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Autore: ErinJS    12/03/2015    6 recensioni
Dopo l'addio ad Elsa, Anna e Kristoff, a Storybrooke tutto sembra essere tornato alla normalità. La quiete, però, non può durare per sempre e l’improvviso arrivo di una giovane ragazza di circa 17 anni porta con sè un'ondata di misteri e problemi. Nessuno sa da dove venga o chi sia, o perché quegli occhi verdi sembrino tanto familiari; quello che però è chiaro alla Salvatrice è che nasconde qualcosa e prima o poi riuscirà a scoprirlo. Ma se non fosse tanto importante il luogo da cui proviene la giovane, ma il…quando?!
Una nuova minaccia aleggia nella vita dei nostri eroi e questa volta il domani sembra proprio dietro l’angolo.
La ff presenta degli spoiler sulla quinta stagione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Non riesco a crederci…”
“A che cosa?!”
“Siamo a Storybrooke…e attualmente la lista dei pazienti in coma vanta una stima dei scomparsi del cento per cento. Qualcuno dovrebbe fare qualcosa!!!” disse la donna con tono stizzito.
“Bè Regina…sei di nuovo il sindaco di Storybrooke no?!” puntualizzò Emma leggermente divertita, facendo attenzione a non inciampare su una grossa radice fuoriuscita dal terreno, nascosta dalla penombra del tramonto.
“Già…e se non sbaglio tu sei ancora lo sceriffo, Emma!”
Da più di un’ora erano iniziate le ricerche della ragazza, scomparsa improvvisamente dall’ospedale senza lasciare la minima traccia. Secondo quanto detto dalle infermiere, la paziente era svanita nel nulla, dissolta, dileguata e altri infiniti aggettivi usati dal personale ospedaliero; cosa che, ovviamente, aveva mandato su tutte le furie Regina, già tesa per la delicata faccenda dell’Autore del libro.
Una ragazza, ferita e semi incosciente, com’era riuscita a lasciare un ospedale senza dare nell’occhio? Era stata aiutata? Rapita? aveva, come sospettavano in molti, un potenziale magico? O forse si trovava ancora all’interno dell’ospedale?
Fortunatamente, a scartare quest’ultima opzione ci stavano pensando Pisolo, Eolo e Dotto, i quali diedero il via ad una logica divisione in gruppi, cosicché Biancaneve e il Principe, Ruby e la vedova Lucas, Leroy e gli altri nani si divisero la città, sperando di ritrovare la ragazza prima che scendesse la notte e con essa la temperatura.
Nonostante l’opposizione e il dispiacere del pirata, quest’ultimo venne esonerato dalle ricerche, in quanto già occupato con Belle a trovare un modo di liberare le fate e il vecchio dal maledetto cappello in cui erano stati imprigionati. Sebbene cercasse di non farne parola con Emma, il denigrante senso di colpa per quanto fatto sotto il controllo del Signor Gold continuava ad adombrare l’animo di Killian e l’unica cosa che sembrava riuscire a farlo sentire meglio era partecipare alle ricerche insieme alla moglie dell’uomo che tanto lo aveva tormentato. Se ripensava a tutte le volte che aveva tentato di uccidere Belle, trovarsi ora a collaborare insieme a lei per salvare qualcuno lo faceva sentire davvero…un eroe.
Lui. Un Eroe.
Erano state queste le ultime parole scambiate con Liam, il suo caro fratello, prima di vederlo morire davanti ai suoi occhi. Quel giorno, di ritorno dall’Isola Che Non C’è sarebbero potuti diventare loro due degli eroi; gli eroi che avrebbero salvato il regno da quel Re disonesto e senza scrupoli.
E invece…
Così, mentre Killian E Belle si diressero verso la biblioteca, gli altri iniziarono le ricerche ed Emma e Regina cominciarono a setacciare l’immenso bosco che circondava la città.
