tardi.

Oliver rimase spiazzato dalla sua richiesta.

“Se la vertigo facesse ancora effetto su di me” si affrettò ad aggiungere lei, sperando di non peggiorare la situazione “tu sei l’unico che riuscirebbe a farmi aprire gli occhi, a destarmi da quell’incubo”

Non sapeva se avesse realmente migliorato qualcosa ma le sembrava che lui quasi sorridesse, e ciò le infondeva sicurezza.

“Ok” le rispose, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento, ai piedi del letto.

Oliver si torturò le mani una con l’altra, lasciandole pigramente sulle gambe, lo sguardo basso, in evidente difficoltà.

Era strano vederlo così.

Sembrava indifeso, imbarazzato.

“Oliver Queen timido di fronte ad una donna che chiede di passare la notte con lui?” la sua bocca parlò prima che lei potesse realizzare quello che stava facendo “Non in quel senso!” si affrettò ad aggiungere.

“Non nel senso di … si, insomma … nel senso che di solito si intende per …”

Felicity si maledì: perché non riusciva a tenere chiusa la bocca?

“Ho capito, quello che intendi” rispose Oliver a metà tra il serio e il divertito.

“Sono un totale disastro” commentò mentre si strofinava il viso con le mani, desiderando di scomparire per nascondersi dalla vergogna.

“No. Sei solo …” lui sembrò ragionarci su un attimo prima di continuare “sei Felicity”

Lo disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso.

In fondo era la verità e per quanto fosse imbarazzante per lei alle volte, a lui Felicity piaceva così com’era, con tutti i suoi sproloqui inutili ma adorabili.

Rimasero in silenzio, uno di quelli carichi di imbarazzo ed incertezze.

La donna allungò una braccio verso di lui, afferrando le sue mani.

Oliver alzò lo sguardo di scatto, sorpreso da quel gesto, trovando solo il sorriso di Felicity davanti a lui.

Ricambiò la stretta, rendendosi conto di quanto le piccole mani di lei fossero gelide.

“Hai freddo?” le chiese.

“Solo un pochino” disse sincera senza smettere di guardarlo.

Prese entrambe le mani tra le sue, coprendole completamente e trasmettendole un po’ di calore.

Lei chiuse gli occhi, sperando di non rivivere gli incubi di quella sera. Si concentrò solo sul contatto con le mani di Oliver, estremamente gradito e rassicurante.

Caldo e confortevole come i suoi abbracci, piacevole come la sensazione del suo corpo contro il suo.

Aprì gli occhi, consapevole di quello che stava per fare.

“Oliver” lasciò le sue mani e con qualche difficoltà si spostò nel letto, facendogli spazio.

Lui parve non capire. Rimase a fissarla, seduto per terra.

Allungò una mano ma questa volta era troppo distante per riuscire a raggiungere le sue.

Oliver spostò gli occhi sul suo braccio disteso, decidendosi poi ad afferrare le sue dita.

Gli stava davvero chiedendo silenziosamente di sdraiarsi accanto a lei?

Si alzò, non sapendo realmente cosa fare ma i suoi occhi gli diedero coraggio.

Si sedette sul letto e dopo essersi sfilato le scarpe si coricò sul fianco, trovandosi faccia a faccia con lei.

Non sapeva come comportarsi, né dove tenere le mani … era più teso della corda del suo arco appena prima di scagliare una freccia.

Felicity stava combattendo contro le fitte di dolore che quei piccoli movimenti le avevano causato e parve non accorgersi dell’imbarazzo che aleggiava sul viso di Oliver.

Quando il dolore scemò cercò le sue mani.

Le strinse come se fossero la sua ancora di salvezza in mezzo ad un oceano in tempesta.

Fu allora che lo notò. Un piccolo taglio sulle nocche della mano destra dell’uomo.

“Che cosa ti è successo?” gli chiese.

“Ho … fatto a pugni” rispose Oliver con un po’ d’esitazione.

“E con chi? Miller?” non sapeva realmente cosa lui avesse fatto a quel criminale e forse preferiva continuare ad ignorare i dettagli dell’accaduto.

“No, ho preso a pugni …” si sentiva piuttosto ridicolo in quel momento “il muro”

Felicity si stupì: “E che cosa ti ha fatto di male per farti arrabbiare così tanto?”

