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Autore: Biszderdrix    08/03/2015    1 recensioni
Come possiamo sapere se siamo pronti per le sfide del mondo? Come possiamo sapere se saremo all'altezza di ogni nemico? Ma soprattutto... se fossi tu stesso il tuo nemico?
L'intera saga di Dragon Ball e degli eroi che tutti amiamo riscritta dalle origini del suo stesso universo, per intrecciarsi a quella di un giovane guerriero, che porta dentro sé un potere tanto grande quanto terribile, dai suoi esordi fino alle sfide con i più grandi nemici, e la sua continua lotta contro... sé stesso.
Se non vi piace, non fatevi alcun problema a muovere critiche: ogni recensione è gradita, e se avete critiche/consigli mi farebbe piacere leggerli, siate comunque educati nel farlo.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO SECONDO- IL TORNEO

ANNO 756

«Ed è così che ho conosciuto Goku.» concluse mio padre. Nonostante avessi perso il conto di quante volte gli avevo chiesto di raccontarmi la storia della Muscle Tower, lui non si stancava mai di raccontarmela.

Quella fu l’ultima delle avventure di mio padre prima che nascessi, e per me aveva un significato speciale: per me, aveva scelto di interrompere il suo peregrinare, ma non l’avrebbe mai fatto se prima non avesse portato a termine il suo obbiettivo, quello di liberarsi dei malvagi che facevano del male a persone innocenti.

Una volta tornato a casa, la sua nuova avventura fui io: Daniel. Io e la mia famiglia viviamo in una piccola cittadina poco lontano dalla Città dell’Ovest, Pepper Town.

 Mio padre Damon lavora per la Capsule Corporation, dove mi pare si occupi di robot o altri marchingegni... credo di non sapere bene di cosa si occupi!

Mia madre Lynda, invece, si occupa della casa, ed è una cuoca provetta: è una donna bellissima, molto dolce ma comunque autorevole, cosa che sa trasmettere attraverso sguardi che possono far rabbrividire anche il peggiore dei malvagi, secondo me.

Mia sorella Kira, di tre anni più grande di me, è una ragazza allegra e solare, ma molto competitiva ed orgogliosa, e nonostante sia ancora piccola è una grande sportiva e un’atleta diligente.

Anche i miei genitori non sono male da questo punto di vista: da quello che mi ha detto papà, sia lui che mamma sono stati allenati fin da piccoli nelle arti marziali. Papà si è allenato perfino con un grande maestro, un eremita se non mi ricordo male, che gli ha insegnato come formare dei potentissimi raggi di energia!

Ecco, io non ho mai ricevuto alcun allenamento di questo tipo: papà non mi ha mai voluto spiegare il perché. In questi pochi anni mi ha comunque insegnato molte cose: ho imparato a leggere in poco tempo, e già studio libri complessi su tutti i tipi di argomenti.

Papà dice che devo coltivare la mia intelligenza, che è un dono da non sprecare. Ma questo non mi ha impedito di appassionarmi alle arti marziali: ho già letto qualche libro, ho assistito ad incontri sporadici nelle strade di Pepper Town, e mi piace osservare papà quelle poche volte, ormai, in cui trova del tempo per allenarsi; quando mi ritrovo a girovagare nei boschi alla base delle montagne creo nemici invisibili con rocce ed alberi, e mi diverto tantissimo, nonostante mamma poi si ritrovi sempre costretta a riempirmi di cerotti e fasciature, il che non è molto divertente, e su questo sono d’accordo con lei.

Per il mio quinto compleanno, ho chiesto di poter assistere all’imminente 23° torneo mondiale di arti marziali. Sorprendentemente, mio padre ha accettato, anche con un certo entusiasmo: «Sarà un’occasione per poter rivedere qualche vecchia conoscenza.» ha detto.

Ora, mentre sta terminando il suo racconto, ci troviamo, tutti e quattro i membri della nostra famiglia, su un traghetto diretto all’isola Papaya, dove ogni tre anni ha sede il torneo.

Avremmo prendere un aereo, ma mamma ha paura di volare. Ci saremmo risparmiati diversi giorni di viaggio per arrivare fino alla Città del Sud, dove abbiamo potuto prendere il traghetto.
«Guardate! Ci sono i delfini!» urla Kira entusiasta, appiccicando la propria faccia al finestrino per poter veder meglio. Cerco di farmi spazio, voglio vederli anche io.

