3°
CAPITOLO
Dopo aver
fatto colazione con pane abbrustolito, marmellata di fragole e latte di
capra
appena munto, si era subito messa al lavoro nel suo orto.
Lavorare le
calmava i nervi e la distraeva dal continuo pensiero di Leo.
Il ricordo
di quel ragazzo che era piovuto dal cielo distruggendole il tavolo da
pranzo
non la abbandonava mai.
Le aveva
promesso che sarebbe tornato ma come avrebbe mai potuto farlo?
Era stato il
primo eroe in tremila anni che le avesse detto una cosa del genere.
Ogni volta i
semidei gli parlavano della loro casa, degli amici e familiari che li
aspettavano, delle imprese che avrebbero dovuto compiere e del ruolo
fondamentale che loro ricoprivano nel disegno divino.
Ogni volta aveva
cercato di resistere e ogni volta si era ritrovata ad offrirgli
l’immortalità
solo per venire respinta.
Nessuno di
loro aveva mai pensato di tornare da lei.
Nessuno di
loro le aveva mai detto quello che Leo le aveva promesso con tanta
facilità.
Come se
fosse ovvio che lui sarebbe tornato a prenderla, che non avrebbe mai
potuto
dimenticarla.
Sei
una stupida
pensò mentre le lacrime le
rigavano il volto. Dopo tutti questi anni
ancora ti illudi che qualcosa possa cambiare.
L’unica
speranza che aveva era che Leo stesse bene.
Sapeva che
Gea era stata sconfitta e rimessa a dormire per sempre.
Ermes gliene
aveva portato notizie ma quando lei aveva cercato di chiedergli
informazioni su
Leo il Dio era diventato nervoso.
Aveva cambiato
rapidamente discoro e alla fine era letteralmente scappato.
Dentro di sé
Calipso sentiva che Leo stava bene, che era sopravvissuto, ma il
comportamento
di Ermes l’aveva lasciata perplessa e molto preoccupata per
la sorte del
semidio.
Cercando di non
pensare al figlio di Efesto Calipso finì di piantare i
ravanelli per poi
concentrarsi sulla potatura degli alberi di pesco.
Indossava
ancora gli abiti che aveva cucino su modello di quelli di Leo.
Erano
incredibilmente comodi a differenza dei suoi vecchi vestiti e, avendo
utilizzato lo stesso tipo di tessuto, non doveva preoccuparsi di
sporcarsi.
Il sole
splendeva alto in cielo quando Calipso sollevò lo sguardo
per controllare che
ore fossero.
“Già
mezzogiorno” mormorò scrutando la meridiana.
Dubitava fortemente
che quell’attrezzo funzionasse veramente su Ogigia ma Leo ci
aveva tenuto così
tanto a costruirgliela che non aveva avuto cuore di fermarlo.
Riponendo le
cesoie nel cesto degli attrezzi si scostò i capelli dalla
fronte notando solo
in quel momento un puntino minuscolo in mezzo al cielo.
“Visite?”
mormorò speranzosa osservando il puntino nero avvicinarsi
all’isola e diventare
sempre più grande.
Non poteva
essere un Dio.
Gli Dei venivano
solitamente annunciati da un fulmine, o da un piccolo terremoto, o
quanto meno
da una folgore.
Stupida
si ripeté quando il suo pensiero
corse subito a Leo. Lui non
tornerà mai.
Non può tornare gemette realizzando che non poteva
essere altro che un
nuovo semidio.
“Beh, vorrà
dire che rimarrà qui per sempre. Io non posso più
innamorarmi” mormorò mentre
il cuore le si stringeva nel petto per il dolore. “Avete
fatto male i vostri
conti Parche. Il mio cuore non mi appartiene più. Lo ha
preso l’eroe più smilzo
e ossuto che si sia mai visto” sorrise Calipso chiudendo gli
occhi per un
momento mentre l’immagine del sorriso di Leo le inondava la
mente.
Avrebbe
voluto rimanere lì ed ignorare il nuovo arrivato che si
stava avvicinando sempre
di più ma qualcosa le suggeriva che non doveva perdersi il
momento in cui
sarebbe arrivato.
