Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: Claire Penny    21/03/2015    1 recensioni
Vita da rockstar. Nessuna regola. Più soldi di quanti se ne possano contare. Droghe più o meno leggere. Lusso sfrenato. Sesso senza inibizioni. Jared Leto.
Avete presente?
Ecco, la vita di Zoe non ha niente di tutto ciò.
Perchè Zoe ha ventidue anni e considera ormai concluso il capitolo della sua giovinezza in cui sognava di girare il mondo, vivere la "vida loca" e incontrare i suoi idoli. Sente che è ora di tornare con i piedi per terra, iscriversi all'università o cercare un lavoro e cominciare a rendersi utile ad una società che offre alle nuove generazioni un futuro sempre più incerto.
Questo è quello che la ragazza si prepara suo malgrado a fare, mentre salta tra lavoretti in nero e stage sottopagati sperando nel miracolo di un contratto vero e proprio...almeno fino a quando la sua squinternata migliore amica non finisce per iscriverla a sua insaputa ad un casting per un reality show in cui i partecipanti selezionati prenderanno parte al tour dei 30 Seconds To Mars...come stagisti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A questo punto direi che necessitiamo di un piccolo flashback.

Gli avvenimenti che sto per descrivere risalgono ad un’epoca nota ai più come anno 2010 Dopo Cristo.

E' una bella giornata di fine giugno, il cielo è terso, il sole splende e il tasso di umidità si aggira attorno al trecento percento. Una Elena appena quindicenne siede all'ombra di un albero per cercare un po' di sollievo da quel clima torrido, mentre tra sé pensa che se il tempo continuerà su quella linea, per respirare avrà bisogno delle branchie.

In quel momento, Elena sente qualcun'altro prendere posto poco distante da lei. Alza appena lo sguardo e la riconosce subito: Zoe, la nuova educatrice. Ha qualche anno in più rispetto alla media del resto dello staff dei centri estivi ed è piuttosto introversa, timida, per non parlare del fatto che anche un tombino è più loquace di lei. Elena l'ha vista per la prima volta alla riunione per gli educatori di qualche mese prima ma da allora le loro uniche conversazioni si sono limitate ad un reciproco scambio di saluti distratti. Per quanto ne sa, la stessa cosa vale anche per gli altri loro colleghi. In compenso però, ha notato che quando è in mezzo ai bambini cambia completamente personalità. Ride, scherza e gioca con loro. E' questo che in breve tempo l'ha resa una delle educatrici più popolari tra i piccoli.

Elena si sta chiedendo quale potrebbe essere il motivo per cui quella ragazza un po' in sovrappeso si comporti in modo così chiuso verso di lei e gli altri dello staff quando, per caso, i suoi occhi non cadono sulla borsa Eastpack di colore bordeaux che Zoe tiene accanto a sé. Anzi, più precisamente su alcuni disegni che la decorano.

Elena conosce bene quei disegni. Sono glyphics.

E quel piccolo portachiavi di metallo che penzola dalla tracolla della borsa rappresenta una triad. Elena osserva meglio la borsa e nota anche una scritta nella parte inferiore, leggermente occultata dall'erba, che però riesce ugualmente a leggere: PROVEHITO IN ALTUM.

Tutto ciò può voler dire solo una cosa.

-Sei un'echelon?- chiede sorpresa.

Zoe si volta perplessa. Di solito nessuno le rivolge la parola, se non per chiederle qualche genere di aiuto con i bambini o con le attività.

-Come scusa?-

-Sei un'echelon? Ti piacciono i Thirty Seconds to Mars?- ripete Elena, entusiasta. E' la prima volta che incontra qualcun'altro con i suoi stessi gusti in fatto di musica. Il più delle volte, quando nomina i Mars, la reazione delle persone consiste in un'espressione interrogativa.

C'è una leggera nota di diffidenza nello sguardo di Zoe, ma alla fine annuisce e accenna addirittura un sorriso, anche se un po' incerto.

-Piacciono anche a me, sai? No, okay, non è che mi piacciono, li adoro- spiega Elena, avvicinandosi alla strana ragazza cicciottella che ora le sembra un po' meno strana.

-Siamo in due allora- dice lei. -Cominciavo a pensare di essere l'unica a conoscerli, da queste parti. Le ragazze che cononsco sono fissate con la musica commerciale o al massimo con i Tokio Hotel-.