«Daniel, non spingere! C’ero prima io!»

«Ma voglio vedere anch’io i delfini!»

«Se non la smettete subito l’unica cosa che vi scorderete di vedere saranno i dessert a fine pasto!» sbottò mia madre. Io e Kira ci risedemmo immediatamente, composti e zitti: non solo andavamo matti per i dolci, ma quelli della mamma… erano il nostro punto debole. Girai comunque la testa verso il finestrino: feci così in tempo per assistere ad un meraviglioso salto di un delfino, seguito a ruota da altri due, come in una sorta di danza.

Proseguirono nelle loro acrobazie, incrociando le loro traiettorie senza mai toccarsi. Nella cabina si poté sentire qualche “Ohh!” di meraviglia. Io ero, se possibile, ancora più entusiasta: quella serie di salti così coordinati tra loro, come se seguissero una coreografia, mi faceva venire in mente uno scontro tra esperti guerrieri dalle tecniche raffinate, facendomi sognare di fronte alla prospettiva che quelle visioni sarebbero tra un po’ divenute realtà di fronte ai miei occhi.

Quando attraccammo, fu tutto molto caotico: erano venuti in molti per assistere al torneo. Oltretutto faceva molto caldo: nonostante le nostre proteste alla partenza per il troppo freddo, l’indicazione di papà si rivelò utilissima. Eravamo tutti vestiti in modo simile: io e mio padre, entrambi con dei pantaloncini corti fino al ginocchio e una maglietta a maniche corte, la mia di un rosso acceso, a sua bianca, con il logo della Capsule Corp. che ritornava anche sul cappellino che aveva (saggiamente) deciso di portarsi dietro. Teneva, come sempre, i capelli legati in una lunga coda. Io, al contrario avevo i capelli corti e rigorosamente spettinati.

Mamma, invece, teneva i suoi lunghi capelli castani sciolti ad incorniciarle il viso, che gli ricadevano sulle spalline della sua canotta.

Anche Kira portava una canotta, su cui era disegnato in grande evidenza il logo della sua squadra di basket, e come mamma aveva lunghi capelli castani che però teneva raccolti in una treccia. Entrambe avevano optato per lunghi pantaloni da tuta, di un tessuto comunque leggero.
Una volta scesi dalla nave, raggiungemmo senza non troppe difficoltà l’albergo: non avevamo troppi bagagli e neanche troppo grossi, fu il taxi che ci accompagnò che sembrava più un uovo su quattro ruote.

Nonostante la situazione di incredibile scomodità, io e Kira evitammo di stuzzicarci, ricordandoci della minaccia che la mamma ci aveva fatto poco fa. Una volta arrivati nell’albergo, ci sistemammo nelle rispettive stanze: i miei genitori nella camera matrimoniale, io e Kira nell’unica con due letti separati, per il dispiacere di entrambi.

In realtà io voglio molto bene a mia sorella, però in certi momenti sa essere davvero insopportabile, con la sua grande abilità negli sport che l’ha resa fin troppo competitiva, anche quando non serve: quando vince una partita a carte, ad esempio, esulta come se avesse vinto chissà quale competizione prestigiosa.

Quando finimmo di sistemarci era già ora di cena. Vista l’ora tarda papà pensò bene di andare a prendere delle pizze da un ristorante che aveva notato a pochi passi dall’albergo.

Dopo mangiato, andammo tutti a letto, stremati dal lunghissimo viaggio e bisognosi di recuperare le energie per il giorno dopo, data ufficiale di inizio del torneo, e che sarebbe stato molto lungo. Ma l’eccitazione era tale che feci fatica a chiudere gli occhi, quella notte.
La mattina dopo mi svegliai per primo. Mi resi conto che era molto presto dal fatto che stava iniziando ad albeggiare. Di tornare a dormire, comunque, non se ne parlava.

Mi sedetti al tavolo in attesa della colazione, cercando i modi più svariati per ingannare il tempo: contavo i petali dei fiori ricamati sulle tende, o il numero di piastrelle sul pavimento, cercando di soffocare la fame che in qual momento mi tormentava. Finché la porta della camera dei miei genitori non si aprì: «Daniel…» disse mia madre con uno sbadiglio «sveglio già a quest’ora, tesoro?»

«Scusa mamma, proprio non riuscivo a dormire, eh-eh…»

«Devi essere parecchio eccitato, eh?» mi disse con un sorriso, mentre ordinava sul bancone quelle poche cose da mangiare che ci eravamo portati dietro, ma che per lei erano abbastanza per preparare una colazione con i fiocchi.