Mentre camminava tra radici e arbusti, Emma non riuscì a fare a meno di sorridere al ricordo di come il pirata aveva indurito lo sguardo sapendo di non poterle stare accanto tutto il giorno come invece si era prefissato di fare in ospedale; non sapeva spiegarselo, ma quel suo modo di irrigidire la mascella, come a scaricare qualsiasi tipo di frustrazione ed emozione, le faceva sentire le farfalle allo stomaco. Era quel tipo di abitudine che la sua mente e il suo cuore collegavano solo a lui, solo a Killian Jones.
Sì, stava davvero iniziando a comportarsi come i suoi genitori; ma la cosa divertente era che non le dispiaceva affatto.
“Quel sorriso mi dà sui nervi Swan…”
La voce aspra di Regina riportò Emma alla realtà.
Sapeva bene che quel modo di fare sgarbato e astioso non era rivolto direttamente a lei; dopotutto l’aver dovuto abbandonare l’amore della propria vita con il lieto fine alle porte avrebbe reso acido e irritabile chiunque, compresa lei.
“E poi non capisco perché hai scelto la foresta...” continuò la sovrana, districandosi nervosamente un sottile ramo impigliatosi tra i suoi brillanti capelli corvini, ora molto più lunghi dal primo incontro avvenuto con la Salvatrice.
“Perché ho pensato che semmai ti fossi innervosita come stai facendo adesso con quel ramo avrei potuto salvaguardare qualche povero innocente!” le rispose Emma, alzando leggermente le sopracciglia, come a voler alleggerire l’atmosfera così tesa.
Senza dare alcuna risposta, Regina sbuffò sonoramente, superando la giovane Swan di qualche passo.
Senza dire una parola, la Mills continuò a camminare, stringendosi tra le braccia, e ringraziandosi mentalmente per aver scelto il lungo cappotto nero, incline al suo stile impeccabile ed elegante.
Emma aveva ragione, era furiosa. Da quando Robin se ne era andato nulla andava come voleva. Non aveva più avuto nessuna sua notizia e la ricerca del libro continuava ad essere un disastro; certo, erano trascorsi solamente pochi giorni, ma ogni ora lontana da Robin quadruplicava il suo costante stato di angoscia e agonia.
Lo rivoleva, lo rivoleva con tutta se stessa. Perché non poteva rivederlo? Perché non poteva riabbracciarlo, baciarlo e lasciarsi stringere dalle le sue forti braccia da arciere?! Perché non poteva essere felice?
Perché?
Forse era colpa di quella maledetta foresta; quel tronco laggiù le ricordava tremendamente il giorno in cui Robin aveva iniziato a farsi strada nel suo cuore; e quell’albero?...era lì che si era accampato con la sua combriccola? O forse era quell’altro? Stava impazzendo.
Ma non era pazza, lo sapeva; era solo follemente innamorata di uomo che, probabilmente, non avrebbe mai più rivisto e con il quale non avrebbe potuto condividere il suo tanto agognato lieto fine. Non serviva la foresta per ricordarle i suoi splendidi occhi o il suo sorriso contagioso.
Lei lo amava, ma nonostante tutta quella sofferenza non si sarebbe mai pentita di questo, mai.
“Lo ritroveremo!”
L’improvvisa voce di Emma la spaventò, irrigidendo ulteriormente i suoi nervi tesi. Di malavoglia Regina si fermò sul posto, voltandosi in direzione della bionda.
“Cosa?”
“Ho detto che lo ritroveremo…Robin!” replicò Emma, raggiungendo Regina e fermandosi a pochi centimetri da lei “…te l’ho promesso e non sarà di certo un incantesimo o un libro ad impedircelo!”
Per quanto si sforzasse di respingere quella sensazione, lo sguardo risoluto e convinto di quella donna non riuscirono a fare a meno di darle la speranza di cui tanto aveva bisogno.
Era vero, glielo aveva promesso e nonostante i mille problemi che Emma e la sua famiglia di Azzurri le avevano procurato, lei…le credeva.
Lo avrebbero ritrovato, insieme a quel misterioso Autore.
