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Autore: BabaYagaIsBack    11/04/2015    2 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter 3
When Everything Goes Wrong



 

Nonostante la riluttanza di mia madre, riesco a fuggir di casa prima del previsto – dopotutto Catherine è rimasta soddisfatta dell'incontro con la signora Douglas, quindi non ha trovato una scusante abbastanza valida per vietarmi d'uscire anche questa sera.
Così, dopo tre fermate d'autobus e una manciata di minuti a piedi, raggiungo la via in cui la casa dei Benton è collocata e, nell'aria, già sento il profumo del kebab che Charlie mi ha promesso. L'acquolina riempie la bocca e in viso mi compare un immenso sorriso. C'è un certo piacere nel sapere di potersi far trattare come una principessa da un ragazzo che non proverà a sfilarci le mutandine, a cena conclusa.

Compio ancora qualche falcata felice prima di comparire difronte alle familiari finestre dalle tende azzurre e, lì, la madre del mio migliore amico mi avvista dalla cucina. Sul suo viso rotondo e pieno di lentiggini appare un'espressione entusiasta e la mano prende a sventolare in segno di saluto. Pare quasi che non mi veda da settimane, quando invece solo due pomeriggi fa mi trovavo seduta proprio al suo tavolo da pranzo.

«Charlie! Jay è arrivata! Alza il culo da quel dannato materasso!» strilla con tanta potenza da oltrepassare persino il legno della porta d'ingresso. Così mi ritrovo ad abbassare la maniglia di casa mentre un moto d'ilarità mi colpisce in pieno viso. Vorrei riuscire a trattenere le risate, ma il modo in cui Molly e suo figlio comunicano è una delle cose più divertenti che io abbia mai udito. Lei, che normalmente appare come una dolce donna dalle guance gonfie e rosee, si trasforma in una specie di Maresciallo alle prese con un cadetto davvero poco diligente – e il dubbio che sia affetta da uno sdoppiamento di personalità diventa reale. 
Mamma Benton, che si trova alla base della scalinata che porta al piano superiore, si volta nella mia direzione appena compaio sulla soglia d'ingresso, facendo entrare insieme a me una brezza frizzante. Mi guarda con dolcezza, poi mi corre incontro afferrandomi il volto tra le mani e stampandomi un caloroso quanto umido bacio sulla fronte: «Guarda che splendore!» afferma, rimirando la bellezza di una ragazza che considera quasi come una figlia – sì, perché come ogni madre avrebbe tanto voluto una femmina, invece le è capitato Charlie, anche se non si lamenta più del dovuto.
Le afferro le mani: «Ciao, Molly» e prima che possa aggiungere una qualsiasi domanda di circostanza, il passo svelto di un giovane uomo cattura la nostra attenzione. Un ragazzo con i capelli arruffati compare nel mio campo visivo sbadigliando. I jeans strappati e lo skate in mano a completarne la figura – quella a cui ormai sono abituata. Svelto si dà un'ultima sistemata al septum e poi, alza gli occhi su di noi, sorridendo sia con le labbra, sia con gli occhi. Ecco il mio migliore amico in tutta la sua bellezza!

«Sempre a importunare?» domanda a sua madre, passandole accanto e agganciandomi per un polso. Sento la sua presa farsi stretta e, prima ancora che possa rendermene conto, siamo nuovamente fuori casa, alla totale mercé del lieve tepore settembrino.

Sua madre gli lancia qualche commento colorito, ma lui non le dà retta, continua a sfoggiare l'eterno buonumore che tanto lo caratterizza, fin quando, arrivati accanto al suo maggiolino giallo, non mi apre la portiera compiendo un mezzo inchino: «Prego, mademoiselle» recita strizzandomi l'occhio e, appena mi accomodo sul sedile, si gira verso Molly alzando le braccia al cielo – e lo skateboard al seguito: «Vedi? Un perfetto gentiluomo!»
La portiera si chiude tra i sorrisi collettivi e in men che non si dica, eccolo accanto a me, seduto al posto di guida.

