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Autore: CassandraLeben    24/12/2008    12 recensioni
Questa storia è ambientata dopo Eclipse ed è stata elaborata prima dell’uscita di BD.
HO AGGIORNATO!!!!!!!
In breve: un racconto alternativo, avventuroso e romantico, nonché triste, di ciò che avevo immaginato potesse accadere dopo il fatidico “Sì” tra Edward e Bella.
Il ritorno dei Volturi, di Jack, Alec e Jane sconvolgeranno la vita dei novelli sposi
ATTENZIONE, PUò CREARE ASSUEFAZIONE E PROBLEMI CARDIACI! XD
< Isabella. > Una voce familiare risuonò nella camera. Sobbalzai. Non mi ero accorta della presenza di qualcuno nella stanza.
< Bella! Quanto tempo, desideravo con ansia rivederti. > Aro mi si avvicinò e mi prese la mano. Con gentilezza, me la baciò. Notai i suoi occhi guizzare sulla mia fede e poi incontrare i miei. Mi sorrise tranquillo e mi fece accomodare sul divano.
< Prego cara, siediti. Non avere paura. Non devi preoccuparti. > Sapevo che non potevo rifiutare. Tanto valeva stare al gioco. Magari sarei riuscita a sopravvivere un po’ più a lungo.
Genere: Romantico, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È la vigilia di Natale… (frase scontata...)

Spero che domani trascorriate tutte una piacevole giornata con le persone a cui volete bene! (altra frase scontanta)
Io, domani, sarò in casa a scrivere il cap 48 (il 47 è già pronto XD, dopo tanto tempo,avevo molto da recuperare…) e a sorbirmi quel poco della mia famiglia che ancora si ricorda che io e mia sorella esistiamo (non che la cosa mi turbi… anzi, meglio. Non mi piace la confusione.) In pratica, saremo io, il mio gatto, la mia gatta, mia madre e mia sorella… e il membro più simpatico della compagnia è Schinichi, il mio adorato gatto rintronato che adesso è splendido! Ha messo su il pelo invernale ed è un batuffolo grasso con il pelo rosso soffice soffice!!! Ma basta parlare del mio gatto-scemo…
Finalmente, in questo cap, si comincia ad intravedere qualcosa!
Ma adesso vi lascio… devo leggere “Dubliners” (che gioia… è in inglese... ma sempre meglio de “La montagna incantata”… è lunghissima!!!! Oddio…)
Consideratete questo capitolo come un regalino di Natale da parte mia…
A tutte, buon Natale! (anche questa, è scontata... ma ci tenevo a dirvelo XD)
Ci vediamo il 27?
Speriamo di sì! (visto come sono stata veloce? Dopo tante settimane senza pubblicare, mi sto rifacendo XD)

PS: Ma lo sapevate che anche nella apncia della mamma i bambini possono avere il singhiozzo? Succede quando respirano attraverso il liquido amniotico XD. Ecco qui riportato il paragrafo dal sito "Pianeta Mamma", una delle mie fonti più affidabili, con cui mi sono documentata per scrivere questa storia di gravidanze e Ehm... sesso? (si può dire? direi di sì XD in fondo, la vita in fin dei conti è intorno a questo che gira...)
Settimana 37 Il bambino impara a respirare inalando liquido amniotico, e questo può portarlo ad avere il singhiozzo, facilmente avvertibile dalla madre.
PPS: La storia di Kung Fu Panda in realtà mi è venuta in mente domenica, mentre lo guardavo con i bambini della casa famiglia dove sn andata per il olontariato... inizialmente, avevo pensato di far guardare a Liz Van Helsinki XD

 
Bella’s POV

 
Freddo.

