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Autore: The Writer Of The Stars    24/03/2015    1 recensioni
-Titolo ispirato ad un brano de "la Dodicesima notte" di William Shakespeare.-
Shakespeare diceva che se la musica è il cibo dell'amore i cantori devono seguitare a suonare, dare al mondo le proprie melodie senza risparmio, da saziare l'appetito delle nostre anime, fino a che, ormai sazio, il nostro appetito se ne ammali, e muoia ...
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Raccolta di one shot e flash fic sulla coppia Bulma/Vegeta, rigorosamente ispirate da musica e canzoni diverse in ogni storia.
Per ora mi limiterò a pubblicare i miei lavori già "conosciuti" nel fandom, aggiungendo di volta in volta, a seconda dell'ispirazione, nuove storie incatenate ovviamente alla musica. Buona lettura. ;)
Possibile lieve OOC in quanto raccolta, probabilmente con qualche AU.
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If music be the food of love, play on ... - Se la musica è l'alimento dell'amore, seguitate a suonare ...
(Banner della storia realizzato dalla fantastica Nora13 ... grazie. ;) )
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#1: "You' ll'be in my heart", Phil Collins -
#2: "Some Nights", Fun. -
#3: "Who wants to live forever?", Queen
#4:" Don't stop believing", Journey (AU)
#5: "Seasons of love", Rent
#6: "Bohemian Rapsody", Queen
#7: "Tears in heaven", Eric Clapton
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: La seguente One shot (moolto lunga)è ispirata al Pilot della serie televisiva “Glee” (si lo so, sono fissata.) Poiché lo scorso venerdì in America è andata in onda l’ultima puntata di questa serie meravigliosa, che dopo sei anni di successi chiude i battenti (non devo piangere, non devo piangere … ) ho deciso di rendere omaggio alla cosa che amo di più al mondo a modo mio … e questo è quanto. ;)
Ps: In quanto Au, i personaggi potrebbero a tratti risultare OOC.
 

Alla Orange star High School esistevano fondamentalmente tre tipi di ragazzi:

-C’erano i popolari, vale a dire i giocatori di football e le loro fidanzate con comportamenti da oche appartenenti al gruppo delle cheerleader;

-I normali, gente comune, con un giusto numero di amici e una reputazione tutto sommato tranquilla, né carne né pesce. Niente di più, niente di meno.

-E poi c’erano gli sfigati; doveva probabilmente esistere una specie di codice d’onore già scritto e impresso nella memoria degli studenti secondo il quale questa divisione fosse così terribilmente marcata. Gli sfigati
erano gli invisibili della scuola, i fantasmi seduti in ultimo banco nelle classi, i senza voce nelle assemblee d’istituto, le vittime preferite dei bulli appartenenti alla prima categoria già citata in precedenza. Gli sfigati non erano poi così molti, credeva ingenuamente il preside Muten , senza sapere che in realtà il 70% degli studenti di quella scuola ricevevano come accoglienza ogni mattina una bella granita ghiacciata in pieno viso. Ma era sempre stato così, non c’era nulla da fare; i giocatori di football e le cheerleader, grande orgoglio della scuola, appartenevano ai club sportivi, molti dei ragazzi normali mettevano il loro genio a disposizione di concorsi scientifici, mentre la restante parte di sfigati non facevano nulla. C’era stato un tempo in cui la Orange Star era famosa per il suo Glee Club, ovvero per il gruppo di ragazzi amanti della musica e del canto, specializzati così in gare di canto coreografato. Poi con la dipartita degli studenti veterani il vecchio Glee Club si era sciolto, e al suo posto avevano acquistato prestigio la squadra di Football e la palestra interna, facendo si che quell’auletta canto si riempisse di polvere e venisse dimenticata da tutti. Almeno fino a quel giorno.
 
La prima volta in cui il Professor Son aveva messo piede alla Orange High School aveva quindici anni e una timidezza fuori dal comune. A quei tempi la divisone sfigati/popolari non era poi così marcata, ma la differenza si sentiva. Gohan non era bravo in matematica, e il terrore di vedere i suoi preziosi occhiali andare in frantumi sotto al peso di una palla da rugby avevano fatto sì che la squadra di football, allora non così famosa, restasse solo un lontano miraggio. Gohan sapeva solo cantare e si arrangiava un poco alla chitarra, ma quei pochi accordi che conosceva lo rendevano talmente felice che quando scoprì l’esistenza del Glee Club non esitò un solo minuto ad iscriversi. Gli anni del liceo erano così passati da noiosi ed anonimi a incredibili ed emozionanti sfide vissute sui palcoscenici dei teatri più famosi della nazione, tra vittorie, canzoni, lacrime di gioia e non.

Vent’anni dopo si era ritrovato a rientrare in quella scuola,stavolta senza l’apparecchio ai denti e i vestiti da adolescente anni ‘80, ma nei panni di professore di spagnolo, con i libri sottobraccio e l’immancabile montatura nera premuta sul viso. Il primo giorno in cui era rientrato lì l’adrenalina e l’emozione di tornare nel teatro della sua adolescenza erano svanite subito, nell’istante in cui davanti ai suoi occhi un gigante vestito con la felpa della squadra di football aveva gettato con nonchalance una granita ghiacciata contro una ragazzina con gli occhiali e una lunga treccia, colpendola in pieno viso. Era stato allora forse, proprio nel momento in cui il ghiaccio al sapore di mirtilli aveva schiaffeggiato il volto roseo e giovanile di quella povera ragazzina, che Gohan aveva deciso che il Glee Club avesse bisogno di tornare a vivere.
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Si morse il labbro inferiore, preso dalla concentrazione. Il foglio giallognolo di carta pesante urlava per essere appeso alla bacheca, mentre le puntine racchiuse nel pugno della sua mano si conficcarono nella carne, costringendolo ad una lieve imprecazione di dolore e a spalancare involontariamente l’arto. Una cascata di puntine colorate si schiantò al freddo impiantito, rimbombando fastidiosamente con un’accozzaglia di suoni metallici. Gohan si piegò in terra, raccogliendo i resti dei piccoli chiodi tirando mezze imprecazioni alla sua sbadataggine. Con gli occhi puntati al pavimento osservò per diversi attimi le converse e le scarpe da ginnastica correre freneticamente per i corridoi e in un moto di insicurezza si chiese quanti di quegli studenti che attraversavano il bianco linoleum della scuola avessero davvero preso parte a quella pazzia. Gli occhioni neri si oscurarono per un attimo di delusione, pensando che forse sua madre aveva ragione a dirgli che quell’idea era folle e non gli avrebbe mai permesso di ricevere uno stipendio ragionevole e mettere su famiglia. Non era intenzionato a sposarsi, dal momento che non aveva mai conosciuto qualcuna che gli avesse davvero fatto perdere la testa, ma a casa di soldi non ne giravano molti. Da quando suo padre era venuto a mancare per un grave incidente sul lavoro sua madre era rimasta sola e senza alcun sostegno economico, così si era accollato le spese dell’affitto, di bollette e quant’altro, trascurando se stesso. Il lavoro da insegnante di spagnolo non gli fruttava poi molto, ma almeno gli permetteva di tirare avanti. Quando tre sere prima era rientrato in casa tutto pimpante ed entusiasta annunciando a sua madre che aveva deciso di prendere in mano il Glee Club e riportarlo alla luce, negli occhi della donna non aveva letto felicità e gioia ma solo tanta, tanta rassegnazione. Nonostante ciò aveva deciso di andare avanti, andando contro tutto e tutti, affrontando persino il vice preside Cold, assolutamente schifato dalla proposta e convinto dell’inutilità delle arti. Guardando il freddo pavimento pensò di essere un illuso senza speranze, che doveva rinunciare ai suoi vani sogni di gloria. Poi però in un attimo, attraverso le spesse lenti trasparenti si materializzò l’immagine assistita poche ore prima, quando aveva visto un tizio pelato ed enorme gettare un ragazzo con una cicatrice in viso all’interno di uno dei cassonetti dell’immondizia. La rabbia e la voglia di rivalsa di quel sedicenne lo avevano invaso con una forza talmente esorbitante da spingerlo a stampare immediatamente i volantini d’iscrizione al Club e appenderli quella stessa mattina. Gohan sorrise deciso, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla bacheca stracolma di manifesti e volantini scolastici. Con un respiro profondo avvicinò il suo foglio al legno chiaro, fissandolo con decisione con una puntina rossa in cima. Si staccò di scatto, come scottato, osservando soddisfatto il suo operato. Sul suo viso di giovane insegnante, un sorriso speranzoso si dipinse nel leggere, in alto al foglio vuoto, quelle tre agognate parole:
Glee Club!
Iscrizioni

