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Autore: Giulie Asghibif    31/03/2015    1 recensioni
Sulla Nuova Generazione di Harry Potter.
{dal testo del prologo}
Da quando, essere adolescente è una cosa “semplice”?
Certo, si tratta solamente del primo scoglio, quello che tutti devono superare in un modo o nell’altro. E se si chiedesse ad un genitore, probabilmente si riceverebbe una rispostaccia, della serie ‘Baggianate! Aspetta di arrivare alla mia età, e poi solo allora ne potremmo riparlare’.
Ma da quando, essere il figlio adolescente di Harry Potter è una cosa “semplice”?
Albus Severus Potter ha tutto ciò di cui un ragazzo ha bisogno: una famiglia che lo ama, amici che lo sostengono in tutto ciò che fa.
[...] Delle considerazioni, la verità unita all’accettazione, e poi la solitudine e la mancanza.
Perché in amore e in guerra, tutto è lecito, anche se le conseguenze sono più disarmanti di un Expelliarmus ben piazzato
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Ringraziamenti di inizio capitolo: Mi sento come agli oscar waa! Btw– ringrazio Ciulia, che mi ha permesso di usare il personaggio di MafaldaMuffin, essenziale per il personaggio di Albus, sperando di riuscire a renderne un terzo della dolcezza e della bellezza. Ringrazio anche Alessia, che ancora una volta ha ascoltato le mille perplessità che avevo, che mi ha aiutata a perfezionare un pezzo dell'ultima parte, e che mi ha aiutata a determinare alcuni particolari essenziali. E, infine, ringrazio 'Lice, la mia migliore amica, che probabilmente non leggerà mai, ma che è stata la prima a cui ho letto il capitolo (per metà). E grazie anche a te, che stai leggendo, e a te, che deciderai di recensire. Per me significa davvero tantissimo. 
Grazie a voi, bellissime creature



Disarming as an Expelliarmus

Capitolo 1

An Unhappy, Unexpected Reality.

 

 

“ Dreams are my reality, I like to dream of you close to me 

I dream of loving in the night 

and loving you seems right 

perhaps that's my reality. ”

-Reality 

 

 

 

“ [ … ] É per questo e per altri motivi (che preferisco spiegarti a voce), che il prossimo anno non sarò ad Hogwarts.

Spero tu possa capire, e che tu possa non odiarmi, siccome continui ad essere uno dei miei più cari amici.

 

Un abbraccio forte, in attesa di poterti rivedere presto. Non mangiare troppa pizza in mia assenza!

Tua,

 

Mafalda Isla Rogers ”

 

 

Albus aveva già riletto troppe volte quelle poche righe che concludevano una lettera altrettanto straziante, dal suo punto di vista. Gli era stata consegnata da un gufo un po’ spennacchiato il giorno prima, ma ancora continuava a non riuscire a credere a quello che vi era scritto. Aveva pensato, la prima volta, che si trattasse solamente di uno scherzo, prima di rendersi conto che no, non era tipico dell’amica scherzare in quel modo su questioni tanto importanti.

Era stato un vero e proprio colpo al cuore, benché nemmeno una lacrima gli solcò le gote candide; non era suo solito lasciarsi andare in quel modo, era capace di controllarsi e di contenersi fantasticamente.

 

« Lo saprà che continuare a leggere quel pezzo di carta non cambierà assolutamente le cose, vero? »

 

La voce seccata di Dominique proveniva da fuori la porta aperta della stanza, quella in cui il ragazzo aveva dormito per gran parte di quell’estate. L’aveva sentita, l’aveva sentita benissimo, ma non voleva rispondere siccome non sarebbe nemmeno stato capace di trovare le parole. Si limitò a restare sdraiato nel suo letto, sopra alle coperte, i piedi scalzi poggiati sul cuscino.

Un sospiro provenne dalla stessa direzione. Questa volta, però, fu il turno di Rose, l’altra cugina incaricata di andarlo a chiamare per la cena, di dare il suo parere sulla questione

 

« Non lo so, Domi. Non lo so. » sussurrò la rossa, nel tentativo di non venir sentita (tentativo completamente schivato dalla prima). Odiava vederlo in quello stato, ma ancora di più odiava il fatto che non facesse nemmeno un tentativo per riprendersi.