«Sai mi vengono in menti tanti ricordi, quando io e tuo padre eravamo poco più grandi di te.» disse sorseggiando il suo caffè, mentre io mi ero già buttato sui pancakes che avevo ricoperto di ogni glassa possibile e immaginabile, con una montagna di zucchero a velo.

«Quando sognavamo di diventare i più forti del mondo, mentre ci allenavamo agli ordini di tuo nonno.» Qui si interruppe: parlare del nonno la faceva sempre intristire. Mio nonno Jack era morto per difendere la mamma e nonna Amy da un rapinatore: per quanto fosse un esperto combattente, non poté nulla contro i proiettili della sua pistola.

Quel giorno mia madre decise di smetterla con gli allenamenti, mentre mio padre decise di andare a completare il suo addestramento con Muten, prima di interromperlo anche lui per iniziare una carriera nel mondo scientifico e per iniziare una vita con la mamma. I genitori di papà non li ho mai conosciuti: morirono quando lui era piccolo. L’unica cosa che so, è che il nonno gli lasciò in eredità un braccialetto, un “segno tangibile della nostra eredità”. Papà non è mai voluto andare oltre nella storia, e io non ho mai voluto costringerlo a rivelarmi altro.

«Mamma, tutto a posto?» notai che aveva perso la sua solita aria decisa, i suoi occhi si erano spenti: sembrava molto triste.

«Cosa? No, non è niente tesoro, mi sono solo venuti in mente dei ricordi poco piacevoli. Ora finisci di mangiare e vai a preparati, ma attento a non svegliare tua sorella!» Non me lo feci ripetere due volte: andai in camera e sistemai sul letto i vestiti che indossai in un attimo.

Non dovetti nemmeno fare attenzione nel non svegliare Kira, che nel momento in cui entrai stava scendendo dal letto. Una volta che anche papà si svegliò e terminò la sua colazione, non aspettavo altro che il momento in cui saremmo saliti sul taxi che ci avrebbe accompagnato all’arena.

«Non essere troppo precipitoso, Daniel.» disse mio padre «prima dobbiamo meditare.» Ancora non capivo perché per mio padre la meditazione fosse così importante. Lo faceva sempre prima di ogni allenamento, ed ogni giorno ci costringeva a radunarci tutti insieme in giardino per farlo: diceva che lo aveva imparato dal nonno, ed che lo aiutava a mantenersi in forma.

«Lo so che non ti piace particolarmente farlo, Daniel, ma la meditazione è importantissima: ti aiuta a conoscere il tuo corpo e a porti in armonia con l’energia del mondo. Molti grandi guerrieri meditano!»

«Si, ma io non sono un guerriero! E se non mi permetti di allenarmi non lo sarò mai!» sbottai.

«Questo è un discorso a parte: ho scelto di non allenarti anche perché vorrei che tu coltivassi la tua intelligenza. Sei un  ragazzo sveglio e non voglio che sprechi questo tuo dono.» concluse, con molta calma, nonostante potessi intuire che la mia reazione lo avesse un po’ indispettito. Ma dal tono che usò potei capire che non mi stava dicendo la verità, o almeno non tutta quanta. Non opposi più resistenza.

Dopo esserci seduti per terra, in cerchio, chiudemmo tutti gli occhi ed iniziammo la nostra mezz’ora di meditazione quotidiana. Sincronizzammo i nostri respiri e, come papà ci diceva, e ci concentrammo su ogni singolo suono, odore e movimento intorno a noi.

Ben presto quell’intorno passò dal semplice movimento del torace degli altri tre componenti del cerchio all’intera stanza, fino a che non riuscì a percepire il battito delle ali dei gabbiani che si agitavano sul lungomare che fiancheggiava l’hotel, e tutti quei rumori che indicavano quanto attorno a noi, in quel momento, in quel piccolo spazio di pianeta, la vita fremeva e si esprimeva in svariate forme, finché quelle percezioni finirono per farmi perdere quella del tempo, lasciandomi in armonia con questa melodia di vitalità, che in un contesto normale sarebbe sembrato solo un gran baccano.

Quando la mezz’ora terminò, il ritorno alla realtà fu quasi traumatico. Dopo qualche esercizio di respirazione e un po’ di stretching, fu il momento di prepararsi per andare al torneo.

