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Autore: Amachodidaskalos    20/03/2015    0 recensioni
Basta poco. Basta un lampo, un fascio di luce. Il mondo, apparentemente immutato, si trova ad affrontare la peggiore delle sorti: l'isolamento. Ce la faranno i grandi eroi delle storie a salvarlo? No, semplicemente perché non esistono. Il delicato compito di portare l'equilibrio questa volta non viene affidato a paladini senza macchia o potenti stregoni dai cappelli a punta. Costretti insieme dagli eventi, un gruppo di individui dalla morale più o meno dubbia si vede consegnata tra le mani da nientemeno che la Morte in persona un'ultima disperata occasione: dodici giorni per salvare il mondo. Ma in fondo non è meglio superare la propria natura malvagia che nascere buoni?
Se avete un deja-vu, non temete: il Matrix è in ordine. Piuttosto questa storia, che era arrivata al sesto capitolo, sè stata accidentalmente cancellata, e quindi la stiamo ripostando. In realtà, Shades è il resoconto di una campagna di D&D 3.5 tuttora in corso, ma non temete, profani: è perfettamente leggibile anche per chi non sa nemmeno cosa sia un tiro sulla Tempra; per i navigati di GdR sarà solo un poco più intrigante.
BuonaLettura.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II: Il re della Pineta Maggiore

«Mapporc…» l’imprecazione fu stroncata dalle foglie morte e putrescenti che gli tapparono la bocca quando vi cadde di faccia. Si rialzò sputacchiando e cercò di spolverarsi gli abiti ormai luridi.
«Questi cazzo di rami…» mugugnò a denti stretti togliendosi il molle terriccio dalle numerose tasche della giacca.
“Radici.”  udì sussurrare da una voce femminile, ma il ragazzo era solo.
«Cosa intendi dire?» chiese all’aria davanti a sé mentre si cercava di ritrovare il sentiero nel fitto sottobosco della Pineta Maggiore.
“Quelle che escono da terra si chiamano radici. I rami crescono in alto ed hanno gli aghi, idiota.” precisò la voce con una punta di rimprovero.
«Vedi di stare zitta.» sbuffò lui togliendo l’ultimo rametto umido dai suoi capelli neri. «Sai? Penso che i confini della foresta non siano lontani.» aggiunse poi scrutando  fiducioso in lontananza nella selva di sempreverdi, che sembrava non avere fine.
“Lo hai detto anche due ore fa." di nuovo, le parole semplicemente risuonavano nella mente del giovane "E quattro. E stamattina, e ieri, e l’altro ieri ed il giorno prima ancora. Sono quattro giorni che dici che i confini non sono lontani.”
«Ti ho detto di stare zitta!» il ragazzo colpi con un pugno il tronco di un albero e poi vi ci si accasciò sopra, preso improvvisamente dallo sconforto «Non sei tu quella che ha problemi perché non c’è lo straccio di un animale e deve mangiare per forza bacche e pinoli ogni giorno!».
Il silenzio che calò dopo che si fu sfogato durò quasi un minuto, prima di essere di nuovo rotto dalla voce evanescente.
 “Hey?" lo punzecchiava sarcastico "Siamo ancora vivi? Ce la fai?”.
Il ragazzo trasse un lungo sospiro, e quando alzò la testa il suo viso risplendeva di nuova e salda determinazione.
«Ne usciremo.» disse «Costi quello che costi noi saremo presto fuori di qui, Loreth, te lo giuro, o non sono più Miros il Prescelto.»
Dopo tre ore, numerosi cambi di direzione e molti borbottii che solo Miros pareva udire, senza che nessun segnale che indicasse la fine della Pineta Maggiore fosse apparso sul suo cammino, quello decretò la sua resa e si sedette su di un macigno tenendosi il volto tra le mani.
«Non è possibile…» piagnucolò «questa dannata foresta non ha fine!»
“Coraggio,” lo consolò la voce “dormiamo, per adesso. Forse domani, se filtra un po’ di sole…”.
Miros non prestava attenzione agli sforzi consolatori della vocina che sentiva nella sua testa. Era impegnato con tutto il suo spirito a fissare con occhi sgranati una zona di terreno non lontana: appena oltre una radice arcuata si distingueva, impressa su un letto di foglie di arbusti tutte schiacciate, la sagoma di una persona alta all’incirca quanto lui. In effetti, constatò, era la sua.