“Lo so….dopotutto abbiamo Henry!” disse la donna dai capelli scuri, lasciandosi andare ad uno dei suoi rari quanto splendidi sorrisi pieni di dolcezza.
“Già…” improvvisamente lo sguardo di Emma si fece un po’ più corrucciato e, infreddolita dall’abbassamento delle temperature, si strinse nel suo cappotto grigio “…a proposito...con chi è adesso?!”
“Ha detto che aveva dei compiti da fare…”
Ma nello stesso momento in cui lo disse, entrambe le madri cominciarono a dubitare di quella spiegazione.
 
 
***
 
Cercare un appartamento.
Se qualcuno glielo avesse detto non lo avrebbe mai creduto, ma trovarne uno decente si stava rivelando un’impresa quasi impossibile. Troppo vecchio, troppo nuovo, troppo distante dalla città, troppo vicino alla piazza, troppo buio, troppo piccolo, troppo grande, troppe scale, troppo….troppo e basta.
E pensare che il giorno in cui i suoi nonni avevano annunciato il nome del loro secondogenito aveva trovato il posto perfetto; un piccolo appartamento, dove Emma avrebbe potuto costruirsi la sua vita e lui rimanere un po’ con lei e un po’ con Regina.
Ecco che, però, le cose si erano inevitabilmente complicate a e con il susseguirsi degli avvenimenti la casa era finita con l’essere affittata a qualcun altro.
Ovviamente avrebbe potuto attendere qualche anno e aspettare che il contratto scadesse e l’appartamento tornasse ad essere libero, ma sua madre non sembrava più così a suo agio a dover condividere l’abitazione con i suoi genitori e lui, dopotutto, non riusciva a biasimarla. Sua madre aveva quasi trent’anni e ora nella sua vita c’era Uncino, o Killian come lo chiamava sempre lei, e il desiderio di un po’ di intimità era chiaro perfino ad uno della sua età.
Chi l’avrebbe mai detto che sua madre si sarebbe messa con Capitan Uncino?!...e che l’altra sua madre stava cercando di tornare con Robin Hood, proprio quel Robin Hood?!
Non c’era che dire, la sua vita era tutt’altro che noiosa.
Con quei pensieri in testa, Henry camminava lungo una strada secondaria di Storybrooke, a circa tre chilometri dalla villa di Regina. Non aveva una meta precisa e non contava di certo che la casa perfetta gli si presentasse davanti, ma camminare lo aiutava a schiarirsi le idee, soprattutto in un momento frenetico come quello. Da quanto gli era stato detto da Archie la nuova ragazza era scappata dall’ospedale e lui, ovviamente, era stato esonerato dalle ricerche.
Qualche tempo fa avrebbe insistito con tutte le sue forze pur di partecipare alle ricerche, e se non ci fosse riuscito avrebbe partecipato sotto copertura;  ma ora aveva altre priorità.
Cercare una casa e, soprattutto, l’Autore del libro. Doveva trovarlo, ad ogni costo; doveva farcela, per sua madre. Regina meritava il lieto fine che tanto desiderava. Aveva fatto delle azioni orribili, ok….ma ora stava cercando in tutti i modi di rimediare e non era giusto che qualcun altro decidesse per lei, impedendole di raggiungere la felicità.
L’Operazione Mangusta sarebbe riuscita, ne era certo.
“Accidenti…”
Distratto dai suoi pensieri, il giovane Milss non vide il sasso davanti a lui, o qualsiasi altra cosai intralciò i suoi passi, facendolo rovinare a terra.
Appoggiando i gomiti al marciapiede, Henry si mise in ginocchio, raccogliendo velocemente tutti i libri e i fumetti fuoriusciti dalla borsa.
“Cavolo che male…”
Leggermente dolorante, il ragazzo si alzò da terra, notando solo in quel momento la distanza percorsa dal suo cellulare durante la caduta, ora aperto in due sul giardino di una piccola villetta a pochi metri da lui.