***
 

Ebbene, nemmeno cinque minuti dopo aver lasciato la via in cui abita Charlie, il suo cellulare a preso a squillare con estrema insistenza, distruggendo completamente il programma che avevamo deciso di adottare per il pomeriggio e la prima serata.

Il mio kebab si è quindi trasformato in Seth Morgestern.

Tanto ipocalorica quanto allettante, quella che avrebbe dovuto essere la mia cena può essere paragonata al terzo membro del clan creato da Jace. Sì, perché Seth ha l'incredibile abilità di far aumentare la salivazione di ogni singola donna che incroci il suo sguardo, me compresa – e questo si può forse riassumere in un unico modo: bad boy. Sbagliato, esattamente come la quantità immane di calorie che ingloberei mangiando un kebab, eppure estremamente buono.

Ed ovviamente, come ogni femmina alle prese con gli ormoni che impazzano senza logica, vorrei poterne prendere un morso, o due – diciamo che anche tutto non sarebbe male.

Charles sbuffa mentre spinge un cd nello stereo, una delle molteplici playlist fatte durante i pomeriggi vuoti passati nel negozio dove lavora e che io tanto amo; e c'è da sottolineare che una delle cose che più lega il nostro gruppo è proprio questa: la passione per la musica, soprattutto se appartenente a un qualche sottogenere del rock.

Una canzone dei Fireflight inizia a riempire l'abitacolo, facendosi sempre più forte e sovrastando così qualsiasi altro rumore. Benton è il primo a intonare il motivetto, conoscendolo fin troppo bene e, dopo qualche istante d'imbarazzo, mi unisco a lui. Entrambi delusi dalla cena mancata e dagli allenamenti persi, ci lasciamo andare sulle note della canzone, riacquistando pian piano la serenità.
Charlie ride e mi guarda, si diverte a sentirmi stonare fino al momento in cui, all'ennesimo semaforo, mette la freccia e svolta nei pressi del luogo in cui Seth ci ha dato appuntamento.
I nostri occhi prendono a vagare lungo i due marciapiedi che si trovano ai lati opposti della strada a senso unico, alla disperata ricerca del principe degli stereotipi.

Allunghiamo i colli e aguzziamo la vista, poi una figura familiare cattura la mia attenzione. Mani ingioiellate spostano ciocche ribelli, una sigaretta penzola pericolosamente da labbra pallide e strette.
Seth appare come la visione più scontata che si possa avere del cattivo ragazzo – e il mio stomaco prende a contorcersi nella pancia.

Svelta inizio a girare la manovella del finestrino e, in men che non si dica, inizio a sventolare la mano in segno di saluto. Il sorriso che mi appare in concomitanza a tutto ciò è del tutto involontario, eppure impossibile da contenere, peccato che appassisca in fretta sulle labbra. Sì, perché quando lo sguardo del nostro amico saetta verso il maggiolino giallo, è impossibile non notare un evidente nervosismo.
Charlie accosta, mi fa scivolare sui sedili posteriori e aspetta l'altro con un'espressione che deve rassomigliare molto la mia: cosa, o chi, può aver fatto arrabbiare Morgesten?