 
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Strinse a se i testi scolastici, fissando incuriosita il foglio dinanzi a lei. Si passò una mano tra i capelli azzurri, ordinati da un cerchietto rosa in tinta con il maglioncino a scacchi e con l’altra mano si lisciò la gonna della stessa fantasia, sorridendo fieramente. Bulma Brief era una diva. Quando aveva tre anni aveva assistito per la prima volta in televisione ad una prima del musical “Funny Girl” ed era sembrato quasi un deja vu: gli occhioni azzurri si erano spalancati entusiasti e nella sua mente da bambina di tre anni si era susseguita l’immagine di sé stessa cantare “Don’t rain on my parade” al posto di Barbra Streisand, gesticolando in quello stesso modo psicopatico e teatrale. Appena compiuti quattro anni si era fiondata da suo padre, l’unico a crescerla dopo la morte prematura della madre, tartassandolo tediante perché la iscrivesse ad un corso di danza. Da lì in poi i corsi di danza erano diventati due, a cui si erano aggiunte lezioni di pianoforte e di canto. Tutti coloro che l’udivano cantare riconoscevano meravigliati il talento della piccola bimba prodigio, facendo si che mano a mano l’ego della mini Streisand si ingigantisse fino ad arrivare ad una sedicenne con manie di protagonismo e convinta di essere l’unica stella indiscussa della città.  Sogno di gloria ben impresso nella sua mente ma non nei fatti perché ahimè, Bulma era in realtà parte integrante degli sfigati. Emarginata e derisa per il suo carattere e per l’abbigliamento altamente discutibile e molto retrò – fissata con il tweed, le gonne, i calzini fino al ginocchio e ogni tipo di ballerine- Bulma veniva altamente presa in giro all’interno del liceo e continuamente presa di mira dai bulli, diventata così uno dei principali bersagli delle granitate in faccia. Ma nonostante ciò l’ego di Bulma non era stato sfiorato, almeno così sembrava esternamente, e il suo sogno di divenire una stella di Broadway urlava ogni qualvolta si presentasse con tono di superiorità agli altri. Un Glee Club non sarebbe stato male infondo, ed inoltre le avrebbe permesso non solo di accrescere le proprie capacità, ma soprattutto di mostrare il proprio talento calcando i teatri più importanti della Nazione, vincendo gare su gare di canto coreografato. Bulma estrasse una penna dalla sua ordinatissima borsa a tracolla, si avvicinò al foglio e firmò elegantemente sull’apposito spazio dedito alle iscrizioni, constatando con fierezza di essere il primo membro e di come la sua firma stesse diventando sempre più professionale e degna di una star musicale quale sarebbe diventata. Sorrise compiaciuta, applicando poi di fianco alla sua firma una piccola stellina dorata adesiva, suo marchio di riconoscenza.

“Potrebbe sembrarvi strana questa mia abitudine di mettere sempre una stellina d’oro affianco al mio nome” aveva annunciato una volta con fierezza ad un insegnante, quando si era iscritta al corso di spagnolo.
“Ma è una metafora, e le metafore contano. Le mie stelline dorate significano che io diventerò una stella.” Aveva concluso a testa alta, e gli insegnanti non avevano potuto fare a meno di ammettere che quella ragazzina dai capelli azzurri e le ballerine sformate avesse una sicurezza e un coraggio fuori dal comune.

Bulma sorrise sicura di sé, respirando a fondo e voltandosi a testa alta. Ma il suo busto non aveva ancora completato la rotazione che una granita, gelida e rossa, alla fragola, si era schiantata contro il suo volto diafano, costringendola a spalancare gli occhi e reprimere un grido di indignazione. Furiosa fissò con la vista appannata dal ghiaccio colorato la figura del bullo allontanarsi con tranquillità, il bicchiere in plastica ancora stretto tra le mani, e osservando i capelli neri e rivolti verso l’alto del ragazzo di spalle, sbuffò rassegnata, ormai abituata al trattamento a base di granite. Strinse i pugni, respirando a fondo nel tentativo di calmare l’ira. Tre anni. Tre anni e il liceo sarebbe finito e con esso, anche gli atti di bullismo ormai all’ordine del giorno. Poi, finalmente, sarebbe diventata una stella.
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Chichi del Toro aveva sedici anni, abiti gotici ed era una finta balbuziente. Non lasciatevi spaventare da queste descrizioni così dirette, perché sapete, voglio presentarvi gli sfigati così come sono, per intero, senza tralasciare nulla. Se Chichi balbettava, non era per un motivo in particolare. Semplicemente la faceva sentire più sfigata ed emarginata di quanto già non fosse. Camminare per i corridoi della scuola spingendo la sedia a rotelle del suo migliore amico, Crillin, non aveva certo avuto il potere di accrescere la loro popolarità, eclissandoli così come “la gotica balbuziente” e “il nerd in carrozzina”. Chichi e Crillin furono i secondi ad iscriversi al Glee Club, seguiti a ruota subito dopo da C18 Ice. C18 era un altro tipico esempio di diva con manie di protagonismo ed egocentrismo. Bionda e con due glaciali occhi azzurri, C18 era la stella indiscussa del coro della sua chiesa, solista principale ed elogiata per le sue doti canore. E così Glee Club fu.
Yamcha Wolf aveva sedici anni ed un’omosessualità non ancora svelata. Figlio di un meccanico burbero e ancora ancorato alle tradizioni, Yamcha si era ormai reso pienamente conto della sua sessualità, ma la paura del giudizio e del rifiuto lo avevano sempre trattenuto dal fare coming out. A scuola però alcuni sembravano essersene accorti, e così Yamcha era diventato il rifiuto preferito dei giocatori di Football, che si divertivano a gettarlo nel cassonetto dell’immondizia ogni giorno. Yamcha cantava bene, lo sapeva, così quando aveva scorto quel foglio spiegazzato in mezzo a tutta la bacheca stracolma, aveva trovato in quelle parole la sua vendetta e la rivalsa che aspettava da tutta una vita. E aveva deciso di provarci.
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-Salve! Mi chiamo Bulma Brief e vorrei cantare “On my own” dall’intramontabile musical di Broadway “Les miserables”.