«Stiamo girando in cerchio.» biascicò a mezza voce «Stiamo girando in cerchio! Non è possibile, cazzo! Quanti Dei mi odiano? Voglio nome ed indirizzo dei luoghi di culto! Non ci credo!» riaffondò la faccia tra le mani ed iniziò a singhiozzare sommessamente.
“Su, dai, può capitare…" lo schernì la voce con tono provocatorio "Certo, questa sarebbe la terza volta nei nostri sei giorni di permanenza qui, ma se sei un idiota non è colpa mia.” .
L’espressione di Miros si fece dura «Giuro che quando usciamo di qui trovo un bravo esorcista e ti faccio tirar fuori dal mio corpo con le pinze.»
“Non sai neanche accettare una critica distruttiva? Sei noioso.” il tono della voce divenne all’improvviso lamentoso “Ah, ma forse sono io a non capire. Oh, la povera stupida Loreth che si è fatta catturare e sigillare nell’imberbe corpo di un completo mentecatto. Deve essere mio destino dissolvermi nel nulla perché tu morirai di fame in questa dannatissima foresta.”.
Un lampo improvviso attraversò gli occhi di Miros, che cessò di prestare attenzione alla voce del demone in lui sigillato.
«Destino?» chiese, questa volta realmente a sé stesso, «Giusto… come ho fatto a non pensarci da solo?»
Loreth parve esitare, poi prese a scandire molto lentamente: “Calma, Miros, non farti venire strane idee; noi dobbiamo solo attraversare la foresta: la nostra permanenza qui è puramente…”.
«Voluta dal Fato!» la interruppe lui balzando in piedi «È tutto così chiaro adesso. Loreth, capisci quello che voglio dire?»
“Sono intelligente, non sensitiva; ma quello che percepisco nella tua mente mi pare un’immane stron…”
«Sarò il re della Pineta Maggiore!» esultò lui interrompendola di nuovo.
“Ecco, appunto.” commentò Loreth con sarcasmo palpabile.
«Ci pensi? Tutti quelli che vorranno attraversarla dovranno sottostare alle mie regole, o subire la mia ira!» iniziò a camminare in tondo, eccitato «Sì, ne sono sicuro: è questa la grande via che mi è stata profetizzata dagli anziani del monastero!»
“Gli anziani del monastero ti hanno usato come cestino dei rifiuti quando tu eri appena in fasce, e per puntualizzare io sono la spazzatura di cui dovevano liberarsi." un velo di tristezza era sceso sulla voce di Loreth "Apri gli occhi, Miros: hanno profetizzato le tue imprese eroiche solo per convincerti ad andartene quando hai imparato a parlare con me. Temevano che avrei preso il controllo.”.
«Questa volta è diverso. Sono sicuro di poter essere felice scegliendo questa vita. Sicuro!» con un movimento fluido del braccio, slacciò la fibbia che gli assicurava il falcione alla schiena, impugnò l’arma e la fece roteare sopra la testa.
«Re della Pineta! Re della Pineta!» iniziò a canticchiare volteggiando a destra e a manca e menando fendenti in aria. Al quinto saltello mise il piede in fallo e scivolò di lato con un urletto smorzato. Il terreno sotto di lui cedette, rivelandosi essere nient’altro che una membrana di aghi caduti, foglie morte e terriccio smosso tenuto insieme da alcune radici, e lui si ritrovò sdraiato supino in una stretta galleria. Si alzò a sedere con qualche gemito e si guardò intorno: si trovava in un sorta di cavità sotterranea, con cunicoli di circa un metro e mezzo di diametro che si diramavano in tre direzioni differenti.
“Dove siamo finiti questa volta?” domandò Loreth innervosita.
«Sembra una tana» Miros non avrebbe potuto dire altro. In un'altra occasione, forse, sarebbe stato più guardingo, ma l’euforia di pochi istanti prima non era ancora svanita del tutto: si alzò in piedi e proclamò ad alta voce «Bene, creatura della Pineta, è il tuo re che ti parla! Esci fuori e sii per lui un degno pasto!».