Alla fine, meditare mi piaceva: provare quelle sensazioni era qualcosa di meraviglioso, non era solamente l’attività con cui preferivo occupare il mio tempo.

Quando fummo tutti pronti, scendemmo all’ingresso, dove un taxi, questa volta decisamente più spazioso, ci stava aspettando. Il traffico era tremendo: erano venute centinai, forse migliaia di persone per assistere al torneo.

«Ma così perderemo le eliminatorie!» dissi, leggermente irritato.

«Mi spiace ragazzo, ma in questo momento siamo letteralmente bloccati!» mi disse cortesemente il tassista, un uomo anziano con due folti baffi bianchi e molto cordiale.

Mi risedetti pesantemente, incrociando le braccia. L’espressione che assunsi, poi, marcò ancora di più quel senso di irritazione e frustrazione che ora mi pervadeva. Dopo quella che parve un’eternità, riuscimmo ad arrivare a destinazione: c’era una ressa incredibile.

«Rimaniamo vicini, cerchiamo di non perderci!» disse frettolosamente papà, una volta raggiunta un’area del complesso decisamente più libera.

«Damon? Damon Ryder?» a sentire il nome di mio padre ci voltammo tutti di scatto: a parlare era una giovane ragazza dai capelli azzurri che si stava avvicinando.

«Signorina Brief! È un piacere incontrarla qua!» disse allegramente mi padre «Come mai si trova qui, se posso chiederlo?»

«Dammi pure del tu, Damon, sarò anche il tuo “capo” ma ho ventitré anni, accidenti! Mi fai sentire vecchia!» disse l’azzurra con una risatina. «Comunque, ho dei carissimi amici che partecipano, quindi sono venuta a fare il tifo! E tu?»

«È il regalo di compleanno per mio figlio, e l’ho voluta sfruttare come occasione per fare una bella esperienza con tutta la famiglia, e rivedere qualche faccia conosciuta. A proposito, ti presento i miei figli, Daniel e Kira.» con una velocità che sorprese entrambi, mio padre spinse leggermente me e mia sorella davanti a lui, in modo che non ci fossero più “ostacoli”, tra noi e l’azzurra.

«Era ora che me li facessi conoscere! Siete così carini!» disse con un’allegria che mi metteva un po’ a disagio «È un piacere conoscervi ragazzi! Io sono Bulma Brief, ma potete chiamarmi solamente Bulma.»

«È u-un p-piacere anche per noi…» rispondemmo entrambi con evidente imbarazzo, abbozzando un inchino. Poi Bulma si rivolse nuovamente a mio padre: «Le eliminatorie sono terminate poco fa, i guerrieri sono in pausa. Io stavo andando a trovare i miei amici, probabilmente anche voi siete diretti lì!»

Mio padre annuì e seguimmo l’azzurra verso un edificio, composto da un solo grande salone: nel salone, i partecipanti che avevano superato le eliminatorie si stavano rilassando. Ero emozionatissimo: era la prima volta che vedevo da vicino dei guerrieri professionisti!

Vidi mio padre mandare qualche cenno qua e là, e mi sentì orgogliosissimo. Intanto l’azzurra si era fermata vicino ad un gruppo che non dimenticherò mai: un guerriero pelato con le parvenze di un monaco, poco più alto di me, vestito con una tuta arancione; con la stessa tuta, un altro guerriero dai lunghi capelli neri con delle cicatrici sul viso; al suo fianco, un guerriero anche lui pelato, con una canottiera gialla e dei pantaloni verdi, ed un terzo occhio sulla fronte; vicino a lui una donna dai capelli biondi e dall’espressione decisa; un piccoletto che dall’aspetto ricordava un po’ un pagliaccio; infine un maiale parlante su due zampe che si intratteneva con u vecchio dalla lunga barba bianca, con dei baffi molto pronunciati ed un bastone di legno.

Fu proprio a loro che si avvicino mio padre: «Ne è passato di tempo, maestro.»

Il vecchio interruppe la discussione con il maialino e si girò, visibilmente sorpreso: «D-Damon?! Damon Ryder?! Sei proprio tu?»

Mio padre annuì. «Ah-ha! Ragazzo mio, che piacere rivederti! Vedo che ti sei sistemato, hai proprio una bella moglie, eh-eh…» disse il vecchio scostando leggermente mia madre, che arrossì vistosamente.

