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Autore: Goran Zukic    25/03/2015    5 recensioni
Fanfiction interattiva (ISCRIZIONI CHIUSE)
Gli Hunger Games, la più brutale espressione di violenza che Capitol city abbia mai offerto al suo pubblico, un gioco mortale che va oltre qualsiasi morale e etica, 24 ragazzi che si scannano fino alla morte in un arena, lontano da tutto e da tutti. Un solo vincitore, morte certa per gli altri, una condanna a morte che inizia con la mietitura e finisce con un colpo di cannone. Un gioco da cui nessuno può sottrarsi, un gioco che ti costringe ad essere ciò che non sei, un gioco che ti farà diventare un assassino.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Il treno, direzione Capitol City


Distretto 12
I suoi occhi erano fissi, freddi, come privi di empatia o sentimento; fissavano davanti a lei e nelle pupille scure non si riusciva a intravedere nessun sentimento.
Sul tavolino di legno c’era un oggettino di metallo, un grazioso ciondolo apribile a forma di stella.
“Prendilo” le aveva detto suo padre Ferenc piangendo “Portalo sempre con te, perché io, qualsiasi cosa accadrà, sarò lì, saremo insieme e ti abbraccerò”
Quelle parole le scorrevano davanti agli occhi mentre osservava con occhi fissi il ciondolo aperto con all’interno, sui due lati, le foto dei genitori e della sorellina Annina.
Demetrio la guardava con apprensione, poco distante, appoggiato alla credenza, con le braccia conserte.
Elspeth non aveva parlato più, non aveva più aperto bocca da quando aveva lasciato la stanza del palazzo di giustizia, prima di dirigersi alla stazione e salire sul treno, che sfrecciava ora tra i distretti di Panem, direzione Capitol City.
Demetrio era preoccupato, non aveva mai visto Elspeth, la sua migliore amica, così spenta e vuota e la cosa non lo faceva stare tranquillo, non aveva chiuso occhio tutta notte pensando a lei e questo silenzio infinito lo metteva a disagio.
Le si avvicinò e si sedette proprio di fronte a lei, ma la ragazza non alzò lo sguardo dal tavolo, né mosse un muscolo.
Demetrio si morse il labbro nervosamente, la guardò come pregandola di parlargli, ma niente, solo il silenzio sembrava ascoltarlo, ma il silenzio non poteva rispondergli.
“Elspeth…io” accennò lui, ma lei aveva alzato lo sguardo e lo fissava con i suoi occhi marrone scuro, quasi nero, la bocca rosata e rigida, i capelli castani, lisci che le arrivavano alle spalle, ma nel suo sguardo Demetrio non trovava alcun cambiamento.
I due ragazzi si guardarono per qualche secondo, gli occhi fissi l’uno con l’altro e poi Demetrio le prese la mano e la strinse nella sua.
Una lacrima le scese lungo la guancia sinistra e rimbalzò sulla foto del padre Ferenc e per un attimo sembrò che i suono si fosse sentito, un debole tintinnio sul vetro immobile.
All’improvviso la porta scorrevole si aprì e i ragazzi saltarono in aria dallo spavento, quando videro Alisya Collins, la loro mentore, comparire da dietro il muro.
Aveva gli occhi grigi, che sembravano scrutarli in ogni singolo dettaglio, la pelle ambrata e i capelli marroni, con qualche spruzzata di nero, segno che prima degli Hunger Games, aveva vissuto nel giacimento.
Ci fu un momento di silenzio in cui tutti guardarono tutti poi la donna sorrise e disse loro: “Sono Alisya Collins e sarò la vostra mentore per gli Hunger Games e vi prometto che farò il possibile per tirarvi fuori vivi”
Era l’unica vincitrice degli Hunger Games per il distretto 12, nessuno prima aveva mai vinto questa competizione per i distretto più infimo e sottovalutato di Panem.
Aveva vinto la trentaseiesima edizione, dimostrando grandi doti di furtività e ingegno, qualità che le avevano permesso di uccidere tre favoriti su cinque, in un agguato notturno.
La donna li superò, dirigendosi verso il tavolo, riccamente apparecchiato di cibi e bevande.