“Idiota!” lo riprese lei allarmata “Non sai cosa può nascondersi lì sotto!”.
«Tranquilla, sarà il solito tasso crudele, o una pantera distorcente.» tese l’orecchio verso il cunicolo centrale «Shh! Hai sentito?».
“Sento quello che senti tu, idiota”. Dal fondo della galleria arrivò un rumore indistinto, a metà tra un ringhio ed un ululato. Il suono tacque per qualche secondo, poi riprese più forte e questa volta risuonava anche dai cunicoli laterali.
“Suggerisco di uscire e prepararci all’esterno.".
Miros ghignò, già in trepidazione per l’imminente scontro e con un balzo saltò fuori all’aria aperta, poggiando i piedi su terreno più solido. Struscii e stridii si aggiunsero ai versi profondi, mentre le creature, qualunque cosa fossero, sgusciavano fuori dalle loro tane. Milos indietreggiò di qualche passo e si mise in posizione, con il falcione saldamente impugnato con entrambe le mani ed il borsellino delle stelle da lancio aperte sul fianco.
Finalmente uno scintillio nel buio del tunnel centrale  preannunciò la creatura: si affacciò un muso largo e piatto con un robusto becco scintillante e due occhi grandi e tondi; fu seguito da un corpo massiccio e muscoloso, coperto sia di piume che di peli e dotato di possenti arti armati di artigli ricurvi.
«Orsogufi? Bene, sarà un pasto sostanzioso.» dichiarò con un sorriso sinistro stampato in volto.
“Orsigufo.” replicò Loreth.
«Che?» chiese lui storcendo il naso in una smorfia.
“Il plurale di orsogufo è orsigufo, non orsogufi. Piuttosto, quanti sono?”. Non ci fu bisogno di risposte: altri due esemplari, ugualmente minacciosi, si fecero strada fuori dai cunicoli.
“Il primo ad essere uscito è di sicuro il maschio.” iniziò a recitare Loreth con calma“Le altre devono essere le femmine. Fai attenzione: sono più aggressive”.
«Come fai a saperlo, eh?» Milos indietreggiò ancora qualche passo «Hai vissuto con gli orsigufi?».
“Orsigufo.” lo rimbrottò lei, e poi aggiunse “Mentre tu guardavi fuori dalla finestra, alle lezioni del sacerdote Kuld, io ascoltavo.”
«Bene, allora:» disse sogghignando «iniziamo.»
Scattò in avanti, rapido come un fulmine. La femmina di sinistra non riuscì neanche a vederlo arrivare: le fu addosso in un attimo e la colpì sulla spalla con un affondo di falchion; l’animale accusò il colpo, ma non cedette terreno, anzi rispose subito menando un’artigliata, che Miros schivò per un soffio. La femmina più vicina balzò in avanti ringhiando e tentò di travolgere Milos nel suo impeto, ma quello saltò in aria all'ultimo momento, atterrando morbidamente sul suo dorso. O almeno, quella era l’dea: all’ultimo momento scivolò sulla pelliccia pregna di umidità notturna e si appigliò disperato al suo falchion, la cui lama andò ad infilzarsi tra le scapole della creatura, che si accasciò a terra gemendo.
«Vedi, Loreth,» esclamò ridendo e rimettendosi in piedi «questo è certamente un segno del Fato!»
“Solo la fortuna di un esibizionista.” cantilenò lei segretamente divertita, poi, vedendo ciò che stava per accadere, gridò “No! Attento!”
Miros si girò appena in tempo per vedere il maschio avventarglisi addosso con forza impressionante: gli assestò una zampata che lo colpì in pieno petto, facendolo rotolare a terra, e poi la prima femmina gli fu addosso. Rotolò di lato, e le zanne della creatura si chiusero dove pochi istanti prima stava la sua testa.
“Suggerisco la ritirata.” sentì risuonare nella sua mente.
«Neanche per sogno.» rispose rialzandosi in piedi e preparandosi al prossimo assalto. I suoi sensi lo salvarono ancora una volta: dietro di lui si era rialzata la femmina colpita sulla schiena.
