È la vigilia di Natale… (frase scontata...)
Spero che domani trascorriate tutte
una piacevole giornata con
le persone a cui volete bene! (altra frase scontanta)
Io, domani, sarò in casa a scrivere il cap 48 (il 47
è già
pronto XD, dopo tanto tempo,avevo molto da recuperare…) e a
sorbirmi quel poco
della mia famiglia che ancora si ricorda che io e mia sorella esistiamo
(non
che la cosa mi turbi… anzi, meglio. Non mi piace la
confusione.) In pratica,
saremo io, il mio gatto, la mia gatta, mia madre e mia
sorella… e il membro più
simpatico della compagnia è Schinichi, il mio adorato gatto
rintronato che
adesso è splendido! Ha messo su il pelo invernale ed
è un batuffolo grasso con
il pelo rosso soffice soffice!!! Ma basta parlare del mio
gatto-scemo…
Finalmente, in questo cap, si comincia ad intravedere
qualcosa!
Ma adesso vi lascio… devo leggere
“Dubliners” (che gioia… è
in inglese... ma sempre meglio de “La montagna
incantata”… è lunghissima!!!!
Oddio…)
Consideratete questo capitolo come un regalino di Natale da parte
mia…
A tutte, buon Natale! (anche
questa, è scontata... ma ci tenevo a dirvelo XD)
Ci vediamo il 27?
Speriamo di sì! (visto come sono stata veloce? Dopo tante
settimane senza pubblicare, mi sto rifacendo XD)
Settimana 37 Il bambino impara a respirare inalando liquido amniotico, e questo può portarlo ad avere il singhiozzo, facilmente avvertibile dalla madre.
PPS: La storia di Kung Fu Panda in realtà mi è venuta in mente domenica, mentre lo guardavo con i bambini della casa famiglia dove sn andata per il olontariato... inizialmente, avevo pensato di far guardare a Liz Van Helsinki XD
Freddo.
Delle mani gelate mi tenevano
schiacciata a terra, mi
mancava l’aria.
Qualcuno mi stava facendo del male.
Qualcuno che non riuscivo a vedere, dato che la mia
testa era tenuta premuta contro le foglie arancioni sparse sul terreno,
macchiate di rosso dal mio sangue.
Avevo paura e non riuscivo a respirare. Nel terrore
vidi la mano di Edward, tesa verso di me. Era troppo lontana
perché potessi
raggiungerla.
Cercai di strisciare sulle ginocchia, di divincolarmi,
di andare da lui.
Ma il dolore era troppo forte e alla fine, sconfitta, lasciai
che la persona che mi teneva schiacciata a terra infierisse su di me.
Il mio
sangue, il suo odore e il suo scorrere lentamente lungo le mie guance
ferite,
mi dava la nausea.
Ma poi la mano di Edward si avvicinò. Mi
accarezzò il
volto grondante del liquido denso e caldo che tanto lo tentava ma a cui
resisteva per amor mio; mi liberò dalla stretta estranea e
mi strinse a sé. Mi
cullò.
E la paura si trasformò in sollievo.
Il freddo pian piano si fece meno pungente.
Il mio respiro affannato mi rimbombava nella testa.
E poi mi accorsi di un cambiamento.
Calore…
Morbidezza…
Una manina piccola e calda poggiata sul mio seno…
Un peso leggero poco sopra il pancione, sullo stomaco.
Socchiusi gli occhi ed intravidi
Elizabeth, sul letto,
mezza addormentata su di me. Le manine strette intorno alla stoffa
della mia
camicia da notte.
Con delicatezza la feci scivolare tra le lenzuola e mi
misi seduta.
< Mammi… peché piansgevi? > Mi
domandò con la
voce impastata di sonno.
Non le risposi, accarezzandola finché non si fu
addormentata.
Le rimboccai le coperte e mi maledii per averla
svegliata. Era venuta apposta per vedere cosa stesse succedendo.