Delle mani gelate mi tenevano schiacciata a terra, mi mancava l’aria.
Qualcuno mi stava facendo del male.
Qualcuno che non riuscivo a vedere, dato che la mia testa era tenuta premuta contro le foglie arancioni sparse sul terreno, macchiate di rosso dal mio sangue.
Avevo paura e non riuscivo a respirare. Nel terrore vidi la mano di Edward, tesa verso di me. Era troppo lontana perché potessi raggiungerla.
Cercai di strisciare sulle ginocchia, di divincolarmi, di andare da lui.
Ma il dolore era troppo forte e alla fine, sconfitta, lasciai che la persona che mi teneva schiacciata a terra infierisse su di me. Il mio sangue, il suo odore e il suo scorrere lentamente lungo le mie guance ferite, mi dava la nausea.
Ma poi la mano di Edward si avvicinò. Mi accarezzò il volto grondante del liquido denso e caldo che tanto lo tentava ma a cui resisteva per amor mio; mi liberò dalla stretta estranea e mi strinse a sé. Mi cullò.
E la paura si trasformò in sollievo.
Il freddo pian piano si fece meno pungente.
Il mio respiro affannato mi rimbombava nella testa.

E poi mi accorsi di un cambiamento.

Calore…
Morbidezza…
Una manina piccola e calda poggiata sul mio seno…
Un peso leggero poco sopra il pancione, sullo stomaco.

Socchiusi gli occhi ed intravidi Elizabeth, sul letto, mezza addormentata su di me. Le manine strette intorno alla stoffa della mia camicia da notte.
Con delicatezza la feci scivolare tra le lenzuola e mi misi seduta.
< Mammi… peché piansgevi? > Mi domandò con la voce impastata di sonno.
Non le risposi, accarezzandola finché non si fu addormentata.
Le rimboccai le coperte e mi maledii per averla svegliata. Era venuta apposta per vedere cosa stesse succedendo. L’avevo messa a dormire nel suo lettino io stessa…
Mi chinai in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia ed ebbi un brivido. Sentii il sudore freddo sulla mia schiena. Ripensai al sogno. Un sogno terribile.
Un altro, ennesimo incubo.
Mi sistemai i capelli in un codino arruffato e sospirai. Come a cercare di proteggermi, mi strinsi le braccia al petto e il sospiro che emisi fu simile ad un rantolo di paura.
I bambini, a differenza di Elizabeth, erano agitati e mi faceva male la pancia. Un brontolio sordo rimbombava dentro di me.

Uno dei bambini aveva il singhiozzo. Speravo non fosse stato a causa della mia ansia.

Avrei voluto Edward vicino a me ma era a caccia insieme ad Alice e ad Esme.
Da quando ero entrata nell’ottavo mese, andavano a caccia una volta alla settima. Nel caso ci fosse stato bisogno di averli in casa, almeno non sarebbero stati assetati…

La sera precedente ero appena arrivata a segnare sul calendario la trentottesima settimana che Edward, tranquillo solo in apparenza, mi aveva baciato sulla guancia ed era svanito nella foresta. Non voleva che capitasse come per la nascita di Elizabeth. Non si allontanava mai troppo e teneva sempre il telefonino acceso. Lo stesso faceva Carlisle, che si era preso un paio di mesi di riposo dal suo lavoro all’ospedale. Gibson era troppo lontana, se ci fosse stata una necessità urgente.
Ripensai agli otto mesi e mezzo precedenti e sorrisi.
Ancora al massimo una quindicina di giorni e avrei stretto tra le braccia i miei bambini…
Sarebbe andato tutto bene. Doveva essere così. I sogni e le mancate visioni di Alice non mi dovevano condizionare. Già in passato mia sorella si era sbagliata.
Carlisle ed Edward non mi avrebbero lasciata sola un solo istante…

A fatica mi misi in piedi, appoggiandomi al comodino.

