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Autore: DreamWings    17/03/2015    1 recensioni
Tra le misteriose aule della Roswath, una scuola apparentemente normale, due potenti forze celesti stanno per riscrivere la storia e salvare così il mondo dall'oscurità.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angels

Fidarsi

3.




Al suono della campanella del pranzo, Frank uscì dall’aula di filosofia dirigendosi, per la seconda volta in quella giornata, nella colossale caffetteria della Roswath. Jamia era fuori, appoggiata con indifferenza a un muro, il mento sollevato, le spalle all’indietro, le anche in avanti.

“Ciao straniero.” fu il saluto sarcastico della ragazza.
Frank la salutò con un cenno della testa e un sorriso che diceva ‘avevo proprio bisogno di te’.
Gli occhi luminosi di Jamia si rivolsero verso il ragazzo. Era come se cercasse sempre di non farlo sentire a disagio solo perchè si trovasse ad essere quello nuovo. Quella ragazza era dotata di una dolcezza sovrumana che riscaldava il cuore di Frank con un semplice sorriso. Ripensando a quel momento nel corridoio, quando l’aveva vista per la prima volta, si accorse che gli aveva provocato subito dentro un effetto insolito. Ma non sapeva spiegare precisamente di cosa si trattasse..
Si morse il labbro, esaminando gli studenti che passavano, affollandosi, come se non vedessero cibo da un mese. Sembravano carcerati. Poi notò la ragazza che finora era stata l’unica a suscitare in lui..odio. Lindsay.
Sfilava come al solito, in più era accompagnata da tre oche intente a guardarsi allo specchietto e a incipriarsi come se già non fossero abbastanza ‘conciate’. 
“Sono contenta che mangiamo insieme.” esultò Jamia recuperando l’attenzione di Frank.
Quello che non riusciva a capire era se ci stesse o no provando con lui. Non era mai stato bravo a decifrare i comportamenti femminili, ma semplicemente perchè finora non gli era mai capitato di essere corteggiato.
Le rivolse uno sguardo scintillante. “Anche io sono molto felice.” disse, e poi aggiunse:” Comunque, Jamia, io veramente ci tenevo a ring-” venne interrotto dalla voce squillante della ragazza.
“Non ci pensare nemmeno a dire una cosa simile! Tutto quello che faccio, lo faccio perchè mi viene dal cuore.” disse, e ammiccò con fare allusivo.
In Frank nacque un sorriso. Un sorriso sincero.
A qualche passo da loro, un ragazzo dai capelli lunghi insisteva a lanciargli occhiatacce ringhiose.
Frank se ne accorse. E anche Jamia. “Quello è Bert. Non farci caso, è così con tutti.” lo rassicurò.
“Non credo che in genere guardi gli altri come sta facendo con me in questo mento.” continuò perplesso.
“Mmh forse.” commentò la ragazza. “Ma è meglio che tu la smetta di fissarlo.” mormorò rivolgendo uno sguardo a Bert.
“Perchè?” replicò. Degli occhiali scuri nascondevano gli occhi del ragazzo, coprendogli la faccia, nonostante si trovassero al chiuso. Eppure non erano scuri abbastanza da celare quello sguardo per metà indagatore, per l’altra metà arrogante.
“Semplicemente perchè non ti conviene far incazzare Bert McCracken.” rispose piatta.
Proseguirono a camminare a passo lento tra la folla, finchè la curiosità, che era troppo stuzzicante, non spinse di nuovo Frank a guardare quel ragazzo. Ma di lui non vi era più nessuno traccia. La sedia rossa della mensa, che aveva occupato fino a pochi minuti prima, adesso non ospitava più quel possente omaccione tutto muscoli.
Si scrutò per un po’ intorno in cerca di quegli occhi rancorosi.
Di colpo, una mano urtò violenta alle sue spalle e lo costrinse a terra. Cadde di petto, e a malapena riuscì a trovare il tempo di reggersi a qualcosa con le braccia.
Appena si riappropriò della ragione e realizzò quello che era appena successo, la prima cosa che udì fu un urlo isterico da parte di Jamia.
Si era fiondata verso di lui non appena l’aveva visto atterrare in modo per niente delicato sulle mattonelle poco pulite della caffetteria. “Frank! Stai bene? Mi senti? Frank!” erano le domande agitate che continuavano a rimbombare nella mente ancora confusa di Frank.
Quest’ultimo, quando ritrovò in se la forza di parlare, rispose:”Si..si sto bene, credo.” e farfugliò ancora qualcosa di incomprensibile.
Jamia inarcò le sopracciglia e le scappò un risolino. Ma in un lampo tornò subito ad essere seria e soprattutto preoccupata. “Ce la fai ad alzarti?” domandò e divenne all’istante irritata dalla figura di Bert ancora immobile sopra di loro che aveva anche preso a parlare.
“Non ce la fai ad alzarti femminuccia?” commentò con aria di sfida lampante.
“Bert, giuro che questa te la faccio pagare.” grugnì Jamia. E ci mancava poco che lo prendesse per quei capelli lunghi che facevano somigliare LUI ad una femminuccia.
“Alzati.” gli ordinò, ignorando completamente la ragazza.
“Va’ via.” Bob e Ray emersero tra la folla a difesa di Frank e lo separarono da lui.
“Non mi hai sentito?” insistette Bert, sempre più minaccioso.
E prese il vassoio di un ragazzo che stava passando proprio in quel momento e glielo riversò tutto addosso.

