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Autore: Isbazia    30/03/2015    2 recensioni
Osir gonplei nou ste odon (la nostra battaglia non è finita) ripercorre il rapporto tra Clarke, leader degli sky people, e Lexa, Comandante dei grounders. La storia si sviluppa dopo gli eventi della guerra contro Mount Weather, partendo da un finale diverso rispetto all'originale del season finale della serie tv. Qui infatti si vedranno Clarke tornata al campo Jaha e la popolazione di Mount Weather ancora in vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lincoln, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“La tua gente mi odia, Clarke. Stanno facendo a gara per uccidermi!” sbottò Lexa in preda all’agitazione, guardando Clarke dritta negli occhi. Il cuore le batteva all’impazzata.
Dentro la tenda l’aria si era fatta elettrica, si percepiva la tensione di tutti i presenti.

Erano passati pochi giorni dalla notte nella foresta, e la situazione a Camp Jaha era peggiorata notevolmente. Secondo delle voci, si erano venute a formare delle piccole fazioni che in incognito organizzavano diversivi per sabotare la presenza Lexa tra la gente dell’Arca. Clarke aveva sempre percepito un certo livello di astio da parte del suo popolo, e, dopo il recente tentato avvelenamento, aveva cominciato a pensare seriamente che dietro quel gesto folle ci fosse qualcosa di più. La conferma gli era arrivata da Raven che, avendo avuto contatti con la maggior parte dei 44, era riuscita ad avere informazioni attendibili sull’effettiva esistenza di questi gruppi organizzati. Clarke aveva voluto evitare di portare la cosa all’attenzione dei capi, tra cui sua madre, ma le cose andavano sempre peggio, soprattutto ora che Lexa era stata aggredita fisicamente.

“Ascoltami, non lascerò che questa situazione vada avanti” disse Clarke con tono deciso. La sua espressione era dura, quasi quanto quella di Lexa.
“Clarke, la cosa ci sta sfuggendo di mano. Se questi idioti arrivano a corrompere i piani alti, non potremo più fare molto” intervenne Octavia, facendo notare la gravità della situazione. Lexa ora spostava lo sguardo da Clarke ad Octavia, in attesa che qualcuno prendesse di nuovo la parola.
“Beh, scusate la franchezza, ma non possiamo dargli torto”. Raven avanzò accanto a Clarke e lanciò un’occhiata di sfida a Lexa. 
Tutti si girarono a guardarla con espressione interrogativa.
“La sua simpatica scelta di lasciarci morire a Mounth Weather ha segnato molte persone. Vogliono solo vendetta” continuò lei tranquillamente.
Lexa cambiò improvvisamente espressione. Era stata colpita in pieno da quelle parole. Subito il senso di colpa riaffiorò dentro di lei. Quel senso di colpa che fino a quel momento era stato placato, grazie soprattutto a Clarke, ora le tornava a bruciare dentro. Strinse le labbra e abbassò lo sguardo.
“La vendetta non è una soluzione. Noi non agiamo in questo modo. Lexa è sotto la mia protezione, nessuno può discutere le mie decisioni”. 
Clarke era di una serietà particolarmente convincente. La sua determinazione traspariva dallo sguardo intenso che aveva rivolto a Raven.