Il pancione gigante mi nascondeva i piedi e mi faceva sentire pesante.
Feci appena pochi passi che la porta si aprì.
< Bella… > Mi salutò Carlisle cordiale. Io risposi con un mezzo sorriso e poi dissi: < Ciao. Che ore sono? >
< Sono le sei e mezza… Edward dovrebbe arrivare tra poco. >
< Ah, bene. > e mi massaggiai il pancione. Non ero l’unica ad essere sveglia a giudicare dai calcetti che, da leggeri, si erano fatti più decisi. Mi sfiorai la pancia ad un colpo più forte dei precedenti.
< Tutto a posto? >
< Sì, sono solo un po’ agitati… >
< Sicura? >
Annuii e poi barcollai verso il bagno. Carlisle fu così gentile da accompagnarmi, sostenendomi. Mi aspettò fuori della porta. Quando uscii, me lo trovai sorridente ad aspettarmi, pronto ad accompagnarmi di là. Mi appoggiai a lui. Mentre camminavo goffamente verso la porta, Rose entrò nella stanza con grazia, tenendo per mano Emmett. Mi salutarono con un cenno della mano prima di uscire in giardino. A metà luglio il sole splendeva già nonostante l’ora e faceva brillare la loro pelle di diamante.

Andammo in sala ed io proseguii verso la cucina, improvvisamente affamata, ma sapevo che non avrei trovato quello che stavo cercando. Edward ed Esme avevano fatto sparire tutte le merendine e le schifezze simili… proprio quelle di cui avevo una voglia paurosa.
Sconsolata, aprii la credenza ed afferrai i biscotti biologici che sapevano di cibo per criceti e, sospirando, mi sedetti.
Sbirciai in sala e vidi Carlisle intento a leggere un libro dall’aspetto vecchio e consunto, nonché noioso…
Infilai di nuovo la mano nella la scatola per afferrare un altro biscotto ma con orrore mi accorsi che…
< Oddio, sono finiti! Questi erano quelli che facevano meno schifo! >
Carlisle, attirato dalle mie parole, in un secondo si alzò e venne da me. < Tutto a posto? > Mi domandò alquanto perplesso.
Con le lacrime agli occhi (stupidi ormoni) alzai lo sguardo ed incontrai il suo.
< Sono finiti! Gli altri mi fanno schifo! > ed agitai la scatola davanti a lui.
Carlisle sospirò e, con infinita pazienza, aprì un armadietto troppo in alto per me. Ne estrasse un pacchetto di merendine e me ne passò una.
< Non dirlo ad Edward… non vuole che interferisca con la tua dieta. 
Con tutta la fatica che abbiamo fatto per elaborarla, effettivamente credo abbia ragione lui ma un piccolo sgarro non ti farà male. >
E mi sorrise complice.
< Grazie. >
< Di niente. > e tornò di corsa, almeno dal mio punto di vista, al suo libro.
Con ancora metà merendina in mano, mi alzai ed andai in sala. Seduta sul divano, presi uno dei libri del mio corso universitario e cominciai a studiare un nuovo capitolo. Gli esami che avevo dato erano andati abbastanza bene, grazie anche ad Edward, che come tutor era davvero insuperabile (come del resto, in qualunque cosa...). Inoltre, ultimamente, gli esami li avevo tenuti di persona. Con la mia parrucca rossa, accompagnata da Edward, ero andata in sede, a Gibson, e avevo dato l’esame. Era stato divertente vedere il professore osservare il mio  pancione che, date le magliette leggere, faceva bella mostra di sé. Prima ero stata costretta a dare tutti gli esami per corrispondenza,per la mia sicurezza. Edward aveva ottenuto un permesso speciale dicendo che ero affetta da una malattia estremamente contagiosa…
Sorrisi pensando a tutti gli escamotage che la mia famiglia aveva escogitato per farmi vivere al sicuro. O anzi, meglio ancora, per farmi vivere, almeno.
Persa in quei pensieri, non mi accorsi di essere scivolata nel sonno.

Sentii il tonfo sordo del libro che cadeva ma non me ne curai.

Improvvisamente mi sentivo stanchissima, come se fossi stata sveglia per ore.