Senza la
minima intenzione di rendersi presentabile Calipso si
incamminò verso la
spiaggia.
Qualsiasi
cosa fosse si stava avvicinando a velocità sostenuta, quasi
ondeggiando nel
cielo.
In breve
riuscì a distinguere la forma di un drago e, per un breve
momento, ebbe paura
che alla fine gli Dei avessero deciso di porre fine alla sua prigionia
nel modo
più violento.
Quando il
drago raggiunse la distanza di una ventina di metri dalla costa
qualcosa di
indistinto cadde dalla sua schiena, seguito subito dopo da un altro
oggetto.
“Ma cosa…”
mormorò quando le sembrò di distingue due uomini
precipitare a tutta velocità
verso il mare.
Stringendo
le mani a pugno per la preoccupazione non poté fare altro
che restare ad
osservare e aspettare mentre il Drago planava dolcemente verso la
spiaggia per
poi atterrare sulla battigia.
Incerta, se
avvicinarsi o meno, rimase immobile ad osservare un ragazzo dai capelli
biondi
smontare dalla schiena del drago mentre quest’ultimo lanciava
occhiate
preoccupare verso il punto in cui si erano inabissati i due uomini.
“Ciao”
esordì Jason alzando una mano in segno di saluto.
“E tu chi
sei?” chiese Calipso seccata dell’arrivo di un
nuovo semidio.
Lui rientrava
decisamente nello standard degli eroi preferiti dalle Parche, ma
quell’aria da
comandante di legioni, tutto lavoro e niente piacere, non la attirava
per
niente. Non più.
“Mi chiamo Jason” si presentò il figlio
di Giove rimanendo accanto a Festus.
“Tu sei Calipso?”
“Come
conosci il mio nome?” domandò la ragazza cercando
di capire se il semidio di
fronte a sé fosse una minaccia oppure no.
“Perché il tuo Drago mi guarda in
quel modo?”
“Credo sia
felice di vederti” rispose Jason guardando per un momento
Festus, puntando poi
lo sguardo sul mare alle sue spalle.
Percy e Leo
ancora non si vedevano, ma Jason aveva visto distintamente il figlio di
Poseidone afferrare Leo un attimo prima di toccare l’acqua.
Se c’era qualcuno
in grado di sopravvivere ad un tuffo da quell’altezza era lui.
“Se vuoi che
la zattera arrivi devi dire che vuoi lasciare Ogigia” disse
Calipso attirando
nuovamente l’attenzione di Jason. “Anche se non
credo che il tuo drago possa
salire sulla zattera”
“Non credo
nemmeno che la zattera possa arrivare per me, non credi?”
chiese Jason non
potendo evitare uno sguardo malizioso.
“Non so di
cosa stai parlando” mentì evitando lo sguardo del
semidio. “Ma cosa…” mormorò
quando alle spalle del ragazzo, in lontananza, vide due figure emergere
dall’acqua.
“Loro sono
con me” rispose Jason prima di entrare in acqua per aiutare
Percy a portare Leo
a riva.
“Percy? Ma
come… oh Di Immortales”
gemette
quando il suo sguardo cadde sul volto di Leo ancora svenuto.
“Ciao
Calipso” la salutò Percy sdraiando a terra
l’amico con l’aiuto di Jason.
“Cosa gli è
successo?” chiese inginocchiandosi accanto al figlio di
Efesto, sfiorandogli i
capelli zuppi d’acqua. “Dei del cielo respira
ancora” sussurrò sollevata.
“Credo sia
solo svenuto” disse Percy frugando nella cintura degli
attrezzi di Leo. “Come
funziona questa roba?” imprecò continuando a
togliere attrezzi di ogni genere
dalla cintura.
“Dammela”
disse Calipso togliendogli la cintura dalle mani.
“Ambrosia” evocò la ragazza
estraendo un pacchetto di Ambrosia, mettendone un quadratino sotto la
lingua
del semidio, in modo che si sciogliesse con calma senza il pericolo che
si
strozzasse. “Bisogna portarlo alla grotta”
“Facci
strada” disse Jason aiutando Percy a rimettere in piedi il
ragazzo, seguendo
Calipso all’interno dell’isola.