“E’ ora di colazione, dovete mantenervi in forze” disse loro la donna sedendosi.
Demetrio si alzò immediatamente, aveva una fame da lupi e aveva già adocchiato da qualche minuto il cioccolato, che solo una volta aveva assaggiato nel distretto 12, ma quella gli era bastata per innamorarsi per sempre di tale delizia.
Elspeth lo seguì, prese il ciondolo dal tavolo e se lo mise nella tasca dei pantaloni, sedendosi accanto all’amico e prendendo timidamente una pagnotta al latte.
“Penso che un approccio diretto sia il metodo migliore e credo che dobbiamo iniziare subito a conoscerci perché un buon rapporto e la chiave di tutto negli Hunger Games, perciò voglio sapere tutto il possibile su di voi” disse Alysia.
Demetrio e Elspeth si guardarono nervosi e poi il ragazzo prese la parola: “Vuole sapere…tipo…le nostre doti?”
“Esattamente” rispose la donna addentando un cupcake.
“Beh…io corro” disse allora Demetrio, con la bocca piena di cibo.
“Corri?”
“Sono campione dei giochi estivi nei cento e nei mille metri” rispose lui con un certo tono di orgoglio.
La donna annuì, sfoggiando un sorriso a trentadue denti, visibilmente soddisfatta del talento di Demetrio.
“E tu?” chiese poi ad Elspeth.
Elspeth la guardò nervosamente e mordendosi il labbro: non sapeva cosa dire, non aveva un talento, non eccelleva come Demetrio in qualcosa e aveva leggermente paura di quella donna che si comportava in modo così naturale.
“Beh…io…non so” rispose Elspeth.
Alysia aggrottò la fronte e la guardò leggermente irritata.
“Sa giocare a calcio” intervenne Demetrio.
“Cosa c’entra questo?” chiese Elspeth gelando con i suoi occhi marroni l’amico “Non credo che un pallone mi aiuterà negli Hunger Games”
“E che ne sai?” chiese Demetrio con tono contrariato.
“Oh sì, allora secondo te, quando incontrerò il ragazzo del due gli dirò: “Ehi, che ne dici, ce la giochiamo a rigori?” esclamò allora Elspeth con rabbia.
“State zitti!” disse con rabbia la loro mentore “L’unica cosa che può far vincere un distretto minore è la collaborazione tra i tributi e non voglio che vi mettiate a litigare proprio ora, sono stata chiara?”
I ragazzi annuirono con i capi bassi.
“Non importa che tu sia una campionessa di corsa o lotta, voglio sapere cosa ti piace e in cosa sei brava” disse poi Alysia ad Elspeth.
Elspeth la guardò con i suoi occhi marrone scuro e annuì deglutendo nervosamente.
“Io so giocare a calcio…so…lavorare a maglia e poi sono discreta nell’atletica e nella lotta” disse allora Elspeth.
“Discreta?!” esclamò Demetrio confuso “E’ la campionessa di pentathlon del distretto”
A queste parole gli occhi di Alysia scintillarono ed esclamò: “Perfetto! Siete tra i ragazzi più forti che abbia mai avuto e penso davvero che potremmo fare grandi cose”


Distretto 10
La donna prese una fetta di pane dolce e ci spalmò sopra del burro, con calma e tranquillità.
Aveva i capelli castani, lunghi e fluenti, che le arrivavano a metà busto, due grandi e penetranti occhi verdi che fissavano il cibo, ma sembrano cogliere ogni singolo movimento intorno a sé e aveva una cicatrice, una grande cicatrice che le tagliava il viso trasversalmente, dal sopracciglio destro fino al lato sinistro della bocca.
Ivan la osservava dall’altra parte del tavolo; era innervosito dal comportamento della donna, che non li aveva quasi neanche guardati da quando l’avevano incontrata.
“Quando inizieremo a discutere dell’arena?” chiese Ivan con tono aggressivo.
Non era solo il comportamento della sua nuova mentore ad innervosirlo, ma soprattutto, era furioso per la discussione che aveva avuto con il signor Burchet, l’uomo che l’aveva spinto a offrirsi volontario e che lo aveva allenato per gli Hunger Games, l’uomo che lo aveva abbandonato al suo destino, lasciandolo nelle mani di una donna sconosciuta e in compagnia di una dodicenne ai suoi occhi inutile e piagnucolosa.