Feci appena in tempo a sentire la porta della stanza aprirsi e Carlisle entrare. 
Ero scivolata anche io dal divano, senza rendermene conto.
Mi prese in braccio ed io non riuscii a reagire. Cominciò a chiamarmi ma ero troppo stanca per rispondergli.
< Bella! Bella! >  Era agitato. Socchiusi gli occhi e lo vidi afferrare la merendina che non avevo finito.
Un secondo dopo mi scostò i capelli dalla fronte. Continuava a chiamarmi ma ormai, anche volendo, non sarei riuscita a rispondergli. Le palpebre erano troppo pesanti e fui costretta a chiudere gli occhi.
Sentii le sue dita fredde sul mio polso e, nell’incoscienza che incombeva su di me, mi immaginai fossero quelle di Edward. Sorrisi. Poi tutto divenne definitivamente nero. La voce di Carlisle perduta in quella oscurità resa fredda dalle sue dita sulla mia pelle.

Quando mi risvegliai c’era mezza famiglia assiepata intorno al mio letto, il che mi fece sentire un po’ a disagio.

A farmi tornare in me erano state le urla di Edward. Socchiusi gli occhi e vidi Liz tra le braccia di Alice, poi intravidi Carlisle ed Esme. Dietro di loro, Edward agitava le mani contro Rose che, a braccia incrociate, sembrava a disagio.

< Cosa ti è saltato in mente? >
< Non preoccuparti. Quel sonnifero non le farà male! vero Carlisle? è quello che le ha prescritto lui! >
< Sì, ma tu ci hai imbevuto dentro quella merendina! Non ci hai pensato che forse era esagerata la dose? Sei deficiente?  Ed è anche caduta dal divano! E se fosse caduta più forte? Avrebbe potuto succedere un disastro! >
< Ma non è successo! Quindi piantala! >
< Io? Ma sei tu l’incosciente che…! > Urlavano tanto da darmi fastidio.
< Edward! Non volevo fare nulla di male! >
< Ma come hai fatto a non renderti conto che stavi esagerando? E poi, come hai osato farlo tenendomi all’oscuro? Tenendo all’oscuro lei? >
< Edward, lo sai che non vuole prendere niente, nessuna medicina! Neanche quelle che Carlisle le consiglia, quelle che le prescrive! Quelle omeopatiche o che non fanno male ai bambini! Ha troppa paura di fare loro del male!
Io volevo solo aiutarla! L’hai vista che non riesce più a dormire. Volevo solo darle una mano. Se lei avesse saputo che volevo darle del sonnifero, non avrebbe più accettato niente da me. Per questo l’ho messo nelle merendine. Non si è neanche accorta del foro dell'ago... Pensavo di dargliele mentre non c’eri. Volevo solo aiutarla! > Se avesse potuto, Rose avrebbe certamente pianto. Lo capivo dalla voce rotta. < Hai visto come ha dormito bene? Ecco! Speravo che per una volta non si svegliasse in lacrime, coperta di sudore, più stanca di quando non era quando era andata a dormire! >
< Certo, e quindi l’hai imbottita di calmanti! Ma sei completamente fuori di testa? HAI DROGATO MIA MOGLIE!!! >
Mi accorsi che il tono di voce non era alto. Ero io che sentivo più di quanto non avrei voluto. La testa che ronzava mi faceva male.
La confusione nella mia testa andava lentamente dissolvendosi, di pari passo con il chiarificarsi delle voci. Vagamente, capivo di cosa stessero parlando, ed intuii la causa del mio mal di testa.
Mugolai portandomi le mani al capo dolorante.
Un istante dopo Edward era chino su di me.< Bella, Tesoro, come ti senti? >
< Edward… > cercai di dire con la voce impastata dal sonno. Le sue mani mi accarezzarono gentili e premurose.
< Non litigare ‘on Rose… > sussurrai rannicchiandomi contro il suo braccio.