La tensione continuava ad aumentare. Raven ora aveva indietreggiato, appoggiandosi al tavolo dietro di lei, incrociando le braccia. Octavia spostava lo sguardo da Clarke a Lexa, con evidente agitazione. Clarke si era avvicinata a Lexa. Con tocco leggero fece scorrere le dita sul taglio che aveva sulla fronte, studiandolo con attenzione. Lexa era visivamente a disagio, non si era ancora abituata a lasciarsi curare da qualcun altro, ma sapeva bene che con Clarke non c’era discussione, l’avrebbe fatto comunque.
“Non è molto profondo, non servono punti” sentenziò dopo aver osservato la ferita. “Va disinfettato però, non sappiamo se la lama era impregnata di qualcosa”.
“Se voi piccioncini volete scusarmi io avrei del lavoro da fare” la interruppe Raven, alzando un sopracciglio, rassegnata.
Con un gesto del capo Clarke la congedò. Octavia la seguì fuori dalla tenda, accennando un saluto alle altre con espressione comprensiva. Lo sguardo di Clarke tornò su Lexa, che rimaneva in silenzio. Era riuscita a calmarsi, e ora si era seduta sull’estremità del letto, con le braccia appoggiate alle ginocchia. Clarke si spostò dal lato opposto, verso il bancone dove teneva alcune attrezzature mediche. In velocità strappò un pezzo di garza, lo bagnò con del liquido disinfettante e raggiunse Lexa, fermandosi in piedi davanti a lei. Con delicatezza le sollevò leggermente il volto e cominciò a tamponare la ferita con la garza. I suoi occhi seguivano i movimenti della sua mano, come un vero e proprio dottore, attenta a non aprire ulteriormente il taglio. Il liquido disinfettante bruciava, ma Lexa sembrava sopportare il dolore con non troppa fatica.
“Non hanno il diritto di comportarsi così” cominciò Clarke, tenendo lo sguardo sempre sulla ferita.
“Invece lo hanno, Clarke. Raven ha ragione. Jus drein jus daun” commentò Lexa, chiudendo gli occhi.
Clarke si fermò un attimo e spostò lo sguardo su di lei.
“Quello che è successo a Mount Weather è già stato discusso, non puoi più essere il capro espiatorio di questa situazione” rispose infastidita.
Lexa aprì gli occhi. Con un movimento svelto allontanò la mano di Clarke e scattò in piedi.
“Io ho preso quella decisione, Clarke! L’ho presa per me e per il mio popolo, ma anche per il tuo. Ho deciso per tutti voi, senza la necessità di essere il vostro capo. Non ne avevo alcun diritto, non sono il vostro Comandante”.
Clarke aveva indietreggiato. Guardava Lexa intimorita, era la prima volta che la vedeva così agitata da molto tempo. La guardava dritta negli occhi, ma faceva difficoltà a sostenere il suo sguardo. Si sentiva a disagio. Sapeva che Lexa aveva ragione, ma sperava che le cose fossero cambiate ormai. Per lei lo erano, ma ora le sembrava di combattere quella battaglia da sola. La sua espressione faceva trasparire quella sensazione di sconfitta, e le parole non trovavano il modo di uscire.
“Tu più di chiunque altro dovresti capire quello che stanno provando tutti loro. Hai provato le stesse cose anche tu” continuò Lexa, ora con tono di voce più bassa. Clarke la guardò con espressione interrogativa. “Ti sei sentita tradita anche tu, lo so. Non mi stupirebbe sapere che hai potuto pensare ad un modo per vendicarti” concluse Lexa, abbassando lo sguardo.
Quelle parole fecero scattare qualcosa dentro Clarke, che subito avanzò verso di lei e con un movimento deciso, ma non violento, le sollevò il volto e la costrinse a guardarla negli occhi.
“Non lo avrei mai fatto. Ammetto di aver provato tutto quello che stanno provando loro adesso, ma il mio giudizio era condizionato dai miei sentimenti personali. Sapevo bene che qualsiasi decisione avessi preso in quel momento sarebbe stata stupida e che me ne sarei pentita”.
Le sue parole furono chiare e dirette. Il suo sguardo era fisso negli occhi di Lexa.
“Hodnes laik kwelnes” scandì sottovoce Lexa, sostenendo decisa lo sguardo di Clarke. “Stai perdendo l’appoggio del tuo popolo a causa mia. Nessuno è più disposto ad ascoltarti se l’argomento in questione sono io. Questo non va bene, Clarke. Hai guidato questa gente per mesi, guadagnandoti un rispetto profondo da parte di tutti. Sei ancora il loro leader, dimostralo”.
L’espressione di Clarke mutò improvvisamente. Un miscuglio di emozioni si fece spazio dentro di lei, dallo stupore alla confusione, dall’ansia al dolore. Quelle parole contenevano tanta tristezza quanta verità. Clarke sapeva di aver perso credibilità tra il suo popolo nell’esatto momento in cui aveva pubblicamente annunciato la permanenza di Lexa a Camp Jaha. Certamente non tutti covavano l’odio profondo che questi gruppi organizzati avevano dimostrato negli ultimi giorni, ma sapeva di non avere più la loro simpatia, non di meno il loro rispetto assoluto, non più ormai. Non aveva modo di tornare ad essere il loro leader, non se questo avrebbe comportato abbandonare Lexa nelle loro mani.
“Non ho alcuna intenzione di lasciarti in pasto a loro” commentò lei, ingoiando il magone che aveva in gola.
D’improvviso una strana idea le balenò in mente e sgranò gli occhi.
“Aspetta. Un modo per costringerli a starti alla larga c’è…” si voltò verso il tavolo e cominciò a cercare tra i fogli sparpagliati.
Lexa era confusa, non aveva idea di quale potesse essere questa soluzione che Clarke credeva di aver trovato.
“Eccolo!” sbottò Clarke, tenendo in mano un blocco di fogli scritti a mano. Lexa la guardava con espressione interrogativa.
“Regola numero 17, qualsiasi tipo di comportamento che possa nuocere alla salute di un membro dell’Arca, o a quella di eventuali membri a lui sentimentalmente legati, sarà punito con l’incarcerazione” lesse attentamente Clarke, rivolgendo poi lo sguardo verso Lexa, in cerca di un riscontro.
“Non capisco, come potrebbe aiutare me questa cosa? Nessuno mi considera un membro dell’Arca” chiese sempre più confusa Lexa.
“No, sono io il membro dell’Arca in questione! Basterebbe dire a tutti che il nostro rapporto non è di sola semplice complicità e comportarci di conseguenza” spiegò Clarke, agitando i fogli che teneva stretti in mano.
Lexa sollevò leggermente il capo. Ora capiva il piano di Clarke. Fingere una relazione per permetterle di restare a Camp Jaha senza rischiare la morte. Qualcosa di strano si mosse dentro di lei. Il cuore cominciò a batterle velocemente e il sangue si fece strada veloce dritto fino alla testa.
“Due persone dovrebbero stare insieme perché lo vogliono, non perché sono costrette” intervenne lei, trattenendo la rabbia che le ribolliva nel sangue. “Tutto questo è ridicolo”.
“Lexa, è l’unico modo per tenerti qui al sicuro, quello che provo non c’entra niente…” provò a risponderle Clarke, avvicinandosi a lei in cerca di comprensione. Lexa indietreggiò prontamente. L’espressione sul suo volto era terribilmente seria.
“Non vivrò una menzogna per salvarmi la pelle. E non lo farai neanche tu” sentenziò decisa, guardando Clarke dritta negli occhi. Con un movimento deciso fece un passo verso l’uscita della tenda, oltrepassando Clarke, che in velocità la bloccò prendendole il braccio.
“Lexa…cerco solo di salvarti la vita” provò a spiegarle.
“Non così, Clarke” rispose lei senza battere ciglio. 
Svelta si liberò dalla presa sul braccio e uscì dalla tenda, lasciando Clarke immobile davanti al tavolo, con sguardo perso.

