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Autore: allonsy_sk    08/03/2015    5 recensioni
Un diverso 'lieto fine' per ognuno dei capitoli di Protect me from what I want o in altre parole, come la storia sarebbe finita se una certa decisione fondamentale fosse stata presa in ognuno dei capitoli iniziali.
Ognuno di questi capitoli è un diverso possibile finale della storia che sto scrivendo. Non vanno trattati come una storia continuativa (anche perché non avrebbero senso come tale).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Come Home'
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Vi ricordo che questi capitoli non vanno letti in maniera continuativa. E' come se ognuno di questi fosse un diverso finale per 'Protect me from what I want', come se la storia si fermasse al primo o al secondo o al terzo capitolo invece di andare avanti. Se li leggete come consequenziali non avranno alcun senso XD

2 - Sabato 16 Aprile 2016 (versione alternativa)

 

Quando l'episodio finisce, Sherlock è sicuro di sentire John tirare un po' su col naso, senza dire niente. Non si volta, considera persino l'opportunità di fingersi addormentato, rinuncia quando sente un tocco sulla spalla.

Sherlock, volevo dirti...”

John?”

L'espressione di John è quasi normale, per quanto i suoi occhi siano un po' lucidi. Esita un attimo in cerca delle parole giuste, ma quando le trova e decide di sceglierle, Sherlock lo vede illuminarsi per un breve istante in un bel sorriso. Stanco e fragile, ma lento e luminoso come l'alba.

Niente, volevo dirti. Insomma, grazie. Per questa cosa che stai facendo-” prosegue, indicando vagamente il laptop e Doctor Who e tutto il resto.

Ah, non pensare di cavartela con così poco,” ribatte Sherlock con sussiego, come sempre pronto a fuggire al primo accenno di emotività. “Mi aspetto che in cambio mi aiuti a sistemare l'indice del mio archivio dei casi. Poi potresti assistermi nei miei esperimenti sulle muffe giù al 221c, e poi...”

John sorride di nuovo, quasi ride, e Sherlock è costretto a srotolarsi dal divano in una sola fluida mossa e proporre alternative per la cena prima di potersi soffermare ad analizzare gli effetti di quel sorriso.

 

-

 

Più tardi, dopo la cena che Sherlock ha cucinato e il dessert che John ha comprato, tornano a occupare il divano.

Sherlock propone un altro episodio ma John scuote la testa. Il prossimo della serie è in realtà il primo di una storia in due parti. Andrebbero visti insieme, e a quanto dice non crede di farcela a restare sveglio ancora a lungo.

Sherlock non gli crede, John certo segue tutte le regole e si mette a letto ad orari decenti e si alza ad orari altrettanto decenti, ma non può ingannarlo. Anche se ha scelto di non leggergli in faccia il dolore e la frustrazione e la preoccupazione che lo sta smangiando dall'interno, non può fare a meno di vedere i segni delle sue notti insonni.

Sia come sia, nell'intervallo tra la visione del pomeriggio e la preparazione della cena ha controllato le trame dei prossimi episodi ed è meglio così, meglio se per oggi non vanno avanti. Nella storia in due parti che li attende domani o quando sarà, c'è un'altra faccenda con un padre e un figlio piccolo e Sherlock non crede che John debba essere ancora sottoposto a questo stress.

Una ridicola maratona serale di Strictly Come Dancing risulta essere un gradito diversivo, se lasciata col volume basso e per fortuna la tensione e la stanchezza di queste giornate trascorse a fare poco e a pensare troppo inizia a pesare sulle palpebre di entrambi.

Sono seduti un po' troppo vicini, in un silenzio abbastanza confortevole. Ogni tanto John sbadiglia, senza dubbio non vede neanche i costumi sfavillanti dei ballerini sullo schermo. Sherlock si è permesso un paio di deduzioni svogliate a spese dei partecipanti, ora approfitta del silenzio per stare un po' solo in pace con i propri pensieri.

Non ha mai creduto alle stucchevolezze dell'amore, ai ridicoli modi di dire del romanticismo. Anche se deve ammettere che 'Farfalle nello Stomaco' è appropriato, considerando la confezione dell'Allegro Chirurgo infilata in uno scaffale in soggiorno.

Colpi di fulmine, cuori spezzati. Stupidaggini per gente piccola e senza cervello, giusto?

Già, e forse il suo cervello ha sofferto per la perdita di circolazione sanguigna e pertanto di ossigeno quando è clinicamente morto dopo essere stato colpito dallo sparo di Mary. È l'unica spiegazione.

Soltanto un cranio vuoto ed echeggiante può fargli pensare di provare quella sensazione di solletico alla bocca dello stomaco al solo pensiero del sorriso di John.

Un senso di vertigine, un senso di prudente aspettativa.

Ha iniziato a succedere da quando John ha ripreso a sorridere di tanto in tanto, quei suoi piccoli e rari sorrisi tanto più luminosi in virtù della loro lunga assenza. Sorrisi che sono per Sherlock e soltanto per Sherlock, ognuno di loro un ringraziamento per la cura e l'attenzione che il detective normalmente impiegherebbe su un caso o un esperimento ma che ora sono ad esclusivo appannaggio di John.

