capitolo
S
E C O N D O
Non è un appuntamento.
Calmati, Itachi.
Continuava a ripeterselo, gettando il cellulare nel sedile passeggero,
osservando con ansia il semaforo rosso davanti a lui.
Aveva chiamato Sasuke per dirgli che
aveva visto un dojo mentre andava
al lavoro, e che forse poteva
interessargli. Magari avrebbe parlato, si era detto,
cercando di essere ottimista. E invece cos’era successo? Quell’ingrato
quindicenne gli aveva chiuso la chiamata in faccia e mandato un messaggio poco
dopo, scrivendo che la cosa non gli importava, che il karatè non rientrava nei
suoi interessi. Itachi pensò, per un momento, di
rispondergli per le rime e sparire fino a tarda notte, per vedere cosa sarebbe successo.
Ma la verità era che non sarebbe
successo un bel niente – si sarebbe solo abbassato al livello di bambinaggine
di Sasuke, e non era un prezzo che era disposto a pagare.
Respirò a fondo mentre il semaforo
diventava verde, concentrandosi sulla strada piuttosto che ripensare al mutismo
insensato di Sasuke. Nel momento in cui schiacciò il pedale per ripartire, un
tonfo arrivò da dietro e la cintura premette contro il suo sterno, impedendogli
di andare a finire con la faccia sul volante.
Un clacson gli riempì le orecchie e la
serie di macchine in coda gli sfrecciarono davanti.
Ci mancava solo il
tamponamento.
Respirò ancora più a fondo di prima,
pregando tutti i kami che conosceva di dargli la
forza e la calma di risolvere tutto senza problemi e il più velocemente
possibile. Slacciò la cintura e spense la macchina, lì, in mezzo alla strada,
ignorando le lamentele in inglese del resto del mondo, concentrandosi sulla sua
conoscenza della lingua per patteggiare una soluzione veloce ed efficace che avrebbe
giovato entrambi.
Certo, è colpa mia che non
sono partito subito si disse in inglese, preparandosi la frase,
l’urto non è stato tanto forte, no? Possiamo tranquillamente vedercela
tra di noi, senza assicurazione. Gli sembrava perfetto.
«Itachi!» la
voce di Asami gli sembrò quasi sollevata che fosse
lui la sua vittima. La vide corrergli incontro e per un
momento ebbe l’impressione che gli sarebbe saltata addosso. «Mi dispiace per la
macchina» gli disse, chinandosi ad osservare la piccola ammaccatura, a suo dire
quasi inesistente, che nemmeno si notava.
«Non preoccuparti» sospirò, tirandosi
in giù la maglia, infilando poi le mani in tasca, «Va bene così. Ce la
risolviamo tra di noi, okay?». Gli aveva fatto piacere vedere Asami, davvero, ma era ancora inviperito dal comportamento
senza senso di Sasuke, e non riusciva a concentrarsi su quanto – per dirne una
– fosse carina anche in tuta e con i capelli legati, e che di certo gli avrebbe
fatto piacere vederla in un’occasione più tranquilla. Senza fratelli lunatici o
tamponamenti.
«Mi piace come ragioni, Itachi» disse lei, tirandogli una leggera gomitata sul
braccio, «Per questo ho intenzione di offrirti la cena, che ne dici?».
E la macchina?. Per
un momento Itachi si chiese cosa avesse detto, se il
suo pensiero corrispondesse a quello che poi gli era uscito dalla bocca o se Asami avesse semplicemente capito male. Guardò lei,
fiduciosa in un sì, e poi la quasi inesistente ammaccatura.
Beh, mettere a posto la macchina di certo non rientrava nelle sue priorità, e
una cena fuori senza Sasuke perennemente con il broncio non poteva fargli altro
che bene.
«Una cena può andar bene» disse poi,
accennando un sorriso, e le labbra di Asami si
arricciarono appena.
«Bene!» affermò felice, «se tutti
quello che ho tamponato nella mia vita ragionassero come te, a quest’ora avrei
abbastanza soldi per comprarmi l’Islanda!» disse, ed Itachi
non capì fino in fondo se stesse scherzando, oppure se fosse davvero così
avvezza agli incidenti in auto.