Ecco perché quella merendina aveva un sapore strano. Sonnifero…

Appoggiai il capo sulla spalla di Edward. Lui mi accarezzò i capelli e poi la schiena.
< Va bene. Non stavamo litigando, non preoccuparti. Come stai? > Mi domandò cercando di mantenere un tono di voce normale.
< Bene. Stanca. > Non riuscivo a formulare una frase più sensata, che comprendesse delle congiunzioni o qualcosa di più complesso di un aggettivo o avverbio. 
Sentii un brivido lungo la schiena. Mi sforzai di aggiungere: < Sei freddo. >
Un attimo dopo mi avvolse in una coperta calda e morbida.
Volevo dormire ma sapevo, mi rendevo conto che questo avrebbe agitato Edward.
Mi sforzai di aprire gli occhi e di sorridere. Non ricordavo di averli richiusi.
Intravidi le sue labbra piegarsi in un’espressione di sollievo.
A fatica mi misi seduta, aiutata da Edward.
Rose, immobile, mi fissava con uno sguardo indecifrabile. Si sentiva in colpa? Così sembrava.

< Edward… >
< Sì, amore? >
< Mi accompagneresti in bagno? > bisbigliai quando mi resi conto che avevo urgentemente bisogno di andarci. I bambini premevano sulla mia vescica ed il bagno era diventato uno dei luoghi che frequentavo di più. Lui rise leggermente e mi prese in braccio.
Ad un centimetro dal mio orecchio, mi sussurrò: < Non addormentarti di nuovo. Non farci prendere di nuovo paura. Non farmi agitare. >
< Edward, tu ti agiti sempre. > lo rimproverai in un bisbiglio. Sentii Emmett ridacchiare. Nel frattempo, mi ero quasi del tutto svegliata.
< Comunque, tu non provare più a mangiare quelle schifezze. Se mi avessi dato ascolto… >
Gli feci la linguaccia e lo precedetti dicendogli: < È colpa tua. Non mi lasci mai mangiare le cose che mi piacciono. Se non fossi stata costretta a mangiarlo di nascosto, Rosalie non avrebbe osato... > Ma mi impedì di proseguire dandomi un bacio a fior di labbra.

Quando io ed Edward tornammo dagli altri, Rose era sparita. Gettai uno sguardo interrogativo ad Alice, che si strinse nelle spalle ed indicò le scale, ed Edward mi fece sedere sul divano. Liz cominciò ad agitarsi. Alice la fece scendere dalle sue braccia e la bambina mi venne vicino. All’orecchio mi sussurrò: < Ho fame. >
Da qualche tempo aveva cominciato a parlare solo con me di tutto ciò che riguardava il cibo o le tipiche caratteristiche umane, per così dire, fisiologiche.
Sembrava che ormai per lei fosse chiaro che queste cose non potessero essere del tutto compre dagli altri, in quanto loro, per quanto cercassero di non dare troppo peso alla cosa, erano diversi da noi. Forse, non voleva disturbarli chiedendo loro di fare qualcosa che non potevano essi stessi apprezzare di persona, come cucinare.

Con Elizabeth avevo creato un piccolo universo custodito all’interno del nostro già minuscolo e protetto angolo di mondo.

Mi voltai verso Edward che indicò con il capo l’orologio. Erano le 13 e 40.
< Va bene, adesso ti preparo qualcosa… > le dissi cercando di alzarmi appoggiandomi al bracciolo del divano.
< Non ci provare. > Mi bisbigliò Edward prima di sparire in cucina.
< Il papà non mi lascia fare niente. > Dissi ad Elizabeth in tono molto colloquiale. < Tutto perché è convinto che mi sfracellerò per terra se anche provo ad accendere un fiammifero. > e feci finta di sospirare. Dalla cucina, Edward sussurrò qualcosa ed Alice si coprì la faccia per nascondere un sorriso. E lo stesso fecero Carlisle ed Esme.
Arrossii lievemente. Sebbene non avessi sentito le parole, ne intuivo facilmente il senso.

Che ero imbranata era un dato di fatto… non c’era bisogno di ribadirlo ogni tre minuti.