Sistemandosi la tracolla sulla spalla, Henry si guardò in giro. Non vi erano cancelli e il prato appariva trascurato, come gli infissi scuri e le imposte. Una casa disabitata, senza ombra di dubbio.
Velocemente sistemò il telefono e, dopo averlo acceso, lo mise nella tasca del cappotto scuro.
Con più sicurezza, il ragazzo dai capelli castani entrò nel giardino, facendo attenzione a non inciampare tra i resti del selciato che portavano alla porta d’ingresso. Una caduta al giorno era fin troppo sopportabile.
La casa aveva due piani, con il tetto a spiovente e grandi finestre rivestite con delicate tende bianche. L’intonaco esterno era bianco, ma appariva annerito e scrostato dal tempo e dalle intemperie. Chissà quando era stata abbandonata quella casa? Durante la prima maledizione? La seconda? O semplicemente non era mai stata abitata?
Guardandosi nuovamente attorno, Henry appoggiò la mano sulla maniglia della porta, aspettandosi di trovarla chiusa a chiave, ma non fece nemmeno in tempo ad appoggiarsi che questa si aprì, emettendo un leggero e sinistro cigolio.
Con il battito del cuore accelerato, Henry entrò in casa. Quella sua curiosità lo avrebbe messo nei guai, prima o poi.
Nessun mobile. La casa era completamente spoglia e anche l’elettricità pareva non essere disponibile; l’unica traccia di vita era costituita dalle tende alle finestre. Incuriosito, il ragazzo si inoltrò nell’abitazione, cercando di illuminare ciò che lo circondava grazie alla luce del cellulare.
La casa non era grandissima, ma le stanze, nonostante vuote, lasciano intravedere un milione di possibilità.
Chissà perché era stata abbandonata.
Henry stava per dirigersi verso la porta che dava sul retro, quando un lieve rumore catturò la sua attenzione.
Sembravano dei gemiti.
D’istinto il ragazzo alzò lo sguardo verso l’alto, capendo fin da subito da dove provenisse quel lamento. Qualcuno al piano di sopra stava…piangendo.
Com’era tipico tra i membri della sua famiglia, Henry non pensò ai possibili pericoli e si diresse verso il piano superiore, attento a non emettere troppi rumori. Se quella persona stava piangendo in una casa abbandonata di certo non si aspettava di avere compagnia.
Anche il piano di sopra non era eccessivamente grande, ma vantava quello che doveva essere il bagno e due camere, molto grandi. Il pianto sembrava provenire dalla stanza più a nord rispetto alle scale.
Il tragitto verso la camera fu silenzioso e impeccabile; lo stesso, però, non si poté dire dell’ingresso. Nell’esatto istante in cui il piede destro andò a posarsi su una tegola del pavimento, un sonoro cigolio interruppe il pianto, soffocato da un urlo di spavento.
“Scusami scusami…non volevo spaventarti!!!!” si scusò immediatamente Henry, mostrando d’istinto le mani, come a voler rassicurare la figura nascosta in un angolo della stanza “Ho…ho sentito qualcuno piangere e…volevo assicurarmi che…che stessi bene…”
La figura, adombrata dalle luci del crepuscolo, si raggomitolò ancora di più su se stessa, lasciando visibile unicamente un piede nudo, fasciato fino alla caviglia.
“Vattene!”
Una voce dura, sicura di se, quasi tagliente. La voce di una ragazza.
“O…ok!”
Il ragazzo fece per indirizzarsi verso la porta, ma un’ulteriore singhiozzo soffocato lo bloccò. Quella ragazza era sola, stava piangendo, non poteva lasciarla lì, non era tipico di lui.
“Io…mi chiamo Henry” iniziò, con voce cordiale “…abito poco distante da qui.”
Silenzio.
“So cosa vuol dire aver bisogno di stare un po’ da soli. Pensa che oggi per starmene un po’ per conto mio ho dovuto dire alle mie madri che avevo dei compiti da fare…e non sono nemmeno così sicuro di averlo detto ad entrambe….”