Non pensò nemmeno a quello che stava facendo, quando entrò di botto nella camera, mettendosi in piedi accanto alla testa del cugino.

 

« Al, devi scendere. Nonna ha detto che è pronto, e che se salti ancora una volta un pasto, inizierà a preoccuparsi seriamente e a farti mangiare d’obbligo. »

 

Silenzio, fu ciò che ricevette in risposta. Sentiva che non sarebbe riuscita a mantenere a lungo quel tono calmo.

 

« Albus, avanti! La nonna ha pure fatto l’arrosto come ti piace. » 

 

Un mugolio senza alcun senso, provenne dal letto dopo l’affermazione della ragazza. Non avrebbe gettato la spugna in quel modo, Rose Weasley non si arrendeva mai con così tanta facilità.

 

« Albus, ascoltami molto attentamente, siccome so che lo stai facendo. Non puoi continuare così, non fa bene a te, e non fa bene a nessuno. Quindi vedi di alzarti, sorridere, e scendere a mangiare con tutta la tua famiglia. » Non voleva sembrare una ramanzina, il discorso della ragazza, era solo che il loro rapporto era fatto così, un po’ strano e a tratti criticabile, ma non c’era da mettere in dubbio il fatto che si volessero un bene dell’anima, e che avrebbero fatto di tutto, l’uno per l’altra.

 

« Ti devo prendere di peso, Al? Perché lo sai che lo faccio, se tu non–– »

Non riuscì a terminare la frase, che il ragazzo, facendo peso sul proprio braccio destro, si mise seduto prima di alzarsi in piedi, sovrastando con l’altezza la cugina che guardò negli occhi.

In risposta, lei accennò ad un sorriso, prima di cingergli le spalle con un braccio, andando in direzione della porta, dove una più che irritata Dominique stava ancora aspettando.

Rose aveva sempre avuto quello strano potere su di lui, riusciva a farlo ragionare quando nessun altro ne era in grado. Fin da quando erano venuti al mondo, il loro legame era stato molto forte. Certo, una volta a testa, si trovavano a dover riportare con i piedi per terra l’altro, ma alla fine dei conti era proprio quella la loro bellezza. 

 

 

 

« R-rose… I-io credo di non- non credo di essere a posto. »

La voce del ragazzo tremava ancora più di quella volta in cui si era trovato a dover parlare davanti a tutta una sala comune, al suo secondo anno.

Ma la parte sorprendente, a proposito di tutta quella questione, era il fatto che non riusciva a parlarne neppure a Rose, la sua Rose, la sua migliore amica da sedici anni a quella parte.
« Calmati, e dimmi esattamente quello che intendi dire, siccome te lo posso assicurare, non conosco persona più savia di te. »
Era sera, tarda sera, e il buio aveva completamente inghiottito qualunque cosa attorno a loro, attorno a quella panchina nel grosso cortile di pietra di Hogwarts. Nessuno dei due sapeva esattamente se il coprifuoco fosse già scattato, o fosse  lì lì per farlo. Ma non importava, in quel momento. Non importava a nessuno dei due.

Una troppo preoccupata dalle parole, e dal comportamento del cugino, uno finalmente deciso di farlo.

« N-no, non è vero questo. I-io non sono a pos-posto con me stesso. S-o di essere un totale disastro, m-ma ci ho fatto l’abitudine a questo. P-però– io c-credo c-che–– c–redo di e–e–essere–– »
Si bloccò, gli occhi pieni di lacrime puntati verso al cielo limpido.

« Albus… Per caso tu sei… Per caso tu sei gay? » 

Punto di rottura.
Le lacrime che aveva tentato di trattenere fino a quel momento, iniziarono a rigargli copiosamente le guance, bruciandogliele. Come faceva a saperlo di già? Come riusciva a capire sempre tutto ciò che lo riguardava con così tanta semplicità? Sempre, quand’era piccolo, era stato abilissimo nel non mostrarsi turbato da nulla. Gli veniva l’istinto di piangere, magari, ma piuttosto che farlo, preferiva farsi venire un mal di testa allucinante, quello delle emozioni trattenute per troppo tempo, e che in un modo o nell’altro devono farsi sentire.