Quando fu pronto, Elizabeth mi precedette accomodandosi sulla sua sedia speciale, fatta per lei apposta da Emmett. Con lentezza la raggiunsi. Ultimamente mi muovevo poco. Edward faceva di tutto per farmi rimanere a letto. Era piacevole camminare, facendo attenzione a dove mettessi i piedi...
Finimmo in fretta di mangiare e poi andammo nella stanza del pianoforte. Edward suonò a lungo mentre io e la bambina lo ascoltavamo. Mi ci volle un po’ per smaltire la stanchezza derivata dalla merendina corretta di Rose, la quale non si fece vedere nella stessa stanza in cui si trovava Edward per due giorni, per evitare di litigare. L’occasione di riunirli mi capitò il venerdì della stessa settimana del pasticcio del sonnifero.

Stavo lavando i piatti quando Liz, tutta contenta, venne da me e mi afferrò la gonna. < Mammi, vieni? >
< Un attimo, amore. Appena ho finito. > dato che io e la bambina eravamo le uniche a sporcare i piatti, ero riuscita a convincere Esme ad andare a dipingere e lasciare me a pulirli. Avevo avuto un po’ mal di pancia negli ultimi giorni e stare in piedi mi aiutava. Inoltre, i bambini erano irrequieti e stare sdraiata mi faceva notare di più i loro movimenti.
< Dai mammi, il fim comincia. >
< Eccomi, eccomi. > e mi asciugai le mani.
Le maniche alzate lasciavano vedere le cicatrici che avevano ancora un colore leggermente violaceo. Erano spesse e facili da individuare. Liz mi prese la mano ancora umida e cercò di trascinarmi di là. Non si lasciava impressionare facilmente. La prima volta che le aveva viste, mi aveva tranquillamente chiesto cosa fossero. Le avevo detto con molta calma che una volta mi ero fatta male, quando aspettavo che nascesse lei -ed avevo indicato il pancione-. Lei allora mi aveva chiesto: < E perché papa no ti ha aiutato? >
Presa in contropiede, le avevo risposto: < Perché in quel momento lui non c’era… ma è venuto subito da me e mi ha aiutata. > Lei allora si era aggrappata a me e con voce leggermente tremante a causa della paura mi aveva chiesto: < Ma non sce ne adrà più, vero? >
< Ma no, no tesoro… >
< E neanche tu te ne adrai mai, vero? Non come nei miei brutti sciogni…? >
Ero Rimasta bloccata con la mano sulla sua testa, la mia carezza interrotta. Edward, che ci aveva ascoltate dalla stanza vicina, era entrato e l’aveva presa in braccio, poi mi aveva cinto la vita con un braccio e mi aveva baciato a lungo.

Da quel giorno, tre mesi prima, Elizabeth non aveva fatto più domande. Ero quasi certa che Edward le avesse detto qualcosa che l’aveva convinta a stare zitta…

Pensando a queste cose, raggiunsi mio marito, tenuta per mano da una Liz impaziente di raggiungere il papà.
Entrate nella stanza, Edward e Carlisle smisero di parlare, chini su dei grafici incomprensibili, e mio marito venne verso di noi. Spalancò le braccia e Liz gli corse incontro, saltandogli al collo ed aggrappandosi al suo petto. Edward mi prese poi la mano e mi accompagnò al divano. Nel lettore DVD era già inserito il cartone scelto da Liz. Glielo aveva regalato Alice per il compleanno. Lei lo adorava e lo guardava ogni volta che le davamo il permesso di accendere la televisione. Aveva espresso il desiderio di guardarlo insieme a noi che, da bravi genitori, avevamo accettato con una specie di nodo allo stomaco. Forse Edward no, dato che lui adorava fare le cose con Liz, ma io speravo che la bambina si addormentasse in fretta facendo finire in anticipo quella tortura.