L’avevo messa
a dormire nel suo lettino io stessa…
Mi chinai in avanti, poggiando i gomiti sulle
ginocchia ed ebbi un brivido. Sentii il sudore freddo sulla mia
schiena. Ripensai
al sogno. Un sogno terribile.
Un altro, ennesimo incubo.
Mi sistemai i capelli in un codino arruffato e
sospirai. Come a cercare di proteggermi, mi strinsi le braccia al petto
e il
sospiro che emisi fu simile ad un rantolo di paura.
I bambini, a differenza di Elizabeth, erano agitati e
mi faceva male la pancia. Un brontolio sordo rimbombava dentro di me.
Uno dei bambini aveva il
singhiozzo. Speravo non fosse
stato a causa della mia ansia.
Avrei voluto Edward vicino a me ma
era a caccia
insieme ad Alice e ad Esme.
Da quando ero entrata nell’ottavo mese, andavano a
caccia una volta alla settima. Nel caso ci fosse stato bisogno di
averli in
casa, almeno non sarebbero stati assetati…
La sera precedente ero appena
arrivata a segnare sul
calendario la trentottesima settimana che Edward, tranquillo solo in
apparenza,
mi aveva baciato sulla guancia ed era svanito nella foresta. Non voleva
che
capitasse come per la nascita di Elizabeth. Non si allontanava mai
troppo e
teneva sempre il telefonino acceso. Lo stesso faceva Carlisle, che si
era preso
un paio di mesi di riposo dal suo lavoro all’ospedale. Gibson
era troppo
lontana, se ci fosse stata una necessità urgente.
Ripensai agli otto mesi e mezzo precedenti e sorrisi.
Ancora al massimo una quindicina di giorni e avrei
stretto tra le braccia i miei bambini…
Sarebbe andato tutto bene. Doveva essere così. I sogni
e le mancate visioni di Alice non mi dovevano condizionare.
Già in passato mia
sorella si era sbagliata.
Carlisle ed Edward non mi avrebbero lasciata sola un
solo istante…
A fatica mi misi in piedi,
appoggiandomi al comodino.
Il pancione gigante mi nascondeva i
piedi e mi faceva
sentire pesante.
Feci appena pochi passi che la porta si aprì.
< Bella… > Mi salutò Carlisle
cordiale. Io
risposi con un mezzo sorriso e poi dissi: < Ciao. Che ore sono?
>
< Sono le sei e mezza… Edward dovrebbe arrivare tra
poco. >
< Ah, bene. > e mi massaggiai il pancione. Non
ero l’unica ad essere sveglia a giudicare dai calcetti che,
da leggeri, si
erano fatti più decisi. Mi sfiorai la pancia ad un colpo
più forte dei
precedenti.
< Tutto a posto? >
< Sì, sono solo un po’ agitati…
>
< Sicura? >
Annuii e poi barcollai verso il bagno. Carlisle fu
così gentile da accompagnarmi, sostenendomi. Mi
aspettò fuori della porta.
Quando uscii, me lo trovai sorridente ad aspettarmi, pronto ad
accompagnarmi di
là. Mi appoggiai a lui. Mentre camminavo goffamente verso la
porta, Rose entrò
nella stanza con grazia, tenendo per mano Emmett. Mi salutarono con un
cenno
della mano prima di uscire in giardino. A metà luglio il
sole splendeva già nonostante
l’ora e faceva brillare la loro pelle di diamante.
Andammo in sala ed io proseguii
verso la cucina, improvvisamente
affamata, ma sapevo che non avrei trovato quello che stavo cercando.
Edward ed
Esme avevano fatto sparire tutte le merendine e le schifezze
simili… proprio
quelle di cui avevo una voglia paurosa.
Sconsolata, aprii la credenza ed afferrai i biscotti
biologici che sapevano di cibo per criceti e, sospirando, mi sedetti.
Sbirciai in sala e vidi Carlisle intento a leggere un
libro dall’aspetto vecchio e consunto, nonché
noioso…
Infilai di nuovo la mano nella la scatola per
afferrare un altro biscotto ma con orrore mi accorsi che…
< Oddio, sono finiti! Questi erano quelli che
facevano meno schifo! >
Carlisle, attirato dalle mie parole, in un secondo si
alzò e venne da me. < Tutto a posto? > Mi
domandò alquanto perplesso.
