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Autore: hailtothematty    27/03/2015    8 recensioni
"Sei sicura che funzionerà?"
"Certo!" le disse Val, mentre frugava nella borsetta. "Me lo ha dato un mio amico, ha detto che con le ragazze funzona sempre."
"Rischiamo la galera, lo sai?"
"E che mi frega? Guarda come se lo sbaciucchia per benino. Non può di certo credere di averla fatta franca con me! Quella novellina non può averlo, Matty è solo mio. E poi, questo scherzetto aiuterà anche te! Non sei emozionata?"
Michelle la guardò preoccupata ed ansiosa, temendo più che mai che quella volta si sarebbero andate a cacciare in guai
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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UNTIL THE END

 

***
 

 


Il baratro.
 


Cry alone, I've gone away
No more nights, no more pain
I've gone alone, took all my strength
I've made the change,
I won't see you tonight






Come narratore onniscente di questa storia, è mio principale compito raccontarvi i fatti per ciò che sono esattamente accaduti, senza tralasciare nessun tipo di particolare.
Molti di voi, immagino, prima di leggere il ventesimo capitolo, avranno pensato che Jennifer avrebbe fatto una brutta fine, che sarebbe morta. E invece no, lei non è morta. Non fisicamente, almeno. Dentro di lei, però, qualcosa ha trovato la maniera di accartocciarsi e rompersi. La sua anima, i suoi sentimenti, le sue emozioni... quelle sì che sono morte. Non esistono più. Una parte di lei ha deciso di lasciarsi morire lentamente, da quando è riuscita a perdere tutto ciò che aveva sempre desiderato; dal momento in cui l'ha ottenuto, la sua vita è finita. Lei stessa non esiste più.
In quell'afosa giornata estiva, mentre Brian e Matt erano in macchina a tutta velocità, in modo da raggiungere il Warped Tour in tempo, un autocisterna è venuta loro addosso. Brian è morto sul colpo, un attimo prima dell'esplosione.
Ed era vero, quando vi ho raccontato di Jennifer e del suo continuo fantasticare su come sarebbe stata la sua morte. Lei, però, non aveva mai immaginato come sarebbe stata quella degli altri. Quella di Matt, per esempio. O di Brian.
Jennifer andò al funerale in carrozzina. Tecnicamente, non avrebbe dovuto abbandonare l'ospedale per un'altra settimana, ma non gliene fregava più un cazzo di tutti quei noiosissimi esercizi di recupero mentale e fisico. Che andasse a fottersi la riabilitazione. Cosa poteva mai servirle, se una parte di lei era appena stata sepolta in quella bara?
Jimmy, in seguito, le si era avvicinato timidamente, osservandola di sbieco e senza proferire una parola, mentre il prete pronunciava tutte quelle parole inutili, che di certo non le avrebbero riportato indietro né Matt, né Brian. Le toccò la spalla destra, e lei sussultò appena, voltando la testa verso di lui e fissandolo dal basso verso l'alto attraverso le lenti scure degli occhiali da sole. Non che ci fosse tutto quel sole, certo, ma la metà dei partecipanti li indossava, e tutto noi sappiamo benissimo il perchè.
Jennifer non sentiva più niente. Aveva persino smesso quel lancinante dolore ai polmoni ogni volta che inspirava, o il bruciare della sua gola come le fiamme dell'inferno.
“Hey...” la salutò May, che aveva la bocca contratta ed il mento tremante nello sforzo sovraumano di non piangere. Lei, per esempio, gli occhiali da sole non li portava. Era talmente stanca e assonnata, dato che negli ultimi due giorni non aveva chiuso occhio, passando la nottata a consumarsi gli occhi con le lacrime, che proprio se li era dimenticati; a malapena ricordava dove avesse messo sé stessa, in quel momento.
May si chinò sulla sua migliore amica e l'abbracciò come mai aveva fatto prima. Per un attimo si sentii rinata, per poi ripiombare nel baratro della tristezza un attimo dopo.
Jenna amava Matt e si sentiva particolarmente stupida a pensare che il suo amore potesse essere messo a confronto con quello di May e Brian, che lo avevano vissuto per i quattro anni precedenti, mentre lei era in coma. Era arrogante da parte sua a pretendere che il suo amore fosse equivalente al loro.
