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Autore: Targaryen    07/04/2015    7 recensioni
"Thranduil chiude gli occhi e attraverso i sensi segue il percorso che ogni goccia traccia su di lui, scivolando sui capelli mutati in una colata d’argento e allontanando dalle sue vesti la polvere e il sangue. Resta fermo, come un albero sotto la pioggia di primavera, e come un albero ritorna alla vita mentre l’acqua spegne il fuoco e lenisce il dolore."
Nel marzo del 3019 T.E. Rohan e Gondor non furono gli unici fronti su cui si infranse la furia di Sauron, ma altre battaglie vennero combattute nella Terra di Mezzo e, tra di esse, un posto di primo piano meritano quelle che infuriarono nelle grandi foreste lungo il corso dell'Anduin.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Celeborn, Galadriel, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sussurri di foglie e di vento'
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L’altra riva

 
Gli orchi sono giunti per la terza volta e per la terza volta hanno ferito il bosco, ma lo hanno fatto con meno decisione di prima, quasi la loro nera fiamma fosse stanca, e i Galadhrim ne hanno avuto facilmente la meglio. In un primo tempo Celeborn ha sospettato un inganno, ma Galadriel non ne ha avvertito segno e la necessità di conoscere il perché di quel comportamento anomalo ha presto sostituito in lui la sorpresa.
Poi hanno fatto ritorno coloro che aveva inviato a nord affinché osservassero, ed egli li ha ascoltati in silenzio, l’anima sempre più pesante ad ogni nuova parola.
Spossati e feriti nel cuore, hanno narrato di un’orda di cui non si scorgeva la fine che ha spazzato Bosco Atro, e poi del fuoco che si è acceso e che ha arso l’antica foresta. Hanno chinato il capo in segno di rispetto mentre raccontavano della determinazione e del coraggio dei silvani e del loro re, che hanno fermato il nemico al prezzo di innumerevoli perdite. Ora Thranduil sta radunando ciò che è rimasto del suo esercito con l’intenzione di muovere verso sud, per ripulire il bosco sino a dove termina la linea degli alberi.
Gli esploratori che si sono spinti oltre la Montagna Solitaria hanno portato notizie della battaglia che è infuriata nella valle, tre giorni di sangue e di spade combattuti spalla a spalla da nani e da uomini, e della morte di Dain e di Brand, sovrani ora tornati alla terra. Hanno riferito degli Esterling che hanno cinto d’assedio Erebor, divenuto rifugio per coloro che sono sopravvissuti ma anche trappola forse destinata a tramutarsi in tomba.
Quando la voce degli elfi è tornata a tacere, Celeborn ha capito e ha deciso.
Nella luce del giorno morente si volge verso Galadriel, in piedi alla sua destra e perduta in lontani pensieri. C’è un fremito nell’aria, quasi un’ansia nervosa per qualcosa che deve accadere, ed ella pare volerne decifrare le tracce nel vento della sera.
“Questa volta il nemico non tornerà”, sussurra.
“No”, conferma lei, la voce quasi un’eco indistinta.
“Chiamerò a raccolta i Galadhrim e varcherò l’Anduin. Domani, al calar della notte, attraverserò i confini.”
Galadriel gli sorride, per un istante indifferente al vento e a ciò che tenta di dirle.
“Verrò con te”, dichiara, e torna a contemplare l’orizzonte.
 