Con le lacrime agli occhi (stupidi ormoni) alzai lo
sguardo ed incontrai il suo.
< Sono finiti! Gli altri mi fanno schifo! > ed
agitai la scatola davanti a lui.
Carlisle sospirò e, con infinita pazienza, aprì
un
armadietto troppo in alto per me. Ne estrasse un pacchetto di merendine
e me ne
passò una.
< Non dirlo ad Edward… non vuole che interferisca
con la tua dieta.
Con tutta la fatica che abbiamo fatto per elaborarla,
effettivamente credo abbia ragione lui ma un piccolo sgarro non ti
farà male.
>
E mi sorrise complice.
< Grazie. >
< Di niente. > e tornò di corsa, almeno dal
mio
punto di vista, al suo libro.
Con ancora metà merendina in mano, mi alzai ed andai
in sala. Seduta sul divano, presi uno dei libri del mio corso
universitario e
cominciai a studiare un nuovo capitolo. Gli esami che avevo dato erano
andati
abbastanza bene, grazie anche ad Edward, che come tutor era davvero
insuperabile (come del resto, in qualunque cosa...). Inoltre,
ultimamente, gli
esami li avevo tenuti di persona. Con la mia parrucca rossa,
accompagnata da
Edward, ero andata in sede, a Gibson, e avevo dato l’esame.
Era stato
divertente vedere il professore osservare il mio
pancione che, date le magliette leggere,
faceva bella mostra di sé. Prima ero stata costretta a dare
tutti gli esami per
corrispondenza,per la mia sicurezza. Edward aveva ottenuto un permesso
speciale
dicendo che ero affetta da una malattia estremamente
contagiosa…
Sorrisi pensando a tutti gli escamotage che la mia
famiglia aveva escogitato per farmi vivere al sicuro. O anzi, meglio
ancora,
per farmi vivere, almeno.
Persa in quei pensieri, non mi accorsi di essere
scivolata nel sonno.
Sentii il tonfo sordo del libro che
cadeva ma non me
ne curai.
Improvvisamente mi sentivo
stanchissima, come se fossi
stata sveglia per ore.
Feci appena in tempo a sentire la
porta della stanza
aprirsi e Carlisle entrare.
Ero scivolata anche io dal divano, senza rendermene
conto.
Mi prese in braccio ed io non riuscii a reagire. Cominciò a
chiamarmi ma ero troppo stanca per
rispondergli.
< Bella! Bella! > Era
agitato. Socchiusi gli occhi e lo vidi
afferrare la merendina che non avevo finito.
Un secondo dopo mi scostò i capelli dalla fronte.
Continuava a chiamarmi ma ormai, anche volendo, non sarei riuscita a
rispondergli. Le palpebre erano troppo pesanti e fui costretta a
chiudere gli
occhi.
Sentii le sue dita fredde sul mio polso e,
nell’incoscienza che incombeva su di me, mi immaginai fossero
quelle di Edward.
Sorrisi. Poi tutto divenne definitivamente nero. La voce di Carlisle
perduta in
quella oscurità resa fredda dalle sue dita sulla mia pelle.
A farmi tornare in me erano state
le urla di Edward.
Socchiusi gli occhi e vidi Liz tra le braccia di Alice, poi intravidi
Carlisle
ed Esme. Dietro di loro, Edward agitava le mani contro Rose che, a
braccia
incrociate, sembrava a disagio.
< Cosa ti è
saltato in mente? >
< Non preoccuparti. Quel sonnifero non le farà
male! vero Carlisle? è quello che le ha prescritto lui!
>
< Sì, ma tu ci hai imbevuto dentro quella merendina!
Non ci hai pensato che forse era esagerata la dose? Sei deficiente? Ed è anche caduta
dal divano! E se fosse
caduta più forte? Avrebbe potuto succedere un disastro!