L'interessato sale in auto sbattendo la portiera, butta fuori un soffio di fumo bianco e subito sbotta: «Ho bisogno di bere»
Benton avvicina maggiormente le sopracciglia: «Mi hai fatto rinunciare allo skatepark per questo?» Basta un tono sbagliato per rovinare l'umore generale.
«Potevi dirmi che eri impegnato» 
«Pensavo avessi bisogno di noi!» il maggiolone riparte piano, mentre Charlie lancia all'amico occhiate bieche.
Morgesten fa un gesto stizzito e la cenere della sigaretta cade sul bordo della portiera: «Infatti, ho bisogno di voi per andare a bere. Cosa cazzo c'è di difficile da capire?» più la conversazione va avanti, più il suo grugno si fa minaccioso e io mi sento in dovere d'intervenire; non sono disposta a farmi rovinare il sabato pomeriggio da Seth e il suo malumore, men che meno vederlo aggredire il suo migliore amico per motivi del tutto futili; perché di norma per farlo alterare ci vuole davvero poco. Così, appena sento i toni alzarsi, mi metto in mezzo per evitare che si scannino vivi – cosa possibile, seppur improbabile.
«Si può sapere che diavolo ti prendere?» domando al passeggero, sporgendomi tra i due sedili anteriori. Mi ci vuole un certo sforzo a compiere questo gesto, so che facendo così arriverei a catalizzare su di me tutto il suo fastidio, eppure è la cosa giusta da fare: chi alzerebbe mai la voce con un'innocente diciottenne, soprattutto se sangue dello stesso sangue con il ragazzo che si considera come un fratello? Forse lui.
Seth sbuffa, si volta verso di me con fare scocciato: «Si può sapere chi ti ha chiesto di parlare?» i suoi occhi azzurri sembrano volermi schiaffeggiare, riesco persino a scorgere dell'odio nello sguardo che mi rivolge.
E lo stomaco si stringe ancora, ma questa volta per altri motivi.

«Nessuno» mi lascio sfuggire a denti stretti, in parte offesa; però non demordo, continuo a parlargli per puro masochismo, perché solo così si può definire ciò che mi spinge a perpetrare questa follia: «Solo che Charlie e io ci stavamo godendo il pomeriggio, poi arrivi tu con il tuo stupido broncio e mandi a puttane tutto!» Stavolta il tono è meno pacato, si capisce bene che il suo commento mi ha scalfito l'orgoglio.

Lui ride difronte al mio commento, emettendo una di quelle risate che sanno di superiorità ostentata. Vedo chiaramente, in questa sua reazione, quanto mi consideri infantile a suo confronto, e ingenua. 
La scalfittura si fa sempre più simile a un solco; e lo so che non dovrei prendermela, che quando Morgesten è di cattivo umore diventa uno stronzo in tutto e per tutto e che, per una persona emotiva come me, è un male, eppure non riesco a evitarmi di stringermi nelle spalle – solo che non voglio né dargliela vinta, né fargli vedere quanto lui influisca sul mio umore. Però le cotte funzionano così: l'atteggiamento di uno influenza l'altro.
«Oh, poverina! Ho rovinato il vostro appuntamento? Ora che fai, vai a piangere dal fratellone?»
Charlie gli tira una gomitata, cerca di fermarlo sapendo a cosa si sta per andare incontro: «Smettila» gli ordina, ma Seth è tutto tranne che addomesticabile, quindi continua, imperturbabile e tronfio in questo suo momento di gloria.
Ho già detto di avere un rapporto abbastanza morboso con Jace, no? Ebbene, questo lo rende anche il mio più grande punto debole – e lui lo sa, entrambi lo sanno.
«Che stupido! Non puoi. Ti ha mollata qui per scappare a Parigi» e come un vero maestro d'armi mi dà il colpo di grazia, ferendomi nel profondo. Quando vuole farmi male non sbaglia mai, forse perché sono una sorta di libro aperto, oppure perché sono ancora troppo fragile per sopportare le sue cattiverie.
Sento un misto di rabbia e lacrime gonfiarmi il petto, mentre la voglia di tirargli uno schiaffo su quel bel viso si fa impellente, tanto da far formicolare i palmi. Mi mordo la lingua con forza e il sapore ferroso del sangue inizia a mischiarsi alla saliva e scendere lungo la gola.

Devo uscire da questo abitacolo, mi manca l'aria e potrei fare qualcosa di cui mi pentirei.


«Ferma l'auto» comando in un sussurro a Benton, che prova a dissuadermi dal dare il via a una scenata – ma nulla m'impedirà di scendere dal maggiolone, voglio mettere più distanza possibile tra me e colui che ha osato citare mio fratello, colpirmi, farmi sentire ancora troppo immatura per avere a che fare con loro.
«Jane...»