Nell’epoca di cui vi sto narrando, la musica di Justin Bieber e One Direction era ancora qualcosa di sconosciuto ai più. Bei tempi, quelli. Bei tempi.

Elena sorride comprensiva e Zoe ricambia allo stesso modo. La diffidenza iniziale sembra già svanita.

Il resto, come si suol dire, è storia. Una strana storia a base di aneddoti per lo più comici che ci riporta all'anno in corso.

Stavo fissando la Elena diciottenne ormai da un paio di silenziosi minuti, quando mi accorsi che tenevo ancora in mano il bicchiere di succo che mi aveva versato poco prima. Ne presi qualche sorso e poi posai il bicchiere sul tavolo.

La mia amica teneva ancora lo sguardo fisso su di me mentre sfoggiava un sorrisone a ottantasei denti, in attesa della mia reazione o per lo meno di un mio commento.

-Ehm...ok, sì, va bene- risposi infine. -Però in questa tua fantasia potrei avere gli straordinari pagati e...diciamo, cinque chili in meno?-

Non ero decisamente in vena di prese in giro in quel momento e, per quanto Elena a volte (leggi: molto spesso) riuscisse ad essere inopportuna, non credevo che sarebbe potuta arrivare al punto di scherzare su un argomento per me spinoso come lo era il lavoro.

Elena però non solo non sembrava minimamente sorpresa dalle mie parole - le mie battute sarcastiche ormai non avevano più effetto su di lei da anni - ma, dopo il mio commento allargò ulteriormente il suo sorriso, che passò da ottantasei a centotrentadue denti, facendola assomigliare allo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Quindi, senza dire nulla, si alzò e uscì dalla cucina, per farvi ritorno qualche istante dopo, con il suo portatile in mano.

Lo accese e iniziò a digitare qualcosa sulla tastiera.

-Ricordi quel concorso di cui ti avevo parlato qualche tempo fa? Quello che i Mars avevano pubblicizzato sul loro sito e praticamente su tutti i social network esistenti? Il Mars Camp Project?-

-Vagamente...- risposi.

La verità era che il mio passato da echelon era stato accuratamente riposto in un recondito angolino della mia memoria qualche tempo dopo aver trovato il mio primo lavoro (in una bettola che qualcuno aveva il coraggio di chiamare "pizzeria", dove i clienti più assidui erano un'allegra famigliola di pantegane). Nello stesso modo, tutto ciò che rappresentava materialmente quel periodo della mia vita, era stato occultato in qualche cassetto della mia stanza, o in qualche scatola finita poi in soffitta.

-Beh, allora ti rinfresco la memoria: circa sei mesi fa i Mars hanno iniziato a pubblicizzare questo nuovo progetto aperto agli echelon. Gli interessati dovevano compilare un questionario, mandare un video di presentazione che non superasse i dieci minuti di durata e…-

-Video di presentazione?- la interruppi. –L’uomo riuscirà a coltivare patate su Marte, prima che io decida di mettermi davanti ad una telecamera a lodare me stessa e le mie qualità, sempre ammesso che riesca a trovarne qualcuna che non contempli l’essere campionessa cittadina di Chubby Bunny*-.

*Per chi non lo conoscesse, il suddetto gioco si basa sulla raffinata arte di ficcarsi più mashmellow possibili in bocca riuscendo comunque a pronunciare chiaramente le parole “Chubby Bunny” (ossia: coniglietto ciccione). La scoperta di questo divertente giochino per me era stata una vera rivoluzione, in quanto la mia capacità di parlare a bocca piena si era finalmente rivelata utile, alla faccia di mia madre e della sua fissazione per le buone maniere.

Elena stese un altro sorriso inquietante, sempre rimanendo in linea con quell’aura di mistero che cercava di preservare ad ogni costo, per la gioia della mia pazienza già gravemente compromessa.

-Cara Zoe. Dolce, piccola, tenera Zoe- disse, con voce talmente zuccherosa da farmi rischiare il coma diabetico. –Non devi preoccuparti di niente. Ho già pensato a tutto io-.

La dolce, piccola, tenera Zoe, dall’alto del suo metro e settantatre centimetri, lanciò uno sguardo omicida alla ragazza che, in punta di piedi, arrivava sì e no all’altezza del suo naso.