***

Galadriel cammina tra i mellyrn, i piedi scalzi che chiedono permesso alla terra e i capelli liberi come l’oro dei rami sazi di stelle. L’abito è spuma e gli occhi lanterne che hanno imprigionato le onde del mare, perché è il mare ciò che ora fa pulsare il suo cuore.
L’antico potere è finito ed ella ride, inebriata dal profumo degli alberi quasi si fosse appena destata sulle rive del Cuiviénen. Solleva la mano e danza, ammirando Nenya per la sola bellezza e quasi dimentica del potere che le ha regalato nei secoli e che si è spento.
Me ne andrò all’Ovest, e rimarrò  Galadriel …
Una nave ora l’attende ai Porti Grigi, una nave dalle bianche vele e dallo scafo saldo, e dopo millenni ella potrà finalmente poggiare il capo sull’erba della terra che le ha dato i natali e riposare l’anima stanca. Ci saranno lacrime ed addii, ma Galadriel continua a ridere e a danzare perché il dolore sofferto non è stato vano, ed ella sa che ogni fine racchiude in sé il germoglio di un nuovo inizio.
Un semplice hobbit ha fatto ciò che nessun altro è stato in grado di fare e ha voltato le pagine della storia. Le foglie di mallorn cominceranno a cadere e Lothlórien tornerà infine agli uomini, perché il tempo degli elfi è finito e il mondo si è svegliato ammantato di colori che non sono più i loro.

 
***

Nel cuore della notte le navi scivolano leggere assecondando la corrente del grande fiume, e con pazienza traghettano i guerrieri dalle armature dorate sull’altra sponda.
Galadriel si stringe nel grigio mantello, lo sguardo rivolto all’ombra scura che offusca ad est lo splendore delle stelle. Celato appena dai primi alberi, Dol Guldur pare sfidarla.
L’ordine di avanzata che Celeborn impartisce alle sue spalle le giunge soffuso e distante. Avverte il fruscio dell’erba calpestata e sprona la cavalcatura, una delle poche. Nella foresta i cavalli perdono la loro utilità e i suoi abitanti si muovono a piedi.
Giungere alle prime radure richiede poco tempo e nessuno sforzo, ma una volta in prossimità della fortezza le frecce nere cominciano a piovere dalle mura diroccate e gli orchi a sciamare impegnando duramente le propaggini avanzate. L’intera armata si riversa in avanti per dare manforte, ricorrendo alla protezione delle rocce per evitare di cadere sotto l’impeto dei dardi e attirando il nemico fuori portata prima di usare la spada.
Galadriel si mantiene nelle retrovie, poiché ciascuno ha il proprio compito in quella guerra e prima che ella possa adempiere al suo Dol Guldur deve essere presa.
L’alba sta per sorgere quando i Galadhrim individuano una falla nelle difese: un muro a sud in parte sguarnito, costeggiando il quale è possibile risalire lungo uno dei sentieri che conducono alle numerose brecce che si sono aperte nei secoli.
Celeborn divide le sue forze e, mentre i due terzi impattano con impeto sul lato nord, guida ciò che resta dell’esercito verso quel muro e verso quella breccia. Il diversivo funziona e Galadriel lo vede penetrare falciando orchi e svanire insieme ai suoi.
Per qualche minuto nulla cambia, poi le frecce avversarie cominciano a ridursi in numero e il comandante in seconda fa squillare i corni. I Galadhrim attaccano in massa ed entrano. Lo scontro infuria tra le rovine e il sole è già alto quando l’ultima lama si disseta della vita dell’ultimo servo dell’oscuro sire.
La signora di Lórien lascia che il mantello le scivoli dalle spalle e scende dal cavallo, avvicinandosi a passi leggeri a quel che resta dell’antica capitale del regno di Oropher. Celeborn la osserva per un istante, quindi si immerge nel fitto della boscaglia mentre l’armata si ricompatta e lo segue.
A volte si è portati a pensare che servano grandi gesta per disfare grandi mali, ma non è così. Spesso sono le piccole azioni a cancellare le colpe dei grandi.
Galadriel si ferma e abbassa le palpebre, respira a fondo e dà voce a parole che sono insieme canto e preghiera. Eppure, non pare esserne la fonte. Esse salgono dalla terra, vibrano nella roccia e fanno stormire le foglie degli alberi, scorrendo insieme alle acque del fiume.
La terra trema appena un po’ facendo scivolare qualche pietra, la roccia si fa da parte e permette all’acqua di penetrare e di rompere antichi equilibri, l’aria turbina sibilando e facendo cadere massi traballanti e gli alberi allungano le loro radici, scuotendo le fondamenta. Forse trascorre un’ora, forse un giorno … Galadriel non saprebbe dirlo, ma quando riapre gli occhi vede una distesa di detriti immersi nella polvere laddove sorgeva Amon Lac. L’acqua ha abbandonato quel luogo avvelenato e ha reso il suolo arido come deserto. Ora nulla si muove e nulla vive dentro quella che fu la cerchia di mura di Dol Guldur. Quel luogo è interdetto, a memoria di ciò che fu e di ciò che non deve più essere.
La dama di Lórien volge il viso verso il bosco dorato e si incammina alla volta del fiume.  Ad altri il compito di soffiare via dalla Terra di Mezzo l’ultimo velo di tenebra.
Più a nord, durante uno dei rari momenti di riposo, nuovi dispacci giungono nelle mani di Celeborn: gli Esterling sono in rotta, nani e uomini hanno spezzato l’assedio di Erebor e l’armata del Reame Boscoso sta scendendo verso sud, liberando il bosco dalle creature dell’ombra.
La luce del giorno filtra attraverso le chiome improvvisamente più calda. Concedendosi un sorriso il signore di Lórien si alza e ordina all’esercito di riprendere la marcia.
 