L’auditorium era vuoto. I posti in platea completamente liberi, ad eccezione fatta per uno, dove seduto il Professor Son, era pronto a valutare gli aspiranti membri del Glee Club. Sul palcoscenico vi era solo una tenue luce ad illuminare Bulma e un uomo al pianoforte, futuro accompagnatore abituale del Glee Club. Gohan fissò incuriosito la ragazzina con le Mary Jane ai piedi ritta sul palcoscenico a testa alta, in attesa di potersi esibire. Il professore annuì entusiasta, incoraggiandola a cominciare.

“Prego, comincia pure, Bulma.”
Bulma prese un respiro profondo, e sicura di sé, permise all’aria di entrare in contatto con le corde vocali, liberandosi in aria nella sua magnifica voce.
 
On my own, pretending he's beside me …
 
 
Cantando, Bulma ricordò del momento in cui, pochi giorni prima, era stata derisa per quel brano. Convinta che al giorno d’oggi l’anonimato fosse peggio della povertà, solitamente cercava di caricare in Internet un video al giorno di una sua esibizione. Lei, chiusa nella sua cameretta, cantava dinanzi ad una telecamera con la stessa mimica ed emozione di un’artista su un palcoscenico. Due sere prima aveva pubblicato così un video di sé stessa intenta ad interpretare quel difficile brano tratto da uno dei suoi musical preferiti. Ma anziché applausi entusiasti e bouquet di fiori sul palcoscenico, in risposta aveva ricevuto solo commenti di anonimi codardi online che la insultavano alquanto pesantemente.

“Se fossi nei tuoi genitori ti rispedirei indietro.” Le era rimasto quello più impresso di tutti e anche se non lo avrebbe mai ammesso, per tutta la notte aveva pianto per quelle parole, inondando il suo cuscino bianco a ricami rosa.

Bulma ripensò a quelle parole e un moto di rabbia e indignazione la colse, rendendo ancora più intensa la sua esibizione. Il professor Son sbatté più volte le palpebre, sorpreso ed incantato, ascoltando Bulma raggiungere tonalità altissime e acuti da brivido, lasciandolo a bocca aperta.

I love him
But only on my own

Gohan sorrise entusiasta, applaudendo lievemente, soddisfatto dinanzi alla conclusione di Bulma.

“Molto brava, Bulma. Complimenti.” Si congratulò sinceramente sorpreso. Bulma sorrise sicura di sé, come certa di quelle parole prima ancora che uscissero dalle labbra del giovane insegnante. Lo guardò dal palcoscenico, chiedendo poi, con nonchalance, ciò che più le premeva:

“Quando cominciamo le prove?”
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(https://www.youtube.com/watch?v=pnqiBOK622g     esibizione)
 
Gohan fissò i ragazzini dinanzi a sé imbarazzato. A quanto pareva gli unici membri del Glee club erano un’ aspirante stella di Broadway con manie di protagonismo, un ragazzo gay con una cicatrice in viso, una ragazza gotica e balbuziente ancorata ad un ragazzino pelato e seduto su una sedia a rotelle, seguiti infine da una diva egocentrica dagli occhi glaciali. Un sorriso tirato si dipinse sul suo volto dinanzi all’esibizione improvvisata delle Nuove Direzioni (aveva scelto questo come nome per il Glee club) nell’auletta canto sulle note di “Sit down you’re rocking the boat” accompagnati da un solo pianoforte.

“Muovete le mani a tempo!” intimò osservando i ragazzi muoversi scordinatamente intorno alla sedia a rotelle di Crillin, cantando in coretto. Uno sguardo sconsolato si tinse sul volto di Gohan che cercò di sorridere comunque, nonostante la situazione imbarazzante. Finirono poi il brano tutti in fila, in posa, con un sorriso a trentadue denti in volto che si trasformò subito in uno sguardo schifato.

“Che schifo.” Annunciò subito Bulma, mettendo fine alla posizione. Gohan boccheggiò, non sapendo cosa dire, poiché Bulma aveva effettivamente ragione. Quei ragazzi erano davvero talentuosi, ma avevano bisogno di lavoro. Tanto lavoro. E poi il preside era stato chiaro: se le Nuove Direzioni non avessero vinto almeno le gare Provinciali contro gli altri Glee Club delle scuole, i fondi già minimi per il progetto sarebbero stati tagliati e addio sogno di rivalsa.

“N – noi miglioreremo. Basta solo continuare a provare.” Disse con finta sicurezza. Bulma sospirò pesantemente, guardando l’insegnante sconsolata.

-Professor Son, ha idea di quanto sia ridicolo far cantare “Siediti che la barca si ribalta” ad un tizio sulla sedia a rotelle?
Esclamò esasperata, additando il povero Crillin. Gohan si grattò nervosamente la testa, senza sapere cosa dire.

“B- beh forse vuole usare l’ironia per dare forza all’esibizione.” Per fortuna in suo aiuto venne lo stesso Crillin, che con un sorriso impacciato espose la sua teoria. Gohan si ritrovò ad annuire convinto, ringraziando silenziosamente Crillin per averlo salvato. Ma Bulma serrò i piccoli pugni, sbattendo adirata un piede in terra.

“Non c’è niente di ironico nel canto coreografato!” esclamò indignato verso i suoi compagni, prima di allontanarsi a grandi falcate, uscendo dall’aula. Gohan alzò gli occhi al cielo, esasperato.

“Bulma …” la richiamò, ma la ragazza dai capelli turchini era già uscita dall’aula.

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La ritrovò fuori dalla scuola, al campo di atletica dove le cheerleader si stavano allenando, seduta su una delle gradinate vuote degli spalti. Gohan si avvicinò da dietro con calma, sedendosi sul posto dietro al suo.

“Ti sei tolta il costume di scena …” sentenziò pacatamente il professor Son, notando come Bulma avesse cambiato abiti.

“Sono stufa di essere presa in giro …” esclamò la ragazza con un sospiro amareggiato, fissando il vuoto davanti a sé. Gohan sospirò sedendosi meglio e giungendo le mani tra loro.

“Tu sei la migliore, Bulma. E questo ha un prezzo …”

“Sono solo al secondo anno, lo so, ma sento che il tempo sta passando e non voglio finire il liceo senza aver lasciato un segno.” Esclamò voltandosi di scatto, fissando il professor Son.

“Hai dei voti alti, e sei una cantante fantastica!”

“Però nessuno mi sopporta.” Lo interruppe subito, con tono deluso e negli occhioni blu di Bulma, Gohan riuscì a leggere tanta, ma davvero tanta tristezza. Gohan la guardò alquanto sorpreso.

“Credi che il Glee club cambierà le cose?”

“Dimostrare le mie doti cambierà le cose! Partecipare a qualcosa di speciale rende speciali, non crede?” esclamò speranzosa, mentre Gohan la fissava sinceramente ammirato.

“Deve affiancarmi una voce maschile alla mia altezza!” continuò decisa.

“Beh magari Crillin fra qualche lezione …”

“Professore, apprezzo quello che sta cercando di fare, ma se non mi dà gli stimoli giusti mi perderà!” lo interruppe subito, voltandosi di nuovo di scatto, tornando a fissare il campo da football dove le Cheerleader si stavano allenando.

“Non continuerò a rendermi ridicola …” disse a voce più bassa, scuotendo tra sé e sé il capo.

“Non posso perdere tempo con il Glee Club … mi fa troppo male …”
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Bardack soffiò con forza all’interno del fischietto, richiamando l’attenzione dei ragazzi nello spogliatoio. Il coach della squadra di football osservò i ragazzi della squadra intenti a cambiarsi per gli allenamenti voltarsi verso di lui, in attesa di sapere cosa volesse.