-―❁―-
Itachi si allacciò le scarpe seduto sul
divano, sotto lo sguardo fisso di Sasuke che si era auto-nominato
madre nevrotica e apprensiva della situazione.
«Quindi è un appuntamento?» gli domandò incrociando le gambe, cambiando
con un certo disinteresse il canale della televisione.
Il più grande gli sorrise alzandosi,
scompigliandogli i capelli con il palmo della mano, «No, non è un appuntamento»
rispose, dirigendosi verso la penisola della cucina, «Ti ho lasciato la cena
nel microonde, è già impostato, devi solo farlo partire» lo informò,
recuperando poi la giacca leggera. «Chiuditi dentro, porto le chiavi» aggiunse
mentre se la infilava, «E se chiaman―».
«Se chiama qualcuno dell’Akatsuki gli dico di cercarti sul cellulare, lo so» lo
anticipò lui, stendendosi sul divano e strappandogli un piccolo sorriso.
Itachi si sentiva un po’ in colpa a
lasciarlo a casa da solo, ma aveva quindici anni, oramai era autosufficiente, e
preoccuparsi era praticamente inutile e stupido.
«Se entro le undici non sono tornato vai pure
a letto» si limitò a dire, e poi lo salutò mentre usciva di casa, chiudendosi
la porta alle spalle.
Dire che non era in apprensione
sarebbe stata una bugia, dopotutto non lo aveva mai lasciato da solo,
soprattutto dopo la morte dei loro genitori. Si era sempre comportato più come
un padre e una madre, piuttosto che come un fratello, anche quando li avevano
affidati ai loro zii.
Shisui era sempre stato più bravo con
Sasuke, lo faceva ridere, sapeva farlo divertire, mentre lui si limitava a
rimbeccarlo su ogni cosa, e a controllare che avesse fatto tutti i compiti, e
che non si facesse male quando giocava in giardino.
Forse avrebbe davvero dovuto lasciarlo
a Konoha, con lo zio Kagami
e la zia, forse non era stato saggio battersi per il suo affidamento, ma oramai
lo aveva fatto, e per quanto il suo fosse stato un mero atto di egoismo, teneva
a Sasuke più di ogni altra cosa.
Era lui ad avere bisogno di Sasuke,
non il contrario.
Salì in macchina lanciando un’ultima
occhiata all’ammaccatura, certo che in qualsiasi caso avrebbe avuto il tempo
per riparla più avanti, quando la sua vita avrebbe preso una piega più
tranquilla, e la retta della scuola di Sasuke sarebbe stata saldata, e poi mise
in moto cercando di ricordare le spiegazioni di Asami
per raggiungere casa sua.
Guidò nel traffico, maledicendo
Londra, il fatto che fosse stato costretto a trasferirsi per lavoro, e le
pessime spiegazioni di Asami, e quando finalmente
trovò la via ed il numero civico parcheggiò davanti alla palazzina, mandandole
un messaggio per avvisare che la stava aspettando.
Sorprendentemente non ci volle molto
prima che la ragazza uscisse dalla portineria con la mano alzata in segno di
saluto, aprì la portiera e poi si accomodò sul sedile passeggero, poggiando la
borsa nera in pelle fra le gambe.
«Ciao!» sorrise radiosa poggiandosi
allo schienale, «Scusami, ma stavo dando da mangiare a Guinness»
ammise sotto lo sguardo confuso di Itachi.
Probabilmente la stava prendendo per pazza, se non lo avesse già fatto quando
si erano incontrati in quel ristorante, «La mia gatta» spiegò, mettendo le mani
avanti, «È incinta, e se non le doso le porzioni di cibo si mangia anche la
ciotola» scherzò, rubando un sorriso al ragazzo che la guardava.
«Adesso ho capito perché avevi tutto
quel cibo per gatti nel carrello» replicò, e lei annuì sorridendo.
«In realtà ne ho due, un maschio e una
femmina, ma dal momento che fra qualche mese nasceranno i piccoli mi sto
attrezzando» gli disse, certa che probabilmente quella era la ragione
principale per cui aveva ventidue anni ed era single. Avrebbe fatto la fine di
quelle vecchie che tengono i gatti morti nel freezer, e per quanto amasse gli
animali l’idea non l’allettava affatto. «E tu? Hai lasciato il tuo cupcake a casa da solo?» domandò, cercando di cambiare
argomento.