In quel momento, con May vicino, si sentì nascere in petto un coraggio che le era completamente nuovo, con il quale alzò lo sguardo e fissò ogni persona lì presente. Zacky e Johnny erano in piedi in prima fila, con lo sguardo rivolto verso le due bare. Persino un cieco si sarebbe reso conto che entrambi stavano piangendo come due fontane; Zacky in particolare. Le si strinse il cuore a vederli così, senza però trovare il coraggio di avvicinarglisi. Si sarebbero ricordati di lei? Anche Johnny, come lei, portava gli occhiali da sole, che però a forza delle lacrime gli erano scivolati quasi alla fine del naso e sembrava che a lui in quel momento non fregasse assolutamente niente di rimetterseli a posto. I ragazzi si scambiarono qualche parola, per poi dirigersi verso quelli che dovevano essere i genitori sia di Matt che di Brian; o meglio, i signori Sanders e il signor Haner. In quel momento brillò nella mente di Jennifer una lampadina, si ricordò infatti di quando Brian le aveva confidato che sua madre se n'era andata molti anni prima, andando a vivere a Long Beach. Lui la andava a trovare d'estate, ma non stava mai molto bene; lei lo faceva sentire sempre di troppo e costantemente a disagio. Jennifer si sentì veramente male al pensiero di quanto fosse stato inutile ricordarsi di tutto ciò soltanto in quel momento. Così male che avrebbe voluto morire. Doveva esserci lei, in una di quelle due bare. Morire ed essere dimenticata. Sarebbe stato così facile. A nessuno importava di lei.
Una mano le si posò sulla spalla con così tanta dolcezza e delicatezza che subito la ragazza nemmeno se ne accorse.
“Nonna, sei venuta” le disse. Si rese conto di quanto facesse fatica a parlare soltanto in quel momento, come se avesse ormai fatto l'abitudine a vivere con il costante groppo alla gola che l'aveva perseguitata nei due giorni precedenti.
“Come sarei potuta mancare, piccola” le sussurrò l'anziana donna, stringendo ancora più forte il rosario nero che aveva attorcigliato al polso destro.
Jennifer non si sentì ancora pronta a piangere. Non ancora.
Il suo sguardo tornò a posarsi sulla famiglia Sanders. La moglie un po' grassoccia, anche lei con gli occhiali da sole, vestita interamente di nero, si stringeva al marito magrolino e mingerlino e sembrava che nessuno dei due avesse intenzione di lasciar andare l'altro. Chissà da chi dei due Matt aveva preso la stazza alta e muscolosa, si chiese Jenna. Era davvero un peccato che non sarebbe mai riuscita a rivedere il suo corpo in modo da confrontarlo con quello dei genitori. Un'altra fitta al cuore. Un'altra pugnalata. Quanto desiderava morire.
Tra gli sguardi delle persone più vicine ai famigliari, riconobbe quello di una ragazza che non aveva mai dimenticato.
“Amy” boccheggiò Jenna, sperando che lei la vedesse. Sì, l'aveva vista eccome; anzi, non l'aveva persa di vista un secondo, aveva passato tutta la durata del funerale a fissarla. Nonostante questo non le si avvicinò neppure, così come Jennifer non trovò il coraggio di avvicinarsi a quel gruppo di persone che si conoscevano tutti fra loro come fratelli, e tra i quali Jennifer si sarebbe sentita soltanto un'estranea.
Cosa avrebbe potuto dire loro? “Condoglianze, signora Sanders. Sa, io sono la fidanzata di suo figlio, sono rimasta in coma quattro anni e non credo che lui le abbia mai parlato di me. È normale, sa, nessuno si ricorda mai di me. Nessuno”
Riaffiorarono le lacrime e Jennifer le ricacciò giù.
Vide, però, Amy sussurrare qualcosa alla madre, che di conseguenza lo disse al padre. Alcuni secondi dopo, ecco che l'intera famiglia Sanders la stava fissando. Era a tre, quattro metri da lei, oltre le due... bare. Proprio lì.
“Tu devi essere Jenna” le sorrise Kim Sanders, accompagnata sotto braccio alla figlia, come per darsi forza l'un con l'altra. Nonostante le stesse sorridendo, percepiva l'amarezza del suo cuore anche soltanto dalla piccola stretta di mano che si scambiarono.
“Già...” rispose Jennifer, imbarazzata. Si grattò leggermente il braccio.