“Attenzione! Ora il Professor Son vi dirà due parole.” Esclamò Bardack, portando le mani ai fianchi.

“Chi non ascolta … seicento addominali” tuonò imperioso, lanciando un’occhiataccia a Vegeta, quarterback della squadra.

“Chi fa battutine … seicento addominali” continuò, guardando ora minaccioso Napa, un energumeno dalla testa pelata e insieme a Vegeta due dei peggiori bulli della scuola.

“Capito?!” al vedere le teste dei ragazzi annuire con uno sbuffo, si fece da parte, permettendo a Gohan di entrare nello spogliatoio.

“Tutti tuoi, Gohan.”

“Grazie, Bardack.” Il professor Son guardò i ragazzi dinanzi a lui, imbarazzato.

“Ciao ragazzi! Come va?” cominciò titubante, nel tentativo di rompere il ghiaccio, senza ottenere alcuna risposta.

“Con qualcuno già ci conosciamo dal corso di spagnolo …” disse, lanciando uno sguardo a Vegeta, studente che seguiva appunto il proprio corso, per “costrizione familiare” come aveva detto lui.

“Però oggi vorrei parlarvi di qualcosa di … diverso! Esclamò, gesticolando con il foglio stretto tra le mani e sorridendo nervoso.

“La musica!” annunciò entusiasta, ricevendo solo occhiate stranite dai ragazzi.

“Al Glee Club siamo pochi …” continuò e a quelle parole, alcuni dei ragazzi scoppiarono in lievi risatine mal trattenute. Gohan sospirò, evidentemente deluso.

“Troverete il foglio per le iscrizioni sulla porta dello spogliatoio … grazie.” Concluse a testa bassa, sconfitto.
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Diverse ore dopo, Gohan tornò allo spogliatoio dei ragazzi, per controllare se qualcuno si fosse miracolosamente iscritto. Fissò il foglio completamente vuoto dinanzi a sé, sospirando e convinto che ormai il suo sogno delirante intitolato “Nuove Direzioni” fosse giunto al capolinea. In un eco indistinto sentì lo scrosciare dell’acqua dal bagno, constatando che qualche ragazzo stesse facendo la doccia dopo gli allenamenti.

On a cold, dark winter's night
And I'm getting closer than I ever thought I might

Fu quando ad un tratto al rilassante rumore dell’acqua si unì una voce che gli occhi di Gohan si spalancarono, confusi. Sospettoso, Gohan prese ad incedere a piccoli passi verso la provenienza di quella voce maschile a dir poco fantastica, raggiungendo piano piano le docce del bagno. Quando a pochi passi riconobbe sbucare dal marmo delle mura una chioma scura e rivolta verso l’alto, il cuore di Gohan subì uno scatto, per poi bloccarsi definitivamente nel riconoscere il volto a cui quella voce appartenesse. Vegeta Prince, Quarterback della squadra di Football e bullo arrogante ed orgoglioso, stava canticchiando “Can’t fight this feeling” sotto la doccia, in uno spogliatoio che credeva deserto. Ad un tratto Vegeta spalancò gli occhi, come acccortosi della presenza di qualcuno, e in un istante, Gohan si abbassò in terra, trattenendo il respiro in attesa che Vegeta si voltasse e che non lo vedesse. Nel abbassarsi aveva accidentalmente colpito una borsa poggiata malamente sulla panca a fianco e guardandola, la riconobbe come quella di Napa, l’amico di Vegeta. La borsa cadde in terra, rovesciando il suo contenuto. Imprecando silenziosamente, Gohan prese a raccogliere i vari oggetti, rimettendoli al loro posto, quando ad un tratto si bloccò. Tra le sua mani strinse una bustina trasparente, contenente una polverina verde, sembrava dell’erbetta tritata. Gohan spalancò gli occhi, riconoscendo quella sostanza come Marijuana e non meravigliandosi poi troppo che un tipo come Napa ne avesse una piccola quantità nel borsone degli allenamenti. Nel frattempo, Vegeta aveva ripreso a canticchiare noncurante, senza essersi accorto di nulla, e all’udire la sua voce Gohan si ricordò per quale motivo avesse deciso di intraprendere quell’avventura delirante: il voler scoprire nei ragazzi doni che nemmeno loro credevano di avere. Ascoltò la voce di Vegeta incantato, pensando che quello fosse talento puro. Ma la razionalità torno per un attimo a farsi spazio nella sua mente, ricordandogli che Vegeta non avrebbe mai deciso di sua spontanea volontà di unirsi al Glee Club. Lanciò un’occhiata alla bustina stretta tra le sue mani, decretando che quello che fece poi, fu l’azione più spregevole di tutta la sua vita.
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Sbatté la bustina sulla cattedra in legno, spingendola in direzione del proprio interlocutore.

“Mi parli dei tuoi problemi di droga?” chiese con fare indagatore, sentendosi tremendamente in colpa.

“Io non so nemmeno di chi sia quella bustina!”  ribatté irritato Vegeta Prince, seduto nervosamente sulla sedia di fronte al Professor Son, che lo aveva convocato in quell’ufficio pochi minuti prima.

“Senti, se fosse per me non esisterebbero i controlli bisettimanali nei vostri armadietti.” Disse Gohan, incrociando le braccia al petto.

“Ma io non l’ho mai vista quella bustina, professore! Mi dia un barattolo per fare le analisi!” esclamò con tono di sfida e allo stesso tempo tremendamente serio Vegeta. Gohan boccheggiò per qualche attimo, maledicendosi per non aver messo in conto la tenacia e l’intelligenza di Vegeta Prince.

“Ma non farebbe nessuna differenza.” Riuscì a dire dopo pochi attimi, sicuro di sé.

“Per la legge basta il possesso e scommetto che quel quantitativo è già reato.” Spiegò con pacatezza, osservando il duro ragazzo davanti a lui passarsi una mano tra i capelli e scuotendo il capo, evidentemente sconvolto.

“Ti cacceranno dalla scuola. Addio borsa di studio per il football.” A quelle parole, Vegeta alzò lo sguardo, fissando il professore esterrefatto.

“Cosa? Avevo una borsa di studio per il football?” chiese confuso. Gohan lo fissò serio, sentendosi dentro di se morire per il rimorso.

“In prigione non ti servirà.” Disse con fermezza.

“Cazzo …” imprecò a bassa voce Vegeta.

“Senta non lo dica a mia madre, professore.” Esclamò subito e per la prima volta da quando lo conosceva nelle lezioni di spagnolo, Gohan lo sentì utilizzare un tono di voce quasi supplichevole, anziché il solito sbruffone e autoritario. Sospirò pesantemente, abbassando poi lo sguardo e rialzandolo sul ragazzo.

“Sai, io mi rivedo in te, Vegeta … so quanto sia difficile fare le scelte giuste nella vita, e non voglio vederti buttar al vento tutto ciò che hai da offrire al mondo. Mi aspettavo molto di più da te …” disse con tono quasi deluso, alche Vegeta rimase sconvolto, rimuginando tra sé e sé.