Il signore e il re

 
In ogni vita, duri essa cent’anni o così a lungo da perdere la memoria del proprio inizio, ci sono punti di svolta che fissano il confine tra il prima e il dopo. Prima di Dagorlad, e dopo. Prima dell’Anello, e dopo. Thranduil ora sta camminando nel dopo.
Sulla riva nord del piccolo fiume la possente cavalcatura alza il capo facendo oscillare appena i grandi palchi. I talloni del re sfiorano lievi i suoi fianchi, domandandole tacitamente di avanzare, ed essa ubbidisce docile come farebbe un qualunque destriero. Muove uno zoccolo dopo l’altro, immergendosi con andatura solenne nelle acque basse. Schizzi indispettiti ne accompagnano i passi e disturbano il monotono fluire della corrente, mentre la foresta violentata e ferita sembra in attesa di una rinascita che sente vicina.
La sponda opposta è una meta facile da conquistare e Thranduil si ferma e sorride mestamente alla notte puntellata di stelle, lo sguardo rivolto a nord verso i pochi focolari che ancora resistono e il passato che si mescola al presente, vecchi e nuovi morti ed orrori mai dimenticati. Gli ultimi fuochi verranno spenti e le volute di fumo nero smetteranno di ammorbare l’aria, l’acre odore del legno bruciato se ne andrà trascinato dal vento dell’est e nei suoi boschi, dopo secoli, la primavera tornerà a fiorire e riscatterà le vite spezzate. I ricordi, invece, resteranno, come cicatrici indelebili a mutare ancora una volta il volto del suo tormento.  Serve così poco, in apparenza, per accantonare il passato e per spingersi oltre, quasi bastassero uno scalpitare di zoccoli nel letto di un fiume e limpide acque che mondano la fierezza di un re. Ma non è così.
Senza volgersi egli alza la mano e fa cenno alla scorta di seguirlo mentre prosegue verso sud, oltre i monti e oltre l’antica via attraverso la foresta.
Radura dopo radura, un torrente dopo l’altro. La notte cede il posto al mattino e l’alba del capodanno elfico si accende tingendo di luce l’oriente. La resistenza che incontrano è quasi inesistente e i silvani sono in grado di metterla a tacere senza che egli vi faccia caso. Il grosso delle forze di Dol Guldur ha partecipato all’assalto portato a nord e gli sparuti gruppi di orchi rimasti nelle retrovie sono stati inseguiti ed uccisi. La battaglia è vinta, e con essa l’ultima guerra contro il servo di Morgoth.
Thanduil raggiunge la vetta della piccola collina posta sul suo cammino e arresta la cavalcatura.
I raggi del sole accendono di verde panorami che non vedeva da secoli e che si dispiegano dinanzi a lui vestiti di nostalgia. Anche quelle terre appartenevano al suo popolo in un lontano passato, quando suo padre ancora regnava su Eryn Galen e Amon Lac risplendeva di bianco. Prima che cadesse, prima che divenisse Dol Guldur.
In lontananza un lungo serpente di scaglie d’oro scivola tra gli alberi, avvicinandosi lentamente. Anche Celeborn ha lasciato indietro il grosso dell’esercito e Thranduil è sicuro che anch’egli si sia spogliato dell’armatura. Non è in veste di guerrieri che si incontrano, nonostante entrambi siano anche questo. Con quella sorta di naturale eleganza che ha sempre rappresentato il carattere distintivo di sua madre, scende dalla cavalcatura e fa cenno alla scorta di fare altrettanto. Attenderanno lì l’arrivo del signore di Lórien.