Al che mio padre gli rifilò un’occhiataccia, poi però sorrise: «Maestro, voi invece non siete cambiato per niente!» In quel momento Bulma li interruppe, questa volta quella sorpresa era lei: «Voi due… vi conoscete?!»

Al che il vecchio rispose: «Certamente, circa una quindicina di anni fa Damon divenne mio discepolo, e tuttora rimane uno dei migliori allievi che io abbia mai avuto.» E lì capì, che quel vecchietto altri non era che il Maestro Muten, l’Eremita della Tartaruga. Anche il resto del gruppo rimase un po’ sconcertato da questa scoperta.

Fu allora che ci presentammo: conobbi così Crilin e Yamcha, i due nuovi allievi di Muten; Tensing e Reef, due ex-allievi dell’eremita della Gru, nome che mi era ancora sconosciuto; Launch, che non si presentò personalmente perché, secondo Crilin era «di non ottimo umore in quel momento…»; e infine Oscar, il maialino parlante che scoprì essere in grado di cambiare forma.

Strinsi la mano a tutti e mi inchinai diverse volte, ma fu particolare quella con il vecchio maestro di mio padre: al momento di stringermi la mano, rimase un attimo in silenzio, con un espressione seria, scrutandomi in silenzio attraverso i suoi occhiali da sole. Rimase così per qualche secondo, salvo poi riprendere la sua solita aria allegra e gentile: «E così tu sei il piccolo Daniel, eh? Piacere di conoscerti!» Ma le presentazioni non erano ancora terminate.

«Ne manca uno…» disse Muten fra sé e sé «dove si sarà cacciato quel ragazzo?»

«Maestro, l’ultima volta che l’ho visto si stava avvicinando al buffet… credo che sarà una lunga attesa.» disse Crilin con un velo di sarcasmo.

«Non cambierà mai quel ragazzo! Sa solo pensare al cibo e ai combattimenti!» disse Bulma irritata.

«Ah, eccolo là!» esclamò Muten. Mi girai, e poi notare un ragazzo dai folti capelli neri, stranamente appuntiti, dall’aria vispa e con un enorme sorriso di soddisfazione stampato sulla faccia: mentre camminava si massaggiava lo stomaco con soddisfazione.

«Ahhhh… che mangiata! Hey, ragazzi! Avete fatto nuove conoscenze?» disse volgendo lo sguardo verso di noi.

«Non mi sorprende che non ti ricordi più di me, ora… ti eri dimenticato già dopo una giornata!» disse mio padre, sogghignando. Goku assunse un’espressione perplessa, poi spalancò gli occhi: «Tu sei quel combattente del villaggio Jingle! De- Dan-»

«Damon.»

«Ah, di lui quindi ti ricordi! IDIOTA!» urlò da lontano una potente voce femminile che non riuscii ad identificare.

«Proprio lui! Allora ce l’hai fatta ad uscire da quella torre! Sai, mi venne in mente dopo che nella torre c’era qualcun altro, sai ero un po’ stordito e non ho avvisato Ottavio eh-eh…» disse grattandosi il retro della testa.

«E chi è Ottavio? Nah, non fa niente. Mi fa piacere rivederti, ragazzo, non ho notizie di te dal disastro con quel Piccolo.»

Per un momento ebbi un brivido. Ero ancora un bambino, ma a quel nome associo uno dei miei primi ricordi, e purtroppo non positivi: mi ricordò il bunker in cui mio padre ci nascose, sotto la nostra casa. Ricordai grigio delle pareti, le lacrime di paura di Kira, la rabbia di papà. Avevo solo due anni e, fortunatamente, non ricordo molto altro.

«Spero tu sia diventato più forte dell’ultima volta che ti ho incontrato, e già mi avevi sorpreso ai tempi. Sono curioso di vederti all’opera.» concluse mio padre, mettendo una mano sulla spalla di Goku.

«E quindi era il nostro Damon il guerriero di cui mi parlasti? Ah ah, che curiosissimo intreccio.» commentò il maestro Muten.

Poi Goku volse lo sguardo verso di noi: «Loro sono la tua famiglia?» disse indicandoci.

«Si. È su richiesta di mio figlio che siamo venuti qua oggi, aveva grande voglia di assistere al torneo.» disse mio padre posando la sua mano sulla mia spalla.

«Allora perché non vi sedete con noi? Abbiamo degli ottimi posti in prima fila!» disse Bulma con entusiasmo.