Carrie era seduta accanto a lui, aveva gli occhi bassi e solo ogni tanto alzava lo sguardo timidamente per prendere un torsolo di pane e bere un po’ di latte.
Sulle guance e sotto gli occhi si notavano i segni delle lacrime che aveva versato per tutta la notte, la più lunga e terribile di tutta la sua vita, in cui incubi di ogni genere e forma le avevano perseguitato il sonno.
“Allora?” chiese nuovamente Ivan impaziente, ma la donna, come per la prima domanda, non batté ciglio e continuò a spalmare il suo panino.
Ivan allora non ci vide più dalla rabbia, tirò un forte pugno sul tavolo, si alzò violentemente dalla sedia e si accinse a parlare, ma all’improvviso si fermò, perché sentì qualcosa di metallico che entrò in contatto con il suo torace.
La donna impugnava un coltello da cucina e lo puntava direttamente al torace di Ivan, che ora era fermo immobile, sospirando affannosamente e sudando.
“Comincia col diventare più veloce” gli disse secca la donna guardandolo negli occhi e mollando la presa.
Ivan tirò un grande sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia.
“Puoi uscire ora” disse allora la donna e Ivan la guardò confuso, ma poi, voltando lo sguardo alla sua destra, dove prima c’era Carrie non vide nessuno.
Un ciuffo di capelli biondi spuntò da sotto il tavolo, poi un occhio azzurro come il lapislazzulo e infine Carrie, tremante e spaventata, si rimise sulla sedia con gli occhi bassi e pieni di vergogna.
“Mi chiamo Arrow e sarò la vostra mentore e come tale ci tengo a mettere in chiaro un paio di cose” disse la donna fissando intensamente negli occhi Ivan che ora non riusciva quasi a parlare “Qui comando io, sono io che vi dico cosa dovete fare, non voi, non voglio sentire nessuno provare a darmi ordini. Decido io quando si comincia e se si comincerà tra un’ora o tra una settimana sarò solo io a deciderlo. Sono stata chiara?”
Entrambi i ragazzi la guardavano smarriti e nervosi, Carrie tremava e avrebbe voluto tornare sotto il tavolo, Ivan la scrutava con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo irrigidito dall’ira.
“Sono stata chiara?” chiese ancora Arrow.
Ivan e Carrie si guardarono e poi annuirono.
“Bene” disse allora lei e continuò a mangiare il suo cibo; per tutto il tempo non aveva mai sorriso, mai sorriso, né mai aveva cambiato espressione.


Distretto 4
Fu l’abbraccio più lungo della sua vita, il più caldo, il più vero, il più amaro.
Sentiva le sue lacrime calde che gli scivolavano sulla spalle e i sussulti dei suoi singhiozzi che si facevano sempre più forti e sempre più frequenti.
Strinse tra le sue dita i suoi capelli dorati e crespi, come se fosse l’ultima volta che li toccasse, sentiva il loro profumo di rosa e per un attimo credette che il loro abbraccio potesse durare per sempre, che potessero stare per sempre insieme.
Ma come il più bello dei sogni era destinato a finire.
La porta si aprì e l’uomo disse loro che il tempo era scaduto.
Sentì le mani di lei stringersi nella sua maglietta e i suoi singhiozzi raggiungere il massimo dell’intensità.
Anche lui allora si lasciò andare e una lacrima gli scese dall’occhio per cadere a terra e frantumarsi sulla moquette.
Il pacificatore la prese per la vita e la tirò via dall’abbraccio che si spezzò come un ramo.
“No! No! Victor! No!” piangeva lei, guardandolo negli occhi.
Lui la guardò, i suoi occhi erano rossi di lacrime e le disse: “Tornerò, Emma, tornerò per te”
La porta si chiuse e Victor aprì gli occhi, ritrovandosi nella sua cabina nel treno che sfrecciava lungo i binari di Panem.
Si alzò dal letto, negli occhi gli balenava ancora l’ultimo sguardo della sua Emma, mentre veniva portata via, ma intorno a lui ora c’era solo il buio della notte.