Riuscì a strappagli un sorriso, nonostante la tensione che c’era tra loro quella sera.

“In realtà nulla. Avevo solo bisogno di sfogarmi”

“Non dovresti maltrattare così le tue mani” disse seria la bionda “sono state loro a salvarmi”

Oliver la guardò, senza capire.

“Sì, insomma” spiegò “è stato grazie a loro che ho capito che non dovevo avere paura, quando ho rischiato di farmi travolgere di nuovo dall’incubo della vertigo, questa notte al covo”

Lui la lasciò concludere il discorso mentre lei giocava con le sue dita, stringendole e accarezzandole, facendole incontrare tra loro per poi allontanarle e ricominciare tutto da capo.

 “Vedevo e sentivo cose che non esistevano davvero ma la loro presa sulle mie mani … quella era reale. E lo capivo. Sentivo che quel contatto mi avrebbe trascinato via dall’oblio, insieme alla tua voce. So che è una cosa stupida e che …”

“No” la fermò lui “non lo è. E se loro potessero aiutarti in qualunque modo, in qualche altra occasione, allora non esitare a stringerle. Saranno sempre accanto a te, ogni volta che ne avrai bisogno”

Felicity sapeva che con lui doveva accontentarsi delle piccole cose, leggere tra le righe, interpretare ogni suo più piccolo gesto.

Sapeva quanto gli fosse difficile aprirsi con gli altri, parlare dei suoi sentimenti e a volte tutto ciò era frustrante.

Ma quelle parole le fecerono tornare il sorriso per un istante: era il suo modo di comunicarle che ci sarebbe sempre stato per lei, che le sarebbe rimasto accanto.

“Grazie” sussurrò.

Lui si stupì di tanta dolcezza, si aspettava una Felicity molto più fredda dopo le parole che si erano urlati contro al covo.

Lei parve capire quello che stava pensando: “Sappi che domani, quando non sarò più così stanca né vulnerabile, quando non sarò più sotto l’effetto della vertigo, sarò molto arrabbiata con te”

Le sue parole lo raggelarono, ma in fondo sapeva di meritarselo.

“Ma non adesso, adesso voglio solo ….” Alzò lo sguardo verso di lui, il viso a poche decine di centimetri dal suo “restare qui, con te”

Oliver percepì il cuore battergli forte nel petto, sentiva ogni parte del suo corpo protendere verso di lei, come se fosse il polo opposto della sua calamita.

Lo attraeva, lo stregava, lo faceva soffrire e gioire come nessuna prima di allora.

Era frustrante volerla con tutto sé stesso ma trattenersi per salvarla, per non trascinarla nella sua oscurità.

Lei brillava, come la più luminosa delle stelle, ma non c’erano astri nel cielo di Oliver.

Solo buio e desolazione e se le avesse permesso di entrare avrebbe potuto affievolire il suo splendore.

Le accarezzò il viso, la gola troppo secca per dirle quello che provava, mentre ogni cellula del suo corpo ardeva come un tizzone, bruciando di passione.

La strinse a sé, una mano dietro la sua nuca per attirare il suo viso più vicino al proprio.

Sentì la mano di Felicity aggrapparsi al suo maglione mentre respiravano l’uno il profumo dell’altra.

Scese con le mani dal suo viso al suo corpo, non sapendo però dove depositarle, troppo intimorito all’idea di farle del male.

“Puoi abbracciarmi, se lo vuoi” la sua voce lo colse di sorpresa, mentre le sue mani erano ancora a mezz’aria, indecise su cosa fare “Non mi rompo come una bambola di porcellana”

“Ho solo paura di farti male” le sussurrò, la voce triste e addolorata.

“Tranquillo. Non sarà peggio del dolore che mi hai già causato” rispose senza riflettere.

Solo dopo si rese conto di quanto la sua voce fosse velenosa e tagliente, ma non se ne pentì.

Tutte le botte che aveva ricevuto erano nulla in confronto al dolore che provava ogni giorno, sapendo che lui l’avrebbe continuamente respinta.

Oliver le cinse i fianchi, attirandola a sé con delicatezza, facendo scontrare i loro corpi, petto contro petto, nessun millimetro a dividerli.

Affondò il viso nei suoi capelli, a fianco del suo collo, sentendo gli occhi farsi lucidi.