«Penso che Daniel non abbia da obbiettare, io nemmeno. Voi due che dite?» mia madre e mia sorella annuirono in approvazione.

«Perfetto allora. Perché non iniziamo a dirigerci verso lo stadio, allora?»

Così ci muovemmo verso lo stadio. Crilin mi si affiancò facendomi qualche domanda sulla mia passione per le arti marziali. Provavo già simpatia per lui, così come per gli altri guerrieri.

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Damon rimase in fondo al gruppo. Vide suo figlio intrattenersi con gli altri guerrieri. Era felice del suo entusiasmo. Ma non voleva che ciò lo spingesse ad intraprendere quella strada.

Lui non lo faceva per snobismo: suo figlio era intelligente, e anche molto, ma se non lo aveva ancora allenato non era certo per togliere tempo allo studio.

Non lo aveva nemmeno iscritto a nessuna scuola, studiava a casa con sua madre. E così aveva un sacco di tempo libero per andare nei boschi a combattere nemici invisibili: e lui si rendeva conto che non avrebbe potuto tenerlo per sempre lontano da quel mondo, nonostante ciò che suo figlio si portava dentro.

«Damon, ragazzo mio…» disse Muten approcciandosi all’ormai ritirato guerriero «Non vorrei turbare questa bella giornata, e comunque non voglio essere troppo indiscreto: ma ho percepito qualcosa di strano in tuo figlio. Come una sorta di aura repressa…»

«La sua percezione è affinata come sempre, maestro, mi fa piacere.» Damon percepì che il suo vecchio maestro voleva dargli una mano.

«Ma non è questo il momento di parlarne. Aspettiamo la fine del torneo.»

Muten annuì, percependo il disagio nell’ex allievo. Proseguirono entrambi verso l’arena, unendosi nuovamente al gruppo. Gruppo, che già dall’interno del salone era stato seguito da due occhi curiosi, carichi di odio e malvagità: gli occhi di un guerriero dalla pelle verde, vestito con un turbante ed un lungo capello bianco, che aveva anch’egli percepito qualcosa di strano nel bambino. Ma per ora non era importante: era qui con un altro obbiettivo…

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Quando ci dividemmo dai guerrieri, mi dispiacque un po’: sapevo che li avrei potuti rivedere alla fine del torneo, ma quella passeggiata era stata così piacevole che avrei voluto non finisse mai.

Goku si era rivelato essere molto gentile e giocoso: se non fosse stato per il suo aspetto fisico, avrebbe potuto essere tranquillamente un mio compagno di giochi.

Crilin invece era un po’ più serio, ma anche lui non si risparmiava quando si trattava di fare una battuta, così come Yamcha.

Tensing e Reef erano un po’ più distanti: forse un atteggiamento dovuto al loro addestramento e dalla loro educazione, nel caso di Reef, che scoprii essere un imperatore.

Mi raccontarono le loro avventure, dalla ricerca delle sfere del drago al Fiocco Rosso, dalla morte di Crilin, Muten e Reef fino alla disfatta del Grande Mago Piccolo. Mi avevano preso all’amo: pendevo letteralmente dalle loro labbra.

Ero così preso, che quando mia madre mi afferrò per la mano, il ritorno alla realtà fu traumatico quasi come quelli post- meditazione.

«Tesoro mi dispiace, ma tu non puoi andare a combattere!» disse con un sorriso. «Grazie per averlo tenuto buono, ragazzi!»

«Non si preoccupi signora, siamo noi a ringraziare lei per averlo portato qua! Il suo entusiasmo ci ha dato una bella carica!» disse Crilin. Poi, salutando con un cenno della mano, i guerrieri si diressero verso l’arena.

«Buona fortuna!» gridai, sperando che mi sentissero. Poi seguì mia madre sugli spalti. Presi posto vicino a mio padre e mia sorella.

«Torna sulla terra fratellino, tu non sarai mai come loro. Quelli sono più che professionisti, quelli sono degli eroi!» mi disse Kira, con fare serio «Perfino papà non si avvicina al loro livello, secondo me.» concluse, dando una succhiata alla cannuccia con cui sorseggiava la bibita ghiacciata che si era appena comprata.