Itachi annuì, «Sì, ha la cena nel microonde
e tutto quello che gli serve» le rispose, tenendo le mani sul volante, «Un po’
come i tuoi gatti» aggiunse, strappandole una risata.
Asami si ricompose in fretta, sistemandosi
la maglia e i pantaloni, «Comunque ti porto in un bel posto, stasera» o almeno,
quello che per lei era un bel posto, «Tu ci porti» si corresse poi, dato che
era lui quello che guidava, «Ed io ti dico la strada».
Itachi mise in moto seguendo le indicazioni
della ragazza che, come un perfetto navigatore satellitare, gli riferiva la
strada con frasi come “a destra” oppure “alla rotonda prendi la seconda uscita”
fra un discorso e l’altro.
«E dimmi un po’, Itachi»
riprese dopo l’ennesima indicazione, «Che ci fate voi due, soli soletti a
Londra?» chiese, sperando di non essere troppo invadente.
Il ragazzo rimase concentrato sulla
strada, senza guardarla, «Sono qui per lavoro, e dal momento che Sas’ke è affidato a me, siamo qui
entrambi» spiegò, continuando a guidare.
Asami non si sentì di domandargli perché
fosse affidato a lui, non si conoscevano abbastanza, e in più immaginava da sé
il motivo per cui si fosse fatto carico del suo fratellino. «Posso chiederti
che lavoro fai?» continuò a tartassarlo, decidendo che era quella la cosa più
logica da dire.
«Lavoro per un’azienda ottica» le disse,
rivolgendole un sorriso, «E tu? Cosa fai?».
Asami poggiò il gomito al finestrino,
guardando fuori «Oltre a tamponare i bei ragazzi con la macchina?» domandò
retorica, maledicendosi subito dopo della stronzata che aveva appena proferito,
«Insegno karatè in un dojo, a sinistra!».
Itachi mise la freccia all’ultimo, svoltando
di colpo e beccandosi gli insulti e le strombazzate del clacson dell’autista
dietro di loro.
«Siamo arrivati, è quello là, il
posto» comunicò, slacciandosi la cintura e aspettando che Itachi
parcheggiasse.
Il ristorante era un semplice
all you can eat giapponese, non molto grande, con un nastro
al centro sul quale giravano piattini colorati e decorati. Asami
gli fece strada con un sorriso, parlando con il cameriere che mostrò loro un
tavolo per due, invitandoli ad accomodarsi.
«È un bel posticino, ci vengo
spesso a cena» disse, sfilandosi la
giacchetta nera ed appendendola alla sedia, «Il proprietario è un mezzo parente
di mio padre, credo» continuò, spiegando il tovagliolo e poggiandoselo sulle
gambe, «Ma fra dinastie e tutto il resto non ci capisco niente, sono
praticamente per il novantasette percento inglese per quanto riguarda la
cultura e queste cose».
Itachi la seguì sistemando il cappotto sullo
schienale, «Quindi tuo padre è giapponese» chiese, e sebbene la domanda suonò
più come un’affermazione , Asami annuì.
«Anche se è nato qui, quindi non
molto, in realtà» rispose, afferrando un piattino lilla dal nastro, «Ma è molto
legato alle tradizioni e queste cose» aggiunse, separando le bacchette con un
sonoro clack, prima di afferrare
il sushi che aveva nel piatto.
Itachi la imitò sorridendole, servendosi a
sua volta, «Anche mio padre era molto tradizionalista» le confessò, usando quel
verbo al passato che le confermò che lui e Sasuke erano orfani. Lo guardò
prendere del pollo con le bacchette, in un movimento così naturale che la fece
sentire una cretina.
Erano anni che mangiava nei ristoranti
giapponesi, e ancora non aveva capito come si tenessero quei due dannati
bastoncini!
«È buono come in Giappone?» la domanda
le uscì spontanea, era la cosa più logica che potesse chiedergli dopo il
“Insegnami ad usare queste due cose”, ma non le era sembrato
il caso di prendersi così tanta confidenza.