Fu alla vista della prima lacrima, che la rossa comprese tutto. E fu sempre alla vista di questa prima fatidica lacrima, che le sue braccia andarono ad intrecciarsi dietro il suo collo, in un caldo e affettuoso abbraccio. Un’altra cosa nella quale erano simili, non amavano abbracciare.

« E per questo non devi sentirti a posto con te stesso, Albie? Solo perché sei riuscito a capire chi sei? Ti vorremmo sempre e comunque bene, ricordatelo, in qualunque caso, nessuno escluso. Ci saremo sempre, per te, e sai perché? Perché siamo una famiglia, ed è questo che fa una famiglia; ama incondizionatamente. »

 

 

 

 

****

 

 

 

Odio. Amarezza. Impotenza.

Che altro si poteva provare, in una circostanza come quella? Ma soprattutto, chi altro poteva provarlo, se non lei. Lei che si era impegnata per sei anni interi, che aveva ottenuto quasi tutte E ai suoi G.U.F.O. (escludendo una O e un paio di E+), e che in quel momento, seduta su una delle poltroncine del piccolo soggiorno della Tana, stringeva un misero pezzo di carta, senza alcun valore ai suoi occhi.

Frustrazione, ecco qual era il termine corretto da utilizzare. Lucy Weasley era frustrata, ed era frustrata perché le era caduto tutto il suo mondo addosso. Mondo fatto di successi, successi e basta. Successi accademici, sportivi e umanitari. Questo era ciò che le era da sempre stato insegnato da suo padre, non accontentarsi di nulla, e puntare direttamente alla perfezione.

Ma lì, in quel momento, da sola com’era, non riusciva a non pensare a chi potesse trovarsi a stringere quella spilletta tra le mani, quella che aveva sognato e atteso per sei interi e lunghi anni, senza ovviamente contare tutto il periodo della sua infanzia.

Perché non era diventata Caposcuola? Perché non le era stata consegnata la spilla, assieme alla lettera d’ammissione?

Odiava i fallimenti, Lucy, e anche i falliti.

 

Seduta con le ginocchia strette al petto, aveva gli occhi fissi da troppo tempo sul vetro della finestra, che rifletteva il suo volto turbato. Classica espressione e classica posizione alla Lucy. 

 

Luce? »

 

Con uno scatto rapido e netto, ruotò la testa di qualche grado, puntando questa volta lo sguardo sulla figura di Roxanne, che stringeva tra le mani due profonde tazze.

« Ti ho fatto un caffè, tieni. »

Allungò una delle due tazze verso la cugina, che non poté proprio rifiutare (era una caffeinomane di prima categoria), prima di mettersi a sedere sul piccolo tavolino di legno, difronte alla poltrona.

E la guardò, la studiò per interi secondi, prima di proferire parola. Quello era il suo potere segreto, il suo asso nella manica, lo sguardo; Roxanne Weasley era la regina indiscussa degli sguardi. Quelli fugaci, quelli profondi e indagatori, li coglieva tutti e ne coglieva le sfumature. Anni e anni di esperienza, ovviamente, l’avevano portata a quel livello.

 

Quindi… »

Quindi? » Rispose immediatamente seccata la prima, avendo evidentemente scoperto il piano dell’altra. « Non sarà una tazza di ottimo caffè, e uno dei tuoi sguardi a risolvere tutti i miei problemi. Quindi, se sei qui solo per questo, puoi benissimo andare a portare questa tazza ad Albus, siccome ho visto anche lui in difficoltà, poco prima. E anche perché non ho voglia di stare con ne– »

 Ma quanto parli? » Poco, pochissimo tatto. Classico. « Te la sei già presa altre volte, per cose del genere, ma questa volta… Sono sicura al 77,3% che ci sia qualcosa in più, sotto tutto questo. E al 100, che non ti saresti davvero staccata da quella tazzona di caffè. » Rispose a tono la Grifondoro. Finivano sempre nello stesso modo, le loro discussioni. Una che cercava di far valere la propria idea, e l’altra che non si limitava a far valere la propria, ma che tentava anche di stroncare quella “avversaria”.