-Ti avverto, questa è l’ultima volta che te lo chiedo gentilmente. Parla chiaro- le intimai.

Lei, per nulla intimidita, finalmente mi accontentò.

-Non mi sembra ci sia molto da capire. Ho già pensato a tutto io- ribadì, scandendo bene ogni parola, come se stesse parlando ad una minorata mentale. -Ho seguito le istruzioni alla lettera-.

Il mio cervello ci mise i consueti due secondi di troppo a fare due più due, ma alla fine mi mise di fronte alla sola, unica, sconcertante, terribile verità che si celava dietro quelle parole.

-MI HAI FILMATA DI NASCOSTO?!?- esclamai.

Elena roteò gli occhi e sbuffò. Mi conosceva troppo bene per non aspettarsi una reazione del genere.

-Sappiamo entrambe che, in presenza di telecamere, sei a tuo agio quanto un pezzo di sushi in una vasca di squali a digiuno. Serviva spontaneità, dovevo carpire la tua vera essenza- spiegò, portandosi una mano al petto in un gesto che mirava ad essere melodrammatico.

Da parte mia, mentre da un lato mi chiedevo da quando la ragazza che avevo davanti usasse termini forbiti come “carpire”, l’altro lato, quello paranoico – la cui estensione equivale più o meno a quella del Texas – cominciò a trasmettere in prima visione film mentali in cui Elena mi riprendeva mentre cantavo (leggi: stonavo) sotto la doccia, o mentre inauguravo la stagione primaverile con la prima ceretta post-inverno, o mentre mi scatenavo nella Bottom Dance, un ballo scemo da noi inventato e così ribattezzato perché…

…okay, penso abbiate capito.

-Sei morta. Questo lo sai, vero?- dissi con calma, mentre cercavo di tenere a bada la vocina nella mia testa che mi suggeriva di afferrare le due estremità della kefiah coi teschi disegnati che portava al collo e tirare fin quando il colorito della sua faccia non fosse passato da rosa a blu cobalto.

-Tieni a bada gli istinti omicidi, non serviranno. Ho inviato tutto oltre due mesi fa- disse con nonchalance.

Sbarrai gli occhi.

No.

Non era possibile.

Non poteva essere.

Beh, se non altro il pericolo che esistessero prove video del momento “ceretta primaverile” era scongiurato.

Ma comunque…

-TU HAI FATTO COSA?!?- urlai. -Ma si può sapere come ti è saltato in testa di prendere questa iniziativa così, senza dirmi niente? Ma cos’hai nel cervello? Neuroni che scioperano per mancanza di lavoro???-.

Ad interrompere il mio assolo di urla e insulti, ci pensò Francesca, la madre di Elena, probabilmente dopo aver intuito l’omicidio volontario che stava per consumarsi nella sua cucina.

-Ragaaaaazzeee, abbassate la voce! Riccardo sta studiando!- trillò dal corridoio.

A voler essere cattivi, avrei potuto ribattere che sarebbe stato più facile veder volare i maiali, gli asini e tutti gli animali della fattoria, che vedere Riccardo – fratello minore di Elena – studiare. Francesca però mi era simpatica, con me era sempre stata gentile e ospitale a prescindere dall’ora in cui mi vedeva comparire magicamente in casa sua e, soprattutto, ero in debito con lei di circa centoquaranta pranzi, duecentosettanta cene e tremilaottocento merende pomeridiane.

Elena decise di approfittare di quel breve attimo di silenzio da parte mia per pronunciare finalmente le parole magiche. Quelle che sbrogliarono definitivamente la matassa di mistero nella quale mi aveva incastrata.

-Non direi, visto che ti hanno presa-.


 

* * *


 

Okay, vediamo di mettere le cose in ordine. Ce la posso fare.

È il quindicesimo tentativo, ma sento che questa è la volta buona.

-Zoeeeeee! Il minestrone si raffreddaaaaa!- gridò mia madre dal fondo delle scale.

Era la quarta volta che mi chiamava per la cena e, per la quarta volta, ricevette la stessa risposta.

-Arrivo! Un momento!-

Seduta a gambe incrociate sopra il mio letto, fissavo il muro.

Era piuttosto bianco.