Ennesimo silenzio.
Forse non era stata una buona idea insistere.
“Ok…me ne vado…”
Il giovane dai capelli castani si indirizzò per l’ennesima volta verso l’uscita, ma questa volta non fu un singhiozzo a fermarlo.
“Ti…ti chiami Henry?!”
“Sì!” senza far trascorrere un solo istante, il ragazzo si voltò, con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
“…e…e hai due madri?” chiese la ragazza, con voce meno sicura rispetto a poco prima.
“Sì…Emma e Regina. Una storia un po’ lunga da raccontare. E tu…sei?”
“…quanti anni hai?” domandò la ragazza, glissando volontariamente su quanto le era stato chiesto.
“Ho…12 anni, poco più”
Henry giurò di averla sentita ripetere quel numero un paio di volte, come se apparisse una cosa incredibile. Certo, negli ultimi tempi aveva acquisito un timbro di voce decisamente più profondo rispetto a prima; era più alto e in varie occasioni Regina gli aveva fatto notare quanto stava crescendo; ma quello stupore appariva decisamente strano.
Ma come incoraggiata da quella notizia, la ragazza emerse dall’oscurità, lasciandosi vedere da Henry.
Era bella, molto bella. Alta e snella, di sì e no 16 anni; i capelli erano di un intenso castano, con riflessi chiari, come le sopracciglia; gli occhi, grandi ed espressivi, erano verdi come l’erba, contornati da ciglia così folte da nasconderne quasi le iridi. Il naso leggermente all’insù appariva perfetto in quel viso sottile, con gli zigomi pronunciati e rosei, a dispetto della carnagione pallida.
Come aveva pensato subito, era bella. Ma quella bellezza appariva sciupata, come se fosse appena uscita da una guerra infinta. Indossava una maglia grigia lunga poco più su del ginocchio, di diverse taglie più grandi rispetto alla sua e che rendeva visibile la profonda ferita alla gamba da cui fuoriusciva ancora del sangue, nonostante la fasciatura.
Probabilmente conscia del suo aspetto, la ragazza si strinse nelle spalle, abbassando lievemente lo sguardo.
“Tu…sei la ragazza che stanno cercando. La ragazza in coma”
Nessuna risposta.
“Non…non preoccuparti, non voglio farti del male…” si sentì di chiarire Henry, addolcito da quella ragazza così indifesa, nonostante il tono di voce sicuro e fermo.
“Lo so!”
Quella risposta lo spiazzò; come lo spiazzò il senso di familiarità di quel volto. Perché la sua testa continuava a dirgli che l’aveva già vista?
“Bene” si limitò a dire Henry, facendo un passo verso di lei “…e tu…come ti chiami!”
Quella semplice domanda sembrò metterla in difficoltà, obbligandola a guardarsi in giro, come in cerca di una risposta, fino a posarsi sulla borsa del ragazzo, lasciata a terra semi aperta.
“Mi…mi chiamo…Jean….” esclamò convinta, posando nuovamente lo sguardo su Henry.
“Jean…forte!” esclamò il ragazzo, collegandolo al nome di un’eroina della fantascienza.
“Forte?!”
“mmm…niente, non capiresti…”
La ragazza aggrottò leggermente le sopracciglia, non riuscendo a trattenere un lieve sorriso.
 “Comunque…in città ti stanno cercando tutti…”
“Davvero?...e perché?” chiese, irrigidendosi ulteriormente.
“Bè…eri in coma…e non è da tutti alzarsi e andarsene in giro come niente fosse!”
-Tranne forse per mio nonno…- pensò tra sé e sé.
 “No…non voglio tornare in ospedale…”
La voce acuta della ragazza rimbombò tra le pareti spoglie della stanza, bloccando sul nascere il tentativo di Henry di chiamare Emma con il cellulare. Ciò che però stupì il ragazzo non fu tanto il tono di voce, quanto il contenuto della frase. Aveva parlato di ospedale, quindi…non era così nuova rispetto la modernità.