“Matt mi ha parlato così tanto di te. So bene perchè sei sulla carrozzina. Mi dispiace davvero tanto, ragazza mia. Devi averne passate tante...”
“Non si preoccupi, signora. Io starò bene, ma senza Matt non sarà più lo stesso” biascicò, ingoiando le lacrime. Non era ancora giunto il momento.
La donna schivò l'argomento Matt ancora una volta, proprio come aveva fatto durante tutte le condoglianze che le avevano fatto. Una persona cominciava a parlare di suo figlio e lei non rispondeva o cambiava argomento. Cosa potevano saperne gli altri, di che persona meravigliosa fosse suo figlio?
“Non sono nemmeno volute venire al funerale” disse la madre “E dire che ci conoscevano dall'asilo...”
“Di chi sta parlando?”
“Di Valary e Michelle”
Due enormi lampadine si accessero nella mente di Jenna. Quei nomi continuarono a rimbombarla in testa per tutta la giornata.
Kim Sanders si sbilanciò in avanti con tutta la sua mole e abbracciò forte forte la piccola Jennifer, che si sentì soffocare nell'amore e forza di quell'abbraccio. Si sentì colmare per un attimo di gioia infinita, considerando come in vita sua non avesse mai ricevuto un abbraccio così pieno. In un secondo, sentì le calde lacrime della mamma di Matt bagnarle le spalle, mentre Amy si limitava a rimare ferma lì, a pochi passi da lei, a fissarla con una punta di imbarazzo. Era da davvero un secolo che non si vedevano.
“Tutto ciò che puoi fare è andare avanti nonostante tutto. Mio figlio era un ragazzo meraviglioso, non importa quante madri dicano lo stesso dei propri figli” le sussurrò Kim Sander, accennando a suo figlio per la prima volta durante tutto il funerale; in cuor suo credeva che in quel momento ne fosse valsa davvero la pena “La vita, però, ha ancora così tante sorprese da farti. Così tante opportunità. Non buttarle via perchè il destino ti ha voluto giocare qualche brutto scherzo. Tutti nella vita abbiamo perso qualcuno, credi che questa sarà la prima e l'ultima volta?”
“Immagino di no” rispose Jennifer, fissandola negli occhi lucidi e gonfi, mentre gli occhiali da sole erano in alto alla testa a tener fermi i capelli spettinati.
Kim Sanders le sorrise. Quella donna aveva una forza interiore incredibile, quanto avrebbe dato Jenna per poter dire lo stesso anche di sé stessa. Lei non lo aveva, lei era debole.
Ma quei due nomi non avevano ancora smesso di fluttuarle nella mente.
Qualche metro più in là, anche la sua migliore amica stava abbracciando il padre di Brian. Quei due si conoscevano da molto tempo, molto più tempo di lei e la signora Sanders, e Jennifer per un attimo li invidiò.
“Vuoi sapere qual è il colmo?” biaschicò May, con il mento tremante “Vuoi proprio saperlo?” Jenna annuì, stringendole la mano con forza “Che sono incinta.”
May si accasciò sulla panchina presso la quale l'aveva portata, con le mani sul viso, singhiozzando rumorosamente. Aveva trattenuto le lacrime per tutta la durata del funerale, con una forza che le era a dir poco sconosciuta, non sapeva veramente come fosse riuscita a farlo.
“Oh...” fu l'unico suono che riuscii a uscire dalla bocca di Jenna. “May...” la chiamò, sentendo riaffiorare le lacrime. Le ricacciò giù per l'ennesima volta “Devi essere forte. Fallo per te stessa. Hai ancora tutta la vita davanti. Tutta la vita” ripetè le parole di Kim con così tanta naturalezza che le sembrò che fossero sue. In un certo senso, le aveva assimilate così bene, nonostante non ci credesse poi così tanto.
“Quattro anni. Sei stata in coma quattro anni” le fece, con un tono che aveva tutta l'accusa e la rabbia possibile... quasi come se fosse colpa di Jennifer “Hai una vaga idea di quante cose sono successe, in questi anni? Quanti viaggi io e Brian abbiamo fatto? Quante esperienze? Viviamo insieme da un anno e mezzo. So che non è molto, ma eravamo pronti a sposarci. Mi avrebbe portata all'altare. Puoi piangere pure il tuo Matt, ma non saprai mai cosa significa passare quattro anni della tua vita con una persona e il giorno dopo non vederla più tornare a casa”
La cattiveria che si celava dietro le parola della sua amica era tagliente come una lama, che le trapassava il cuore lentamente e dolorosamente.