Sapere quanto male le aveva fatto lo stava corrodendo lentamente  e per un attimo desiderò essere solo, per potersi lasciar andare ad un pianto liberatorio.

“Fel” la chiamò con un filo di voce “mi dispiace così tanto”

Ma lei non sentì le sue scuse né le lacrime che versò nel buio della stanza, troppo esausta per tenere ancora gli occhi aperti.

 

 

 

Oliver quasi non chiuse occhio quella notte.

Pianse dopo che Felcity si fu addormentata tra le sue braccia, mentre si aggrappava al suo corpo come se fosse l’unico appiglio che lo ancorava alla realtà, impedendogli di affogare in quel mare tempestoso che erano le sue emozioni.

Cullava la ragazza ogni volta che si agitava nel sonno per evitare che si destasse, ma gli incubi e il dolore la scuotevano a tal punto che spesso si svegliava di soprassalto, gli occhi sbarrati dalla paura e la fronte imperlata di sudore.

Oliver la abbracciava, sussurrandole parole dolci, fino a quando sprofondava nuovamente nel sonno, stringendo la presa sul suo maglioncino.

Erano ormai le otto del mattino quando Felicity scattò a sedere nel letto, l’ennesimo incubo che le inondava la testa.

Il dolore che provò a causa del brusco movimento le spezzò il fiato, mentre le lacrime le offuscavano la vista. Ogni suo muscolo urlava, bruciando per il male che si espandeva velocemente in tutto il corpo.

“Felicity” lui la chiamò, sorreggendole la schiena “tranquilla, ora passa tutto”

Cercò di rassicurala ma il suo respiro irregolare non si calmava, provocandole tremori che la facevano stare ancora più male.

“Ascoltami, Fel” cercò di attirare la sua attenzione, ricevendo come risposta solo i suoi lamenti strozzati.

 “Inspira” le disse prendendole le mani con cui si riparava il ventre, come se questo l’aiutasse a stare meglio “Espira”

La ragazza impiegò qualche istante prima di reagire ma alla fine iniziò a prendere lunghi respiri.

“Brava, così” la incitò spostando le mani di lei ai lati delle sue gambe, coperte dal pigiama blu a paperelle.

Lei chiuse gli occhi mentre si concentrava solo sul suo respiro, lento e regolare.

“Continua” le disse mentre si sedeva dietro la donna, le gambe divaricate che circondavano le sue. “Ora lasciati andare piano piano” la aiutò a coricarsi, tenendole le mani “appoggiati a me, con calma”

Felicity si lasciò trasportare dalla sua voce soave e rassicurante eseguendo quello che lui le diceva.

Lasciò scendere la schiena, limitando il più possibile i movimenti, fino a quando sentì il petto di Oliver sotto di sé, a sostenerla.

L’uomo era seduto contro la testiera del letto, con Felicity accoccolata tra le gambe, il petto contro la sua schiena, il capo posato sulla sua spalla.

Lui continuò a spronarla a respirare profondamente fino a quando le fitte nei suoi muscoli diminuirono.

La tenne stretta a sé, asciugando le lacrime che le solcavano il viso con le dita, rompendo per un attimo il contatto tra le loro mani.

“Va meglio?” le chiese quando la sentì rilassarsi completamente contro il suo corpo.

Lei annuì, cercando di ritrovare la calma che aveva perso.

Sentiva dolore dappertutto ma almeno ora non c’erano più le fitte che le stritolavano i muscoli, impedendole di respirare.

“Sono le otto. Puoi prendere degli altri antidolorifici se vuoi” le comunicò Oliver “così riuscirai a dormire serenamente”

Per Felicity quella fu una delle migliori proposte che le erano state fatte fino ad allora.

Oliver allungò il braccio verso il comodino dove qualche ora prima aveva messo un bicchiere d’acqua e le pastiglie per la bionda.

Lei ingoiò i farmaci dopo esseri faticosamente tirata a sedere per riuscire a bere.

Poi tornò a sdraiarsi su Oliver che l’aspettava per un altro caldo abbraccio.

Si sentiva un po’ stordita e stanca ma le possenti braccia dell’uomo le davano sicurezza, così come il suo petto che si alzava e si abbassava respirando e il suo cuore che batteva ritmicamente proprio sotto la spalla di Felicity.