«Kira!» la fulminò mio padre. Si zittì immediatamente, anche se avrei preferito lo avesse fatto prima: e se avesse avuto ragione? Mi assillai con quell’interrogativo finché l’annunciatore non gridò nel microfono i nomi dei primi contendenti:
«Per il primo incontro di questa fase finale del 23esimo torneo mondiale di arti marziali: Tensing contro Tao Bai Bai!»
Chi fosse l’avversario di Tensing me lo spiegò il maestro Muten: era un mercenario spietato che dopo essere stato ucciso da Goku era stato riportato in vita come cyborg dal fratello, l’eremita della Gru, l’ex insegnante proprio di Tensing e Reef.

E le sue intenzioni di vendetta dei fratelli, nei confronti dei due ex allievi, furono subito chiare: quello che parve un combattimento tra due grandissimi guerrieri rischiò di finire in tragedia quando Tao trasformò la sua mano sx in una lama, e squarciò il petto di Tensing non riuscendo, tuttavia, ad ucciderlo, come sperava.

 «Ma così non è valido! È contro il regolamento!» mi alzai indignato.

Ovviamente stavo facendo il tifo per Tensing: notai che anche Launch stava facendo un tifo scatenato, era agitatissima.

Quando anche l’annunciatore proclamò la squalifica di Tao pensai che fosse tutto finito. Poi successe qualcosa che mi colpì profondamente: la mano destra di Tao si trasformò in un cannone, e con esso lanciò quella che mi dissero essere la “Super Dodonpa”, la tecnica della scuola della Gru, POTENZIATA.

Rimasi uno attimo scioccato dalla potenza di Tao. Ma lo fui ancora di più quando vidi Tensing resistervi ed uscirne praticamente illeso: lo scontro tra l’aura del guerriero e la potenza del raggio generò uno scoppio ed un’onda d’urto tali che non potemmo tenere gli occhi aperti.

Quando potei finalmente tornare a guardare il ring, vidi Tensing mettere Tao facilmente al tappeto, per la nostra gioia. Mio padre si girò e mi disse: «Sorpreso?» Io annuii, e lui non parve sorpreso.
«Negli scontri tra grandi guerrieri questa è quasi normalità» Quella frase mi lasciò un vuoto dentro: aveva forse ragione Kira? Erano veramente guerrieri così irraggiungibili? Se anche avessi iniziato ad allenarmi, sarei mai arrivato a lanciare attacchi così potenti e brutali? Avrei potuto mettere a repentaglio la mia vita, contro nemici della stessa potenza? A malapena sapevo tirare un calcio.

Tutti quegli scomodi interrogativi, quantomeno, avevano ancora una volta occupato il tempo che mancava all’incontro successivo, e questa volta uno dei contendenti era Goku! Il suo avversario era una ragazza con dei lunghi capelli neri, raccolti con un piccolo elastico rosso: da quella distanza sembrava comunque molto bella.

Più che uno scontro fu quasi una discussione tra i due, in cui la ragazza sembrava irritata dal fatto che Goku non ricordasse il suo nome: potei realizzare a chi apparteneva la voce femminile di poco fa.

Quando poi rivelò il suo nome, parte dei nostri nuovi amici rimase molto sorpresa: la ragazza si chiamava Chichi, ed era la figlia dello Stregone del Toro, e a quanto pare Goku aveva inconsciamente promesso di sposarla. Non sentì il resto della loro discussione, ma subito dopo Goku creò con un semplice movimento di mano una piccola onda che spedì Chichi fuori dal ring.

Dopo di che buona parte del pubblico ebbe modo di commuoversi (notai mia madre piangere come una fontana, appoggiandosi alla spalla di papà): i due si erano fidanzati ufficialmente. Il secondo incontro si chiuse tra gli applausi di tutto il pubblico.

Il terzo incontro vide Crilin contro un tale Majunior: un uomo verde con un turbante ed un mantello bianchi: la sua forza fu tale che Crilin si dovette ritirare.

L’ultimo incontro vedeva Yamcha contro un certo Divo: un uomo gracilino con dei baffetti ed una capigliatura inquietanti. «Yamcha ha l’incontro in pugno!» dissi con sicurezza «Vai Yamcha!»

«Non esserne così sicuro ragazzo, il suo avversario può sembrare debole, ma ha comunque superato le eliminatorie, e in lui c’è qualcosa di particolare.» disse Muten, spegnendo un po’ il mio entusiasmo.

«Ricorda ragazzo, regola che vale per le arti marziali come per ogni cosa: mai sottovalutare il proprio avversario.»