Vegeta non aveva mai conosciuto suo padre. A quanto gli aveva detto sua madre, era morto in guerra e di lui non aveva che qualche foto. Sua madre lo aveva quindi cresciuto da sola, senza nessuno aiuto, contando solo sulle proprie forze. Era una donna forte, sua madre, e quando Vegeta aveva sette anni, per il suo compleanno gli aveva regalato una batteria. Entusiasta per quel regalo, il bambino aveva da subito preso a suonarla e ad appassionarsi di musica, sino a quando raggiunse l’apice del suo amore musicale grazie a Chris. Chris era il giardiniere della famiglia Prince e sin dal primo momento, tra l’uomo e sua madre Rosicheena era scoccata la scintilla che li aveva portati a mettersi insieme. Chris era simpatico e da appassionato di musica, aveva insegnato a Vegeta come suonare la batteria e la chitarra, passandogli poi i suoi dischi e cd. A dieci anni Vegeta era diventato così esperto di musica da battere perfino lo stesso Chris. Sua madre era felice con quell’uomo e lo stesso valeva per lui, ancora piccolo ed ingenuo bambino fortemente legato alla persona che lo stava crescendo. Poi un giorno Chris era scomparso, andandosene via con Dolly, la vicina dei Prince, una bambolina bionda e completamente rifatta. Il giorno in cui Chris se ne era andato Vegeta aveva visto per la prima volta Rosicheena piangere, e fu in quel momento che decise che nella vita avrebbe fatto di tutto per rendere sua madre orgogliosa di lui, per farle capire che i suoi sacrifici erano valsi a qualcosa. Non poteva ora deludere l’unica persona di cui gli importasse davvero nella vita, per colpa di uno stupido errore con cui lui non c’entrava niente. Si divertiva a picchiare gli sfigati, ma Dio, non era un drogato!

“Abbiamo due possibilità” esclamò ad un tratto il professor Gohan, riportandolo alla realtà.

“Gestisco l’aula punizioni; puoi venirci per due mesi dopo la scuola ma … rimarrà sui registri scolastici.” Vegeta rifletté tra se, chiedendo poi sconfitto:

“Qual è la seconda possibilità?”
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(https://www.youtube.com/watch?v=EJVzucfuOho esibizione)

I got chills.
They're multiplyin'.
And I'm losin' control.
'Cause the power
you're supplyin',
it's electrifyin'!

 
 
Vegeta si maledì milioni di volte dentro di sé per aver accettato quella proposta. Da una parte era stato costretto, ma il dover cantare ora con quel gruppo di sfigatelli era un qualcosa di inaccettabile. Il Professor Son lo aveva trascinato con sé nell’Auditorium della scuola dove, messo in fila al fianco di quei cinque losers canterini, gli aveva consegnato un foglio in mano, dicendogli semplicemente: “canta.” Un tizio al pianoforte aveva iniziato a suonare una melodia alquanto famosa, perciò quando suo malgrado si ritrovò costretto ad aprire bocca, si stupì di come fosse riuscito a beccare subito la nota esatta. Non appena cantò il primo verso, dieci paia di occhi stupiti saettarono verso di lui, increduli. Vegeta li guardò di sottecchi, sentendo la rabbia montare all’infinito, cercando così di concentrarsi sulle parole del testo consegnatogli dal Prof. Son. Quattro persone dopo di lui, Bulma lo guardava soddisfatta, compiacendosi dapprima della sua voce per poi ammettere a se stessa che il bullo che fino ad allora l’aveva perseguitata era davvero carino. Compiaciuta del fatto che il Professor Son avesse ascoltato il suo consiglio e si fosse impegnato a trovare una voce maschile degna del suo talento, la diva vivente in Bulma decise di fare un salto fuori, facendo sì che al cambio di solista la ragazzina dai capelli azzurri gettasse in terra il foglio del testo, voltandosi di scatto in direzione di Vegeta e cominciando anch’ella a cantare.

You better shape up,
'cause I need a man
and my heart is set on you ([New Directions:] And my heart is set on you!)
You better shape up;
you better understand
to my heart I must be true.

 
 
Mentre i suoi compagni facevano da coro, Bulma prese ad incedere teatralmente verso Vegeta, cantando con foga e mimica esagerata per un Glee Club di sei persone in un Auditorium vuoto. Scansò via i suoi compagni senza nemmeno guardarli in faccia, spingendo poi la sedia a rotelle di Crillin in avanti, prontamente fermata dal Professor Son, entusiasta per l’esibizione. Vegeta la guardò inorridito, spaventato da quella ragazzina così presa dalla sua canzone e da lui. Lo stava divorando con gli occhi.

Nothin' left, nothin' left for me to do.

You are the one I want, Ooo, oo, o


Honey
The one that I want.


Ad un tratto Bulma afferrò la mano di Vegeta, strattonandola con forza. Dapprima sconvolto per quel gesto, il ragazzo fece finta di non percepire quella strana scossa creatasi al tocco della manina delicata di Bulma con la sua. Tutta presa dalla canzone, Bulma lo tirò verso di sé petr poi lasciarlo andare all’indietro, seguendo il ritmo della canzone. Suo malgrado, Vegeta si ritrovò immobile ad assecondare i suoi movimenti, cantando e fissando la ragazza che ammiccava vistosamente sempre più sconvolto e convinto di essere capitato in un branco di matti senza via d’uscita.

You are the one I want, Ooo, oo, o

Honey
The one that I want.

 
 

“Eh no, adesso mi sono rotta!” a rompere l’allegra atmosfera ci pensò C18 che prontamente, frapponendosi ai due e staccandoli, si rivolse in tono scocciato al Professor Son.

“Senta, a me non frega niente di questi coretti idioti! Io dovrei essere Beyoncè, non di certo Kelly Rowland!” si lamentò adirata la biondina, scuotendo il capo con foga.

“Ascolta C18, è solo per questa canzone.” Spiegò con cautela il professor Dawson, nel tentativo di calmarla.

“E per la prima volta eravamo ascoltabili.” Aggiunse Yamcha, dando man forte al professore. C18 sembrò soppesare per un po’ le parole di Gohan e Yamcha, prima di sospirare accondiscente, rivolgendosi a Vegeta.

“Okay va bene. Sei bravo tappetto, te lo posso concedere, ma datti una svegliata.” Si voltò poi verso il professor Son, sorridendo melliflua.

“Vogliamo riprendere?” chiese retorica. Gohan rise un po’, osservando i ragazzi davanti a lui.

“Okay, ricominciamo. Dal principio!”
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“Tu sei il Quarterback!”

“Coach, mi ascolti …”

“Tu devi ascoltare me!”
Da lontano, Napa osservò Vegeta discutere con il coach Bardack, evidentemente arrabbiato.

“Devi scegliere; o giochi a Football o ti metti a cantare!”
 
A passi dinoccolati Vegeta si avvicinò a Napa, in piedi nel campo da football, pronto per gli allenamenti.

“Ehi!” lo richiamò. Vegeta si voltò a guardarlo.

“Che succede?” Vegeta sembrò indeciso sul rispondere o meno, fuggendo dallo sguardo del suo migliore amico.

“Niente, devo saltare gli allenamenti sabato pomeriggio.” Rispose annoiato, sbuffando rumorosamente. Napa si accigliò confuso.

“E perché?” chiese sospettoso. Vegeta lo guardò, in silenzio. Non poteva certo dirgli che quel fallito del professor Son aveva deciso di portare tutto il glee Club alla Carmel High School,  per assistere all’esibizione dei loro futuri avversari alle provinciali, ovvero i Vocal Adrenaline. Napa non doveva venire a sapere del glee club, e di certo Vegeta non sospettava che la causa per cui fosse stato costretto ad unirsi a quella pagliacciata era stato proprio un certo quantitativo di sostanze illegali ritrovate nel borsone dell’amico.

