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Autore: AnyaTheThief    31/03/2015    2 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Viktoria camminava a passo spedito. Forse troppo spedito. Rallentò bruscamente, quando si rese conto che avrebbe potuto dare troppo nell'occhio in quella maniera.
Qualsiasi rumore le pareva amplificato: il calpestio dei suoi stivaletti, il frullare delle ali di alcuni piccioni che si alzavano in volo al suo passaggio, il chiacchiericcio delle donne che uscivano dalle fabbriche, persino lo sventolare del suo vestito.

Si era messa il più scuro che avesse, accollato, lungo, i capelli raccolti in una crocchia dall'aria anonima. Era così che doveva apparire, anonima e sicura. Ma non aveva mai dovuto fare nulla del genere.

“Eva non potrebbe mai farlo.” le aveva detto il padre, al suo reclamo, “non vedi come abbassa sempre la testa? Sarebbe troppo sospetta.”

E come dargli torto? Era assolutamente vero, sua sorella non era per nulla adatta a questo tipo di “missione”, se così si poteva chiamare.

Invece Viktoria procedeva come sempre a testa alta, ignorando i tedeschi che se ne stavano di solito appostati ai lati delle strade, pronti ad attaccare briga; ma per quanto la ragazza fosse attraente ed appetibile ai loro occhi, senza un filo di trucco sembrava così giovane da farli desistere dall'approcciarla anche solo per un semplice controllo.

E cosa avrebbero avuto da controllare, dopotutto? Non portava con sé nient'altro che un banale cestino di vimini coperto da un tovagliolo blu, ma si poteva facilmente intuire cosa contenesse: il collo di una bottiglia di vino faceva capolino da sotto il panno.

Sorrise quando vide venirle incontro un operaio della fabbrica di suo padre che spesso era andato a cena a casa loro assieme a sua moglie, un'adorabile ragazza dal buffo accento italiano. Sapeva cosa doveva fare.

“Carissima Viktoria.” la salutò l'uomo, allargando le braccia con aria gioviale.

“Salve, signor Leitner!” esclamò, fingendosi sorpresa. Le riuscì piuttosto bene, a dire il vero. Suo padre l'aveva messa al corrente dell'eventualità che avrebbe potuto incontrare alcuni suoi operai; dopotutto era orario di chiusura. Ma era inevitabile: non sarebbe potuta uscire troppo tardi, perché stava quasi per fare buio, e i tedeschi diventavano più sospettosi quando vedevano qualcuno girare di notte.

“Ho saputo di tuo padre. Come sta ora?” domandò l'uomo con aria affranta.

“Molto meglio. Tornerà presto.” lo rassicurò lei.
Mentre la loro conversazione dai toni poco impegnativi proseguiva, Viktoria non mancò di tenere d'occhio la situazione attorno a loro: contò una decina di operai con la divisa della fabbrica di suo padre passare nella stessa via, prima di congedarsi dal suo interlocutore. Era certa che non ne avrebbe incontrati più avanzando verso la fabbrica.

“Ma dove vai a quest'ora?” domandò il signor Leitner.

“Ah, come se non bastasse mio padre...! Anche la nostra vecchia zia si è ammalata. Le sto portando un paio di cose da mangiare...” spiegò con naturalezza, accennando al cestino e sollevando persino il tovagliolo per mostrargli che il cestino conteneva un paio di mele, della frutta secca, del pane e del formaggio, oltre alla bottiglia di vino.

“Bene, allora ti lascio alla tua visita. Ti accompagnerei, sai, ma poi Letizia si preoccupa se torno tardi!”

“Non si preoccupi, me la cavo benissimo! Arrivederci, porti i miei saluti a sua moglie.” lo salutò con calma, senza accennare al minimo segnale di impazienza, altro errore che invece Eva avrebbe commesso. Suo padre le aveva imposto di parlare proprio con quell'uomo, tra tutti i suoi operai, per il semplice fatto che conosceva bene sia lui che sua moglie e sapeva che Letizia si preoccupava sempre troppo per il marito, e che lui si preoccupava sempre troppo di farla stare in ansia. Così non si sarebbe mai offerto di accompagnarla.

Viktoria allungò leggermente il passo. Una leggera impazienza guidata più che altro dalla curiosità, trapelava in quel momento dalle sue movenze. Ma per fortuna non c'era nessun soldato in vista.

La fabbrica di suo padre non era molto grande, ma grande abbastanza per ospitare una decina di operai e due dirigenti, oltre a tre macchinari molto imponenti, che le incutevano sempre un po' di timore. Dall'esterno appariva come un edificio un po' cupo, grigio, con molte finestre che davano sulla strada. Era giunta la parte difficile.

Si guardò attorno centinaia di volte, fino a quando fu sicura al cento per cento che nessuno le stesse prestando attenzione. In quella zona un po' periferica per fortuna non molta gente passeggiava a quell'ora, e di solito comunque non c'erano molti tedeschi in giro. L'ultimo gruppo lo aveva visto 500 metri più indietro.

Infilò la chiave nel portone con movimenti attenti, rapidi e sicuri, come se lo avesse già fatto un milione di volte prima, e la fece girare. Si richiuse la porta alle spalle, controllando di nuovo che nessuno l'avesse vista.