 

É diverso, questa volta. »

Come? In che modo è diverso? »
« Lo è perché c’è di mezzo la carica di Caposcuola, Roxanne! Io ho sempre sognato di diventarlo, e ora? Riesci a immaginare quale demente potrà farlo al posto mio? »

Ah sì? Tutto qui? » Le sopracciglia sollevate, in un’espressione fintamente sorpresa. Il tatto non era proprio una sua caratteristica, ma non riusciva ad evitare di aprire la bocca e commentare con tutto ciò che le passava per la testa.

Dove vuoi andare a parare? »

Lo sai esattamente, non c’è bisogno che te lo dica. » Ruppe il ghiaccio, bevendo il primo sorso di caffè, mantenendo lo sguardo fisso sulla ragazza, che parve quasi tentennare. No, non poteva aver capito, aveva fatto attenzione a tutto, a fare in modo di non far trasparire nulla. Eppure… 

Non so di che cosa tu stia parlando, mi dispiace. » Imitò subito dopo quelle parole il gesto della cugina più piccola, facendo fuori in qualche sorso, metà del contenuto della tazza. Tentò di sembrare il più naturale possibile, dopotutto mentire spudoratamente non le veniva troppo complicato.
« Allora sarà stata solo una mia impressione, immagino. Sai, mi era sembrato proprio di averti vista guardare male tu-sai-chi. »

Roxanne, non hai nessun altro da infastidire, per caso? » Tagliò corto, cercando di liberarsi in fretta da quella situazione. « Bauli da fare? Lettere da scrivere? Gufi da nutrire? Nulla di nulla? »
« Ah, Lucy, Lucy, Lucy. » Alzò gli occhi al cielo, mentre pronunciava quelle parole. « Non cambierà comunque lo cose, che io sia qui, o non lo sia. La verità salta sempre a galla, non è così? » Da brava giornalista quale era, era sempre a caccia della purezza delle cose, da quelle semplici, a quelle più complesse. Non si riusciva ad accontentare di nulla, ma in quel momento, bhe, ciò che le serviva sapere lo aveva capito senza l’aiuto della cugina. « A dopo, Luce. »

 

Rimase ancora una volta da sola, questa volta più infastidita che amareggiata. Infastidita non per l’atteggiamento della Grifondoro, quanto più per il fatto di essere stata scoperta con tanta facilità.

Odiava perdere, e questo era un dato di fatto. 

 

 

 

 

****

 

 

 

E così, nel buio confuso di quel piccolo appartamento nel centro di Londra, Victoire si era trovata a pensare, seduta sul divano di seconda mano del soggiorno/cucina/camera degli ospiti. Era successo tutto così in fretta, senza nessun (o quasi) preavviso, come un fulmine a ciel sereno, e non poteva accusare nessun altro se non se stessa. Se stessa e basta. Tutto per quella sua mania di dover esprimere i suoi pensieri, tutto per quegli occhi che l’avevano sempre fatta sentire a casa, al sicuro, che la facevano ancora sentire a casa, nonostante la lontananza.

Ma se fosse potuta tornare indietro nel tempo, ne era certa, avrebbe rifatto tutto da capo, perché alla fine dei conti non ne era pentita, anzi. Dovevano essere sinceri tra di loro.

Era davvero l’oppressione ad averla portata ad una scelta tale? Aveva solo 22 anni, e già conviveva con l’uomo che la se di 15 anni avrebbe facilmente descritto come “quello della sua vita”. E lo aveva scaricato lei, gli aveva chiesto una pausa. Voleva vivere, vivere come una ventenne normale, le cui priorità sono lo studio, le amiche, e le avventure. Queste, prime tra tutte. 

Era una bella ragazza Victoire, e tale si sentiva (di certo non cercava di fare, come la maggior parte delle altre ragazze, la finta modesta), una bella ragazza che voleva sperimentare, voleva cambiare, voleva incontrare e conoscere. Tutte cose che, se fosse rimasta assieme a Ted, non sarebbe mai stata in grado di fare.

