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Autore: DreamWings    19/03/2015    2 recensioni
Tra le misteriose aule della Roswath, una scuola apparentemente normale, due potenti forze celesti stanno per riscrivere la storia e salvare così il mondo dall'oscurità.
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angels

 L'ombra del cimitero

4.


Una volta vicino alla stanza 43, Frank esitò. C’erano lì davanti, probabilmente ad aspettarlo da un po’, Jamia e gli altri. Non voleva incontrarli. Soprattutto dopo essere scappato nonostante lo avessero difeso. Si sentiva in colpa e quello non sarebbe stato il momento giusto per parlare con qualcuno.

Decise di cambiare strada e di accelerare verso la porta più vicina che portava ad una rampa di scale esterna all’edificio.
Quella che percorse fu una camminata abbastanza lunga; senza nemmeno accorgersene arrivò quasi al margine del cortile. Oltrepassò quella che sembrava una vecchia chiesa in rovina e scese nella valletta sottostante.
Non c’era un effettivo motivo in particolare per cui si sentisse così intrigato da quel posto.
Sembrava proprio un vecchio cimitero. E le uniche luci erano quelle illuminate da alcuni lampioni quasi fulminati.
Questa zona era inselvatichita e l’erba per niente curata. Sedette vicino a una lapide. Ma non vi era alcuna iscrizione con nomi incisi sopra. Quindi doveva trattarsi di un semplice masso, pensò.
In quell’istante, tra immagini di cimitero e morti, si rese conto effettivamente che, oltre a non aver mai conosciuto suo padre e a non saperne nulla a riguardo, non sapeva nemmeno dove si trovasse la sua tomba. Non lo aveva mai salutato, nemmeno da morto.
Naturalmente era fortunato ad avere la madre, Linda. 
Non tutte le madri sarebbero state in grado di occuparsi di un figlio rimasto orfano di padre, senza avere qualche crollo emotivo o senza sbagliare in qualcosa. Perchè lei era sempre stata perfetta. 
Una folata di vento fece volare via il foglio delle lezioni dalla sua mano. Non poteva permettersi di perderlo, o avrebbe dovuto dire addio alla sua incolumità. Perchè ovviamente la vecchia scorbutica non gliene avrebbe procurato un altro.
Tese la mano per afferrarlo.
Si rialzò e lì, proprio difronte, lo vide.
Un uomo con un lungo mantello nero e il visto coperto dal cappuccio, stava a qualche passo da lui esanime.
A mala pena poteva sembrare che stesse respirando.
A Frank tremarono le gambe, e fu per istinto che chiese:” Chi sei?”
Quello non rispose.
C’era qualcosa di sinistro nel modo in cui stava fermo.
Poi fu tutto un silenzio quasi assordante e nettamente terrificante.

"Frank." la voce del professor Schechter risuonò vicina, e piombò in quell’assenza di suono.
“Cosa ci fai qui?” domandò preoccupato. In lui era riaffiorata la gentilezza che aveva conosciuto la prima volta.
Senza esitare, Frank si lasciò condurre dal suono acuto di quella voce e voltò la testa ritrovandosi difronte a Schechter. Ma subito dopo, quando ricondusse lo sguardo davanti a se, si accorse che erano rimasti soli.
L’uomo era scomparso. Ma come poteva essere possibile?
Di sicuro Brian lo aveva visto.
E se non fosse arrivato lui?
E se quello fosse stato un malintenzionato?
La paura era alimentata da domande senza risposte che pietrificavano la mente di Frank rendendone impossibile la comunicazione con il resto del mondo.

Raggiunse Frank e lo afferrò per un braccio. “Mi senti?” lo fissò, perfettamente immobile e nervoso.
“Lui era qui.” balbettò. La sua pelle fremeva di paura.
“Chi?” lo fulminò e ruotò leggermente la testa in cerca di questo ‘lui’.
La situazione stava diventando inquietante quanto la scena di un film dell’orrore.
Frank trasalì. “Non lo so, ma era qui e si nascondeva dietro un cappuccio.” insistette indifeso e spaventato.
Brian annuì.”Bene. Andiamo via di qui.”
Il più grande lo avvolse tra le sue braccia riscaldandolo, e si incamminarono verso l’entrata principale. Oltrepassarono la porta scorrevole e si diressero nella stanza di Schechter.