Oliver tirò su il piumone, coprendo entrambi.

Il calore sprigionato dalle coperte e dai loro corpi vicini fece addormentare Felicity in pochi minuti, insieme al movimento lento e rilassante delle mani di Oliver su è giù sulle sue braccia.

L’uomo sospirò: averla così vicino lo stava facendo impazzire a poco a poco, soprattutto quando lei si muoveva involontariamente nel sonno, strusciando il suo corpo sul suo e scatenandogli brividi di piacere.

Ad ogni respiro sentiva solo il suo profumo, dolce ma al tempo stesso intenso e pungente, mentre i suoi capelli gli solleticavano la pelle del collo in una dolce tortura.

Restò in silenzio ad osservarla mentre il sole del mattino faceva prepotentemente capolino dalle finestre, accarezzando con i suoi raggi dorati il volto della sua Felicity.

Fissò i suoi lineamenti dolci, studiando attentamente ogni più piccola sfumatura del suo viso, sfiorando la sua pelle con la punta delle dita.

Lei dormiva profondamente, forse aiutata dai farmaci che avrebbe iniziato a fare effetto da lì a poco, mentre lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Felicity sbuffò lievemente mentre si risistemava meglio sul suo petto: la testa ciondolante finì per trovare posto nell’incavo del suo collo mentre un ciuffo di capelli biondi le ricadde sul viso.

Lo spostò delicatamente dietro l’orecchio godendo appieno quei momenti, consapevole che forse non li avrebbe mai più rivissuti.

Doveva parlarle, chiarire, chiederle scusa. Ma non sapeva come lei avrebbe reagito e questo lo spaventava a morte.

Avrebbe voluto preparasi un discorso per quando lei si sarebbe svegliata ma la stanchezza prevalse su di lui. E mentre i suoi occhi si chiudevano riusciva solo a pensare a quanto sarebbe stata più bella la sua vita se ogni giorno avesse potuto addormentarsi così.  

 

 

 

Quando Oliver Queen riaprì gli occhi era quasi passato mezzogiorno.

Felicity continuava dormire beata fra le sue braccia, nonostante la luce accecante che inondava la stanza.

Sentiva ogni parte del corpo intorpidita, probabilmente a causa della posizione poco ergonomica in cui aveva dormito.

Aveva bisogno di alzarsi e sgranchire i muscoli ma uscire da quel groviglio di braccia e lenzuola era più complicato di quanto sembrasse.

Notò che le sue gambe erano intrecciate a quelle di Felicity, le sue braccia la cingevano in un abbraccio sotto le coperte e i lori visi erano così vicini da fargli battere forte il cuore.

Era meglio liberarsi da quella posizione prima che lei si svegliasse, ma appena cercò di spostarsi Felicity si mosse su di lui, confabulando parole insensate al suo orecchio.

Si fermò cercando di pensare a come uscire dal letto ma lei continuò a spostarsi, strusciandosi sul suo petto e sfiorando inavvertitamente le parti più sensibili di lui.

Non poteva permettersi di eccitarsi al contatto del corpo di Felicity, non mentre lei rischiava di svegliarsi da un momento all’altro.

La ragazza sbatté più volte le palpebre, destata dalla luce del sole sul viso ma soprattutto dai movimenti che sentiva sotto di sé.

Percepiva un corpo solido e caldo a contatto con la sua schiena, incredibilmente vicino ed invitante.

Per un attimo non capì quello che stava succedendo ma poi iniziò a ricordare di come Oliver l’aveva cullata tra le sue braccia, sussurrandole parole dolci, e di come si era offerto di farle da cuscino umano.

Si voltò in cerca del suo viso, senza ricordare quanto male le facesse ogni più piccolo movimento.

Strinse i denti e si morse le labbra per resistere alle fitte che le si propagavano nel petto, meno dolorose però di quelle che aveva provato durante tutta la notte.

Era solo merito dei farmaci se era riuscita ad evitare di urlare per il dolore e gliene fu estremamente grata.

Trovò gli occhi azzurri di Oliver ad osservarla, a pochi centimetri da lei e un piccolo sorriso sul suo volto.

“Ehi” le disse quando incrociò il suo sguardo “Scusami, non volevo svegliarti”

“Non importa” rispose mentre uno sbadiglio sfuggiva al suo controllo.