“Affari miei.” Rispose brusco, come suo solito. Napa lo guardò sospettoso, senza però dire niente. Quando Vegeta diceva così, voleva dire che la questione era chiusa.
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Vegeta sbuffò spazientito, lanciando un’ennesima occhiata all’orologio da parete. Erano in fila da mezz’ora, ma si poteva sapere perché fossero così lenti? La Carmel vantava di essere una delle migliori scuole della regione, ma a quanto pareva il servizio bar lasciava molto a desiderare.

“Sei bravo, sai?” una voce al suo fianco lo riportò alla realtà. Lanciò un’occhiata alla ragazzina dai capelli azzurri alla sua destra, alzando gli occhi al cielo nel constatare quanto quella diva fosse appiccicosa e tediante. Da quando era entrato nel Glee Club, tre giorni a dire il vero, Bulma si era presa una sbandata terribile per lui. Ogni volta che entrava in aula canto cercava di fissarlo senza farsi scoprire e tentava assiduamente di farsi più vicina a lui, facendosi assegnare duetti personalizzati. Avevano la stessa età, ma Bulma non capiva perché lui la chiamasse sempre ragazzina, epiteto che tra parentesi aveva già generato numerose liti tra i due nel corso di quei due giorni. Vegeta grugnì indistintamente, alzando gli occhi al cielo.

“Voglio dire, io me ne intendo … sono brava anch’io.” Concluse quasi con ovvietà, come se fosse scontato al mondo intero il suo talento. Per diversi secondi nessuno dei due fiatò e Vegeta, convinto che si fosse finalmente zittita, mosse alcuni passi avanti, sollevato nel vedere la fila scorrere.

“Credo che gli altri si aspettino che ci mettiamo insieme.” Disse ad un tratto l’azzurra e a quelle parole, Vegeta rischiò quasi di soffocare con il chewngum che stava masticando.

“Il solista bravo e bello e l’ingenua, giovane, carina contesa da tutti.” Disse con’aria mista tra il sognante e la superbia. Vegeta a momenti scoppiò a ridere per quelle parole, consapevole che nonostante Bulma fosse davvero una bella ragazza, gli unici che la guardavano lo facevano per riuscire a mirare meglio il bersaglio per la granita, proprio dritto al centro del viso. Fortunatamente l’arrivo del proprio turno al bancone lo sollevò dal pesante incarico del rispondere alle avanche dell’azzurra, facendo si che quelle parole venissero dimenticate e lasciate al vento. Almeno così credeva.

 

“Sembra che quegli Hot dog siano lì da un bel po’ …” constatò il professor Dawson, osservando i prodotti al di là del vetro del bancone.


“Ho dei sandwich con del burro d’arachidi.” Videl Satan, guida scolastica e giovane segretamente innamorata di Gohan, aveva accompagnato il gruppo del Glee alla Carmel High School, in rappresentanza della scuola, secondo i moduli, ma per passare del tempo con Gohan, nel suo cuore. Gohan si voltò verso la moretta in piedi al suo fianco, soppesando la proposta della giovane.

“E sandwich al burro d’arachidi siano.”
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“Ehi ragazzi!” il professore si sporse un po’ in avanati, rivolgendosi ai ragazzi seduti sui posti della sua stessa fila nell’auditorium della scuola, gremito di gente.
“Stanno per esibirsi i nostri “nemici”  sottolineò le ultime parole mimando delle virgolette con le dita.
“Sinceramente non credo abbiano il talento che avete voi … ma cerchiamo di applaudirli, okay? Si meritano il rispetto del liceo Orange Star."  Disse convinto, rassicurando i suoi allievi, senza sapere nemmeno lui a cosa stessero per andare incontro.

“Spettatori dell’Ohio! Date un caldo benvenuto ai campioni regionali dell’anno scorso, i Vocal Adrenaline!”

Le ultime parole famose. L’esibizione dei Vocal Adrenaline fu a dir poco magistrale, piena di salti mortali, capriole, coreografie mozzafiato e il tutto, cantando. Al termine dell’esibizione, i volti delle  Nuove Direzioni e del Professor Son erano a dir poco allibiti.

“S – siamo s – spacciati.” Le sole parole balbettate da Chichi furono necessarie ad esprimere l’effettivo pensiero comune dei ragazzi. Erano spacciati.

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“Quindi se ne va? Quando?” la domanda di Crillin fece le veci di tutti i volti dei ragazzi, confusi dinanzi al professor Son. Gohan sospirò tristemente.

“Ho dato due settimane di preavviso. Purtroppo le condizioni di salute di mia madre sono peggiorate e ha bisogno di cure più forti e … costose.” Ammise sconfitto il professore. La notizia del peggioramento di salute di sua madre era arrivata come un fulmine a ciel sereno, e i soldi che il suo lavoro gli permetteva di guadagnare non sarebbero bastati per le cure. Doveva andarsene dalla scuola, smetterla con i suoi sogni di gloria deliranti. Sua madre stava male, doveva trovare un lavoro più redditizio per pagare le cure. Sapeva che in un centro commercialistico cercavano un ragioniere, non sarebbe stato male. Ma non voleva abbandonare i ragazzi. Dopo la fatica che aveva fatto per metterli insieme non poteva lasciarli così, non era giusto … ma non aveva altra scelta.

“Ma vi prometto di trovarvi un bravo sostituto prima di andarmene.” Disse in tono rassicurante.

“Se ne va perché quelli del Carmel sono più bravi di noi?  Possiamo migliorare!”

“Non è giusto, Professor Son. Non possiamo farcela senza di lei!” intervennero prima C18 e poi Bulma, sconvolte ed imploranti. Gohan guardò le ragazze con tristezza senza sapere cosa dire. D’un tratto una risatina si spanse dal posto dietro di Bulma, nell’auditorium dell’Orange Star vuoto.

“Beh, meglio così.” Disse una voce roca, facendo voltare tutti.

“Almeno non sarò più costretto a frequentare questo covo di sfigati.” Continuò con un mezzo ghigno sulle labbra. Bulma boccheggiò diversi attimi, incredula.

“Sono felice che se ne vada” continuò, avvicinandosi al professor Son. “Non avevo intenzione di sprecare il mio tempo per un fallito come lei …” sibilò maligno, guardando Gohan restare immobile, senza dire nulla.

“Vegeta!” lo richiamò Bulma, ma nessuno le prestò attenzione.

“Con questi tipi qua!” disse, indicando con un largo gesto della mano i ragazzi lì intorno a lui.

“Smettila, Vegeta …” lo intimò a denti stretti il professore. Vegeta sorrise ironico.

“Smetterla? Ma li ha visti bene? Li guardi! Crede che voglia passare il mio tempo con un nano su una sedia a rotelle, un’emo balbuziente, quel frocio là e una sottospecie di diva con gli abiti di mia nonna convinta di essere una stella di Broad …” ma non riuscì a terminare la frase, che subito si senti il fiato mancare. Gohan lo aveva afferrato per il bavero della maglieta, alzandolo leggermente da terra.

“Puoi dire quello che vuoi su di me … che sono un fallito, un illuso, un idiota …” sibilò a denti stretti, infuriato.

“Ma non ti permetto di parlare così dei tuoi compagni.” Lo ammonì con sguardo infuocato, furioso. Era probabilmente la prima volta che Gohan si arrabbiava davvero. Nonostante la mancanza d’aria, Vegeta ghignò comunque, maligno.