"Adesso basta!" 
Una voce familiare intervenne a porre fine a quello show, che era stato alimentato finora dagli sguardi esaltati degli studenti intorno che si stavano gustando la scena come si trattasse di un film con Johnny Depp.
La figura del professor Schechter proruppe, camminando e infilandosi tranquillamente nella mischia come la guardia di sicurezza in un museo.
Abbassò lo sguardo verso il corpo esanime, sul pavimento, di Frank.
“Qualcuno mi dica cosa è successo qui.” ordinò imperterrito.
“Professore..” si pronunciò Jamia, ma venne subito interrotta dalla voce potente di Bert. 
“Questo ragazzino qui.” indicò Frank con disprezzo. “Mi ha insultato e provocato. Merita di essere punito.” concluse nascondendo un ghigno dietro al ciuffo di capelli neri.
In un istante, il professore si rivolse verso Frank con aria indagatrice. “È andata così?” domandò freddo.
Esitò prima di aprir bocca. Riflettendoci, se avesse detto la verità probabilmente la sua vita sarebbe durata solo altre poche ore o addirittura di meno. Era una questione ti poco tempo, prima che Bert lo trovasse e lo riducesse in cenere.
E in quel caso nessuno lo avrebbe più potuto difendere. Nemmeno Brian.
“Vuole rispondere signor Iero?” insistette spazientito.
“Si.” rispose. “È andata così.”
Un’espressione mista a stupore e incredulità si stampò in un lampo sui volti di Jamia, Ray e Bob.
Istintivamente la ragazza tentò di prendere le sue difese.”Non è vero, lui non ha-” 
“Lei stia zitta signorina Nestor. O finirà in punizione anche lei.” 
“Per quanto riguarda lei, signor Iero.” prese una pausa, e per una attimo Frank potè giurare di aver colto un pizzico di rammarico in quello che stava per dire. Dopotutto gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui. E ora lo stava per punire. “Vada a ripulirsi. La aspetterò domani mattina alle cinque in punto qui alla caffetteria. Mentre lei.” indicò Bert. ” Adesso verrà nel mio ufficio e discuteremo di come è giusto difendersi dagli insulti.”
Jamia esalò un respiro profondo prima di parlare.”Se mette in punizione lui allora mette in punizione anche me.” replicò senza pentirsene.
“Come vuole lei, Nestor.” disse, e girò i tacchi allontanandosi dalla folla seguito da Bert.
Prima di andarsene definitivamente ordinò agli studenti di tornare alle loro postazioni e continuare a fare quello che stavano facendo prima.
E ovviamente nessuno osò contrastarlo.

Senza guardarsi intorno, Frank si alzò e proseguì a passo svelto per la mensa, eludendo le voci insistenti dei suoi amici che lo imploravano di fermarsi.
La campanella aveva ripreso a suonare.
Alla porta della caffetteria innalzò, per puro caso, gli occhi alle figure ancorate all’ingresso e tra quelle ne riconobbe una in particolare.
Non osò guardare Gerard per più di due infiniti secondo, così si limitò a massaggiarsi il polso ancora dolorante e ad accelerare il passo.

E fu in quel momento che accadde.