Lui era lì.
Era tornato
e aveva fatto un volo di trenta metri d’altezza davanti ai
suoi occhi.
Lo avrebbe
preso a schiaffi se non fosse stato già così
malconcio.
Aveva la
febbre alta e per qualche strano motivo l’Ambrosia non
sembrava funzionare al
meglio.
Avrebbe
voluto dargliene ancora, ma non voleva rischiare di fargli prendere
fuoco.
Non sarebbe mai
potuto sopravvivere a quel tipo di fuoco.
Dopo averlo
fatto sdraiare sul suo letto, aveva cacciato i due semidei
consigliandogli di
farsi una lunga passeggiata nel bosco.
Aveva da
fare ed era più che convinta che gli uomini non fossero in
grado di gestire
bene quel tipo di emergenze.
Ci voleva
calma, e tranquillità, e quei due sembravano tutto tranne
che calmi e
tranquilli.
Cercando di
rimanere lucida e concentrata, lo aveva spogliato dei vestiti bagnati
per poi
sciacquargli il corpo in modo da eliminare l’acqua salmastra.
Lo aveva
asciugato e infine rivestito con dei vestiti puliti.
Non lo
vedeva da molto tempo e, a dirla tutta, non lo aveva mai visto nudo
nemmeno la
prima volta che era stato sull’isola, ma non poteva non
notare un notevole
cambiamento nel suo corpo.
Si era
alzato di qualche centimetro e aveva anche messo su peso.
Rimaneva
sempre magro, ma non avrebbe più potuto definirlo
mingherlino.
Il lavoro
gli aveva definito i muscoli e lei non poteva fare a meno di passarsi
la lingua
sulle labbra quando ne sfiorava il corpo con lo sguardo.
Rimani
concentrata. Ha bisogno di
te. Ha bisogno di cure adeguate, non di una sciocca che non fa altro
che
fissarlo sbavando si
rimproverò mentre prendeva una ciotola d’acqua e
iniziava a tamponargli il
viso.
Per il resto
della giornata rimase al suo fianco, assicurandosi di farlo bere a
sufficienza
e somministrandogli di tanto in tanto dei decotti curativi.
Quando alla
fine il sole tramontò e la luce della luna iniziò
a far risplendere i fiori in
giardino Calipso uscì dalla grotta per raggiungere Jason e
Percy.
“Come sta?”
chiese Jason quando Calipso si avvicinò a loro.
“Finalmente
la febbre si è abbassata. Starà bene ma ha
bisogno di riposo” rispose sedendosi
su una sedia dal lato opposto del tavolo rispetto ai due semidei.
“Sembra
esausto”
“Ci abbiamo
messo tre giorni per arrivare qua e lui avrà dormito
sì e no quattro ore da
quando siamo partiti” spiegò Percy bevendo un
sorso di sidro.
“E solo
perché lo abbiamo costretto” aggiunse Jason.
“Non voleva rischiare di perdere
la rotta”
“È un folle”
mormorò Calipso mentre il cuore le batteva furiosamente nel
petto.
“L’amore
spesso fa questo effetto” sorrise di fronte allo sguardo
sgomento di Calipso.
“Ha detto che te lo aveva promesso”
“E io gli avevo
riposto di non fare promesse vuote, perché nessuno
può venire a Ogigia due
volte” mormorò Calipso scuotendo la testa.
“Non si
sarebbe mai arreso all’idea di lasciarti qua”
“E ora, con
ogni probabilità, rimarrete tutti e tre bloccati
qui”
“Devi avere
un po’ più di fiducia in lui” disse
Percy guardandola incoraggiante. “Infondo
era impossibile anche trovare quest’isola, ma Leo ce
l’ha fatta. Chi meglio di
lui ci può riportare tutti e quattro a casa?”
“Avete
fame?” chiese Calipso cambiando discorso.
“Un po’”
ammise Jason.
“Vi vado a
prendere un po’ di stufato” rispose allontanandosi
da loro, cercando di non
pensare troppo alle parole di Percy. Cercando di non illudersi
nuovamente che
le cose potessero cambiare.
FINE
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