 

L’unica cosa che rimpiangeva, era stata averglielo detto poco prima che partisse per una missione, nel nord del Regno Unito. Sarebbe stato via per quelli che potevano anche essere mesi. Un po’ vigliacco, da parte di Victoire, da sempre l’essenza della perfetta Grifondoro, scatenare la bomba sapendo che comunque, male che fosse andata, non l’avrebbe più rivisto per un bel po’ di tempo.

Tutta colpa della sensazione di casa che, purtroppo per lei, si faceva sentire ancora nel profumo del suo armadio, nel profumo della sua metà di letto.

 

21:34

Davanti allo specchio rotondeggiante, appeso sopra al lavandino del microscopico bagno, la maggiore dei Weasley si stava raccogliendo i lunghi e biondi capelli in un’altissima e ordinata coda di cavallo. E vi rimase davanti per un minuto netto, guardandosi e basta, facendo apparire sulle sue rosee labbra un sorriso, che anche se fosse stato falso, nessuno lo avrebbe mai intuito o sospettato.

Infilò una giacchetta, e verificò di aver chiuso a chiave la porta dell’appartamento, prima di compiere un mezzo giro su se stessa, e abbandonare la stanza con un sonoro CRACK.

 

Barcollò, appoggiando male un piede a terra, ma subito riacquisto l’equilibrio (le succedeva sempre, quando si smaterializzava da sola, ci aveva fatto l’abitudine ormai), mettendosi a guardare dritto in direzione della finestrella illuminata in lontananza, quella della cucina. Aveva sempre fatto più freddo, lì, e stringendosi le braccia, camminò a passo sicuro verso l’abitazione, bussando flebilmente prima di aprire la porta, affacciando soltanto il viso.

 

Victoire cara, per l’amor del cielo, era ora ti facessi viva! Quanto tempo ancora pensavi di aspettare, prima di venire a trovare la tua famiglia? »

Con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio, nonna Weasley si era subito precipitata ad abbracciare la nipote, le mani appena asciugate nel grembiule, i piatti quasi tutti ordinati in pile, al lato del lavello.

È lo studio nonna, tutta colpa dello studio! Mi mancano pochi esami, prima di finire l’accademia Auror, e mi sto impegnando al massimo. »
« Brava, brava. Ricordo ancora quando a studiare era tuo zio Ron! Ah, non puoi immaginare quanto abbiamo dovuto lottare io e tuo nonno, per fargli prendere sul serio gli esami. » aveva ormai i capelli argentei, Molly, il rosso brillante che le aveva caratterizzato la chioma, si era ormai spento, lasciando il posto ad un colore più cupo. « Hai già mangiato cara? Perché posso prepararti qualcosa al volo. Purtroppo non è avanzato niente, dalla cena. Sai, conosci meglio di me la voracità di James, Fred e Hugo. » 

Ho mangiato d’asporto, non ti preoccupare. Sotto casa c’è un fantastico ristorante cinese, fantastico quando sei una frana ai fornelli come me e qualcosa la devi per forza mangiare. » Il sorriso già presente sul suo bel viso si fece più largo, e decise di appoggiarsi con il dorso ad uno dei banconi alti della stanza, mentre Molly riprese a sistemare le stoviglie, agitando la bacchetta a destra e a sinistra.

Ted sa cucinare molto bene, benché non ci provi troppo spesso. Non ti ha mai preparato quel delizioso roast beef in crosta di sale? »

 

 

 

 

Cosa vorresti dire? » Aveva un borsone nero sulla spalla destra, Ted Remus Lupin, ed era in piedi  nella parte di soggiorno della piccola stanza, accanto al divano di tessuto scolorito.

I capelli  violetti spettinati, e gli occhi puntati gelidi sulla figura snella di Victoire, in quel momento in piedi accanto ad uno dei due banconi della cucina.

«Io sono… Sono dell’idea che sia meglio per entrambi prenderci una pausa.»
L’aveva provato tanto, quel discorso, ma non avrebbe mai pensato sarebbe stato tanto difficile  una  volta di fronte a lui. 

