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Autore: Clarance    05/04/2015    2 recensioni
John Smith è un uomo comune: un bell'appartamento in periferia, un lavoro stabile e amici che gli vogliono bene. Eppure, qualcosa nella sua vita non sembra quadrare. Una voragine a riempirgli il petto e nulla sembra essere in grado di colmarla. Eppure, le cose sembrano diverse, quando John cede al suo mondo onirico... lì non è più un uomo comune, ma un cacciatore. In particolare, il cacciatore di un grande lupo cattivo.
NDA: E' una storia in corso e io stessa non so come andrà a finire,al momento. Godetevi l'avventura con me, se volete!
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bad Wolf, Companion - Altro, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- II - Reality.
«Non pensi che dovremmo rifarlo...? »

Poco più di un sussurro, accanto a lui, troppo immerso nei propri pensieri, per rendersi conto del fatto che non fosse solo. Sgranò gli occhi, voltandosi alla propria destra e mordendosi il labbro inferiore, nel farlo. Sdraiata accanto a lui, sotto le coperte, una graziosa ragazza dalla pelle scura, gli occhi grandi ed i capelli lunghi. Martha,se non si sbagliava. Una sua collega. Cercò di sorriderle in maniera convincente, mentre con una mano andava a scompigliarsi i capelli, segno del fatto che fosse nervoso.

«Ma certo,certo!! »

Forse ci aveva messo troppa verve, nel risponderle. Infatti, lei aveva storto le labbra, mentre con le mani andava a tirar maggiormente sù il lenzuolo candido, per coprirsi il seno.

«...Mi hai preso per stupida? »

Oh,si, troppa verve. John scosse rapidamente le mani in aria, andando a mettersi praticamente seduto, ma continuandola a guardare negli occhi. Il contatto visivo, dopo quello che avevano fatto, era una cosa che si sentiva di doverle. Si umettò nervosamente le labbra, prima di dirle con aria apparentemente convinta.

«Ehy, ehy,ehy! Non ho detto niente! Ho detto.. ho detto di si! E’ stato--- »

Non fece in tempo di finire la frase, che la ragazza si era allungata nella sua direzione.. per dargli un bel ceffone. Le dita di lei presero in pieno la sua guancia, costringendolo ad un gemito e spingendolo a ritrarsi rapidamente, per evitare di prenderne un altro. Sconvolto, aveva iniziato a massaggiarsi la guancia, mentre la bocca era ancora aperta, come se volesse davvero cercare di finire quel che stava dicendo. Ma forse, era meglio restare zitti. Era una terribile frana, con le donne. Anzi.. si stava ancora chiedendo cosa fosse passato per la testa di lei quando l’aveva invitato a prendere una birra. Ed era doppiamente stupito da sé stesso, per essersi ritrovato nudo nella sua camera da letto, dopo qualche goccio di troppo. Ma a parte il mal di testa, era abbastanza sobrio in quel momento per capire che lei era tutto, fuorché felice.
E che lui ne era la sfortunata causa.

«Se volevi solo divertirti, bastava dirlo chiaro e tondo. Non sono una ragazzina... »

Le parole erano così seriose, mentre il suo tono, sembrava tutt’altro che veritiero. A John sembrò quasi di scorgere del.. dolore. L’aveva fatta grossa. Gli era stato detto da più colleghi, che una delle ragazze dello studio aveva un’infatuazione per lui. Ma dubitava fortemente che fosse lei... almeno fino a quando non se l’era ritrovata davanti completamente svestita. Una tentazione alla quale nessun uomo solo ed alticcio avrebbe detto di no, probabilmente.. ma per lui.. per lui era la prima volta. Una volta tornato a casa, probabilmente, avrebbe finito con il sentirsi uno schifo. Già lo sapeva. Ma forse, forse poteva rimediare.

«Martha Jones. »

Disse con tono fermo, mentre lei continuava a guardarlo con quell’aria piena di risentimento... gli sembrò che lei trattenesse un sorriso, nel sentirgli pronunciare il proprio nome.
Martha Jones, la segretaria del capo, dipendente modello, ragazza bellissima, intelligente, brillante... ragazza che aveva deciso di prendersi una cotta per il tipo sbagliato. L’inettitudine fatta a persona.