"Innanzitutto spiegami cosa ci facevi tu, lì, a quest’ora." lo interrogò, stilando una sfilza di domande, mentre gli porgeva una tazza fumante di the alle erbe.
“Io..stavo facendo una passeggiata..” farfugliò con voce tremante in un tentativo poco convincente di giustificarsi.
Fu di nuovo sopraffatto dalla paure, e diede un’occhiata alla finestra.
Non poteva affrontare le domande preoccupate del suo insegnante di storia. Non con le ciglia umide a causa delle lacrime che si dimenavano, sempre più insistenti, per uscire dai suoi occhi.
Questa giornata era stata un completo disastro dall’inzio, e l’unica cosa che gli andava di fare era dormire. E anche dimenticare.
“Tralasciando che, una persona normale quando vuole fare due passi non si trascina di sera fino ad un luogo lugubre come un cimitero.” quindi era un cimitero, aveva avuto ragione a pensarlo. “Sai che il coprifuoco è alle nove, vero Frank?” chiese alla fine, con voce bassa.
“Si lo so, mi scusi.” mormorò con aria innocente, mentre guardava con occhi socchiusi, per via della stanchezza, le dita della sua mano che reggevano la tazza di the.
“Chiuderò un occhio perchè è il tuo primo giorno ed è giusto che tu ti abitui a determinate regole.” concesse solennemente. “E poi se non sbaglio ti avevo già messo in punizione per qualcosa..” la voce si affievolì.
“Senti Frank, ora che siamo soli puoi essere sincero.” disse calmo, cercando i suoi occhi. “Tu non c’entri niente con la rissa avvenuta all’ora pranzo quest’oggi nella caffetteria. Non è così?” domandò sicuro di se.
Ma se lo sapeva allora perchè lo aveva punito?
Frank non rispose. Esitò. Infine si limitò ad annuire.
“Ne ero sicuro.” continuò con voce tranquilla. “So perchè non hai voluto parlare, e rispetto la tua decisione. Ma quelli come te non devono temere nessuno. Devi fare in modo che siano anche gli altri ad avere rispetto di te.” disse convincente. “Quindi credo che la punizione tu te la sia meritata ugualmente. Devi imparare ancora qualcosa ragazzo.” concluse alzandosi dalla sua sedia.
“Per quanto riguarda quell’uomo, ne riparleremo quando sarai più riposato.” si premurò di dire.
“Ora va’ a dormire dai. E ricordati.” si interruppe. “Domani. Alle cinque in punto. Nella caffetteria.” ribattè fermo.
“Grazie.” fu tutto quello che uscì dalla bocca di Frank.
“Di nulla. Sei qui affinchè io possa prendermi cura di te, ricordi?” 
Frank annuì privo di forze e lo salutò con un cenno di mano come fossero due vecchi amici.
Infondo tra loro due- ovviamente al di fuori delle attività scolastiche- si poteva dire che c’era confidenza ormai.

Frank camminava fiacco verso la sua stanza. Le spalle un po’ curve e gli occhi nocciola piantati a terra.
Guardò torvo verso la vetrata che mostrava da lontano il vecchio cimitero che quella sera aveva fatto da scenario al suo incontro raccapricciante.
Una sensazione d’orrore gli attraversò le viscere a quel ricordo.
Era ancora leggermente confuso, ma scosse la testa e concluse che non ne valesse la pena ripensarci. Finalmente avrebbe riposato. Cosa che desiderava fare da quella mattina durata un’infinità.
Si fermò davanti alla stanza che mostrava una targa in ottone incisa sopra. 43.
Sfilò la chiave dalla tasca il cui numero corrispondeva con quello sulla porta. La infilò nella serratura e con qualche difficoltà riuscì ad entrare nella sua stanza.
Era moderna come il resto dell’edificio.
Per essere una scuola che vanta secoli, l’arredamento è veramente attuale, pensò. Probabilmente sarà stato grazie alla ristrutturazione. Infatti quando si studiò attorno in cerca del letto e degli altri mobili, notò che molte delle cose che c’erano in quella stanza erano tutte nuove. Era come se non ci avesse albergato nessuno, prima di lui. Era tutto perfettamente intoccato. Almeno su questo poteva ritenersi fortunato. 
Si chiuse la porta alle spalle e fu allora che notò un bigliettino sul pavimento.
Era da parte di Jamia.