Fino ad un paio di anni prima, proprio in quel punto, il poster dei Mars più grande che avevo faceva bella mostra di sé.

Amavo la gigantografia di quella foto. Gli occhi di ghiaccio di Jared risaltavano meravigliosamente lì, in primo piano.

Dio solo sa quanti film mentali mi abbia ispirato quell’immagine.

E che livelli di perversione siano riusciti a raggiungere.

Fidatevi, meglio che lo sappia solo Lui.

No, basta distrarsi, ricapitoliamo:

1 -Elena mi ha filmata senza dirmi niente, ha montato un video incentrato tutto su di me e l’ha mandato ad un casting per un reality show indetto dai 30 Seconds to Mars.

2 -Ha ricevuto una risposta un paio di settimane fa da parte di uno dei produttori, il quale le ha comunicato che la mia candidatura aveva superato varie fasi di selezione ed era tra le finaliste (è ancora ignota l’identità del santo artefice di tale miracolo).

3- Elena e il suddetto produttore si sono fatti una chiacchierata su di me via Skype, il cui contenuto era stato bollato come “segreto di stato” nonostante le mie insistenze e nonostante le volute di fumo che mi uscivano dalle orecchie a causa del nervoso crescente.

4- Oggi Elena ha ricevuto una mail che dichiarava che sono una dei sei ragazzi selezionati.

5- Mi ha mostrato tutta la corrispondenza (escluso il video che ha dato il via a tutta quest’assurda storia) per dimostrare che non mi stava prendendo in giro e mi ha inoltre stampato una mail indirizzata direttamente a me, che mi chiede di dare la conferma della mia partecipazione quanto prima.

6- Non ho più proferito parola.

7- Ho preso il foglio e me ne sono andata dimenticandomi anche di salutare.

8- Sono tornata a casa.

9- Mia madre mi ha tartassata di domande non appena sono entrata nel suo campo visivo, ma ha smesso quando si è accorta delle spirali vorticanti che avevo al posto degli occhi (in stile anime giapponese, per intenderci).

10- Mi sono seduta sul letto e ho cominciato a fissare il muro.

11- Ho fatto una lista delle cose che ho fatto nelle ultime due ore.

12- Mia madre è entrata ha fatto irruzione in stile “retata dell’FBI” nella mia camera e mi ha guardato sparando saette dagli occhi, interrompendo la mia lista mentale.


 

-Guarda che ho capito, sai?- esordì.

Ne dubitavo fortemente, ma decisi di astenermi da risposte che potevano peggiorare la situazione (nonché l’umore della mia genitrice).

-Il fatto che non ti abbiano assunta non è una buona scusa per saltare la cena. Ti ricordo che mercoledì hai la visita dal dietologo-.

Oh, già, dimenticavo. L’unica preoccupazione nei miei confronti che per mia madre superava anche quella del lavoro, era il mio regime alimentare.

-Se vengo a sapere che hai perso anche solo un grammo, sappi che la prima cosa che farò sarà chiamare il dottor Gironi-.

No, grazie. Passo.

-Non preoccuparti ma’, sono solo stanca e avevo voglia di stare un po’ da sola. Adesso scendo-

Condii il tutto con il mio tono più convinto ed il mio sguardo più sicuro. Dopo qualche secondo di sguardo diffidente e non del tutto convinto, l'unità genitoriale femminile uscì, lasciandomi di nuovo sola con le mie paranoie. Ripassai in fretta la lista appena stilata nella mia testa.

Fare liste mi ha sempre rilassato, mi da un senso di ordine e di tranquillità.

Il fatto che stessi cercando ordine tranquillità in una camera da letto in cui sembrava appena aver avuto luogo un concerto heavy metal è, ovviamente, un dettaglio irrilevante.

Tutto ciò sembrava semplicemente incredibile. Impensabile. Inconcepibile. Assurdo.

Nella mia borsa però, accuratamente piegata in quattro parti, c’era la prova cartacea che non era niente di tutto ciò.

“…le chiediamo pertanto di darci la conferma della sua partecipazione entro una settimana a partire da oggi”.

Le parole conclusive della lettera.