«
Ed aveva fatto scivolar via la mano dalla propria guancia, per passarla delicatamente su quella di lei, con tocco incerto ma delicato.

«.. sono stato davvero bene con te. E mi piacerebbe rivederti ancora. Ma,non così. Non.. non senza prima conoscerci. »

Le distolse lo sguardo, mentre con le dita, iniziava a giocherellare con la stoffa con la quale si copriva. Probabilmente, avrebbe preferito che il lenzuolo fosse stato lui, considerando la foga con cui la stava torturando. Lui le prese delicatamente il mento, per poterla guardare nuovamente negli occhi. Non voleva escludere la possibilità di avere una relazione con lei. Semplicemente, non voleva basarla su quello. Non era fatto così. Non gli era mai importato, del sesso, in verità.

«... ti andrebbe un caffé prima del lavoro,domani? »

Lei arrossì, mentre l’espressione da rabbuiata qual’era, tornava felice. Lui le sorrise dolcemente. Detestava far male alle persone che provavano dell’interesse nei suoi confronti.. e potenzialmente, anche lui avrebbe potuto provarlo nei suoi, no?

Rimasero ancora insieme, per un po’. Lei gli aveva chiesto se voleva fermarsi a dormire, ma lui aveva preferito diversamente. Non gli sembrava il caso. Quella situazione, aveva un nonsoché di sbagliato, per lui. Aveva iniziato a pensare che il problema di base fosse stato il suo accettare l’invito. Avrebbe dovuto rimandare, invece di dar ascolto alla sua ‘carne debole’.

Avevano parlato del più e del meno e di uno dei colleghi che conoscevano entrambi, mentre si rivestivano... o almeno, credeva. Risolto il disguido, infatti, si era ritrovato a perdersi nuovamente nei propri pensieri...

Non solo in quel momento ma anche per tutto il tempo che aveva trascorso a lavoro, infatti, gli era sembrato di ripensare ai sogni della notte passata. Non gli era mai capitato di ricordare così casualmente e, soprattutto, così nitidamente le proprie scorribande notturne, durante il corso della giornata.
E ora, ogni volta che si distraeva anche per un secondo, non poteva che pensare a quei grandissimi occhi color nocciola. Gli erano sembrati la cosa più bella che avesse mai visto.
Probabilmente, stava pensando a loro anche mentre salutava Martha. Aveva cercato di essere il più affabile e ‘romantico’ –se così si poteva davvero definire- possibile: l’aveva baciata delicatamente sulle labbra, prima di congedarsi con un “a domani mattina”. Forse era stata un uscita di scena un po’ asettica; ma si era ripromesso che l’indomani avrebbe fatto bella figura.
Magari, poteva mettersi la cravatta buona.
Scrollò il capo, al pensiero. Non avrebbe avuto senso conciarsi a quel modo. Alla fine, era solo un caffé... non poteva sapere se qualcosa lo avrebbe seguito. Magari lui, a lei, non interessava neanceh tanto. Ci sperò, e si sentì terribilmente, per questo. Ma cosa gli prendeva? Era così terribile, con le donne? Davvero?
Aveva sbuffato rumorosamente, mentre la propria mano correva da sotto al suo mento, lungo il prorio collo e poi dietro la nuca: come se farfugliare e toccarsi a quel modo, potesse aiutarlo a ragionare meglio.
Forse,semplicemente, non si ricordava più come funzionassero. L’ultima volta che ne aveva toccata una,prima di Martha... quasi non se la ricordava.
A quel punto, alla ricerca di un po’ di lucidità, aveva alzato lo sguardo verso l’alto per osservare il cielo. Stranamente, qualcuno aveva deciso di fargli un regalo. Nessuna nuvola all’orizzonte, ma solo un manto di stelle. Riconobbe la cintura d’Orione e sorrise. Era stata la prima che aveva imparato a leggere. Si ricordava quello, e non si ricordava l’ultima volta che aveva provato del vero calore umano. Un altro sospiro, e poi si portò una mano al petto, massaggiandoselo piano,nel tentativo di sentire il battito del proprio cuore. Uno solo, forse non era abbastanza, per un come lui.
Ma non poteva farci niente.
Era impotente persino su sé stesso. Ma almeno, il cielo se lo poteva godere. Lo faceva sentire... a casa, ovunque si trovasse. Sorrise, al pensiero che gli sarebbe piaciuto viverci davvero, là, fra le stelle.