“O…ok….e non ci tornerai, te lo prometto. Ma non puoi restare qui….a meno che questa non sia casa tua…”
Un velo di tristezza si impadronì di quegli splendidi occhi verdi, ancora leggermente inumiditi dalle lacrime versate poco prima. Forse parlare di -casa- non era stata una mossa così intelligente.
“No…non è casa mia! Non…non ricordo niente…è tutto….è tutto così confuso….” disse Jean, appoggiando nervosamente le mani alla testa, come a voler trattenere lì ogni singolo pensiero.
D’istinto, Henry si precipitò verso la ragazza,
“Ehi…va tutto bene, non preoccuparti!...ti porterò da qualcuno che potrà aiutarti!”
 
***
Il clima in casa Blanchard non era dei migliori. Le ricerche non avevano prodotto risultati e della ragazza non vi era la minima traccia; con la stessa velocità in cui era apparsa, sembrava essere svanita nel nulla provocando una certa irritazione e apprensione in tutti i presenti.
“Dove può essere?” esclamò con tono preoccupato Regina, camminando su e giù nella ristretta sala del monolocale.
“Vedrai che la troveremo…non può essersi allontanata di molto in quelle condizioni” la rassicurò con voce delicata Biancaneve, seduta in divano con in braccio il piccolo Neal addormentato.
“Ma di chi di diavolo parli?!”
“…della…ragazza?!” le rispose con tono ovvio la donna.
“Ma che vuoi che mi importi di quella ragazza. Sto parlando di Henry. Non era a casa…e non risponde al cellulare!” esclamò sprezzante Regina, incrociando le braccia al petto e mettendo in risalto il bellissimo cardigan viola.
Sempre più nervosa, la sovrana scambiò uno sguardo con Emma, la quale se ne stava seduta su uno dei sgabelli della cucina, sorseggiando una cioccolata con la sua tanto adorata sferzata di cannella.
“Calmati Regina….ci ha scritto un messaggio mezz’ora fa. Sarà qui a minuti…”
La Salvatrice non fece in tempo a completare la frase, interrotta dall’improvviso bussare alla porta.
Senza alcun indugio, Regina si precipitò all’ingresso, inondando la stanza con il prepotente suono dei suoi tacchi sul pavimento in legno. Chi si trovò davanti, però, non fu chi tanto desiderava.
“Oh….è solo Capitan Make Up!” disse, allontanandosi, con sguardo seccato.
Non capendo il reale significato di quella strana parola, Killian fece il suo ingresso nell’appartamento, lanciando alla bionda in fondo alla stanza un delicato sorriso d’intesa.
Senza lasciarsi intimorire dal clima teso presente nella stanza, Uncino si avvicinò ad Emma, la quale a sua volta gli sorrise di rimando, felice di rivederlo dopo una giornata tanto faticosa.
“Allora…come sono andate le tue ricerche con Belle?!” gli chiese Emma, ritagliando un breve momento tra loro, lontani dalle voci dei suoi genitori e di Regina.
“…non abbiamo trovato niente…” esclamò il pirata, guardando incuriosito l’intruglio scuro che la sua amata stava bevendo “…e le tue ricerche?”
“Sparita nel nulla...”
“Forse è uscita dalla città…” ipotizzò Uncino.
“Forse…”
Il silenzio era calato nella stanza quando, per la seconda volta quella sera, il bussare alla porta portò l’attenzione di tutti verso l’ingresso dell’abitazione.
Questa volta Regina rimase ferma al suo posto, in piedi accanto alla finestra, lasciando che fosse David ad aprire la porta, probabilmente ad uno dei nani.
“Henry…” esclamò la voce sollevata del principe “… dov’eri finito?!”
“Henry….” si intromise Regina, con voce preoccupata, avvicinandosi al figlio “credo che dovremmo parlare sulla diversa concezione che abbiamo dei compiti!”