'Ti abbiamo aspettato per mezz'ora fuori la porta. Poi per fortuna abbiamo incontrato il professor Schechter. Così lo abbiamo informato che eri scomparso e lui è venuto subito a cercarti. Spero tu stia bene adesso e che non ti sia accaduto nulla di male. Ero preoccupata più che altro per Bert. Pensavo ti avesse trovato e ti avesse fatto qualcosa. Non farci prendere più questi infarti. Se ti va vieni nella mia stanza, la numero 34. Mi farebbe piacere vedere come stai e parlare un po'.
Jamia.’

Si era preoccupata per lui. Lo conosceva da un giorno e si era ‘fatta prendere un infarto’ per lui. Quella ragazza era davvero qualcosa di unico.
L’aveva abbandonata per tutto il resto del tempo dopo che si era presa una punizione per lui, eppure era stata così gentile.
Tra tutti, lei era l’unica ad averlo difeso con tutta se stessa fino alla fine. Lei, Bob e Ray.
Gli altri erano rimasti a guardare come un pubblico di deficienti.
E tra quelli c’era Gerard.
Gerard.
Il cuore gli pulsò forte e alcune lacrime gli risalirono a tradimento agli occhi. Piangeva di rabbia, umiliazione, imbarazzo… E che altro?
Perchè pensava a questo sconosciuto? Perchè la sua mente continuava ad inciampare in lui?
Perchè le lacrime erano arrivate proprio quando l’immagine di lui gli si ripresentò chiara alla mente mostrandone il viso arrogante che aveva conosciuto la prima volta?
Il battito era fortissimo e le ginocchia deboli. Le mani sudate. Era nervoso.
E poi pensò alle sue labbra sottili, quelle che lo facevano tremare per qualcosa di diverso dal nervosismo. Quelle che si erano allargate in un sorriso, o meglio in un ghigno, quando lo aveva mandato a farsi fottere con il terzo dito della mano in bella mostra davanti a mezza scuola.
La sua voce. Era uscita roca dalla sua bocca quando aveva parlato con Lynz e Jamia senza degnarlo di uno straccio di attenzione.
Quella voce fredda e sdegnosa, ma stranamente persuasiva.
E i suoi occhi.. Ci sarebbe annegato in quelle in iridi meravigliose.
Basta.
Adesso Jamia meritava che andasse da lei e le desse almeno una giustificazione sensata. Anche se non sapeva cosa avrebbe potuto dirle. 
Nonostante ciò e la stanchezza, sistemò le valigie sul letto e uscì.

Si avviò lungo il corridoio e si fermò poi davanti alla stanza numero 34 proprio come gli aveva indicato Jamia nel biglietto.
Bussò qualche colpetto leggero e mentre attendeva che gli venisse aperta la porta, si voltò in direzione del rumore meccanico prodotto dalla stanza accanto.
Ne emerse una figura familiare.
Il biondo che si trovava spesso in compagnia di Gerard.
Ray gli aveva detto che si chiamava Mikey, e che era suo fratello.
Era insieme a Lynz.
Lynz. Un’improvvisa ondata di odio lo avvolse risucchiando tutta la felicità che aveva provato fino ad un minuto prima pensando a Jamia e al fatto che stava per incontrarla.
E fatalità, proprio in quel momento Jamia apparse sull’uscio della porta. “Frank!” strillò buttandoglisi addosso con tutte le sue braccia mingherline. Le scappò anche un bacio. Sulla guancia ovviamente.
Ancora una volta, le farfalle tornarono a svolazzare libere nello stomaco altalenante di Frank.
“Jamia!” la salutò ricambiando pienamente l’abbraccio.
“Frank ero così preoccupata che..insomma, lo sai. Se sei qui è perchè hai trovato il biglietto.” arrossì.
“Mi dispiace essere scappato. Avrei dovuto avvisarvi che ero andato a fare due passi.” rispose Frank mordendosi il labbro inferiore.
“Non preoccuparti adesso.” rise nervosamente.”Ti va di venire in biblioteca con me? Devo finire una ricerca per domani e ho bisogno di aiuto. Sono disperata.” disse Jamia.”Ti prego.” lo implorò con tono supplichevole.
“Va bene.” Frank accettò nonostante si trovasse ad essere del tutto privo di voglia.
“Sai Frank, hai un’aria veramente fantastica in questo momento.” disse.
Frank aprì bocca, costernato, ma lei aveva ricominciato a parlare.
“Scusa, so di metterti a disag-“
“Sto benissimo.” finì lui al suo posto, mentre camminavano verso la biblioteca della Roswath. “Anche tu sei fantastica.”
Alzò lo sguardo e trovò quegli occhi dolci fissi nel suo viso.
Jamia, audace, gli prese la mano.
E fu questione di pochi secondi prima che incrociasse anche le sue dita con quelle di Frank.