 

 

 

Entrò in casa e si alzò dalla carrozzina, ancora un po' zoppicante. Vacillò per qualche istante, dopo il secondo passo, e credette che sarebbe finita rovinosamente al suolo. Riuscì però ad agrapparsi alla porta del bagno.
Non se ne sarebbe accorto nessuno. Almeno, non subito. Sicuramente non sarebbe mancata a nessuno, perchè appunto a nessuno importava di lei. Era stata quattro anni in coma, e, al suo risveglio, sembrava che la vita degli altri fosse andata avanti come sempre e nei migliori nei modi, ma, anzi, se Brian e Matt non la fossero andati a trovare all'ospedale, nemmeno sarebbero morti. Era tutta colpa sua, se era andata a finire così. Era buffo, però: un attimo prima, credeva di aver ritrovato la forza di vivere tramite un semplice abbraccio e qualche parola di incoraggiamento, che sembrava le fosse stata detta perchè le era stato letto nel pensiero quel “Voglio morire e togliermi di torno”; invece, May le aveva aperto gli occhi, era tutta colpa sua, nonostante quei due nomi
(Valary e Michelle)
che continuavano imperterriti a fluttuarle nella mente, come due fastidiose mosche.
Trovò il barattolo di Valium che cercava: “non più di quattro dosi al giorno”, diceva la scritta. Jennifer rise fra sé e sé, con una risata che nascondeva tutta l'amarezza e solitudine del mondo. Togliendosi di mezzo avrebbe fatto un favore immenso a tutti, almeno sarebbe riuscita a stordire, ma che dico, ad AMMAZZARE il senso di colpa. Quante cose sarebbero andate bene senza di lei! Era davvero felice di togliere questo peso dagli altri. Davvero, davvero FELICE.
Ma perchè inghioare soltanto le pillole? Perchè non aiutarsi a mandarle giù con un po' di rum? Sapeva dove i nonni lo tenevano. Ah, i nonni. I cari buon vecchi nonni. Suo nonno ormai era morto da un pezzo, senza che ovviamente lei fosse riuscita ad andare al funerale: si sa, era in coma. Sua nonna, invece, non sarebbe durata così a lungo. Quindi tanto valeva, dato che di lì a poco sarebbe giunta l'ora di entrambe, pensò, mentre stendeva tutte le pillole di Valium sul letto. Erano otto. SOLTANTO OTTO. Le sembrò immediatamente un bel numero. Un numero FELICE. I suoi genitori, poi. Ah, quegli sporchi figli di puttana. Li odiava quasi quanto odiava la morte di Matt e di Brian.