“Non sono più i miei compagni … non lo sono mai stati …” disse a mezza voce con malvagità, liberandosi con uno strattone dalla presa dell’insegnante, uscendo a grandi passi dall’Auditorium.
 

Camminò per i corridoi, allontanandosi il più velocemente possibile dall’Auditorium. Udì d’un tratto rapidi passetti ritmati di un paio di Mary Jane con piccolo tacco alle sue spalle, e alzando gli occhi al cielo si voltò esasperato.

“Che cosa diavolo vuoi t …” ma non riuscì a terminare la domanda, che un delicata manina bianco latte si schiantò contro la sua guancia, colpendolo  con forza. Vegeta si portò una mano alla guancia, fissando Bulma dinanzi a se sconvolto.

“Questo …” disse la ragazza di fronte a lui, ritta in piedi a testa alta e i pugni serrati, cercando di contenere le lacrime.

“È per aver distrutto l’unica cosa che avevo …” pronunciò con voce rotta ma tremendamente ferma, prima di voltarsi ed allontanarsi dal Quarterback di cui si era innamorata e che aveva appena distrutto a l’unica famiglia di cui avesse davvero fatto parte per una volta. Vegeta la fissò allontanarsi, incredulo. E allora, pensò che quel fastidioso senso di oppressione alla bocca dello stomaco e sul cuore, se lo fosse solo immaginato.

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Chiuse il fascicolo con un sospiro, riponendolo all’interno della vecchia borsa ormai logora.

“Serve una mano a correggere quei compiti?” alzò lo sguardo, scontrandosi con il volto di Videl. Le sorrise a metà, scuotendo il capo.

“In realtà è una domanda d’assunzione per la MainCare … cercano gente alla contabilità …” spiegò tristemente, chiudendo la borsa. Rimasero entrambi in silenzio, ascoltando il brusio indistinto degli studenti provenire dal cortile esterno.

“Mi mancherai.” Disse poi ad un tratto Gohan, alzando gli occhi verso Videl.

“Anche tu …” sussurrò la ragazza, prima di allontanarsi con velocità, uscendo dalla stanza.

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“Senti, mi spieghi come ci eri finito lì dentro?!” chiese irritato Napa, attraversando il campo da Football dopo gli allenamenti.  Vegeta strinse i pugni, adirato e stanco di tutte quelle domande riguardo ad una cosa con cui aveva definitivamente chiuso ma che lo teneva sveglio da due notti ormai, inspiegabilmente.

“Il professor Son mi aveva promesso dei crediti in più per aiutarmi in spagnolo, okay?” rispose nervoso, alzando la voce.

“Non ho avuto scelta! Se mi bocciava di nuovo ero fuori dalla squadra!” continuò.

“Ma adesso è finita, ho lasciato perdere. Chiaro?” Napa sorrise malefico, annuendo.

“Chiarissimo. Sono felice che abbia cambiato idea e per darti il bentornato tra noi persone normali … ho un regalino per te.” Disse ghignando, dandogli una pacca sulla spalla. Napa camminò un po’ in avanti e Vegeta lo seguì, sospettoso.

“Che succede?” chiese più a se stesso che a lui. Napa si fermò dinanzi ad un bagno chimico, circondato dal resto della squadra. Vegeta fissò il bagno dinanzi a lui, udendo dei lamenti provenire dall’interno.

“Chi c’è là dentro?” chiese a bruciapelo. Napa sghignazzò, seguito a ruota dal resto del gruppo.

“Quel tizio sulla sedia a rotelle. Ora lo rivoltiamo!” esclamò ridacchiando. Vegeta lo guardò impassibile.

“Dai bello, il primo giro faglielo fare tu!” lo incitò con un sorriso sadico. Vegeta non disse nulla. Per la prima volta in vita sua, sentì di non voler picchiare qualcuno né di voler far del male a quello che durante il Glee Club aveva scoperto chiamarsi Crillin ed essere un bassista strepitoso. Lo schiaffo di Bulma pulsò dolorosamente sulla guancia, dove il segno era sparito ma non le parole che l’avevano accompagnato e che l’avevano costretto sveglio tutta la notte da quel momento. Scosse la testa, aprendo poi di scatto la porta del bagno dinanzi a lui. Crillin respirò a fondo, tentando di uscire dall’angusto spazio nel quale era stato richiuso.

“A –a … grazie mille …” balbettò col fiatone, uscendo da lì’ dentro. Napa guardò Vegeta inorridito, incapace di trovare una spiegazione a quel gesto.

“Ma che diavolo fai?! Ti metti a difendere questo sfigato?!” gli chiese infatti duramente, con sguardo perso.

“Non ci arrivi, Napa?” chiese retorico, scuotendo il capo e preparandosi a mettere per una volta da parte l’orgoglio nel discorso più serio di tutta la sua vita.

“Tutti noi siamo degli sfigati. Tutta questa scuola è sfigata. Tutta questa città!” disse alzando la voce, dinanzi agli sguardi stupiti di Napa e dei suoi compagni di squadra.

“Forse la metà dei diplomati avrà un posto al college e gli altri dovranno lasciare lo stato! Non mi spaventa passare per uno sfigato, perché so benissimo di esserlo.” Ammise con fierezza, lasciando tutti di sasso.

“Però mi spaventa voltare le spalle all’unica cosa che mi ha reso felice per la prima volta in tutta la mia vita del cazzo.” Affermò, lanciando un’occhiata a Crillin, facendo riferimento al Glee Club.

“E allora? Lasci la squadra per andare al gay pride?!” fu la dura risposta di Napa. Vegeta scosse il capo.

“No. Farò tutte e due le cose. Voi non vincerete senza di me, e loro neanche.” Disse con ovvietà, prima di voltare loro le spalle e allontanarsi, seguito a ruota da Crillin.

“Ehi … ehi aspettami!” gridò Cillin spiengndo con tutta la forza che poteva la sedia a rotelle, arrancando dietro Vegeta.

“Datti una mossa, idiota. Non aspettarti di sentire più ciò che ho detto poco fa, men che meno aspettati favori da me o altro. Chiaro?” lo rimbeccò il Quarterback, voltando leggermente il capo indietro. Crillin annuì, sorridendo leggermente, consapevole che per quel giorno Vegeta aveva già fatto abbastanza.
Ad un tratto il ragazzo davanti a lui si bloccò, fissando il centro del campo da Football. Il giardiniere stava innaffiando il prato e dallo stereo dell’uomo usciva una melodia potente, incoraggiante e che Vegeta riconobbe subito. Non era mai stato un grande fan dei Journey, ma doveva ammettere che alcune delle loro canzoni erano davvero belle. E “Don’t stop believing” era una di quelle.

“Andiamo, datti una mossa.” Lo intimò duramente. Crillin lo guardò stralunato.

“Eh? Perché, che vuoi fare?” Vegeta accennò un mezzo sorriso, fissando la vecchia radio sul prato.

“Rimettere insieme il Glee Club.”
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“Prima che te ne vada, vorrei farti vedere una cosa.” Gohan alzò lo sguardo verso Videl, osservandola armeggiare con il computer. Gli porse il pc, posizionandolo davanti ai suoi occhi. Gohan sgranò gli occhi, incredulo.

“Sono la squadra del ’93 alle Nazionali.” Disse, osservando Gohan aprire la bocca dinanzi al vecchio video dove un gruppo di ragazzini si esibivano in una performance di canto coreografato.