La biblioteca era un luogo immenso.
Nella sua vecchia scuola gli studenti a mala pena potevano vantarne una. Qui, invece, si ritrovavano a godere di tutti i comfort possibili. Inclusa questa. C’erano dei tavoli in alcuni angoli della sala. Pareti di scaffali riempiti con ogni sorta di libro. Dal fantasy al classico. Anche l’odore era diverso. Non c’era più quello di muffa. E le vetrate erano oscurate così che la luce artificiale permettesse una lettura migliore.
“Dovrebbe essere di là.” indicò Jamia difronte a loro.
“Su cosa dobbiamo farla questa ricerca?” domandò Frank cercando di visualizzare ciò che aveva intorno.
“Un artista. Credo si chiamasse Pablo Picasso.” rispose. “Credo sarà meglio dividerci per trovare qui in giro qualcosa di decente su cui lavorare.” continuò.
Frank annuì.
“Ci vediamo al tavolo vicino al bancone tra cinque minuti. Se non trovi niente non fartene un problema.” sorrise strizzando l’occhio.
“Ricevuto.” le sorrise di rimando Frank.
Svoltò tra la fila di scaffali più vicina. Lì difronte c’era un’altra vetrata scura. E un tavolo. E seduto a quel tavolo c’era Gerard.
Era chino con la testa su un foglio, completamente concentrato in ciò a cui stava lavorando. 
Mai in vita sua Frank aveva osservato tanta passione brillare negli occhi di qualcuno.
I capelli neri accarezzavano la pallida superficie della sua pelle delicata e ne incorniciavano i lineamenti fini. La bocca sottile era tesa in un’espressione di applicazione invidiabile. 
Frank si era così preso nel contemplarlo che non si rese nemmeno conto di essersi spinto un po’ troppo oltre. Un po’ troppo vicino. 
Il cuore aveva preso a martellare ad una velocità sconosciuta, tanto che avrebbe potuto abbandonarlo da un momento all’altro. Non era una sensazione naturale quella che si stava insinuando tra le sue viscere. E provava un calore penetrante simile a quello di un fuoco ardente.
Gli dava le spalle. La sua giacca di pelle scura gli rendeva un aspetto tenebroso, eppure ipnotico. Si stava sentendo così avvolto…
“Cerchi qualcosa?” domandò Gerard freddamente. La sua voce roca gli penetrò dentro diffondendosi attraverso un ardito eco di scosse.
Frank sobbalzò. Arrossì mentre le sue gambe imploravano una sedia. Il panico gli stava costringendogli ogni vana scusa in bocca. “Io stavo cercando un libro..” rispose, accorgendosi solo adesso dell’ennesima figura da idiota che aveva ripetuto difronte a questo sconosciuto.
“Quelli sono gli scaffali.” indicò le pile di libri a qualche passo da loro. “Buona fortuna.” 
Ma Frank non si mosse. Quel fascino scolpito era troppo vincolante per permettergli di essere libero e di andarsene.
Lui se ne accorse. “Ho capito. Me ne vado io.” Gerard avvolse il suo disegno, lo mise nello zaino e si alzò per andarsene.
Non appena si mosse per divincolarsi, le loro spalle si toccarono.
Fu un soffio al cuore che provocò una lunga scia di brividi ad entrambi, e una sensazione di connessione li stordì.
Ci fu ancora un ultimo sguardo, confuso e stordito.
Finchè Gerard non riprese sfacciatamente a camminare in direzione dell’uscita più vicina.










Eii:)) Spero la storia stia intrigando almeno qualcuno ahah. Comunque ci terrei veramente a sapere cosa ne pensate. Tranquilli che Jamia non prenderà mai il posto di Gerard anche se sembra molto vicina al nostro Frankie. Ma non mi va di spoilerare. Quindi, non avendo altro da dire, mi ritiro a pensare al prossimo capitolo. Un saluto.

   
 
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