Cominciò ad ingoiare una pasticca dopo l'altra. Una pillola, un sorso di rum, una pillola, un sorso di rum. Quando finì il rum, anche le pillole sul letto erano finite. Sembrava tutto fatto apposta. Cominciò piano piano a sentirsi cedere le gambe, la testa le girava e le faceva un male di inferno lo stomaco. Non sarebbe sopravvissuta a lungo. Si sdraiò nel suo letto e aspettò di raggiungere il baratro al quale fino a quattro anni prima si era trovata così tanto vicina da poterne ricordare benissimo l'odore.
Cominciarono pian piano a comparirle davanti una scena della sua vita dopo l'altra (una più triste dell'altra). Come una pellicola che viene srotolata davanti ai suoi occhi con una velocità pazzesca. 16 anni e un pezzo di 20 trascorsi in poco più di una manciata di secondi.
Ecco il baratro, lo raggiunse in poco tempo. Lo toccò con la punta dell'indice. Era soffice, meravigliosamente soffice e accogliente. Era un SOLLIEVO. Come un cuscino. Come un abbraccio. Quell'abbraccio che le aveva dato la mamma di Matt, con tutta quella forza e quella potenza che soltanto la sofferenza riusciva a dare. Quella sofferenza che univa le persona. Come il dolore nelle sale d'attesa degli ospedali, dove la gente parla senza conoscersi, si confida le ansie e le paura senza sapere il nome del proprio interlocutore.
Che cosa le aveva detto la madre di Matt? Si aggrappò ad un tenero appiglio del baratro, mentre domandava a sé stessa perchè mai stesse facendo tutto questo.
Che cosa le aveva detto Kim Sanders, la donna la quale forza interiore era pari a quella di un uragano?
Sii forte, vai avanti nonostante tutto.
Allungò anche l'altra mano e si aggrappò al baratro che ora sembrava essere davvero spigoloso e duro, come suo nemico. Aprii gli occhi. Perchè diavolo stava facendo tutto questo?
Si rigirò sul divano con la testa che le esplodeva in tanti piccolissimi pezzettini come se qualcuno le avesse appena sparato, e che stesse continuando a farlo. Uno sparo dietro l'altro, uno più vicino dell'altro, per farle scoppiare le cervella.
Si gettò due dita in gola e vomitò tutto lo schifo che aveva ingerito, con la vista offuscata dalle lacrime. Le stesse lacrime che avevano cominciato a scendere da quando era tornata a casa, senza che nemmeno se ne accorgesse. La vista annebbiata e il sapore della bile in bocca. Le venne in mente la prima volta che aveva vomitato in quella casa, ricordando che il motivo principale era perchè non si accettava e non sarebbe mai piaciuta a Matt, e anche perchè i suoi genitori si erano ripresi la macchina, abbandonandola lì per sempre. Continuò a vomitare, con lo stomaco che le sussultava e il respiro che le si era trasformato in un accesso di tosse. Si accasciò poi sul divano, respirando a fatica. Stava per uccidersi, ci era andata vicino tanto così. Perchè aveva rinunciato?
Si mise a sedere sul divano, contemplando distrattamente il salotto e ricordandosi di come fosse carino e accogliente la prima volta che era arrivata lì; di quando suo nonno le aveva fatto conoscere...
“Jimmy” mormorò con una dolcezza che non le addiceva, al gattino che le aveva appena strusciato il dorso della mano con quel suo pelo morbidissimo e setoso. Be', ormai non era proprio un gattino, in quattro anni anche gli animali crescono, si ricordò.
Jimmy miagolò, scorrazzando poi verso la sedia a rotelle e saltandoci in cima. “Con tutte le belle cose che ci sono in questo salotto, proprio su quello strumento infernale vai a giocare” lo canzonò Jennifer.
Poi, qualcosa con cui in quel momento Jimmy si mise a giocherellare attirò la sua attenzione: si trovava proprio sulla carrozzina, nella parte dove di solito lei stava seduta, il biglietto.
Zoppicando vistosamente e barcollando quasi quanto un'ubriaca, Jennifer si era avvicinata alla carrozzina, e osservò ciò che il gatto aveva tutto bagnato con la saliva e graffiato con gli artigli; ne lesse la scritta:
“Hai tante cose da sapere, dobbiamo vederci. Alle tre a casa tua, spero che tu veda questo biglietto e che per te non risulterà essere tutto una sorpresa”
Jennifer diede un'occhiata all'orologio della cucina: due e cinquanta. Non poteva essere più puntuale.

 

 

 

 

 

 

 