 
***

Sindar, entrambi, ma con poco altro in comune oltre alla stirpe e ad una lontana parentela che si perde tra le pieghe del tempo.
Capelli d’argento, entrambi, ma di un argento che pare rifulgere d’oro in Thranduil Oropherion e che trattiene invece l’impalpabile leggerezza della neve in Celeborn di Lórien.
Il colore delle loro anime, direbbe Galadriel.
Antichi, entrambi, ma troppo distanti nelle esperienze vissute per sentirsi fratelli e troppo diversi in inclinazione e temperamento. Il tormento senza fine mescolato al sangue del primo e la salda serenità a guidare le gesta del secondo.
Signori di popoli, entrambi, ma stranieri nei doveri come una corona di spine lo è da un cerchietto d’argento.
Eppure Sindar, entrambi, ed entrambi pronti a morire per una terra che dovranno lasciare.
“Re Thranduil”, china il capo Celeborn di Lórien, vestito di bianco e di azzurro.
“Lord Celeborn”, gli fa eco il sovrano del Reame Boscoso, abbassando appena capo e corona e stringendo l’alto scettro tra le mani.
Si fissano per un lungo istante, in silenzio, un accenno di tristezza che sfugge al controllo di Thranduil e  l’impassibilità assoluta nello sguardo di Celeborn. Maschere, imperfetta la prima e intatta la seconda, ma entrambe maschere attraverso cui solo in pochi sono in grado di vedere.
“Dol Guldur è caduta”, inizia Celeborn, scandendo lentamente le parole.
“Lo so. Il bosco me lo ha detto.”
L’accento di Thranduil suona ancora più straniero in quelle lande, un accento che Celeborn non possiede poiché nato lontano dal continuo contatto con popoli e genti.
“Quanti morti?”
“Troppi, come sempre”, risponde Thranduil, e non aggiunge altro.
“Lórien non avanza pretese su queste terre. Erano di tuo padre e sono tue di diritto.”
Nello sguardo del re si agita per un istante un guizzo di sorpresa, subito nascosto da quel sorriso che non raggiunge mai il suo cuore. Ma anche il sorriso passa e quando egli parla lo fa con voce grave, e a Celeborn sembra quasi che siano i millenni a sussurrare la loro lenta litania.
“Anche Lórien ha combattuto per liberare queste terre. Noi ci chiamiamo regno, ma siamo in pochi e il bosco è vasto. Abbiamo il nord, del resto fanne ciò che desideri. Il passato è passato, lord Celeborn. Saremmo stolti se non traessimo alcun insegnamento dagli eventi di questi giorni.”
La calma quiete di Celeborn vacilla per un attimo. Per un attimo un fremito si ribella alla sua volontà e increspa la superficie del suo mare senza orizzonte.
“Terrò il sud, niente di più”, dichiara, ma con meno distacco di prima.
Thranduil avverte quel sottile cambiamento, come l’albero sente il mutare del vento, e aggiunge un’altra sfumatura a quelle attraverso cui vede il mondo.
“Allora il resto sarà degli uomini”, dice, “Hanno sofferto insieme a noi e insieme a noi sono morti.”
Celeborn accoglie le sue parole con un impercettibile cenno di assenso.
“Così sia, dunque.”
Quindi, con gesti misurati, estrae una boccetta di cristallo finissimo in cui pare racchiuso un frammento di stella e la porge a Thranduil. Il re quasi sussulta e ne segue la danza inquieta tra le pareti trasparenti che paiono incapaci di trattenerne il fulgore. Resta in silenzio, lo sguardo abitato da lontani fantasmi e da emozioni a stento trattenute.
“Lórien ti offre la luce di Eärendil, affinché ogni traccia dell’ombra che ha avvelenato le tue terre si dilegui.”
Thranduil distoglie l’attenzione dalla mano di Celeborn, ancora sollevata verso di lui, e si volge in direzione di una vicina radura. Chiude gli occhi per il tempo di un battito d’ali, e li riapre con un sorriso appena abbozzato. Anche dopo aver vissuto oltre seimila anni la Terra di Mezzo riserva ancora sorprese. Forse è anche per questo che egli non sente il richiamo del mare.
“Cammina al mio fianco sino al cuore del bosco, lord Celeborn, e risanalo insieme a me.”
 