“Come ti senti? Hai dormito bene?”

“Un po’ affaticata” rispose sinceramente “ma si dorme fantasticamente su di te”

Solo quando lui sorrise divertito lei si rese conto di quello che aveva detto. Non sapeva se le sue parole erano fraintendibili ma di certo non erano le più adatte per esprimere i suoi pensieri.

“Vado a prepararti la colazione” le disse “hai bisogno di mangiare qualcosa”

Felicity non si oppose ma quando Oliver scivolò lontano da lei sentì la mancanza del suo corpo caldo affianco al suo.

Si rintanò sotto il piumone coprendosi fin quasi al naso, le gambe rannicchiate per scaldarsi e le mani sotto il cuscino.

Cuscino che sapeva di lui, del suo profumo inconfondibile.

Aspettò con impazienza che lui tornasse mentre sentiva il dolce aroma di caffè provenire dalla cucina, attivando il suo stomaco che brontolò per un appetito che non credeva di avere. 

Dopo quasi dieci minuti Oliver tornò in camera, un vassoio stretto tra le mani, i lineamenti del viso incredibilmente tesi e un velo di paura nei suoi occhi.

Paura che Felicity non ricordava di aver mai visto nel suo sguardo se non in rarissime occasioni, ma pur sempre mescolata a determinazione, rabbia ed adrenalina.

Vederlo così quasi la spaventò, non sapendo cosa aspettarsi.

Oliver si fece coraggio entrando a grandi passi nella stanza e posando il vassoio sul letto, accanto alla donna.

La aiutò a mettersi seduta, in una posizione abbastanza comoda per poter mangiare.

Evitò il suo sguardo, intimorito ed imbarazzato.

Sapeva di volerle parlare ma non sapeva da che parte iniziare, né quali parole scegliere per dirle ciò che provava.

Felicity rimase in silenzio mentre afferrava la tazza fumante di caffè, appoggiata vicino ai biscotti al cioccolato che custodiva gelosamente nella dispensa, per le volte in cui si sentiva triste e aveva bisogno di tirarsi sul il morale.

Solo quando bevve il primo sorso notò che c’era un piccolo biglietto, due sole parole scritte al di sopra. Era chiaramente la calligrafia di Oliver, chiara e leggibile.

Lo afferrò ma prima che potesse leggerlo la mano di lui si posò sulla sua, impedendole di vedere quanto riportato su quel piccolo foglio.

“Forse è meglio se non lo leggi …” le disse imbarazzato “… è ridicolo”

“E perché lo avresti scritto se è ridicolo?” gli domandò cercando i suoi occhi.

“Perché avevo paura di non riuscire a dirtelo di persona”

“Allora facciamo così” propose lei, curiosa di sapere in realtà che cosa ci fosse scritto “dimmelo ora, di persona. Fino ad allora io non lo leggerò”

Prese il foglietto e senza degnarlo di uno sguardo lo seppellì sotto le coperte, attendendo una reazione da parte dell’uomo.

Oliver le si avvicinò cercando dentro di sé tutto il coraggio di cui era a disposizione.

Era soltanto un discorso. Una serie di parole messe in fila fino a comporre qualche frase di senso compiuto, non certo la fine del mondo.

Allora perché era così agitato? Perché gli sembrava più facile partire per un nuovo duello contro Ra’s Al Ghul piuttosto che dirle quanto lei fosse importante per lui?

Prese la tazza dalle mani di Felicity e la posò sul vassoio mentre si schiariva la voce per parlare.

Doveva essere sincero quella volta, fino in fondo.

Lei rimaneva lì, immobile, in attesa.

 “Mi dispiace” iniziò titubante mentre cercava le mani di Felicity e le stringeva tra le sue.

“Per cosa?”

“Per tutto quello che ti ho fatto, per quello che ti ho detto, per Miller”

Non poteva credere che Oliver si addossasse sempre tutte le colpe, anche quelle che non erano sue.

“Miller non è stata colpa tua” gli disse guardandolo negli occhi.

“Forse non lui ma quello che ha scatenato in te sì” le rispose “quello che hai visto è solo per colpa mia. Se non ti avessi ferito dopo il nostro appuntamento, se non ti avessi fatto così male, tu non avresti paura di me”

“Io non ho paura di te” ribadì.