«Non è possibile che sia ancora in piedi: ha preso venti centimetri di lama nella schiena!» sbottò girandosi a guardarla. Ora era praticamente circondato dagli orsigufo, che lo studiavano minacciosi.
“Se attacchi quella debole mostrerai le spalle agli altri due” lo ammonì Loreth.
«Lo so, lo so.» Miros riusciva a mantenere il sangue freddo, ma si poteva percepire una punta di preoccupazione nella sua voce. Girando lentamente su sé stesso cercava di pensare ad una strategia.
«Io avrei una mezz’idea, Loreth,» concluse infine ghignando «ma mi dovrai prestare la tua forza per un po’.»
“Ti farai male.” gli ricordò lei.
«No, stai tranquilla,» sorrise lui «dammi trenta secondi.»
Loreth non rispose, ma Miros poté percepire il suo assenso quando sentì il sangue della demone pervadergli le membra: ogni volta era come se tutti i suoi vasi cominciassero a bruciare, ma non c'era solo il dolore. Insieme ad esso c'era anche la forza. Una forza in grado di sbriciolare la roccia e piegare l’acciaio, e dunque senz’altro sufficiente per quello che aveva in mente.
“Chissà se prima di essere sigillata si sentiva così tutto il tempo.” pensò tra sé e sé mentre stringeva il falcione tra le mani.Evidentemente gli orsigufo avevano percepito un mutamento, perché iniziarono ad annusare l’aria intimiditi.
“Tre, due, uno…” Miros si girò di scatto e spinse a fondo il falchion nella carne della femmina ferita, che spirò con un lamento smorzato senza neanche poter reagire, ma benché sentisse già i ruggiti infuriati degli altri due orsogufi avvicinarsi non estrasse l’arma dal corpo della creatura. Fece leva sull’asta del falcione, per contenere lo sforzo, ma era un’accortezza superflua: con la sua nuova forza i duecentosettanta chilogrammi dell’orsa morta sembravano appena una quarantina. Roteò facendo perno su un tallone portandosi il corpo del nemico morto con sé, e lo schiantò contro la coppia di orsigufo che lo stava caricando. L’impatto fu violentissimo: travolse per primo il maschio, che andò a sbattere contro la femmina, ed entrambi caddero sotto il peso del corpo della compagna. Fecero a malapena in tempo a trarsi sulle zampe che Miros aveva già estratto l’arma dalla carcassa e menava il primo fendente contro il maschio: con un colpo assestato proprio in mezzo agli occhi, la bestia si accasciò. Ringhiando furibonda, l’ultima femmina si lanciò all’attacco, e Miros si girò ghignando e lasciando cadere a terra il falchion.
“Che stai facendo, idiota?” sibilò Loreth tra i denti.
«Guarda, guarda…» rispose preparandosi all’urto. L’orsa arrivò schiumante di rabbia, cercando di agguantarlo con i lunghi artigli. Miros non tentò neppure di schivare: si limitò a sollevare il braccio e ad intercettare la zampa della belva, che bloccò senza sforzo, e poi fu il suo turno di sferrare il colpo: un pugno diretto alla mandibola, che rivoltò letteralmente il muso della creatura e ne spezzò il collo con un rumore sinistro. Miros si godé gli ultimi istanti della sua forza con un sorriso soddisfatto stampato sul volto, fino a che quella, veloce come era arrivata, non si ritirò dalle sue membra. Fu allora che il vero dolore esplose, riducendolo boccheggiante a carponi, tra i cadaveri di mostri. Si mise a ridacchiare sommessamente, mentre grosse lacrime scorrevano sulle sue guance.
“Non c’è nulla da ridere.” Soffiò Loreth alterata “Sei un idiota. Che bisogno c’era di quell’ultima bravata? E se non l’avessi parato in tempo? Quando usi la mia forza devi cercare di chiudere il combattimento il prima possibile. Guarda come ti sei ridotto in così pochi secondi!”.
Non aveva torto, pensò Miros, il suo corpo era messo seriamente alla prova da quegli sforzi titanici, ed ora non c’era un singolo muscolo che non fosse in fiamme.
“Ma ne è valsa la pena.” aggiunse mentalmente sorridendo tra una smorfia di dolore e l’altra “È stato fighissimo.”.