“Ci hai fatto preoccupare ragazzino!” si accodò Emma, avvicinatasi a sua volta al figlio, posandogli una mano sui capelli con fare materno “…la prossima volta non limitarti ad un messaggio…”
“Dubito ci sarà una prossima volta!” puntualizzò Regina.
“Mi dispiace…” disse il ragazzino, fermo a pochi passi dalla soglia dell’appartamento “…ma penso di avere una scusa più che valida…”
E con quella semplice frase, Henry fece cenno a qualcuno di entrare in casa, appoggiando la sua borsa ancora semi aperta per terra.
Nel momento in cui la ragazza fece ingresso nell’appartamento tutti i presenti rimasero ammutoliti. Era tutto il giorno che la cercavano, divisi per squadre, in una ricerca senza sosta fino al calar della sera.
Ed ecco arrivare Henry, con il suo dolce sorriso, a risolvere la situazione.
Bisognava ammetterlo, c’era qualcosa di esilarante in tutto ciò.
Sopra la maglietta grigia indossava il cappotto che Henry le aveva gentilmente ceduto; il ragazzo sembrava aver pensato a tutto, in quanto anche i piedi calzavano delle ciabatte, anch’esse del ragazzo.
La giovane non disse nulla e, di fronte a tutti quei presenti, sembrava aver perso la sicurezza che aveva manifestato poco prima con il giovane Mills. Lo sguardo restava basso, come se non volesse realmente accertarsi di chi avesse davanti. Lentamente sfilò il cappotto datole dal ragazzo, consegnandoglielo con un mezzo sorriso.
La prima ad avvicinarsi fu Emma, piacevolmente stupita da quella sorpresa improvvisa.
“Ehi...ti abbiamo cercata dappertutto…”
La giovane Swan non fece in tempo a toccare la ragazza che questa alzò lo sguardo di scatto, come spaventata da quel saluto.
Lentamente la ragazza alzò gli occhi puntando lo sguardo sgranato sulle iridi di Emma, le quali parevano avere la sua stessa tonalità.
“Tranquilla…” si accodò Biancaneve, avvicinandosi a sua volta dopo aver deposto il piccolo Neal nella sua culla “..eravamo solo molto preoccupati…ti abbiamo cercata ovunque!”
“Mi…dispiace…” le parole uscirono quasi a fatica, come se tutte quelle persone davanti a lei fossero un’emozione troppo grande da sopportare.
“Come ti chiami?!” chiese Biancaneve, con voce dolce e materna.
“…mi….mi chiamo Jean….”
Nel momento in cui lo disse l’infallibile animo da cacciatrice di taglie di Emma prese il sopravvento.
Tutto: lo sguardo, il movimento delle labbra, la postura delle spalle, ogni cosa le diceva che quella ragazza stava mentendo; e per ora aveva detto solo il suo nome.
Non era di certo il miglior biglietto da visita della storia.
Con lo sguardo decisamente più sospettoso, la bionda lasciò che i suoi genitori si occupassero di mettere a proprio agio la ragazza. C’era qualcosa di strano in lei, qualcosa che per qualche insolita ragione le faceva accapponare la pelle.
“Come sei arrivata a Storybrooke?” le chiese il Principe, dopo che la moglie la ebbe fatta accomodare nel piccolo divano a due posti.
“Io…non ricordo nulla…mi dispiace!” rispose la ragazza, sistemandosi una lunga ciocca castana dietro l’orecchio e abbassando lievemente lo sguardo.
-Altra bugia- pensò Emma, ferma nella sua posizione a braccia incrociate.
Ottimo, due frasi e due bugie, se andava avanti di questo passo avrebbe vinto un premio.
“Tranquilla…direi che hai bisogno di riposarti un po’. Puoi sistemarti dove dormiva Elsa…se ad Henry non dispiace...” propose Mary Margaret.
“Oh no va benissimo…dormirò dalla mamma…” disse il ragazzo, avvicinandosi a Regina che, impeccabile, aveva già indossato il suo elegante cappotto nero.