Una settimana. Avevo sette giorni per decidere se…

In radio c’è un pulcino. In radio c’è un pulcino. È il pulcino pio, il pulcino pio…”

Non avrei mai creduto che avrei dovuto essere grata a quella canzoncina scema, invece in quel momento fui costretta a rendergli grazie se non altro perché mi diede la possibilità di distrarmi.

Guardai il numero, sperando non fosse di nuovo Elena. Solo nel tragitto che separava casa sua da casa mia (neanche tre chilometri) mi erano arrivati circa venti suoi messaggi via Whatsapp, tutti contenenti il medesimo testo scritto in salse diverse, in cui mi chiedeva il motivo per cui me ne ero andata in quel modo e, soprattutto, la ragione per cui non stavo cogliendo al volo l’opportunità da sogno che mi si presentava.

Io, ancora un po’ arrabbiata per la storia del filmato segreto che si era rifiutata di mostrarmi (alimentando così i miei sospetti che in quel video ci fosse qualcosa di seriamente compromettente), mi stavo vendicando attraverso una delle più crudeli torture ideate nel ventunesimo secolo: il visualizzato senza risposta.

Il display del mio cellulare però contraddisse le mie aspettative. Il numero della chiamata in entrata non era il suo.

-Pronto?-

-Zoe! Scusa se ti chiamo solo adesso ma ho appena avuto la notizia. Dio, mi dispiace, non sai quanto. Giuro, non avevo idea che ti avrebbero scaricata così, su due piedi, altrimenti ti avrei avvertito! Perdonamisequandosonopartitanontihosalutatocomesidevemaeroconvintachecisaremorivistealmioritornoeinveceadessomiritrovoconisensidicolpaper…-

-Cecy, la pausa per respirare- la interruppi, sorridendo tra me al ricordo di come le sue guance diventassero rapidamente color pomodoro maturo, quando parlava così in fretta.

La ragazza all’altro capo del telefono si concesse un respiro profondo, quindi riprese a parlare normalmente.

-Lo so, hai ragione, ma in casi come questi non puoi pretendere che io sia lucida al cento percento!- si giustificò lei.

Se non altro, qualcuno avrebbe sentito la mia mancanza, al lavoro.

Cecilia Chiaretti, meglio nota con il diminutivo di Cecy, era la centralinista dell’azienda di cui ero stata dipendente fino a tre ore prima. Lei e Marco Rosati, quarto ed ultimo stagista (nonché il primo tra noi ad uscire sconfitto dalla nostra gara al posto fisso, circa due settimane prima) erano state le uniche persone che avevano reso gli ultimi sei mesi vagamente sopportabili. Ad unirci erano stati la passione per il telefilm “Supernatural” e quella per gli insulti verso Cristiano “io-posso-perché-ho-i-soldini-del-papi” Mennoni.

-So che sarà difficile andare avanti senza di me, ma sono certa che ce la farai. Ricorda: io credo in te- la incoraggiai, con un tono ironicamente drammatico.

-Mi avete lasciata sola con quell’ameba di Nicola e quel deficiente di Cristiano! Hai idea degli sforzi che faccio per non vomitare quando la mattina viene a rompermi le palle con i suoi assurdi tentativi di rimorchio?- chiese, esasperata.

Non riuscii a reprimere una risata, pensando ad alcuni degli aneddoti che era solita raccontare a me e a Marco quando pranzavamo insieme.

Una cosa importante da sapere su Cecilia è che Madre Natura con lei è stata parecchio generosa, in fatto di bellezza: ha lunghi capelli castani che sembrano usciti da uno spot della Pantene, grandi occhi verdi, pelle di porcellana, curve al posto giusto, sorriso da Julia Roberts. Il genere di bellezza che, dopo un solo sguardo, fa calare l'autostima delle donne del 700% e fa aumentare negli uomini la stessa percentuale il torcicollo. E anche di qualcos'altro che non vi dico ma che immagino abbiate capito da soli.

Dato che la sua postazione di lavoro si trova all'ingresso, è piuttosto difficile non notarla. Per Cristiano però non lo sarebbe stato comunque: potrebbe tranquillamente inciampare in un masso di tre metri di larghezza per cinque di altezza, con tanto di insegna a led per segnalare la sua presenza, ma è in grado di fiutare la presenza di una ragazza "scopabile" (per dirla a modo suo) in un raggio di oltre dieci chilometri.