Kira annuì: «Vero! Lo dice sempre anche il nostro allenatore!» cinguettò Kira. Mio padre le accarezzò la testa affettuosamente. Io, comunque, non avrei mai dato una chanche a quel tipo.

La scena a cui dovetti assistere mi lasciò più scioccato della Super Dodonpa di Tao: per quanto Yamcha provasse ad attaccare il tipo, i suoi goffi tentativi di difesa, uniti a qualche colpo ben assestato finirono per mandarlo k.o. Ero allibito, così come tutta l’arena. Iniziai a sospettare che quel “Divo” nascondesse qualcosa.

Era il momento delle semifinali: la prima avrebbe visto Goku contro Tensing. Non mi curai del fatto che non ebbi nessuno per cui tifare, in quanto avrei voluto entrambi in finale, ma fu uno scontro epico: due grandi guerrieri si scontrarono con incredibile velocità e potenza (oltretutto la maggior parte dei vestiti di Goku erano dei pesi!) sfoderando le loro migliori tecniche.

Tensing arrivò perfino a formare 4 copie di sé stesso, ma anche nei momenti in cui pareva in grande difficoltà, Goku sbalordiva tutti rimanendo sempre in controllo della situazione, dimostrando una forza ed un’abilità fuori dal comune, sbalordendo tutto il pubblico presente, noi compresi.

Alla fine riuscì a mettere k.o. Tensing, spedendoli tutti e 4 fuori dal ring.

Guardai gli altri combattenti: Crilin e Yamcha erano stupefatti come noi. Chichi invece aveva un’espressione sognante ad adornarle il volto. Eravamo comunque tutti felici per Goku. Nonostante Majunior si fosse dimostrato potentissimo, Goku avrebbe potuto benissimo sconfiggerlo. Ne ero convinto.
La seconda semifinale era tra Majunior e quello strano ometto, Divo.

Qualunque cosa nascondesse quell’ometto, non avrebbe comunque potuto portarlo oltre Majunior.

Quando l’incontrò iniziò, mi aspettavo di tutto tranne che Divo riuscisse a scagliare Majunior in aria con una potente esplosione, a cui il guerriero verde rispose prontamente con un raggio che causò un esplosione altrettanto potente nel mare dell’isola.

Divo sicuramente non era umano: teneva testa a Majunior, e in certi momenti gli sembrava anche superiore. Finché non si fermarono entrambi in mezzo al ring, e iniziarono a conversare in una lingua sconosciuta. 

Nessuno stava capendo una parola, ma si poteva intuire che non doveva essere una conversazione tra amici. Finchè Divo non estrasse dal taschino della camicia una bottiglietta, la posò in mezzo al ring, e dopo aver fatto un paio di salti all’indietrò esclamò: “Onda sigillante!”

Un vortice verde si creò attorno a Majunior, che però rispose con una tecnica di risposta e nel vortice ci finì Divo, che venne trascinato verso la bottiglietta. All’ultimo momento, però, Divo usci dalla presa del vortice e uno strano alone, venne risucchiato nel vortice: si poteva intravedere, in quello strano alone, una figura. Ma non ci feci caso.
Quello scontro fu la goccia che fece traboccare il vaso: avevo assistito solamente a sei incontri, eppure in quel momento la mia concezione delle arti marziali era totalmente cambiata.

Mi avvicinai a mio padre e mi strinsi al suo braccio. Per la prima volta mi trovai ad avere paura di fronte all’eventualità di un combattimento. E ce n’era ancora uno da guardare, quello più importante: la finale tra Goku e Majunior.


NOTE DELL'AUTORE

Ecco! Spero che l'esperimento di alternanza dei punti di vista sia riuscito, credo dovrò farne uso spesso, anche se il punto di vista del nostro Daniel resterà predominante.

Mi dispiace se magari le descrizioni dei combattimenti non sono proprio esaltanti, ma proprio perchè gli eventi sono fedeli a quelli della saga, mi sembrava solamente un riempimento forzato andare a descrivere per filo e per segno ogni combattimento (che personalmente trovo molto più godibile quando visto, e non letto!). In ogni caso, nel giovane Daniel, così pieno di entusiasmo, si insinuano i primi dubbi, e il torneo non è ancora finito...

Come sempre, ogni recensione, positiva e anche negativa (purché educata e costruttiva) è ben accetta!

Dragon Ball e tutto ciò che è ad esso legato è proprietà di Akira Toriyama.




   
 
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