Un sogno, o un incubo, Victor non sapeva se vederlo in un modo o nell’altro, sapeva solo che non era reale e che aveva bisogno di bere.
Scese dal letto e camminò lentamente verso la porta che al suo passaggio si aprì di scatto, scorrendo verso destra.
Si ritrovò nel buio corridoio del treno e lo percorse fino a raggiungere la sala da pranzo.
Fece qualche passo nel buio fino a raggiungere il frigorifero, ma venne interrotto da una voce, acuta e squillante alle sue spalle.
“Ciao. Anche tu non hai sonno? Io non riesco a dormire, fa troppo caldo e quelle coperte sono strette come una camicia di forza” esclamò Pinkie, che era seduta sul divanetto in pelle dietro di lui.
Victor si girò di scatto e le fece segno di abbassare la voce, dato che prima aveva quasi urlato, con la sua voce squillante e leggermente fastidiosa.
“Scusa” sussurrò lei sorridendo.
I suoi occhi blu-rosato scintillavano illuminati dalla luna piena che era alta nel cielo e il suo riflesso penetrava dal finestrino, indossava una camicia da notte rosa e i capelli biondi le scendevano lungo le spalle.
“Cosa fai qui?” le chiese Victor sorseggiando un po’ d’acqua.
“Non riuscivo a dormire, così sono venuta di qua. Guarda cosa ho trovato!” rispose lei alzando nuovamente la voce.
Victor le fece segno ancora di abbassare la voce, ma aveva capito ormai che era una causa persa, si avvicinò alla compagna di distretto e notò che aveva davanti a sé una decina di dvd e nastri registrati.
“Cosa sono?” chiese Victor prendendone uno e osservandolo attentamente.
“Edizioni passate…potremmo vedere qualcuna, potrebbe essere utile” rispose Pinkie sorridendo a Victor.
IL ragazzo annuì e porse il primo dvd che ebbe a tiro.
Pinkie avvicinò il dvd ai suoi occhi per cercare di leggere quale edizione fosse, ma era troppo buio.
“Prova a metterlo nel televisore” disse allora Pinkie, dando il dvd in mano a Victor.
Victor accese il bottone del televisore che scintillava con il suo colore rosso nel buio e inserì il disco nel apposito scomparto sulla destra.
All’improvviso lo schermo si accese e venne proiettata la panoramica di una giungla tropicale con al centro dello schermo la scritta: “Edizione 9”
I due ragazzi si misero comodi e Pinkie appoggiò la testa sulla spalla di Victor e insieme iniziarono a guardare il video.


Distretto 7
Maira uscì dal bagno, chiusa nel suo accappatoio personale color lilla, un colore che odiava; aveva appena finito la doccia e ora, più di ogni altra cosa, desiderava fare colazione.
Girò la testa verso destra e vide Ethan, che leggeva un libro nella sua cabina, vestito della sua camicia a quadretti verdi e rossi con i suoi capelli sempre ben pettinati e ordinati.
Ethan alzò lo sguardo e le sorrise con i suoi occhi arancioni e la sua espressione beffarda.
Maira ricambiò il suo sorriso con un’occhiataccia gelida, per poi voltarsi e incamminarsi verso la sala da pranzo.
Arrivata nella sala da pranzo venne subito accolta dai saluti teatrali e fastidiosi di Scarpel che era seduta su una poltrona rossa con in mano una tazza di tè, dall’altra parte del tavolo c’era invece Luis Wolf, il suo mentore, che non l’aveva neanche guardata.
L’avevano visto pochissime volte e quando l’avevano visto non aveva rivolto loro alcuno sguardo o parola, era sempre rimasto nella sua espressione fredda, dietro i suoi folti baffi bianchi e i suoi verdi occhi inespressivi e rigidi come l’acciaio.
Non appena Maira ebbe fatto un passo verso il tavolo, per sedersi e fare colazione ecco che Scarpel subito la fermò e le chiese con tono sconvolto: “Cosa sono quei capelli?!”
“I miei capelli” rispose Maira confusa, ma non troppo, dato che ormai ci aveva fatto l’abitudine all’ignoranza e al carattere della sua accompagnatrice.
“Sono orrendi, tesoro” disse allora sconfortata Scarpel.