Dal giorno in cui aveva messo piede in azienda ed aveva incrociato lo sguardo da cerbiatta di Cecy, il suo obbiettivo primario non era più stato quello di conquistare il posto di apprendista - sempre che lo fosse mai stato - ma quello di portarsi a letto la ragazza del centralino, una missione che avevano intrapreso già molti dipendenti prima di lui ma che nessuno era riuscito a portare a termine. Questo perchè Cecilia era felicemente fidanzata con Davide, studente alla facoltà di Ingegneria nonchè sosia di Ian Somerhalder, da quando entrambi avevano appena quindici anni.

-Cecy, tu possiedi un dono prezioso: il potere di umiliare quello stronzo. Mi raccomando, usalo con saggezza. Io e Marco contiamo su di te- dissi, in tono solenne.

Dall'altro capo del telefono, sentii Cecilia ridere di gusto.

-Hai ragione. Prometto che non vi deluderò- affermò, cercando di rimanere seria mentre lo diceva, ma fallendo miseramente. Dopo qualche istante di silenzio, riprese la parola con una domanda che mai come in quel momento poteva essere inopportuna. -Allora, cos'hai intenzione di fare adesso? Dopo esserti concessa un periodo di ferie, ovviamente. Quel posto assomiglia sempre di più a un manicomio. Avrei sicuramente ucciso qualcuno entro breve, se Davide non avesse organizzato questo viaggio a sorpresa-.

Solo in quel momento ricordai che, data l’ora, Cecy probabilmente si trovava all’aeroporto in attesa del volo che, assieme alla sua dolce metà, l’avrebbe portata a Malaga. Un regalo di Davide per il loro decimo anniversario.

-Spagna, eh? Mi raccomando, assaggia la paella e poi dimmi se noti qualche differenza con quella che mangiavamo a mensa - suggerii, ricordando quel riso giallo e appiccicoso misto a pesce la cui specie di appartenenza era rimasta un mistero – e, a giudicare dal sapore, era anche abbastanza vecchio da essere classificato come “mummificato” - che avevamo commesso l’errore di scegliere una volta dal menu.

-Zoe, non cercare di cambiare discorso. Ti ho fatto una domanda- mi riprese lei.

Lo sapevo: Cecy era troppo sveglia per lasciarsi fregare da un tentativo di depistaggio così palese. Temporeggiai, alla spasmodica ricerca dell’ispirazione giusta per una risposta diplomatica che mi permettesse di aggirare l’argomento, ma anche che desse a Cecilia l’illusione di una risposta abbastanza esauriente.

Lei però non mi concesse abbastanza tempo.

-Okay, no, non ce la faccio. Non posso continuare a fare la finta tonta. So che dovevo tenere il segreto, ma tanto so che non sputeresti il rospo nemmeno sotto tortura, quindi tanto vale mettere le carte in tavola-.

Il centinaio di piccoli punti interrogativi ripresero a fluttuare sopra la mia testa, esattamente come dopo la chiamata che avevo ricevuto da Elena alla fermata dell’autobus.

Prima però che avessi il tempo di chiederle spiegazioni, lei vuotò il sacco.

-Elena mi ha chiamato e mi ha detto che non vuoi partecipare-.

A seguito di quella frase, da ogni punto interrogativo sospeso sopra la mia zazzera color carminio, nacque una domanda diversa.

Come fai a conoscere Elena?

Come fai a sapere quello che è successo?

Ci sei dentro anche tu?

Tutta quest’assurda faccenda è forse un complotto per liberarvi di me?

No, ditelo.

-Come fai a…-

-Non importa come lo so, tu devi andare, Zoe!- mi interruppe lei.

-Cecy, non ho idea di come tu sappia di questa storia ma ti posso assicurare che non è così semplice- dissi, con il mio tono più serio.

-Sì che lo è- ribatté. -Sei tu che rendi tutto più complicato. Ti si sta presentando un’occasione per cui decine di migliaia di persone avrebbero dato qualunque cosa e tutto quello che sai fare è trovare scuse banali come “non è semplice come sembra”? Ma per favore. E, ti prego, risparmiami la parte in cui protesti dicendo che non è mai stata tua intenzione essere una di loro. Sappiamo entrambe che sarebbe una balla grande quanto l'Everest-.