«Fermati e basta, santo cielo!» dico un'ultima volta sull'orlo delle lacrime. 
Aspetto quindi che l'auto si accosti e poi, come una scheggia, scendo senza salutare.

Il sabato sera è ufficialmente rovinato, grazie Morgesten.
 

***

A Seth non sono servite più di due ore per rintracciarmi. Avrà continuato a discutere con Charlie per qualche chilometro, poi si saranno concessi un paio di birre e infine avrà acceso il cellulare per rintracciarmi con il gps – a quel punto si sarà deciso a raggiungermi.
E quindi eccoci qui, seduti uno accanto all'altro sulla stessa panchina sgangherata. Quando ha fatto la sua comparsa mi è passato davanti senza dire nulla, poi si è lasciato cadere sul legno che ha cigolato sotto il peso di entrambi e, alla fine, ha accorciato le distanze tra i nostri corpi. Nonostante questo suo gesto però, ancora non ci siamo detti nulla; l'unico rumore tra di noi è stato quello della carta delle sigarette che viene bruciata. Non ho nemmeno alzato lo sguardo, anche se il desiderio di ammirare il suo viso, ora che è più tranquillo, mi ha corrosa per i primi dieci minuti.

D'un tratto si piega in avanti, mettendosi in una posizione simile alla mia: «Ce ne andiamo?» mi domanda, indicando con il mento la fermata della metro che, fino ad adesso, ho evitato di prendere per tornare a casa. Per qualche strano motivo ho sperato fino all'ultimo che venisse a cercarmi, se non lui, Charlie. Me ne sono stata qui a sorseggiare succhi di frutta in brik di carta bianca, fumare le sigarette rimastemi nel pacchetto e ascoltare musica, pregando silenziosamente che venissero a prendermi, dimostrandomi che tanto indesiderata, alla fine, non sono.
Annuisco, buttando il mozzicone e incamminandomi senza esitazione. Seth fa altrettanto, seppur con qualche secondo di ritardo e, appena recupera il passo – cosa abbastanza semplice per uno della sua stazza -, mi cinge le spalle con un braccio, tirandomi a sé.
Tanti piccoli brividi prendono a riempirmi il corpo e, a prescindere dall'arrabbiatura nei suoi confronti, non posso far altro che crogiolarmi in questa sua mossa. Gesti d'affetto così evidenti non sono mai stati un problema tra di noi. Jace ha sempre lasciato che i suoi amici mi abbracciassero, baciassero le guance in segno di saluto o accompagnassero a casa sottobraccio, probabilmente per via del fatto che per lui ero un po' come la sorella minore di tutti e tre, ma non ha mai valutato la possibilità che potessi nutrire qualche altra sorta d'interesse nei confronti di uno di loro. Quindi, se ai loro occhi tutto ciò è naturale e innocente, per me equivale a un tuffo al cuore e una sferzata di ormoni.

Scendiamo fianco a fianco fino alla banchina e persino una volta saliti sul vagone i nostri corpi restano vicini – più tempo passa, più il suo calore mi fa rabbrividire. La fantasia prende a vagare in direzioni che sarebbe meglio non prendere. Crea storie con finali improbabili, che vengono alimentati dai suoi gesti. Mi ruba una delle cuffiette, si stravacca sul sedile tanto da riuscire ad appoggiare la testa sulla mia spalla e poi resta lì, immobile a fissare al di là del finestrino – e io mi ritrovo a fissare lui, sentendo la temperatura interna aumentare drasticamente.


Dovrei smetterla di guardarlo, eppure non riesco.
È bello, questa cosa è innegabile. Ha fascino, così come tutti i bad boy che si possono incontrare in una libreria, tra le pagine di storie più dolci del miele stesso e ha un modo di catturare gli sguardi che pare innaturale.