***

Non c’è vento al centro della radura, neppure un refolo distratto a sfidare la solennità del momento, e le stelle pare trattengano il respiro. Sono punti di luce senza corona che adornano la corona del re, immobile nella notte tra riflessi d’oro e d’argento. Se un mortale lo vedesse in quel momento forse lo scambierebbe per un miraggio del regno al di là del mare.
Di fronte a lui Celeborn signore di Lórien apre l’ampolla e la inclina quasi con deferenza, versandone il contenuto sull’erba, lentamente. Il liquido scende, ma ha la consistenza evanescente della luce e il fulgore di uno spicchio di sole. Tocca il suolo ed esplode in polvere, svanendo assorbito dalla terra. Goccia dopo goccia, sino a quando l’ampolla si spegne.
Celeborn la richiude e Thranduil abbassa le palpebre, una serenità che solitamente non gli appartiene a distendere i lineamenti del suo volto e una tenue luminescenza che comincia a prendere forma intorno a lui. Il signore di Lórien si allontana di qualche passo, mentre quella stessa luminescenza contagia gli alberi vicini e si diffonde a quelli che crescono loro accanto. Di radice in radice, la luce di Eärendil si dirama e purifica. L’intero Bosco Atro sprofonda in una nebbia argentata e ogni sua creatura si ferma. Il silenzio lo avvolge  e per una notte tutte le sue vite pulsano all’unisono e scorrono come linfa insieme al sangue del re, che cerca ogni ombra e ogni ferita, soffocando le une e risanando le altre.
L’alba che accoglie il nuovo anno dissolve la foschia e restituisce il bosco alla vita. Thranduil si guarda intorno come destatosi da un sogno. Non avverte più il vigore della foresta fluire in lui e gli sembra che con esso anche le forze lo abbiano abbandonato. Si appoggia allo scettro per reggersi in piedi, la testa leggera, e quasi non si accorge che Celeborn gli si avvicina.
“C’è gioia negli alberi”, afferma il signore di Lórien, “Hai agito bene. Ora siedi e riposa.”
E con un gesto indica un grosso tronco caduto al limitare del prato.
Thranduil respira a fondo e vi si dirige, camminando adagio. Celeborn non lo sfiora neppure, ma gli resta vicino in una muta offerta di sostegno, e attende che si sia seduto prima di prendere posto accanto a lui. Un atteggiamento nuovo, a sancire un nuovo inizio anche per loro.
“Eryn Lasgalen”, sussurra Thranduil dopo un lungo silenzio, “Sarà questo il suo nome.”
“Eryn Lasgalen”, ripete Celeborn assaporandone il suono, “Il Bosco delle Verdi Foglie, un tempo Boscoverde il Grande.”
Thranduil lo osserva, il viso regolare e gli occhi indecifrabili, eppure ... Un pensiero lo lambisce, quasi un’ala di gabbiano che assaggia il mare.
“Dama Galadriel viaggerà verso il Mithlond?”, chiede.
La domanda pare scivolare su Celeborn e morire nell’aria senza lasciare traccia, ma il re del Reame Boscoso ha imparato a vedere anche ciò che si nasconde e capisce. E non può evitare di rattristarsi per colui che gli siede accanto.
“Il canto del mare chiama tutti noi, prima o poi”, risponde Celeborn, “Il suo tempo è giunto. Un giorno giungerà anche il mio. E anche il tuo, re Thranduil.”
Thranduil sorride.
“Il mio tempo è ancora lontano, ma sì, lord Celeborn, un giorno esso giungerà anche per me.”
Sulla riva orientale dell’Anduin, Eryn Lasgalen si risveglia tra vecchi rimpianti e giovani speranze. Una stagione si è chiusa, ma la vita sempre si rinnova e altre ne seguiranno, sino al giorno in cui le stelle moriranno e il mondo avrà fine, e agli uomini mortali sarà svelata l’essenza del dono che ai primi nati non è stato concesso.
 