Dopo la prima mezz’ora di risate da parte di Liz, di panda imbranati e grassi (che mi ricordavano me stessa), di maestri topi con la faccia perennemente arrabbiata e spaghetti di soia distribuiti da un’oca simpatica e totalmente fuori di testa, sentii il bisogno di andare in bagno. Mi sporsi per dare a mio marito un bacio sulla guancia e uno sulla fronte alla bambina quando la voce di velluto del mio Edward mi chiese: < Ti accompagno? >
< Non preoccuparti, non credo che sarebbe più interessante che guardare lo spaghettinaro…  > Ed indicai Liz che seduta sulle sue gambe, incurante del nostro discorso, rideva tenendo tra le mani il suo pupazzo Emmett.

Appoggiandomi al bracciolo del divano mi misi in piedi.

In quel momento vidi l’espressione di Edward farsi improvvisamente serissima. Sembrava che la sua attenzione fosse stata catturata da qualcosa di imprevisto. Sussurrò a Carlisle, che si trovava seduto sulla poltrona a destra (e che aveva alzato lo sguardo): < Hai sentito? >
Quello annuì ed entrambi mi fissarono.

In contemporanea sentii qualcosa di bagnato e di caldo scendere lungo le cosce.

Quella volta non mi lasciai cogliere di sorpresa.
Edward invece fu quasi colto da una crisi di panico. Con un gesto quasi invisibile, depositò Liz sul tappeto davanti al divano e venne da me. Mi accarezzò il volto e poi fissò Carlsile, letteralmente impaurito.

< Edward… non preoccuparti. Andiamo di là… non voglio partorire in sala. > Gli dissi calma e tranquilla, nonostante mi tremassero le ginocchia.

Alla parola partorire, ebbe un leggero sussulto. In quel momento Alice e Rose scesero le scale. Sotto i capelli neri intravidi un cellulare. Con voce cristallina ed eccitata, Alice disse: < Sì Charlie! Sta partorendo! Le si sono appena rotte le acque! No, no, questa volta credo proprio che ci vorrà di meno che con Liz. Ti chiamo appena posso. > E poi riattaccò. Alzò lo sguardo e mi sorrise raggiante. Poi sparì in camera mia e subito sentii il suono dello scrosciare dell’acqua della vasca.
< Carlisle… > Sussurrai a mezza-voce quando sentii le prime fitte di dolore.
< Si Bella? > Mi domandò lui tenendomi per il braccio mentre mi accompagnava in camera sostenendomi. Non mi sfuggirono le sue dita sul mio polso, intente a controllarmi.
< Carlsile, vero che ce ne hai di quella roba per l’epidurale? > e non potei nascondere il tremore mentre parlavo.
Lui rise sommessamente e mi rassicurò: < Quanta ne vuoi, quanta ne vuoi. >

Edward, che mi teneva l’altra mano, pareva più pallido del solito.

< Rose! > Gridai e lei comparve subito. Si era accorta di cosa stesse succedendo ma voleva evitare di farsi odiare ulteriormente da Edward. Mio marito però in quel momento sembrava lontano migliaia di anni-luce… Tanto distante da dimenticarsi di litigare con sua sorella. Le chiese:
< Rose, ti occuperesti tu di… ehm, di Elizabeth, per favore? >
Lei annuì, ci rassicurò e poi svanì in sala.
La sentii mentre diceva: < Liz, che ne dici se adesso vieni con la zia e con lo zio? Andiamo di sopra a giocare? >

Poi la porta della mia camera si chiuse dietro di me, allontanando tutti i rumori.
Mi sdraiarono a letto mentre l’acqua calda continuava a scorrere e riempire la vasca…
< Edward… >
< Sì? > mi domandò lui agitato, tenendomi la mano.
< Sono contenta che tu sia qui. > gli dissi stringendo le sue dita perfette.
Lui si aprì in un gran sorriso. 

< Anche io. > e poi si chinò a baciarmi la fronte su cui avevano fatto la loro comparsa le prime gocce di sudore…

  
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