E adesso che è qui, che mi è così vicino, non riesco a far a meno di gioire della cosa, di trovare nella sua espressione rilassata la purezza che negli anni gli ho visto perdere.
Così faccio scivolare lo sguardo sui suoi capelli scuri, sulle guance magre, sulla maglia sgualcita e sui jeans stracciati, impigliandomi poi tra gli anelli elaborati che tiene sulle dita.
«Ti fermi da me, vero?» domanda di punto in bianco, spostando lo sguardo. Vedo il blu dei suoi occhi riempirsi della mia immagine, dove guance rosse fanno trapelare l'imbarazzo di essere stata scoperta in flagrante.

Per un istante vorrei poter sparire, ma come si può scappare da iridi così autorevoli?
«Forse» sussurro. Non sono pronta a dargliela vinta, ha ancora delle scuse da farmi e, men che meno, ora, mi sento pronta a restare sola con lui in un luogo tanto intimo e limitato.
Lui fa una smorfia scocciata, socchiudendo le palpebre: «O è un sì, o è un no, Jay. La prossima fermata è la nostra» mi fa notare. Sposto l'attenzione sul display alla fine del vagone constatando da me che, a disposizione per compiere questa scelta, ho solo un paio di minuti.
Non voglio tornare a casa, ma neppure restar sola con un soggetto irascibile quanto lui, anche se si tratta di una sorta di modello mancato.
Tra le due cose però, quella meno allettante è tornare a casa Raven, chiudersi in camera e sperare che la domenica sia meglio di questo sabato terribile, così alla fine, a dispetto di tutte le belle parole messe insieme fino ad adesso, cedo a Seth: «Okay» e appena acconsento a seguirlo, lui balza in piedi e si porta verso l'uscita.
La sua schiena mi fissa, aspettandosi che anche io mi avvicini e lo segua su per le scale mobili che ci condurranno in strada. Vorrei poter indugiare ancora un po', ma non ci riesco, perché infondo mi piacerebbe davvero riuscire a stare con Morgestern senza dover fare i conti con il malumore o altre persone. La mia cotta nei suoi confronti è più prepotente di qualsiasi altra cosa, persino della volontà o del buonsenso.

Scivoliamo sicuri lungo la stazione e i tunnel che la compongono, riemergendo tra le ombre di una prima sera fresca.
Cammino poco distante dal ragazzo che è con me, cercando di non mettere mai troppi passi tra di noi – non vorrei mai che si accorgesse di quanto, a differenza sua, mi senta ancora a disagio, tesa dopo la crudele battuta che ha fatto su Jace. Lo so che è una reazione infantile la mia, che a diciotto anni non dovrei offendermi per una sciocchezza del genere, eppure non posso impedirmelo, forse perché mio fratello è davvero l'unica persona di cui mi possa fidare ciecamente; il mio migliore amico, la spalla su cui piangere, l'amore mancato o il gemello improbabile.
Nonostante questo però, mi ha tradita, andandosene via.
E' vero, si tratta solo di qualche anno, di un passaggio obbligatorio per chi vuole crescere e cambiare la propria vita, ma fino a quando non mi ha mostrato la mail d'accettazione della Sorbona ho sempre creduto che fossi io, insieme a Charlie e Seth, il suo tutto.

La voce di Morgestern a un tratto spezza il silenzio intorno a noi, così come il mio flusso di pensieri e, quando i nostri occhi s'incrociano, avverto una sensazione simile al vuoto riempirmi lo stomaco.
«E riguardo a prima... scusa Jay, ho esagerato» i suoi passi si fermano, il busto si gira e, senza rendermene conto, finisco tra le sue braccia che mi stringono forte, seppur con una certa dolcezza: «Lo sai che per qualsiasi cosa ci siamo noi».
E persino nolente, non posso far altro che lasciarmi andare nella sua stretta, assimilando il suo calore, il suo profumo e il suono del suo cuore che va appena più veloce del solito, forse per via dello sforzo che un simile gesto gli richiede.

 



correzione del 13.04.19


 


 
   
 
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