Poi, qualcosa rapì la sua attenzione.
Un rumore improvviso, gli fece distogliere lo sguardo dall’alto, per puntarlo un po’ dietro di sé: alle sue spalle, su di una recinzione sgangherata, un corvo troneggiava silenzioso.
Sembrava quasi che quegli occhietti rossi, lo stessero osservando.
Inarcò un sopracciglio:

«Ma voi bestiole, non dovreste dormire di notte? »

Aveva pensato ad alta voce, mentre cercava di ritirarsi maggiormente dentro il tessuto caldo che lo ricopriva.
Possibile che facesse improvvisamente così freddo?
Tossì, poi scosse la testa, trasalendo e tornando a camminare tranquillamente. Alla fin fine, non era successo niente di particola---
Si bloccò, una volta voltato l’angolo.
Un’altro corvo, stavolta in terra.
Gli sembrava lo stesso. Ma non era possibile che si fosse spostato in così pochi secondi.. soprattutto, senza che lui lo sentisse. Fece un paio di passi indietro, per controllare il punto che aveva da poco superato.
Non c’era più niente.
Forse era solo stanco... e ne fu sicuro, quando tornato a guardare davanti a sé, non vide più nulla.

«Stai diventando matto. »

Aveva aggiunto, sussurrando, prima di aumentare il passo. Aveva bisogno di tornare a casa, farsi una doccia calda e di dormire. Dormire davvero. Iniziò a rimuginare sul fatto che, per una volta, avrebbe potuto mandare giù qualche pillola. Sarebbe sopravvissuto, per una sola notte.

Un’altro battito d’ali, alle proprie spalle. Sospirò, esasperato, prima di voltarsi.

«Guarda che se vuoi da mangiare io non ho... niente... »

Sul marciapiede ora non c’era un solo corvo. Ma più di una dozzina. E la cosa più inquietante era che tutti, nessuno escluso, sembravano lo stesso che aveva visto pochi secondi prima. Non che al buio si potesse capire poi molto... ma lui lo sapeva, e basta.

Fece un passo indietro, tirando fuori le mani dalle tasche, e mostrandole, in segno di resa.

«Okay... io adesso... me ne vado... »

E si era morso il labbro inferiore. Che senso aveva parlare con.. dei maledetti piccioni?! Non potevano capirlo! Uno di loro, gracchiò e lui si bloccò. Oh, non era un bambino. Non poteva spaventarsi per qualcosa del genere. E allora, perché si sentiva bloccato? Era come se i propri piedi fossero diventati parte dello stesso asfalto. Il cuore, perse un battito e lui sentì una strana fitta al basso ventre, quando una di quelle bestiaccie, avanzò di poco nella sua direzione.
Un’altro verso roco, poi un’altro ancora. Sembrava che tutte avessero deciso di cantare all’unisono, se quel rumore, si potesse definire tale.
Un conato di vomito. Un’altro battito perso. Paura. Perché non riusciva a muoversi?!

E poi, fu del tutto pietrificato.

La macabra melodia, era stata sovrastata da un’altro verso. Un ululato. Alto, maestoso... incredibilmente vicino. John sgranò gli occhi, quando da dietro l’angolo che lui stesso aveva da poco voltato, apparve.. lei.
Il grande lupo cattivo dei suoi sogni, con gli occhi più umanamente divini che avesse mai visto. E l’ululare, si trasformò in un latrato, roco e basso. E per la prima volta, lui le vide mostrare i denti. Fauci spaventose e fameliche, persino per un cacciatore come lui.