“Quel ragazzo lo conosci?” chiese, indicando la figura di un diciottenne occhialuto vestito con uno sgargiante costume di scena cantare e ballare entusiasta.

“Sei tu, Gohan.” Disse dopo pochi attimi, mentre lui restava immobile, incantato di fronte al video.

“Non credo di averti mai visto tanto felice …” continuò, osservandolo. Gohan sorrise a metà, senza staccare gli occhi dallo schermo.

“Il momento più bello della mia vita …” sussurrò.

“Perché?” chiese Videl.

“Perché amavo quello che facevo …” rispose con un sorriso il professore.

“Prima di arrivare a metà del numero capii che avremmo vinto noi … com’era bello essere lì … “ ammise, lasciandosi sfuggire una risatina triste.

“In quel momento, sapevo qual era il mio posto nel mondo …” disse con le lacrime agli occhi, sinceramente emozionato. Rifletté per diversi attimi, scuotendo poi il capo e chiudendo il computer.

“N – no … devo provvedere alla mia famiglia …”

“Grazie …” disse solamente, prima di alzarsi e uscire dall’aula, lasciando Videl sola, sconfitta ed amareggiata.

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Camminò con lentezza per i corridoi, a testa bassa, immerso nei suoi pensieri. Passò davanti all’Auditorium, voltandosi di scatto nell’udire delle voci provenire dal suo interno. Con lentezza, Gohan si avvicinò, aprendo il pesante portone.

(https://www.youtube.com/watch?v=7vN2mkeCjlw esibizione)
 
Just a small town girl
Livin' in a lonely world
She took the midnight train goin' anywhere


Far parte di un gruppo significa anche cambiare alle volte. Significa imparare a mettersi sullo stesso piano degli altri, imparare ad aiutarsi a vicenda, crescere insieme. Fino ad almeno una settimana prima, Vegeta non avrebbe mai creduo a robe del genere. All’udire tali parole sarebbe scoppiato a ridere cinico, gettando una granita in faccia a quella che ancora non sapeva si chiamasse Bulma. Faceva uno strano effetto allora vederlo in quel momento in piedi sul palcoscenico, affianco agli altri ragazzi, intonare una canzone di sua spontanea volontà, senza essere stato costretto da nessun ricatto fasullo con della droga. Ed era ancora più strano il fatto che lì, sul palcoscenico di un Auditorium vuoto, cantando con altri cinque sfigatelli e un gruppo jazz a suonare in disparte, si stesse sentendo per la prima volta felice. Ma non lo avrebbe mai ammesso.

Just a city boy
Born and raised in South Detroit
He took the midnight train goin' anywhere

 
Per quanto Bulma fosse insopportabile e fin troppo egocentrica e megalomane, Vegeta aveva dovuto ammettere a se stesso che quella ragazzina dalla voce angelica gli piacesse davvero. Era un po’ una sua versione femminile, così determinata, decisa, coraggiosa e orgogliosa, una che non si era mai piegata davanti agli insulti e aveva sempre accolto le granite in faccia a testa alta, come solo una vera diva poteva fare. La ammirava, si che l’ammirava, e guardandola cantare insieme a lui, osservandolo sorridendo, Vegeta sentì una strana sensazione di calore farsi posto al centro del petto. E stavolta, non fece finta di non sentirla.

A singer in a smokey room
The smell of wine and cheap perfume
For a smile they can share the night
It goes on and on and on and on

 
 
Quel Glee Club non era male, pensò Yamcha intonando la seconda voce insieme agli altri. Insomma, nell’ultima settimana era sempre stata la parte migliore della sua giornata, durante la quale si era quasi dimenticato dei bulli, dei cassonetti e delle granite in faccia. Era bello far parte del Glee Club, perché sembrava di stare in una vera famiglia. Ed era bello avere una famiglia, pensò, sorridendo con le labbra a pochi centimetri dal microfono.

Strangers waiting
Up and down the boulevard
Their shadows searchin' in the night

Streetlight, people
Livin' just to find emotion
Hidin' somewhere in the night

 
 
Le Nuove Direzioni si fiondarono al centro del palco, tutti uniti. Intonarono il ritornello guardandosi negli occhi, trasmettendo un’energia e una voglia di rivalsa talmente tangibile da lasciare stupiti perfino loro stessi. Ma era quello il loro messaggio. Non smettere di credere. Resta aggrappato a quell’emozione.


Workin' hard to get my fill
Everybody wants a thrill
Payin' anythin' to roll the dice
Just one more time

 
 
Gohan entrò in Auditorium con lentezza, confuso. Scese piano gli scalini che portavano alla platea senza staccare gli occhi dal palcoscenico, osservando Vegeta suonare la batteria, Bulma saltare entusiasta senza smettere di cantare e gli altri ragazzi sorridere tra loro, intonando la seconda voce. Non mutò espressione, ma dentro di sé sentì l’orgoglio e la felicità crescere sempre più nel vedere i suoi ragazzi portare avanti quello che tutti ritenevano un sogno delirante, senza smettere di crederci.

Some will win, some will lose
Some are born to sing the blues
And now the movie never ends
It goes on and on and on and on

Strangers waiting
Up and down the boulevard
Their shadows searchin' in the night

Streetlight, people
Livin' just to find emotion
Hidin' somewhere in the night


Si avvicinò sempre più al palcoscenico, rendendosi conto che i ragazzi non si erano ancora accorti della sua presenza. Indossavano una semplice t-shirt rossa e un paio di blue jeans ma Gohan non poté fare a meno di notare come nella loro semplicità, quei ragazzi emanassero una bellezza mozzafiato. Perché era la voglia di farsi valere, e non un po’ di trucco a rendere quei giovani davvero bellissimi.

Don't stop believin'
Hold on to that feelin'
Streetlight, people

Don't stop believin'
Hold on to that feelin'
Streetlight, people

Don't stop!

 
 
I ragazzi finirono di cantare intonando quel “Don’t stop!” tutti insieme, abbassando poi il capo al termine della musica. Per pochi decimi di secondo l’Auditorium rimase avvolto nel silenzio.
 
Clap,clap,clap.

I ragazzi alzarono di scatto il capo in contemporanea all’udire quel ruomore. Davanti a loro scorsero il professor Son osservarli dalla platea, battendo le mani con lentezza e annuendo soddisfatto.

“Bravi ragazzi!” disse con fierezza, complimentandosi.

“Vi do un nove, ma serve un dieci.” Disse, osservando i ragazzi sorridere, chi in modo più entusiasta, chi più contenuto ma ugualmente felice.

“Bulma, nell’armonia canta la quinta; Vegeta, puoi arrivare al Si naturale se lavoriamo bene …” esclamò, additando i ragazzi e impartendo loro suggerimenti per l’intonazione. Bulma annuì tra sé, prima di alzare il capo di scatto, come colta da un’illuminazione.

“Significa che resterà?” chiese speranzosa. Gohan sorrise, abbassando il capo per poi rialzarlo subito.

“Non sopporterei che vinceste le Nazionali senza di me.” Disse enigmatico, ma i ragazzi capirono alla perfezione, sorridendo e guardandosi entusiasti, soddisfatti per essere riusciti a riportare il Professor Son al suo posto. Gohan sorrise, prima di squadrare i ragazzi uno ad uno, e con uno sguardo determinato, diede il via alla vita delle Nuove Direzioni, esclamando:


“Dal principio!”

E questo, era davvero il principio di tutto.
   
 
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