«Io ti amo ancora.»

Guardava verso il basso, la bionda, mentre si torturava le labbra rosee con le dita affusolate. Lo amava anche lei ancora, forse. Non ne era più tanto sicura, come lo era stato fino a poco tempo prima. Affetto per lui lo provava di sicuro, era stato il suo primo e unico vero amore, e ormai stare con lui era diventato normale, una specie di sicura consuetudine.  Ma Victoire Weasley non le apprezzava così tanto, Victoire Weasley voleva sperimentare.

Dall’altro lato della stanza,  con le labbra corrugate e la mascella stretta, Ted stava annuendo, un’espressione chiaramente turbata e ferita dipinta sul viso (non era mai stato capace di nascondere le sue emozioni troppo bene).

«Okay. Va bene. Ho passato anni a cercare di capirti, Victoire, e sai cosa? Non voglio nessuna spiegazione. Ti auguro il meglio. »
Il tono seccato della sua  voce era palpabile. Era deluso, eccome se era deluso.  Deluso dalla ragazza che amava, per la quale aveva combattuto. La ragazza che aveva amato, e che continuava ad amare come il primo giorno. La ragazza che, nonostante tutto, non riusciva ad odiare. Che non poteva odiare. La ragazza che non aveva nemmeno chiesto il suo parere a proposito, che aveva già deciso tutto da sola, e per la quale non sarebbe più servito a nulla lottare.

Di canto suo, Victoire stette nel suo silenzio composto, appoggiata con un avambraccio a quel ripiano, lo sguardo puntato  verso il basso, in un punto vicino  all’unica finestra dell’appartamento.

 

Sistematosi la borsa pesante su una spalla,il giovane fece per uscire, indugiando appena quando le fu accanto, guardandola dall’alto della sua statura, la stessa espressione di poco prima, ancora presente sul suo volto.

 

Ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle con fin troppa forza.

 

 

 

 

 

«Gli ho insegnato io, a farlo, sai? Un’estate, tanti anni fa, quando tutti i tuoi cugini erano ancora troppo piccoli per giocare con lui.» Proseguì la donna, senza fare caso al silenzio della nipote.

«Sì, credo lo abbia cucinato, qualche volta– quando gli riesce bene qualcosa, bhe…»

«Ne approfitta, sì.» Sorrisero entrambe, guardandosi di sfuggita.

«È partito di già, per quella missione della quale parlava con Harry, qualche settimana fa?»

«Poche ore fa, esatto. Starà via per un po’, mi sa. » Non si trattava solo di una teoria, o di una speranza, ma anche di una certezza. Richiedevano la sua presenza per quello che sarebbe stato su per giù un mesetto.

Un mese in più, per lei, per nascondere la verità. Tutti in famiglia erano abituati a vederli come la bella coppia, quella perfetta e romantica. Non voleva dare così, all’improvviso, la notizia.

 

La verità sarebbe rimasta sua, e sua soltanto.

 

 

 

****

 

 

Per gran parte della serata (circa da quando si erano alzati da tavola) strani rumori molesti, provenivano dalla stanza accanto a quella in cui Dominique e Lucy stavano cercando di scambiarsi un paio di parole. E chi poteva esserci, lì di fianco, se non i soliti James e Fred, che nonostante tutti i disastri e i danni che combinavano da anni, condividevano sempre e comunque la stanza. Un giorno o l’altro, probabilmente, la Tana sarebbe caduta a pezzi per colpa di uno degli esperimenti della “coppia improbabile”.

Dominique non era mai stata l’emblema della calma, anzi. Ci voleva poco per farla spazientire e farle perdere il controllo. E nulla, nulla su tutto il pianeta, che fosse magico, babbano o alieno, poteva fare più paura. Niente.