Ma ancora più terribili, per i corvi. Un’altro ringhio, poi la lupa, si scagliò sui volatili, cercando di afferarli con le zanne, invano: uno ad uno, continuando con il loro lamento, presero il volo. Eppure lei non sembrava arrendersi, nel tentativo di prenderli.

Tutto quello era surreale. Pensò di essere pazzo. Poi sperò che non fosse altro che un sogno. Forse,forse era rimasto a dormire da Martha...

L’ultimo uccello sparì, andnado a confondersi con il nero della notte, e il malessere che lo aveva colpito, sembrò andarsene con lui. Persino il freddo, sembrava essersi mitizzato.. e i piedi...

Per un attimo eterno, lui e l’animale, si guardarono negli occhi. Lei, ansimava, stanca. Lui, con le ginocchia che tremavano, sconvolto. La bestia fece un passo in avanti e questo, per lui fu abbastanza: si voltò, poi scattò. L’adrenalina che aveva accumulato in quell’incubo ad occhi aperti, gli tornò più che utile. Le sue falcate erano incredibilmente lunghe, per non parlare dell’incredibile velocità con il quale le faceva. Gli sembrò quasi di star volando, per un istante. Volando in una direzione ignota. Aveva perso la strada di casa. Ma non gli importava. Voleva solamente allontanarsi da lei.

Lo avrebbe ucciso.

Lo sapeva.

Ogni notte, era lui, a porre fine alla sua vita. Perché lo avrebbe dovuto risparmiare, ora che era disarmato?

E poi, che senso aveva fare quei pensieri. Non era possibile. Non poteva esserci un lupo, in città. Un lupo vero. Un lupo che lui aveva sognato, fra l’altro! E quegli occhi... lo avrebbe ucciso anche starla troppo a guardare, probabilmente. Si sarebbe perso, dentro quello sguardo. E poi, ci sarebbe affogato.

Doveva continuare a correre. Ma poi, stava venendo inseguito? Non avrebbe guardato indietro per controllare. Sarebbe stata una vana perdita di tempo.

Attraverò la strada, per passare sull’altro marciapiede.

Quello che successe allora, non durò che un paio di secondi, ma a John, sembrarono anni interi.
Alla fine, quando stai per morire, si suol dire che tutta la tua vita ti scorra davanti agli occhi.
Mentre lo stridio dei freni della macchina che lo stava per colpire lo assordavano, a John vennero in mente per primi i visi dei suoi genitori: i lunghi capelli rossi della madre, gli occhi chiari del padre. Poi, le notti insonni in accademia, con il suo migliore amico. E centinaia di frammenti di quelli, che per lui, erano sempre stati solamente lunghi sogni: Una ragazzina di nome Susan, una giornalista intelligente, un cane di latta, una ragazza dall’aria Francese di nome Romana, quella ragazza dai lunghi capelli rossi... e con loro, altri volti. Volti che aveva sempre ricordato, benché non fossero stati altro che frammenti della sua vita notturna.
La luce degli anabaglianti, gli fece male agli occhi, e lui li chiuse.

Che modo stupido, di morire, pensò.
Non avrebbe offerto nessun caffé a Martha.
E non avrebbe mai potuto chiederle scusa.

Quante cose in sospeso, stava lasciando.

Poi, qualcosa di inaspettato.
Qualcuno gli afferrò un braccio, poi, gli si buttò completamente addosso.
Cadde in terra, sbattendo bruscamente la testa contro il ciglio della strada.
La vista gli si annebbiò, benché percepì il peso su di sé diminuire, rapidamente...

«Dottore,resta con me... »

Chi aveva parlato? Era una voce femminile. Gli occhi gli facevano male. Non riusciva a tenerli aperti. Ma.. ma voleva.. vedere chi.. lo aveva spinto.
Sentì qualcuno muovergli delicatamente il collo,cercando di farlo mettere il più dritto possibile. Era un tocco così delicato... e mentre chiudeva inevitabilmente le palpebre, gli sembrò di vedere nuovamente, una chioma di lunghi capelli biondi, fluttuare sul proprio volto.

Nel naso, odore di sangue e di rose.
  
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