>
< Ma non è successo! Quindi piantala! >
< Io? Ma sei tu l’incosciente che…!
> Urlavano
tanto da darmi fastidio.
< Edward! Non volevo fare nulla di male! >
< Ma come hai fatto a non renderti conto che stavi
esagerando? E poi, come hai osato farlo tenendomi all’oscuro?
Tenendo
all’oscuro lei? >
< Edward, lo sai che non vuole prendere niente,
nessuna medicina! Neanche quelle che Carlisle le consiglia, quelle che
le
prescrive! Quelle omeopatiche o che non fanno male ai bambini! Ha
troppa paura
di fare loro del male!
Io volevo solo aiutarla! L’hai vista che non riesce
più a dormire. Volevo solo darle una mano. Se lei avesse
saputo che volevo
darle del sonnifero, non avrebbe più accettato niente da me.
Per questo l’ho
messo nelle merendine. Non si è neanche accorta del foro
dell'ago... Pensavo di dargliele mentre non c’eri. Volevo
solo
aiutarla! > Se avesse potuto, Rose avrebbe certamente pianto. Lo
capivo
dalla voce rotta. < Hai visto come ha dormito bene? Ecco!
Speravo che per
una volta non si svegliasse in lacrime, coperta di sudore,
più stanca di quando
non era quando era andata a dormire! >
< Certo, e quindi l’hai imbottita di calmanti! Ma
sei completamente fuori di testa? HAI DROGATO MIA MOGLIE!!! >
Mi accorsi che il tono di voce non era alto. Ero io
che sentivo più di quanto non avrei voluto. La testa che
ronzava mi faceva male.
La confusione nella mia testa andava lentamente dissolvendosi,
di pari passo con il chiarificarsi delle voci. Vagamente, capivo di
cosa
stessero parlando, ed intuii la causa del mio mal di testa.
Mugolai portandomi le mani al capo dolorante.
Un istante dopo Edward era chino su di me.< Bella,
Tesoro, come ti senti? >
< Edward… > cercai di dire con la voce
impastata
dal sonno. Le sue mani mi accarezzarono gentili e premurose.
< Non litigare ‘on Rose… > sussurrai
rannicchiandomi contro il suo braccio.
Ecco perché quella
merendina aveva un sapore strano.
Sonnifero…
Appoggiai il capo sulla spalla di
Edward. Lui mi
accarezzò i capelli e poi la schiena.
< Va bene. Non stavamo litigando, non preoccuparti.
Come stai? > Mi domandò cercando di mantenere un tono
di voce normale.
< Bene. Stanca. > Non riuscivo a formulare una
frase più sensata, che comprendesse delle congiunzioni o
qualcosa di più
complesso di un aggettivo o avverbio.
Sentii un brivido lungo la schiena. Mi
sforzai di aggiungere: < Sei freddo. >
Un attimo dopo mi avvolse in una coperta calda e
morbida.
Volevo dormire ma sapevo, mi rendevo conto che questo
avrebbe agitato Edward.
Mi sforzai di aprire gli occhi e di sorridere. Non
ricordavo di averli richiusi.
Intravidi le sue labbra piegarsi in un’espressione di
sollievo.
A fatica mi misi seduta, aiutata da Edward.
Rose, immobile, mi fissava con uno sguardo
indecifrabile. Si sentiva in colpa? Così sembrava.
< Edward… >
< Sì, amore? >
< Mi accompagneresti in bagno? > bisbigliai
quando mi resi conto che avevo urgentemente bisogno di andarci. I
bambini
premevano sulla mia vescica ed il bagno era diventato uno dei luoghi
che
frequentavo di più. Lui rise leggermente e mi prese in
braccio.
Ad un centimetro dal mio orecchio, mi sussurrò: <
Non addormentarti di nuovo. Non farci prendere di nuovo paura. Non
farmi agitare.
>
< Edward, tu ti agiti sempre. > lo rimproverai
in un bisbiglio. Sentii Emmett ridacchiare. Nel frattempo, mi ero quasi
del
tutto svegliata.