I piedi ancora infilati nelle scarpe alte (le toglieva giusto per andare a dormire, quelle), le sopracciglia corrugate in un’espressione di collera pura, spalancò prima la porta della propria camera, lasciando un’irritata Lucy sdraiata sul letto alle prese con un libro, per poi tirare una serie di pugni a quella della stanza dei due cugini. Ricevendo solo silenzio, in cambio, decise di non aspettare il permesso verbale da parte dei due, girò la maniglia violentemente, facendo un paio di passi, poi all’interno della stanza

«Giuro sulle vostre teste malate, che se non fate un po’ di silenzio vi taglio tutti i capelli nella notte–– Dov’è quell’altro?»
Nella furia del momento, non si era resa conto di avere davanti agli occhi solo uno dei due, James, che stava in silenzio seduto sulla scrivania, varie buste e lettere sparse sulla superficie piana.

«In bagno.» rispose lui, senza troppa enfasi nel tono di voce.
«Okay, tanto non mi importa– Ma giuro che se provate ancora una volta a sbattere qualcosa, o a superare i dieci decibel di volume–– »
« L’hai già detto, Dominique, “ci tagli tutti i capelli nella notte”. Okay. »

Aveva le labbra strette e le sopracciglia corrugate. Gli occhi che avrebbero potuto lanciare delle saette, se solo fosse stata in grado di farlo. Di certo quella era la tipologia più spaventosa di Dominique Weasley.

Ma sembrava che al ragazzo non importasse, sembrava molto più interessato a delle pergamene che aveva lì accanto.

E questo Dominique non lo sopportava. Poteva sembrare pretenzioso, ma quando parlava odiava che qualcuno facesse altro, si distraesse con altri elementi, sminuendo quindi il significato delle sue parole. Con uno scatto incredibilmente notevole, viste le zattere che aveva ai piedi, strappò dalle mani di lui una di quelle lettere, tenendole strette accanto alla sua testa. « Mi vuoi ascoltare o no? »
«Ridammele, Dominique. »
« Te le ridarò quando avrai ascoltato / seriamente / quello che ti sto dicendo. Non sto scherzando, James. »
Si alzò anche lui in piedi, saltando giù dalla scrivania, sovrastando nonostante tutto la ragazza con la sua altezza. « Ti ho già detto che va / bene /. Che altro vuoi di più? »

Ma un odore particolarmente dolce attirò l’attenzione della bionda, un odore che avrebbe potuto riconoscere ovunque: Chanel n°5, lo stesso che usava lei. Ma era più che certa non fossero i suoi abiti ad emanare quel profumo. D’istinto allora, guardò l’unico elemento che poteva, logicamente, esserne la fonte.

« Chi è Abby? » Lesse velocemente sul fondo del foglio il nome del mittente, impiegandoci poco a distinguere la calligrafia femminile.

È una. »
« La conosco? »
« Sì, la conosci. È del nostro anno, la Grifondoro con i capelli rossi. Ci sentiamo da tutta l’estate. »

Lasciò quindi il foglio, girando i tacchi, dirigendosi verso la porta.

 

«Dominique…»
«Che c’è?»

«Quel…Quel ragazzo, Malcolm, vi vedete ancora?»

 Voltò solo in quel momento la testa, di pochi gradi, la mano appoggiato allo stipite.
«Ci siamo mollati la scorsa settimana.»



–––––*
Okaaaay, ecco ecco il primo capitolo! Ci ho messo più tempo di quanto pensassi, ad essere sincera (l'avevo promesso per gennaio, ehm ehm) ma hei, alla fine ce l'ho fatta! Lo prevedevo un pochetto più lungo a dire il vero, ma poi ho pensato fosse meglio tagliare qua e là qualcosa. Anzi, ditemi voi: preferite capitoli di questa lunghezza, più lunghi, più corti…? Non vi posso assicurare nulla a 100%, ma qualcosa posso provare a farla, sì.
Quindi, ve bhe, ditemi anche un po' i vostri pareri, belli o brutti che siano, fa sempre piacere ricevere dei commenti da degli esterni.
Sottolineo ancora una volta che alcuni personaggi non mi appartengono. In questo capitolo abbiamo incontrato Mafalda, all'inizio, la Mafalda di Ciulia. Nel caso voleste farvi un po' un'idea di come sia la sua faccia, bhe… http://25.media.tumblr.com/tumblr_me25zyupie1rywetuo1_500.gif
Ci si vede al prossimo capitolo, allora!

  
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