“Grazie del complimento…e non mi chiami tesoro”
Maira si sedette, sbuffando di rabbia e arricciando il naso.
Buttò uno sguardo a Luis Wolf dall’altra parte del tavolo, ma l’uomo rimaneva impassibile, dietro la sua armatura dall’acciaio e Maira prese un bignè alla crema.
I suoi capelli biondo cenere erano ancora bagnati, aveva gli occhi marrone scuro, le orecchie leggermente a sventola, un bel nasino all’insù e delle labbra rosate e sottili; era molto carina, la più bella ragazza della sua età del distretto 7.
Fu allora che entrò Ethan nella sala, a passo deciso e con il suo solito sorrisino sulle labbra.
“Ehi. Ho letto che a Capitol City ci sono ancora quadri dei secoli antichi, avremo la possibilità di vederli?” chiese lui.
“No, mio caro, purtroppo sono tutti nella residenza privata del presidente e nessuno ha accesso ai suoi appartamenti senza il suo permesso” rispose Scarpel “Maira, guarda il tuo compagno com’è ben pettinato e tenuto, dovresti prendere esempio da lui”
“Hai capito, Maira? Prendi esempio da me” le disse allora lui sorridendole.
“Non ci tengo, grazie” replicò secca lei, con gli occhi ridotti a fessure.
Ethan si sedette in parte a lei e iniziò a prendere del formaggio di capra e a spalmarlo sulla fetta biscottata.
“Buongiorno signor Wolf” disse lui al suo mentore, ma l’uomo non batté ciglio. “E’ sempre un piacere parlare con lei”
Maira gli diede una gomitata alla costola, invitandolo a stare zitto.
All’improvviso però l’uomo scrocchiò il collo, prima a destra e poi a sinistra e disse a Maira con una voce severa e grave: “Rilassa quelle spalle, tieni la schiena dritta, non sarai mai rapida e veloce se sei rigida”
I loro occhi si incrociarono e nello sguardo del signore lei rivide i suoi alberi, i boschi dietro le capanne del settore cinque, i suoi boschi, dove tagliava la legna con suo padre e i suoi fratelli; erano di un verde scuro intenso e sembrava che potessero leggere nel pensiero.
Maira si sistemò come le aveva detto Luis, mentre Ethan rideva sotto i baffi e guardava la scena divertito.
“Tu” disse allora il signor Wolf a Ethan “Tu che ti diverti tanto, ti consideri veloce?”
“Sicuramente più veloce di te, vecchio” rispose Ethan con tono di sfida.
“Vieni qui allora”
Ethan si alzò dalla sedia, guardando Maira con le sopracciglia alte e il suo solito sorriso beffardo sul volto, e andò dall’altro lato del tavolo.
“Cosa vuole che faccia?” chiese lui.
“Lo vedi questo tappo? Voglio che tu me lo prenda” rispose il mentore con un tono di voce grave e severo.
“Tutto qui?” chiese Ethan perplesso e divertito.
“Tutto qui. Io poggerò qui il tappo e tu dovrai prenderlo prima di me” rispose l’uomo poggiando il tappo sul tavolo.
Ethan guardò il tappo e si mise a ridere.
“Quando vuoi, puoi prenderlo”
Ci fu un momento di silenzio in cui i due si fissarono negli occhi, poi Ethan allungò la mano per afferrarlo, ma prima che potesse anche solo avvicinarsi, il tappo era già nella mano del mentore.
Il volto di Ethan si fece più cupo e le sopracciglia si aggrottarono.
“Lei ha barato” disse lui puntando il dito.
“Io non baro e ora vattene da questa sala”
“Cosa?”
“Ti voglio fuori di qui entro due secondi o ti caccio fuori io” rispose il signor Wolf con un tono che ora era molto più minaccioso.
“Vorrei vedere…”
L’uomo si alzò di scatto dalla sedia e sovrastò Ethan con la sua incredibile mole.
Il ragazzo allora si voltò e si incamminò a passo veloce verso la sua cabina, sbattendosi la porta alle spalle.
“Era proprio il caso?” chiese Scarpel contrariata.
Luis la guardò e le rispose con freddezza: “Sì”
   
 
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