< Comunque, tu non provare più a mangiare quelle
schifezze. Se mi avessi dato ascolto… >
Gli feci la linguaccia e lo precedetti dicendogli:
< È colpa tua. Non mi lasci mai mangiare le cose che
mi piacciono. Se non
fossi stata costretta a mangiarlo di nascosto, Rosalie non avrebbe
osato...
> Ma mi impedì di proseguire dandomi un bacio a fior
di labbra.
Quando io ed Edward tornammo dagli
altri, Rose era
sparita. Gettai uno sguardo interrogativo ad Alice, che si strinse
nelle spalle
ed indicò le scale, ed Edward mi fece sedere sul divano. Liz
cominciò ad
agitarsi. Alice la fece scendere dalle sue braccia e la bambina mi
venne
vicino. All’orecchio mi sussurrò: < Ho
fame. >
Da qualche tempo aveva cominciato a parlare solo con
me di tutto ciò che riguardava il cibo o le tipiche
caratteristiche umane, per
così dire, fisiologiche.
Sembrava che ormai per lei fosse chiaro che queste
cose non potessero essere del tutto compre dagli altri, in quanto loro,
per
quanto cercassero di non dare troppo peso alla cosa, erano diversi da
noi.
Forse, non voleva disturbarli chiedendo loro di fare qualcosa che non
potevano
essi stessi apprezzare di persona, come cucinare.
Con Elizabeth avevo creato un
piccolo universo
custodito all’interno del nostro già minuscolo e
protetto angolo di mondo.
Mi voltai verso Edward che
indicò con il capo
l’orologio. Erano le 13 e 40.
< Va bene, adesso ti preparo qualcosa… > le
dissi cercando di alzarmi appoggiandomi al bracciolo del divano.
< Non ci provare. > Mi bisbigliò Edward prima
di
sparire in cucina.
< Il papà non mi lascia fare niente. > Dissi
ad
Elizabeth in tono molto colloquiale. < Tutto perché
è convinto che mi
sfracellerò per terra se anche provo ad accendere un
fiammifero. > e feci
finta di sospirare. Dalla cucina, Edward sussurrò qualcosa
ed Alice si coprì la
faccia per nascondere un sorriso. E lo stesso fecero Carlisle ed Esme.
Arrossii lievemente. Sebbene non avessi sentito le
parole, ne intuivo facilmente il senso.
Che ero imbranata era un dato di
fatto… non c’era
bisogno di ribadirlo ogni tre minuti.
Quando fu pronto, Elizabeth mi
precedette
accomodandosi sulla sua sedia speciale, fatta per lei apposta da
Emmett. Con
lentezza la raggiunsi. Ultimamente mi muovevo poco. Edward faceva di
tutto per
farmi rimanere a letto. Era piacevole camminare, facendo attenzione a
dove
mettessi i piedi...
Finimmo in fretta di mangiare e poi andammo nella
stanza del pianoforte. Edward suonò a lungo mentre io e la
bambina lo
ascoltavamo. Mi ci volle un po’ per smaltire la stanchezza
derivata dalla
merendina corretta di Rose, la quale non si fece vedere nella stessa
stanza in
cui si trovava Edward per due giorni, per evitare di litigare.
L’occasione di
riunirli mi capitò il venerdì della stessa
settimana del pasticcio del
sonnifero.
Stavo lavando i piatti quando Liz,
tutta contenta,
venne da me e mi afferrò la gonna. < Mammi, vieni?
>
< Un attimo, amore. Appena ho finito. > dato che
io e la bambina eravamo le uniche a sporcare i piatti, ero riuscita a
convincere Esme ad andare a dipingere e lasciare me a pulirli. Avevo
avuto un
po’ mal di pancia negli ultimi giorni e stare in piedi mi
aiutava. Inoltre, i
bambini erano irrequieti e stare sdraiata mi faceva notare di
più i loro
movimenti.
< Dai mammi, il fim comincia. >
< Eccomi, eccomi. > e mi asciugai le mani.