Jimmy andò a casa di Jennifer i dieci minuti dopo, e ci rimase per quasi un'ora e mezza. Le raccontò tutto, sia della festa, che del perchè l'avesse drogata, le spiegò anche chi fossero Valary e Michelle. Le due codarde che, una settimana dopo che Jennifer era entrata in coma, si erano trasferite a Long Beach. Le raccontò persino ciò che aveva fatto la band durante gli anni che lei era stata in coma, ovvero scrivere e pubblicare due album. “C'è n'è una in particolare” le raccontò “Scritta da Matt, che è in assoluto la preferita di tutti” e per un attimo, Jennifer credette che si trattasse di Warmness on the Soul, quella che May le aveva fatto sentire il giorno prima, dicendo che Matt l'aveva scritta per lei la sera dopo il suo ricovero, convinto che un giorno gliel'avrebbe fatta sentire di persona. Un'altra pugnalata al cuore. “Si chiama I won't see you tonight pt 1. Parla di un uomo che si suicida per una serie di motivazioni, per esempio, non riesce a smettere di bere. Tu, mia cara, non hai idea di quante volte quel povero ragazzo abbia provato a farla finita, perchè tu eri in coma. E non hai idea di quanto mi sia sentito, nel momento stesso in cui mi sono reso conto di quale casino immane io avessi combinato”
“Però non è stata tutta colpa tua” ribattè Jennifer, convinta che ormai niente avesse più importanza. Nè la rabbia che provava per Jimmy in quel momento, né tutto il resto. Era tutto senza importanza, perchè niente le avrebbe riportato indietro Matt.
“Gran parte, ma è sufficiente”
“May ha ragione. Non ha senso compiangere una persona che hai amato soltanto per un paio di settimane”
“E ha senso rimpiangere l'amore di un anno? Rimpiangere ciò che è stato rotto e che non potrà più essere riaggiustato?”
Jennifer non rispose, ma sapeva ciò a cui James alludeva.
“Oggi ho provato a uccidermi, ma qualcosa mi ha fermato. Mi sono ingoiata otto pillole di Valium con del rum, e, proprio sul più bello, ho vomitato tutto. Non ero pronta a morire”
“Nessuno è pronto a morire” le sorrise amaramente Jimmy, con gli occhi lucidi “Che cosa... ti ha fermata?”
“Nessuno mi ha mai abbracciata come oggi ha fatto la madre di Matt. Quell'abbraccio mi ha... riaggiustata. Anche il tuo abbraccio lo ha fatto, la prima volta che ti ho rivisto ad Huntington Beach. Gli abbracci aggiustano le persone

 

 

Jennifer e Jimmy rimasero in ottimi rapporti, nonostante quest'ultimo desiderasse in cuor suo che le cose tornassero com'erano un anno prima. 
Ha davvero senso rimpiangere una persona che si ha amato per poco ma così intensamente da rimanere quasi... storditi? Per jennifer Matt non è mai veramente morto. Tutte le notti, le capita di incontrarlo nei sogni più profondi, lui le tende la mano, lei la afferra. Questo la fa destare con il sorriso. Nessuno è pronto a morire, perchè nessuno è mai morto davvero. Il suo ricordo continua a vivere, e, fino a che rimarrà anche soltanto una persona a tenere vivo il suo ricordo, questa persona non sarà mai del tutto morta. E' in questo modo che Jennifer va avanti. Lei sa che il suo amore per Matt andrà avanti fino alla fine. Ogni tanto, Johnny le da qualche lezione di basso, essendo quel ragazzo un vero talento per quello strumento, di cui Jennifer si è col tempo completamente innamorata. E' una pessima bassista, ma a Johnny piace far finta che sia davvero brava; le confesserà di avere una cotta per lei dal primo momento in cui l'ha vista soltanto dieci anni dopo, nel 2013. 

May invece, sotto consiglio del padre di Brian, tenne il bambino. Lo crebbe da sola. Dopo ciò che la giovane madre aveva detto a Jennifer, il loro rapporto non tornò mai come prima. Era buffo come le due ragazze avessero finito per legare per il medesimo carattere che le aveva unite, così timido e riservato ma allo stesso tempo impulsivo e determinato, e che ora, per lo stesso motivo, le due erano si fossero allontanate. Anche lei applica alla lettera il principio di tener vivo il ricordo: tutte le mattine, infatti, lei apparecchia per tre, posiziona il giornale sempre nello stesso posto e anche adesso, che ormai Charlie ha dodici anni, ha lasciato il dopo barba e il suo spazzolino ancora lì dove erano la mattina dell'incidente. Tutte le sere, May racconta a Charlie di suo padre, di quanto fosse simpatico, di come avesse sempre la battuta pronta, di quanto fosse bravo a rimediare ai propri errori e, soprattutto, di che straordinario chitarrista lui fosse stato. A nessuno è permesso entrare nella stanza della chitarre di Synyster Gates, quella in cantina. A May piace mantenere in vita persino le vecchie e scomode regole del suo quasi marito, e questo ce lo ha sempre raccontato con il sorriso. 

Zacky ed Amy si sono sposati dopo sette anni di fidanzamento. Quella ragazza gli ha fatto perdere la testa come ai tempi delle superiori, e lui è pazzo di lei proprio come lo era allora: niente è mai cambiato per lui. Anche loro si impegnano a mantenere vivo il ricordo di Matt e Brian. Gli Avenged Sevenfold ci sono ancora, non si sono sciolti, non hanno smesso di provare, per Zacky. Nessuno parla di quella band come un triste ricordo, ma come una fedele realtà. Si va avanti nonostante tutto, perchè si sa che gli Avenged Sevenfold esisteranno fino alla fine.