Per un attimo l’era parso di aver trovato la soluzione adatta a quel problema, credeva di poter creare questo compromesso con Lexa, d’altronde non sarebbe stata del tutto una finzione. Dopo la notte nella foresta entrambe avevano deciso di non porsi alcun tipo di limite nel loro rapporto, di non mettere delle barriere, di non stabilire nulla di ufficiale, in modo da evitare qualcosa di troppo affrettato. Le cose dovevano evolversi da sole, Clarke aveva bisogno di tempo per realizzare materialmente tutto ciò che provava, per riuscire a far conciliare la mente con il cuore, e Lexa glielo aveva concesso con tranquillità, perché sapeva quanto potesse essere difficile per lei affrontare questa cosa. I sentimenti c’erano, erano reali, da parte di entrambe; Lexa aveva soltanto più familiarità con la cosa. Clarke sapeva che ricorrere alla regola 17 non era una delle soluzioni migliori, ma non c’era alternativa, non se voleva evitare di coinvolgere i capi. Portare la questione ai piani alti significava metterli al corrente delle ultime vicende, delle motivazioni e delle possibili reazioni, il tutto sperando che nessuno di loro fosse già stato corrotto. Nella migliore delle ipotesi avrebbero esiliato Lexa definitivamente, e a quel punto Clarke si sarebbe trovata di fronte ad una questione ancora più grande: scegliere tra lei e il suo popolo.
   
 
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