Oliver non le avrebbe mai fatto paura: l’avrebbe fatta infuriare, gioire, piangere, disperare.

Aveva il potere di scombussolarla, di mettere in subbuglio tutta la sua vita ma mai e poi mai avrebbe avuto paura dell’uomo che amava con tutta sé stessa.

“Sì invece. Sei terrorizzata. Sono diventato la tua paura più grande e non riesco neanche a dirti quanto mi dispiace. Quanto faccia male sapere di averti causato tutto questo”

Felicity fece per parlare ma lui la bloccò: “Vederti stesa su quel marciapiede e poi svenuta sul tavolo del covo mi ha fatto capire quanto tu sia essenziale per me.

E ho realizzato che non posso più vivere senza di te, Felicity. Ma al tempo stesso non riesco neanche a vivere con te perché sono spaventato a morte.

La verità è che ho paura.

Paura che possa non funzionare tra noi ma anche che possa andare tutto a meraviglia”

“Questo non ha senso” lo interruppe lei, emozionata ma al tempo stessa impaurita per la piega che quel discorso stava prendendo.

Oliver sapeva essere imprevedibile e lei non avrebbe potuto dire come si sarebbe conclusa quella discussione, poteva soltanto sperare che li avvicinasse e che non li avrebbe mai più fatti allontanare.

“Ogni volta che esco per andare in missione so che potrebbe essere l’ultima, ma questo non mi ha mai fermato. Non avevo paura di morire fino a qualche mese fa perché non avevo nulla da perdere, nulla per cui valesse la pena vivere davvero. Ma ora …. ho te. E sei il motivo più valido che io abbia mai avuto per tornare a casa sano e salvo, per poter vedere di nuovo il tuo sorriso”

Si stava aprendo con lei come mai prima, voleva essere sincero, voleva davvero che capisse quanto fosse importante per lui.

Felicity non sapeva che cosa dire, troppo stordita da tutto quello che stava succedendo per riflettere lucidamente.

“Ho il terrore di metterti in pericolo, di perderti, ma voglio impegnarmi davvero. Voglio più di quello che abbiamo, voglio starti accanto, creare qualcosa di importante.

Ho deciso che voglio essere felice e posso esserlo solo con te”

Felicty lo guardò negli occhi, leggendo l’amore e la paura nel suo sguardo.

Aveva voglia di piangere. Non poteva credere che tutto questo stesse succedendo davvero.

Strinse più forte le sue mani, beandosi di quel contatto così piacevole.

“Non posso garantirti nulla e avrò bisogno del tuo aiuto per superare la paura che ho di metterti in pericolo con le mie missioni. Non sarà facile perché sono maledettamente testardo” lei sorrise sentendolo parlare così di sé stesso “ma Felicity, se lo vuoi ancora, voglio stare con te. Voglio svegliarmi al tuo fianco la mattina, coccolarti fino a tardi la sera e vivere la mia vita insieme a te”

Questa volta pianse e non si vergognò di farlo davanti a lui.

Era quasi sicura che anche lui si stesse commuovendo.

Le sorrise, quel sorriso che la faceva scogliere ogni volta, mentre le dita di Oliver le accarezzavano le guance asciugandole le lacrime.

“Felicity” la chiamò.

“Sì?”

“Puoi leggere il biglietto ora”

Prima che lei riuscisse a trovarlo il campanello suonò.

Oliver rimase un secondo interdetto poi si decise ad andare ad aprire.

E mentre si ritrovava il suo incubo sulla soglia di casa Smoak, Felicity stringeva emozionata un piccolo pezzo di carta tra le mani.

Il suo cuore parve fermarsi un attimo per poi battere come un tamburo impazzito contro le sue costole doloranti.

Ti amo, c’era scritto.

E lei non aveva bisogno di sapere altro.

Note: Stiamo giungendo alla fine di questa storia, molto probabilmente il prosimo capitolo sarà l'ultimo.
Volevo ringraziare tutti per aver letto questi capitoli e per le bellissime recensioni che mi avete lasciato, non immaginate quanto mi faccia piacere!
Grazie davvero, ad ognuno di voi.
Al prossimo e ultimo aggiornamento ;)
   
 
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