Sherlock vorrebbe fingere di non aver capito di cosa si tratta. Vorrebbe spingere via il pensiero e nasconderlo in fondo ai suoi corridoi mentali. Vorrebbe cancellarlo e tornare a funzionare come sempre, con la precisione asettica di una macchina.

Come pensa di poter estirpare ora qualcosa che ha gettato radici e germogli anni fa?

Non ci è riuscito quando c'erano motivazioni consistenti per pensare di farsi da parte (una moglie, per esempio, una figlia in arrivo), di tenere a bada il proprio egoismo.

Adesso, l'unica diga che impedisce al suo bisogno sfacciato di dilagare è la sua palese incapacità nel gestire i rapporti umani.

Sospira. Ha un bel volersi dire di essere in grado di astenersi e astrarsi, non è più in grado di convincere neanche se stesso.

Scuote la testa piano piano, senza accorgersi di aver lasciato i propri pensieri liberi di comandare anche i movimenti del proprio corpo.

La diga si è crepata, e adesso non c'è più alcun ritorno, pensa, con quieta e quasi completamente immobile disperazione.

“Sherlock.”

La voce di John lo coglie in flagrante. Di cosa e di quanto si è accorto? Cosa ha capito? Cosa ha visto e cosa ha osservato? Sprofondato nei propri rovelli, Sherlock non ha pensato di poter essere visto o peggio letto e capito.

Dopotutto John era preso dai propri drammi, dai propri pensieri e dal proprio dolore. Forse non si è accorto di niente. Forse vuole soltanto chiedergli se è rimasta della birra, o magari un sorso di quel rosso un po' amabile che hanno consumato con la cena.

Prima che possa voltarsi o rispondere, la mano di John si appoggia lievemente sulla sua, di fatto fermandone il movimento nervoso, neanche Sherlock stesse tentando accordi e arpeggi sulla superficie del divano. Strano, non si era accorto di essere tanto nervoso.

Sherlock si ferma completamente, smette persino di respirare, smette di pensare. Paralizzato sotto il tocco leggero e caldo di John, che dopo un istante inspira ed espira come per farsi coraggio e stringe piano la presa sulla sua mano.

“Sherlock,” ripete, con maggiore dolcezza.

Deve voltarsi, deve voltarsi ed essere coraggioso. Deve voltarsi e affrontare qualsiasi cosa sia, che si tratti della peggiore delle ipotesi o persino- persino- no, non può permettersi di pensare alla possibiltà che...

Sente più vedere il sorriso di John, appena accennato come già poco prima, ma caldo e luminoso. Lo sente quando John si sporge con la più piccola esitazione, si sporge per depositargli con delicatezza quel sorriso sulla guancia, e poi si tira indietro, attendendo la reazione di Sherlock.

Deve proprio voltarsi adesso, anche se ha gli occhi spalacati dalla sorpresa e fiori di rossore sulle guance, il cuore che gli martella direttamente nella gola, premendo per scardinare i propri legami e sfuggirgli in una pazza fuga. In quanto al cervello, assente senza licenza.

“John,” mormora, con la voce stenta che gli raspa in gola e non riesce a venir fuori.

Il sorriso di John non vacilla, ma i suoi occhi così stanchi e segnati si addolciscono un po' di preoccupazione e calore.

“Va bene?” domanda John in un sussurro, “va bene, Sherlock?”

Se fosse in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, oh, scriverebbe un sonetto, comporrebbe una serenata, no, una marcia trionfale, scriverebbe un saggio in tre parti su quanto di preciso è possibile sbagliarsi riguardo i sentimenti.

Ma ogni sua attività intellettuale ha fatto corto circuito al momento di quel minuscolo e caldo contatto affettuoso, come luci che sfarfallano per un calo di tensione e finiscono per spegnersi sprofondando tutto nel buio più denso e accogliente.

“Sì,” balbetta e sbatte le palpebre troppo veloce, sentendosi gli occhi così caldi e pesanti, “sì,” ripete, ricambiando finalmente la stretta intorno alle dita di John, beandosi del contatto caldo della sua pelle contro la sua.

“Allora posso baciarti?” mormora John, anche se ci sono soltanto loro due nel soggiorno del 221b, con la tv al minimo e la timidezza improvvisa che li riduce a scolaretti imbarazzati e emozionati.

“Per favore,” risponde Sherlock a stento.

Normalmente si chiudono gli occhi per queste cose. Dovrebbe chiuderli, ma non può perdere nessun dettaglio del viso di John che si avvicina al suo e della sua mano libera che si solleva per accarezzargli la guancia con una delicatezza quasi commovente.

Il bacio in sé è breve, asciutto e casto, niente più della pressione gentile delle labbra di John sulle sue, ma ha il potere di fargli girare la testa come il vino rosso che non hanno bevuto.

Dovrebbero parlare, forse, ma Sherlock non è sicuro di esserne in grado.

È John a risolvere la situazione, sporgendosi per sfiorargli uno zigomo con un altro bacio lieve e avvicinandosi un po' a lui sul divano, abbastanza da appoggiare la testa contro la sua spalla e sospirando un po'.

Sherlock non sa se si tratti di sollievo, stanchezza, soddisfazione. Appoggia la testa contro quella di John e stringe un po' più forte la sua mano, senza alcuna intenzione di lasciare andare.

 

 

  
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