Nel momento in cui il ragazzo sollevò la borsa, tutto ciò che conteneva si rovesciò, sparpagliando, per la seconda volta quel giorno, tutti i libri e le penne a terra.
Emma si inginocchiò ad aiutarlo e, incuriosita, sollevò un fumetto a pochi centimetri da lei, raffigurante una donna dai capelli rossi.
“X-Men…giusto?” gli chiese, sorridendo.
“Esatto!” rispose Henry, prendendo il fumetto.
“E lei è?!”
“Lei è la Fenice…ma in realtà si chiama J…”
Henry si bloccò, corrucciando le sopracciglia come faceva di solito la madre di fronte a lui.
“Si chiama…?” lo esortò Emma, capendo che il suo sospetto era decisamente fondato.
“Si chiama Jean Grey…”
“Jean…che coincidenza!” sorrise freddamente Emma, spostando lo sguardo sulla ragazza a pochi metri da loro, indaffarata a godersi le attenzioni da parte dei suoi genitori.
Senza bisogno di parlare, Emma invitò il figlio a rimanere in silenzio, aiutandolo ad alzarsi da terra.
“Andiamo Henry…” lo richiamò Regina, uscendo insieme al figlio da casa Blanchard.
“Ehi tesoro…”
La voce di Killian fece sussultare Emma; stava trattenendo il respiro e tutto per l’arrivo di quella ragazza, bugiarda fino alla punta dei capelli.
“…io vado, qui direi che avete la situazione sotto controllo!”
“Sì…vai pure….” disse, lievemente sostenuta.
“…sei sicura di stare bene?!” le chiese, sfiorandole delicatamente la fronte, con i suoi modi sempre così delicati e affettuosi.
“Sto bene…grazie…” gli sorrise di rimando, colpita e, allo stesso tempo, felice del modo in cui quell’uomo riusciva a leggerle dentro.
“Ok…a domani Swan….”
Nel momento in cui il pirata si abbassò per darle un delicato bacio sulla guancia, Emma si accorse dello sguardo della ragazza, puntato dritto su di loro.
Di nuovo quegli occhi sgranati.
“A domani…”
Qualsiasi cosa quella ragazza le nascondeva, lei lo avrebbe scoperto, di questo poteva starne certa.
 
 
 
 
 
Rieccomiiiiiii!!!!!!
Questa volta dovrei essere riuscita ad aggiornare in tempo :)
Come prima cosa ci tengo a spendere due minuti ringraziando sempre chi ha trovato il tempo di leggere e, in particolar modo, di commentare il capitolo. Anche solo qualche piccola riga ha un grande significato per me…e chi scrive sa di cosa parlo. So che a volte non c’è molto tempo per commentare quindi vi ringrazio anche solo di leggerlo...ma ci tengo a ringraziare di cuore chi commenta o ha commentato questa storia; in questo caso: KERRI (ormai è nata una vera e propria corrispondenza e questa cosa mi piace un casino:P) e CAPTAINSWAN GIRL (una fan dei nostri due eroi che mi sprona capitolo dopo capitolo!!!!). Quindi GRAZIE…davvero!!!!
Questo capitolo l’ho iniziato proprio ispirata dai vostri commenti :)    
Ok…tornando alla ff. Diciamo che mi sono un pochino allacciata agli avvenimenti delle ultime puntate di OUAT, per esempio per quanto riguarda la ricerca di Killian e Belle (purtroppo capirete il motivo di questo allacciamento moooolto più avanti)…ma per il resto cercherò di mantenere le cose come sono state lasciate dopo il saluto ai personaggi di Frozen.
Che altro dire…ah sì…in questo cap non ci sono stati molti momenti CaptainSwan (in compenso tanti sorrisi :P)…ma è stato inevitabile, spero di farmi perdonare la prossima volta :P
Ok…penso di aver detto tutto. In caso contrario…chiedete pure!!!!!
Grazie a tutti.
Un super abbraccio
La vostra Erin :)
 
 
 
 
 
 
   
 
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