Chi parte e chi resta

 
Vestiti di luce e silenzio Galadriel e Celeborn contemplano il medesimo orizzonte, ma il signore di Lórien ha da tempo capito che esso non ha più per loro gli stessi colori. Lo sente, e non può porvi rimedio nonostante non ci sia al mondo nulla che desideri di più. Ancora una volta il loro tempo ha preso a scorrere a diverse velocità e il loro sentiero si sta biforcando.
“Te ne andrai”, sussurra.
 “Resterai”, gli fa eco lei.
Celeborn abbassa lo sguardo. Entrambi sanno, entrambi comprendono, ma a volte tradurre in parole ciò che già si conosce aiuta ad accettarlo.
“Non sento ancora il desiderio di lasciare queste terre. Forse, non appena tu avrai messo piede su quella nave, il canto del mare travolgerà anche me”, dice.
“Forse, marito mio”, sorride Galadriel, volgendosi e ridestandosi dall’oblio in cui pareva essersi smarrita, “O forse lo farà solo dopo lungo tempo. Non dipende da noi, e non sarà certo questa separazione a far divergere per sempre il nostro cammino. In Aman le nostre strade si riuniranno di nuovo, e io aspetterò sino al giorno in cui scorgerò vele bianche all’orizzonte.”
“Abbraccerai nostra figlia per me?”, domanda Celeborn, abbracciando lei.
Galadriel affonda il viso tra i suoi capelli, respirandone il profumo ed immergendosi un’ultima volta nell’unico oceano che è sempre stato in grado di offrirle ristoro.
“Lo farò”, lo rassicura, e il primo raggio di luna sfiora la loro pelle nell’istante in cui le labbra di Celeborn sfiorano le sue.
 