Avanzò a fatica, tentando di sfuggire alle vertigini che lo fecero barcollare. Si sentì come illuminato dalla luce del sole, riscaldato e al sicuro. “Permesso.” fu costretto a domandargli per passare. Era ancora preda della vergogna.
Gerard, che per tutto il tempo era rimasto immobile, con la schiena e la gamba destra appoggiate con nonchalance alla porta principale, si scansò senza proferire parola.
Frank deglutì, e uscì.
Forse era stata la sua immaginazione, ma aveva percepito qualcosa di diverso dal solito ragazzo arrogante che aveva conosciuto finora.
Si, era decisamente l’immaginazione da post-rissa, se così poteva definirsi.
Si congratulò con se stesso per essere riuscito a non gettare gli occhi su di lui ancora una volta. E pregò tutti gli dei affinchè non fosse diventato rosso come un peperone.

Perfetto, era in questo posto da metà giornata e aveva già collezionato due figuracce.

Era in circostanze come queste che avrebbe tanto desiderato ritrovarsi a casa sua, invece di dover ordinare severamente a se stesso di mantenere la calma e non piangere difronte ad una folla di sconosciuti.

Corse dritto verso la porta del bagno. Entrò sentendosi stordito e confusamente grato per essere finalmente solo e in salvo.
Appena si rese conto di avere il via libera, una lacrima scese a rigargli il viso senza più esitazione.
Aprì il rubinetto e con le mani si bagnò la faccia in un vano tentativo di ripulirsi. Era impossibile. Solo una doccia avrebbe potuto togliere quell’odore di minestrone. Ma in quel momento la sua camera risultava troppo lontana in confronto ad uno dei bagni che si trovavano nei corridoi.

Ad un certo punto, mentre si stava lavando via una carota dai capelli, notò, attraverso lo specchio, dietro di se, un ragazzo.
Era più giovane degli altri.
Avrebbe potuto avere si e no quattordici anni.

“Non volevo spaventarti.” si scusò, un po’ imbarazzato.
“Stai tranquillo.” replicò Frank voltandosi e riprendendo fiato. “Non è colpa tua se questa giornata fa così schifo.” sputò secco.
“Ti è successo qualcosa?” domandò.
“Non lo sai?” si stupì. Era convinto che la notizia avesse fatto il giro della Roswath e che chiunque ne fosse a conoscenza e stesse ridendo di lui in questo momento. 
Ma a quanto pare non era così.
“Se posso fare qualcosa..”
“Ti ringrazio.” lo interruppe. “Ma non credo che tu possa fare molto per me.” sospirò e scosse il capo.
Il ragazzo annuì.
“Comunque io sono Adam.” si presentò, avanzando di qualche passo per stringergli la mano. “Piacere.”
“Frank. Piacere.” sorrise.
“Adesso che ci siamo presentati.” prese una pausa esitando, ma poi insistette. “Posso sapere cosa ti è successo? O se posso aiutarti?” chiese con tranquillità.
Frank non intendeva accettare l’aiuto di uno sconosciuto. Anche se aveva l’aria ingenua di un ragazzino.
“Frank, io non sono come loro.” 
Frank spalancò gli occhi. “Avevi detto di non sapere..”
“Non ci vuole un genio per capire cosa ti ha ridotto così. O meglio chi.” ammise sorridendo. “E poi.. è successo anche a me una volta..” 
Gli bastarono pochi secondi per capire di essersi sbagliato. Quel piccoletto era in gamba, e poteva fidarsi di lui.
Adam lo guardò, poi alzò gli occhi al cielo. “Non dirmi che..”
“Cosa?” domandò Frank perplesso.
“Ha qualcosa a che fare con Gerard Way? È stato lui a..”
“No. È stato Bert.” disse lui precipitandosi a rispondere. “Perchè me lo chiedi?” Era incredibile come quel ragazzo dotasse di una fama tanto pessima da lasciar credere a qualunque studente di essere sempre coinvolto nelle risse che scoppiavano all’interno dell’istituto. O magari era stato proprio lui a mandare Bert. Oddio. 
“Ah. No, così, per sapere. È un tipo strano. Non che Bert sia da meno, eh.” disse Adam.
“Non so più cosa pensare. Ma io non ho fatto niente per provocar-“
“Lo so.” la voce di Adam si accavallò alla sua.
Frank si mise a guardare frastornato fuori dalla finestra. Il sole stava calando e si era fatto quasi buio.
“Sarebbe meglio andare. Sai, il coprifuocoooo.” cantilenò Adam.
Uscirono dal bagno e Frank non potè fare a meno di continuare a camminare di fianco ad Adam. Quasi lo implorò di accompagnarlo fino alla sua camera.
Ormai ne era certo: si fidava di lui. E si sentiva protetto. Quindi nei corridoi avrebbe avuto assolutamente bisogno di una spalla per sfuggire alle occhiatacce derisorie degli altri studenti.





 

   
 
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