“E poi sei anche un egoista!” Loreth aveva preso a sgridarlo, nel frattempo “Se tu muori, muoio anch’io, ci hai mai pensato? Non c’è solo la tua vita in gioco, e mi hai anche promesso che…”
«Non ho dimenticato la mia promessa!» la fermò Miros, punto sul vivo «E proprio per quello, perché sarà sempre più spesso necessario che mi presti la tua forza, che devo riuscire a reggerla sempre più a lungo, e cosa c’è di meglio dell’esercizio diretto?» si rimise in piedi, stiracchiandosi: dopo il dolore, giungeva sempre il torpore.
«A te ci tengo, e vedrai che un giorno ci vendicheremo entrambi,» riprese poi massaggiandosi la spalla «ma non vorresti essere la Regina della Pineta, solo per questa sera?».
Il silenzio che seguì parve interminabile, sin che Loreth non parlò, in un tono decisamente più dolce, quasi materno: “Andiamo, ora siediti e mangia il tuo orsogufo.”.
Miros sorrise, ma non disse nulla.



Si cambia punto di vista e storyline, anche se, come si può intuire, ci si sposta di poco, in termini spaziali. Siamo sempre all'interno della sconfinata foresta nota come Pineta Maggiore. La parola alle rubriche.

Commento del Master: Quando mi è stato presentato per la prima volta il personaggio di Miros, l'occhiata che il suo ruolatore ha ricevuto avrebbe potuto trapassare il piombo e la retina di Superman dietro la parete. le parole esatte sono state più o meno: "Se te ne esci con la brutta copia di Naruto (ovvero del più grande spreco di potenziale nella storia del fumetto giapponese, a mio parere) mi metto a castare Lamento della Banshee e Pioggia di Meteore Massimizzata senza un motivo valido.". E invece è riuscito a dar vita ad un personaggio interessante. Non originalissimo nel concept crudo, ma psicologicamente ben studiato. Spero di riuscire, nel corso di questo resoconto, a comunicare questa sua unica profondità. Il rapporto con la sua demone (il genere da dare agli articoli mi ha fatto impazzire: se potete, aiutatemi, e ditemi se demone può essere anche femminile o sono costretto ad usare l'orrido corrispettivo demonessa?) mi aveva subito incuriosito: è una via di mezzo tra un rapporto madre-figlio e due adolescenti alle prese con il primo amore. Forse devo chiedere a Froid (pron. Fruà).

Commento dei giocatori: Questa parte di sessione è stata giocata "al buio", ovvero solo con in stanza il master, il ruolatore di Miros e la ruolatrice di Loreth, che possiede un personaggio tutto suo, ma che per motivi di trama non è ancora apparso neanche nella campagna. Quando poi abbiamo avuto il permesso di raccontarci tutto la nostra conclusione è stata: OP come se piovesse. Ma non ci da fastidio, è una campagna ad alto potere, dopo tutto, i nostri avversari sono 7-8 livelli più forti di noi, abbiamo bisogno di forza bruta.

Bussola del lettore: Non molto da spiegare, spero. Gli orsigufo (il plurale è davvero questo) sono veri mostri da manuale, creati dalla Wizard of the Coast dopo "essersi fumati l'impossibile- Cit Drizzit by Bigio" e sono tra le poche creature di grossa taglia che popolano la Pineta Maggiore. Tuttavia è ottobre inoltrato, e quindi passano la maggior parte del tempo nascosti nelle loro tane.

Miros: Abbandonato sulla porta di un convento di chierici cacciatori di demoni quando era ancora in fasce, Miros è uno dei tanti "serbatoi umani" dove questi sacerdoti dalla morale discutibile imprigionano i demoni catturati per poterne poi consumare l'energia in rituali altrimenti rischiosi. Inaspettatamente, forse per un errore nella procedura, Miros è diventato con il tempo conscio della presenza di Loreth nel suo corpo. Invece di spaventarsi, Miros ha stretto un patto di simbiosi con la sua ospite, la cui natura sarà esplorata più avanti. La sua classe è Eroe(modello marziale), lv4, e la sua razza è una tra le millemila varianti umane presenti sulla wikia.
  
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