Il ragazzo portò il bicchiere alle
labbra e poi arricciò appena il naso in una leggera smorfia che rese ancora più
dolci i lineamenti del su viso, «Ci siamo quasi».
«Io non sono mai stata in Giappone»
confessò, senza che qualcuno glielo avesse chiesto, non sforzandosi nemmeno un
briciolo di reprime il suo problema di
prolissità. Parlava solo lei, doveva stare un po’ zitta.
Ecco trovato il secondo motivo per cui
era single.
«Voglio dire, sono stata ad Okinawa,
ma Okinawa non è né Giappone né Cina, è solo una cosa a metà, più Giappone,
forse, ma comunque non lo è» farneticò mentre Itachi ridacchiava, portandosi un altro po’ di pollo
alle labbra.
Il modo in cui Asami
gesticolava mentre parlava gli fece temere che potesse accecare qualche
cameriere con una delle bacchette, «E non ti hanno insegnato come si tengono le
bacchette?» domandò, allungando la mano libera per sistemarle le dita sui due
bastoncini.
Asami arrossì, forse per la prima volta da
quando si erano incontrati, «… così» le disse, mostrandole come si faceva, e
poi tornò composto, mentre lei lo fissava con l’aria confusa. Provò a prendere
un’alga, ma a metà strada gli cadde sul pavimento, facendola scoppiare in una
risata.
«Si è suicidata piuttosto di vedermi usare
le bacchette in questo modo» scherzò, tornando poi ad usarle come aveva sempre
fatto, cioè nel modo più sbagliato possibile. «E Sasuke? Si sta ambientando?»
gli chiese, cambiando argomento, più che altro per far parlare un po’ anche
lui.
Itachi sospirò scuotendo il capo, «No, ma
non ha grossi problemi con la lingua, è un ragazzino intelligente e sveglio»
spiegò, come a voler dire che non era un problema di comunicazione, quanto di
una semplice crisi adolescenziale, «Gli mancano i suoi amici, suppongo»
aggiunse, ma in realtà non sapeva nemmeno lui quale fosse il problema. Lui non
voleva parlarne, e forzarlo avrebbe solo peggiorato la situazione.
Guardò Asami
inclinare appena il capo, le sue labbra dipinte di un rosa pallido si
inarcarono appena, «Potresti dirgli di venire a fare karatè al mio dojo» propose, come se dandogli qualcosa da fare avrebbero
potuto risolvere almeno in parte il suo mutismo e i suoi comportamenti
dispotici, «Così non fa il triste asociale a casa».
Non era un’idea così pessima, ma il
problema fondamentale era che Sasuke non voleva saperne di fare nulla, se non
di starsene chiuso in camera sua a leggere.
«Se riesco a convincerlo» e non
sarebbe stata un’impresa facile, per niente, «Ti faccio sapere per messaggio,
tanto il tuo numero lo ho» le disse, preparato psicologicamente al fatto che
Sasuke gli avrebbe risposto con dei versi gutturali senza un senso. «È che
ultimamente non parla molto, siamo passati dallo scrivere sui fogli, ai mugolii
insensati, e mi sto chiedendo se non fossero meglio i fogli, a questo punto»
confessò affranto e rassegnato, recuperando un piatto di sushi dal nastro.
Asami ridacchiò coprendosi la bocca con il
dorso della mano, «Quanto scommetti che in una settimana te lo rimetto in
riga?» parlò poi, bevendo un sorso d’acqua, «Niente torture medievali, lo
giuro» si premurò di aggiungere, come se stesse cercando di rassicurarlo sul
fatto che non avrebbe legato Sasuke tirandolo per le gambe e le braccia.
«Gli parlerò…»
le rispose, ed il discorso Sasuke morì lì.
La cena continuò indisturbata fra i
commenti e le domande di Asami, e quando ebbero
finito e si alzarono dal tavolo insistette – come aveva promesso – per essere
lei a pagare, «Prendilo come una parte del risarcimento per l’ammaccatura della
macchina» gli disse, e poi uscirono e salirono in auto.
«Che cosa spinge una ragazza ad
insegnare karatè?» le chiese d’un tratto Itachi,
concentrato mentre guidava, ed Asami si strinse nelle
spalle.