La luce penetrava ancora dalle finestre, quindi anche se le lampade erano spente poteva vedere piuttosto chiaramente. Con passo un po' titubante attraversò la grande sala con i macchinari spenti, guardandosi attorno come se uno di essi avesse potuto prendere vita ed assalirla da un momento all'altro. Entrò nell'ufficio di suo padre e richiuse la porta.
Non era per niente sicura di ciò che stava facendo, ma pensò che se fosse stato pericoloso suo padre non le avrebbe mai affidato un compito del genere. Gli occhi rimbalzarono veloci da una parte all'altra della stanza, poi si bloccarono sul tappeto. Quel tappeto dava l'impressione di essere stato calpestato qualche centinaia di volte di troppo; era liso in alcuni punti, aveva una macchia di inchiostro blu su un angolo ed era scolorito in qualche sua parte.

Ma eccola lì, infine, pronta a scoprire un grande segreto. Ripensò a tutte le volte in quei mesi in cui era andata a trovare suo padre al lavoro, ed era stato sempre sotto i suoi occhi... Ma d'altronde non avrebbe mai e poi mai immaginare una cosa del genere.

Era sua madre l'eroina. Quella che non poteva tollerare le ingiustizie. Suo padre era quello che si voltava dall'altra parte, e poi si sfogava in casa contro la radio. Viktoria era un buon compromesso tra i due. Eva era come il padre. O almeno così aveva pensato fino a quel momento.

Camminò avanti e indietro per qualche secondo attorno al tappeto, poi provò a calpestarlo. Nonostante fosse così consumato, faceva ancora il suo lavoro: nessuno avrebbe mai immaginato di star passeggiando sul coperchio in legno di una botola ben celata.

Guardò verso la finestra, ma le tende lasciavano passare giusto quel poco di luce che bastava per permetterle di vedere, senza che gli altri da fuori potessero scorgerla.

Si mise a carponi e scostò il tappeto. Era proprio lì. Per qualche assurdo motivo si immaginava di non trovarcela, e invece esisteva davvero. Senza ulteriori tentennamenti – ormai la sua curiosità aveva prevalso su tutto il resto – infilò le dita nell'anello di metallo e tirò forte.

Si alzò un po' di polvere, ma Viktoria vide una paio di scalini e quando si sporse si rese conto che altri si susseguivano. Per precauzione prese con sé una lampada ad olio dalla scrivania e l'accese: sembrava molto più buio laggiù, tanto che anche con la lampada i suoi occhi fecero fatica ad abituarsi. Scese non più di dieci scalini, prima di riuscire a darsi un'occhiata attorno. Erano così irregolari che non guardava nient'altro se non i suoi piedi per paura di inciampare. L'ambiente era umido, c'era un forte odore di cantina, probabilmente perché era quello lo scopo al quale era adibita quella stanza prima che suo padre comprasse lo stabile.

Era stata avvertita anche di questa possibilità. Apparentemente, infatti, la stanza era vuota. E anche piuttosto spoglia, pensò. Gli unici mobili consistevano in un letto disfatto a ridosso del muro, uno scaffale con pochi libri, un tavolino ed una sedia. Sul tavolo erano sparsi alcuni fogli, un pennino, inchiostro, una matita e molti pezzi di carboncino. Vide che un po' di luce penetrava da una sottile fessura appena sotto il soffitto. una finestrella che dava sul cortile interno dello stabile, ma che restava sempre deserto tranne che all'ora di pranzo durante le belle giornate. Notò un'altra porta accanto allo scaffale.

La curiosità era tanta, moltissima, ma seguì il consiglio di suo padre ed appoggiò il cesto sul gradino più basso. Aspettò qualche istante. Non riusciva a capire se quel posto le infondesse un'estrema tristezza, una leggera inquietudine o una sensazione di calore, nonostante fosse decisamente più fresco del piano superiore.

A malincuore, si voltò e fece per risalire le scale.

“Aspetti, la prego!” una voce la fece sussultare e voltare di scatto, mentre tendeva la lampada davanti a sé quasi come fosse un'arma.

Un uomo uscì dall'oscurità. In un angolo dove prima non c'era nessuno, era comparso un ragazzo con le mani aperte in segno di resa ed un sorriso rassicurante.

“Mi perdoni.” esordì. “Penso che mi possa capire se le dico che mi sono preso un bello spavento quando l'ho sentita entrare.” continuò, avanzando verso di lei.

Viktoria restava immobile sul terzo gradino della scala, ma non aveva paura. Anzi, era sempre più curiosa di poterlo vedere meglio in viso. Doveva essere di qualche anno più grande di lei, ma forse le condizioni di vita avevano influito negativamente sul suo aspetto, invecchiandolo più velocemente del dovuto. I capelli castani le parvero insoliti: sembravano più lunghi sul davanti, ma guardando meglio si rese conto che un nastro riusciva appena a contenerli in una piccola coda. Portava la barba e i baffi incolti ma non troppo lunghi, quel tanto da far pensare a Viktoria che avesse comunque la possibilità di radersi, di tanto in tanto. Sulla camicia bianca spiccavano due bretelle scure e sulla sua manica, cucita alla buona, una stella gialla a sette punte.

Quando l'uomo le fu abbastanza vicino da poterla vedere chiaramente, rimase impietrito per qualche istante. Poi le sorrise di nuovo e fece qualcosa che a Viktoria sarebbe potuta sembrare l'azione più strampalata, ma che invece le infuse una calma innaturale: appoggiando un piede sul secondo gradino ed il ginocchio opposto sul primo, senza mai distogliere lo sguardo dal suo volto, le prese la mano destra e la baciò.

 

  
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