***

Talvolta, riflette Thranduil scorrendo la linea del tramonto su cui è sospesa la luna, ci sono secoli che si consumano nell’anonimato e in cui nulla pare accadere, mentre altre volte è sufficiente una manciata di giorni affinché il mondo cada e risorga con un volto diverso. Il tempo, in fondo, è come gli uomini … si addormenta e si sveglia, e forse è per questo che alla fine consegnerà Arda nelle loro mani.
Sfilandosi la corona siede sullo scranno e riversa il capo all’indietro, sino a vedere solo il cielo e le stelle.
L’autunno è di nuovo calato sul mondo e il bosco si prepara a coricarsi tra spruzzi di rosso e di oro. L’aria della notte porta già con sé il respiro dell’inverno e le bacche rilucono rosse come durante gli anni delle grandi battaglie, e come faranno di nuovo in futuro.
Lord Elrond se ne è andato. Ha cavalcato sino ai Porti Grigi e si è tuffato nella luce dell’ovest.
Tra i Noldor egli ha sempre rappresentato per Thranduil un’eccezione e non ha mai suscitato in lui sentimenti di astio, né riportato alla memoria ricordi che avrebbe preferito affidare all’oblio. La sua compagnia è sempre stata piacevole, a volte persino cercata, forse perché, come tutti coloro la cui grandezza è sostanza e non apparenza, il signore di Imladris poteva permettersi di non doverla ostentare.
Thranduil sorride tra sé. Ora, in Aman, lord Elrond vedrà il tempo trascorso lontano da lady Celebrían sotto un’altra luce e la sua anima starà già guarendo perduta in quella di lei, e la consapevolezza di ciò pare lenire anche il suo dolore. Forse è in momenti come questo che un’amicizia rimasta celata rivela sé stessa, ed è in momenti come questo che la si rimpiange.
Nelle aule di Mandos il tempo fluisce con ritmi diversi e Thranduil sa che la sua Amariel non le ha ancora lasciate. Se così non fosse ora sarebbe seduta accanto a lui, a versargli del vino e a cancellare il suo dolore con un sorriso, perché non avrebbe mai accettato di riaprire gli occhi in un luogo dove lui non c’è.
Aman è pace e letizia, ma Aman non è la terra dove l’ha incontrata, dove l’ha amata e dove il loro figlio è nato e cresciuto. I ricordi di quei giorni felici affondano le radici nella terra del bosco che lei e la sua gente gli hanno insegnato ad amare, e tra i ricordi egli aspetta, finché il mare non vincerà portandolo via.
Ma ora la Terra di Mezzo è più vuota e la solitudine più profonda.
Lady Galadriel è partita su quella stessa nave, e con lei Mithrandir, e il portatore … e il vecchio Bilbo Baggins.
Il sorriso di Thranduil si illumina per un attimo al ricordo di quel piccolo Hobbit che gli ha impartito lezioni di grandezza, ed improvvisamente si rende conto che avrebbe voluto incontrarlo ancora e sedere insieme a lui a bere vino e a parlare. Dei giorni che furono e di quelli che verranno.
Anche Legolas ormai è lontano. Ora vive nell’Ithilien, insieme ad un piccolo gruppo di silvani a cui egli ha concesso il permesso di seguirlo. Sta risanando quelle terre e sta tracciando il suo cammino nel mondo. Thranduil ha imparato che l’orgoglio è sempre un pessimo compagno, ma quando si tratta di suo figlio forse può permettersi di indulgere un poco in esso e di non sentirsi in colpa per questo.
In silenzio si alza e raccoglie la corona, sistemandosi le vesti.
Oltre le porte del palazzo i canti e le risa dei silvani rallegrano il bosco, perché ogni stagione va festeggiata e ci sono molti anni di feste mancate da recuperare. Ora, dopo secoli, sente di nuovo il desiderio di sedere ai piedi di un albero circondato dal calore della sua gente, e di restare semplicemente a guardare.


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NOTE al capitolo:
In riferimento alla purificazione di Bosco Atro, ho immaginato che Galadriel non disponesse di un’unica fiala contenente la luce di Eärendil. Della moglie di Thranduil, supposta deceduta, non si sa nulla. In questo racconto il suo nome è Amariel (“figlia della terra” nella lingua degli elfi dei boschi). Molte ipotesi sono state fatte circa le sue origini, ma nel mio personale universo ispirato al legendarium Amariel è di stirpe silvana, nata e vissuta alla corte di re Oropher, non ha nobili avi e ha incontrato Thranduil dopo Dagorlad, quando egli ha sostituito il padre deceduto sul trono del Reame Boscoso. Le parti in corsivo sono citazioni tratte da Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien.




 
  
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