«È l’unica cosa che mi resta di mio
nonno, l’unica cosa che ho della mia cultura» spiegò, sistemandosi meglio sul
sedile, «E poi mi piace prendere a calci la gente, è una buona valvola di
sfogo» aggiunse con un sorriso, spostando lo sguardo fuori dal finestrino. «Mi
fa sentire in pace con me stessa, e poi non guarda al sesso e all’età, tutti
possono impararlo, esistono maestri di settant’anni che ancora si allenano»
ammise, sistemandosi poi i capelli lunghi su una spalla, pettinandoseli con le
dita, «Solo che al giorno d’oggi viene insegnato male da molti, quindi passa
per lo sport violento che in realtà non è» concluse, poggiando la testa al
sedile.
Itachi la guardò per una frazione di
secondo, sforzandosi di restare concentrato sulla guida: era una bella ragazza,
indipendente e simpatica, sprizzava vitalità da ogni singolo poro, come un
piccolo sole che riscalda il minuscolo microcosmo che gli sta attorno.
Era stato fortunato a conoscere una
persona come lei, così disponibile in tutto, forse un po’ espansiva, ma nessuno
era perfetto.
«Siamo arrivati, la tua gatta ti
aspetta» le disse, accostando l’auto davanti alla portineria della palazzina,
«Grazie per la cena» e Asami fece un gesto con il
braccio, come a voler cacciare una mosca fastidiosa.
«Te l’ho detto, e il risarcimento per
la sfortuna di essere stato colpito dalla mia pessima guida» sorrise aprendo la
portiera, «Fammi sapere per Sasuke» aggiunse, alzando poi la mano in segno di
saluto, «Buonanotte e grazie a te» concluse, chiudendo
poi lo sportello dell’auto, avviandosi verso l’entrata del palazzo.
-―❁―-
Itachi entrò in casa togliendosi il
cappotto, accendendo la luce del soggiorno.
Sasuke dormiva sul divano, con un
libro aperto sulla pancia e lo sguardo rilassato. Non ricordava quando fosse
stata l’ultima volta che lo aveva visto riposare così, senza quell’incubo
ricorrente in cui i loro genitori venivano uccisi uno dopo l’altro.
Gli sembrò di sentire di nuovo la
deflagrazione di quei proiettili, nella sua testa, mentre le sue mani tappavano
erroneamente le labbra di Sasuke e non i suoi occhi.
Non doveva gridare, e non lo aveva
fatto.
Gli sfiorò i capelli leggermente in
disordine con una carezza, indeciso se spostarlo o lasciarlo lì, a passare la
notte sul divano.
Non voleva disturbare quel sonno
piatto, simile all’acqua del lago di Konoha. Non
voleva essere il bambino che lanciava il sasso, distruggendo quella pacifica
quiete che avvolgeva ogni cosa. Si sedette sul pavimento, sfilandosi le scarpe
e la maglia, osservando il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente, con una
regolarità che gli rilassava ogni nervo. Lo aveva protetto per tutti quegli
anni, come si custodisce un fiore estremamente raro e prezioso, sotto quella
campana di vetro che lui tentava di distruggere.
Forse lo odiava per questo, lo avrebbe
fatto per sempre, ma poteva accettare anche questo, anche di essere odiato pur
di dargli una vita felice e serena.
Si alzò recuperando una coperta,
avvolgendolo in quella, fino alle spalle, e poi poggiò delicatamente la fronte
contro la sua.
«Buonanotte, Sas’ke» mormorò piano, con un filo di voce, avviandosi poi
verso la camera da letto.
NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».
Che dire? Beh, non c’è molto da dire!
Le cose tra Itachi
ed Asami si stanno muovendo, pian pianino ♥
Lasciamo a voi le varie
considerazioni, informandovi solo che gli zii di Itachi
e Sasuke sono Kagami e sua moglie e che, quindi, Shisui è il loro cugino.
Scusate per la pochezza delle note, ma
oggi è una giornata un po’ impegnativa ;)
Ringraziamo il seguito che Ikigai ha ricevuto già dall’inizio…
non ce lo aspettavamo affatto!
Noi ci rivediamo il 15 aprile con il terzo capitolo ♥
Alla prossima e grazie mille per aver
letto ;)
papavero
radioattivo