-Wow, quanta saggezza! Te l’ha mai detto nessuno che potresti fare la guida motivazionale?- replicai acida.

-Meno sarcasmo e più risposte chiare, Zo’-.

Seguì qualche istante di silenzio in cui non avevo la minima idea di cosa dire.

La mia mente era ancora in fase di elaborazione di quella shockante notizia... perché non lo capiva nessuno? Perché tutti pretendevano risposte chiare e immediate? Ma avevano presente con chi stavano parlando? Io avevo bisogno dei miei tempi (biblici) solo per riflettere su cose come il gusto della pizza da ordinare, figuriamoci per prendere una decisione come quella!

Potevo sentire chiaramente il mio cervello emettere lo stesso rumore che produceva il computer ai tempi in cui internet si connetteva attraverso la linea del telefono.

Alla fine fu di nuovo Cecilia a prendere la parola per prima.

-Ricordi quando hai raccontato a me e a Marco del giorno in cui tu ed Elena siete andate al concerto dei 30 Seconds To Mars? Lo hai definito il giorno più felice della tua vita e, anche se non lo avessi precisato, lo avrei capito lo stesso, dall’entusiasmo con cui ne parlavi-.

Non dissi niente. Sia perché non trovavo le parole adatte, sia perché il mio cervello era ancora in fase di connessione.

-Quindi scusami se insisto, ma davvero rinunceresti a una possibilità del genere? Non hai più un lavoro a cui dover rinunciare, né un fidanzato a cui dover rendere conto di qualcosa…-.

-Grazie per la precisazione- commentai.

-Dai, Zoe, piantala di guardare solo la parte mezza vuota del bicchiere-.

-Ma riesci a capire cosa verso cosa mi state spingendo?- chiesi.

-Due mesi di vita da rockstar in giro per il mondo con i tuoi idoli? Capperi, non l’avevo ancora vista sotto questa luce. In effetti, sembra proprio una prospettiva orribile-.

Mi ripromisi di dare un taglio al sarcasmo perché stava cominciando a diventare seriamente contagioso.

Promessa disattesa circa 2,5 minuti più tardi.

-Non lo so, Cecy. Non so davvero che dire. Né che fare- dissi onestamente, sospirando e passandomi la mano libera tra i capelli.

-Zoe…non dovrei dirtelo. Avevo promesso di non parlartene ma, visto come si stanno mettendo le cose, forse è meglio che ti spieghi qualcosina in più: se deciderai di rinunciare, non deluderai solo Elena e me- confessò e, subito dopo, si affrettò ad anticipare la domanda più scontata che potessi fare, nonché quella che ero già sul punto di pronunciare. -Ti avverto: è inutile che tu ora mi chieda ulteriori spiegazioni perché ti ho già detto molto più di quello che avresti dovuto sapere-.

Dopo qualche altro istante di silenzio da parte mia, Cecilia sospirò rassegnata.

-Dimmi almeno che ci penserai. Puoi promettermi almeno questo?-

-Sì…credo di sì- risposi, con un filo di voce.

-D’accordo. Buona serata, Zoe-

-Grazie, Cecy. Fa’ buon viaggio e salutami Davide-

-Senz’altro. E tu, per favore, pensa bene a quello che ti ho detto- si raccomandò, un secondo prima di riagganciare.

Mi ritrovai così di nuovo sola, nella mia stanza, con il muro spoglio davanti, con un milione di domande in più, con una decisione che, se solo avessi dovuto prendere qualche anno prima, sarebbe stata la più facile del mondo e con il minestrone che, in cucina, si stava raffreddando.


 

*NdA: Hello everybody! Prima di tutto, come sempre, vi devo ringraziare perché continuate a sopportare il frutto dei viaggi nei meandri della mia mente contorta.

Secondo di tutto, volevo precisare il fatto che non ho dimenticato che questa è una fan fiction sui Mars e mi scuso se siete delusi dal fatto che non siano ancora entrati in gioco. Quanto ho scritto finora era indispensabile per poter comprendere al meglio la situazione, altrimenti questa storia sarebbe stata solo un gran casino, prometto però che la vostra fedeltà verrà ricompensata al prossimo capitolo.

Detto ciò, spero che il racconto vi stia piacendo e che continuiate a seguirlo.

A presto :)*

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: Claire Penny