 

Note dell'autrice isterica e che sta dando fuori di matto:

Sono finalmente riuscita a finire questo tumore che mi porto dietro da dicembre, alleluja! Che poi, la prima parte (ma tipo dieci righe) le ho scritte una sera in cui avevo voglia di farlo ma zero ispirazione, circa una settimana fa, e tutte le altre sette pagine le ho scritte tra ieri sera (dalle otto alle dieci) e stamattina (perchè appunto sono a casa con la nausea, manco fossi incinta)
Okay, prima di mettere definitivamente la parola fine a questa ehm storia, devo prima farvi chiari alcuni punti:
a) la trama è abbastanza scontata, soprattutto inconfronto alle altre storie che ho in serbo per voi, cari lettori, quindi vi chiedo gentilmente e pazientemente di portare pazienza con me. Sono sicura che le prossime storie non vi deluderanno affatto, ma anzi avevo una mezza idea di pubblicare la nuova ff una volta terminata questa, anche se soltanto il primo capitolo.
b) inizialmente, questa storia è nata per portare avanti l'idea della droga nel bicchiere con la quale avevo intenzione di terminare la prima prima prima ff che ho scritto su efp (sì, ho partorito qualcosa di più atroce di questo), che però avevo cancellato perchè mi si erano cancellati tutti i capitoli, che peccato. Dato che poi questa scelta di trama mi era abbastanza piaciuta, avevo avuto intenzione di scriverne un'altra e riportare gli stessi fatti in quella lì (che poi sarebbe questa qui), nonostante abbia fatto una cagata assurda perchè potevo benissimo mettere tutta questa faccenda in Bloodline in un'altra versione, ma pazienza.
c) ho portato avanti questa storia solamente perchè non mi piace lasciare le cose a metà.

Addio ragazzi, grazie per aver avuto pazienza con me, ve ne sarò per sempre grata. A breve, appena avrò voglia di scriverla, pubblicherò anche una one shot di cui mi allettava l'idea (serve anche che vi dica su chi sarà? Credo proprio di no). Quindi, detto questo, alla prossima!
Un bacione.

 

-Giorgia

 




Ovviamente scherzavo, non è finita qui:
La frase alla fine la voglio dedicare a Federica, che su efp si chiama Lonni. Quest'inverno l'ho incontrata, di nascosto, e nonostante il mare di casini che poi ho combinato quando mia madre lo è venuta a sapere, non potevo che essere soddisfatta di aver incontrato una ragazza così. Fanculo tutto il resto. Prima di salutarci, io e lei ci siamo abbracciate. Ho collegato tutto questo a quell'abbraccio. Anzi, a dire il vero, fino alle nove e mezza della sera prima volevo che Jennifer morisse, avevo anche in mente la frase ad effetto con cui terminare il capitolo, che è anche il titolo di questo capitolo (che ho lasciato per trarvi in inganno), poi, però, mi è venuta in mente lei. Non so quanto sia chiaro questo discorso, però ho pensato che fosse comunque giusto farlo. Forse perchè sono le dieci e ho già un sonno del diavolo, chi lo sa, o forse perchè era davvero tempo di dire le cose come stanno. È che a me dispiace un po' per tutto, agisco di impulso e sono un po' fuori di testa, però davvero volevo che Federica sapesse quanto le voglio bene, che per me lei è un'amica speciale e che non merita una stronza come me. E boh, tralasciate questa nota scritta tutta d'un fiato e senza che nemmeno venisse prima riletta, perchè sono appunto le dieci e questo è l'orario in cui di solito comincio a sbiellare (che dico, io sbliello tutto il giorno). Forse perchè semplicemente stasera sono ispirata.
Scusami Fede, ti voglio bene comunque, e non so quanto possa servire tutto questo, però sappi che davvero, a me il tuo abbraccio è rimasto impresso. E grazie per la tua pazienza, boh, ho terminato l'ispirazione.

 

 

Praticamente metà capitolo è una dedica, okay. Però voi mi amate lo stesso, vero?

   
 
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