Le
maniche alzate lasciavano vedere le cicatrici che avevano ancora un
colore leggermente violaceo. Erano spesse e facili da individuare. Liz
mi prese la mano ancora
umida e cercò di trascinarmi di là. Non si
lasciava impressionare facilmente.
La prima volta che le aveva viste, mi aveva tranquillamente chiesto
cosa
fossero. Le avevo detto con molta calma che una volta mi ero fatta
male, quando
aspettavo che nascesse lei -ed avevo indicato il pancione-. Lei allora
mi aveva
chiesto: < E perché papa no ti ha aiutato? >
Presa in contropiede, le avevo risposto: < Perché
in quel momento lui non c’era… ma è
venuto subito da me e mi ha aiutata. >
Lei allora si era aggrappata a me e con voce leggermente tremante a
causa della
paura mi aveva chiesto: < Ma non sce ne adrà
più, vero? >
< Ma no, no tesoro… >
< E neanche tu te ne adrai mai, vero? Non come nei
miei brutti sciogni…? >
Ero Rimasta bloccata con la mano sulla sua testa, la mia
carezza interrotta. Edward, che ci aveva ascoltate dalla stanza vicina,
era
entrato e l’aveva presa in braccio, poi mi aveva cinto la
vita con un braccio e
mi aveva baciato a lungo.
Da quel giorno, tre mesi prima,
Elizabeth non aveva
fatto più domande. Ero quasi certa che Edward le avesse
detto qualcosa che
l’aveva convinta a stare zitta…
Pensando a queste cose, raggiunsi
mio marito, tenuta
per mano da una Liz impaziente di raggiungere il papà.
Entrate nella stanza, Edward e Carlisle smisero di
parlare, chini su dei grafici incomprensibili, e mio marito venne verso
di noi.
Spalancò le braccia e Liz gli corse incontro, saltandogli al
collo ed
aggrappandosi al suo petto. Edward mi prese poi la mano e mi
accompagnò al
divano. Nel lettore DVD era già inserito il cartone scelto
da Liz. Glielo aveva
regalato Alice per il compleanno. Lei lo adorava e lo guardava ogni
volta che
le davamo il permesso di accendere la televisione. Aveva espresso il
desiderio
di guardarlo insieme a noi che, da bravi genitori, avevamo accettato
con una
specie di nodo allo stomaco. Forse Edward no, dato che lui adorava fare
le cose
con Liz, ma io speravo che la bambina si addormentasse in fretta
facendo finire
in anticipo quella tortura.
Dopo la prima mezz’ora di
risate da parte di Liz, di panda
imbranati e grassi (che mi ricordavano me stessa), di maestri topi con
la
faccia perennemente arrabbiata e spaghetti di soia distribuiti da
un’oca
simpatica e totalmente fuori di testa, sentii il bisogno di andare in
bagno. Mi
sporsi per dare a mio marito un bacio sulla guancia e uno sulla fronte
alla
bambina quando la voce di velluto del mio Edward mi chiese: < Ti
accompagno?
>
< Non preoccuparti, non credo che sarebbe più
interessante che guardare lo spaghettinaro…
> Ed indicai Liz che seduta sulle sue gambe,
incurante del nostro
discorso, rideva tenendo tra le mani il suo pupazzo Emmett.
Appoggiandomi al bracciolo del
divano mi misi in
piedi.
In quel momento vidi
l’espressione di Edward farsi
improvvisamente serissima. Sembrava che la sua attenzione fosse stata
catturata
da qualcosa di imprevisto. Sussurrò a Carlisle, che si
trovava seduto sulla
poltrona a destra (e che aveva alzato lo sguardo): < Hai
sentito? >
Quello annuì ed entrambi mi fissarono.
In contemporanea sentii qualcosa di
bagnato e di caldo scendere
lungo le cosce.
Quella volta non mi lasciai
cogliere di sorpresa.
Edward invece fu quasi colto da una crisi di panico.
Con un gesto quasi invisibile, depositò Liz sul tappeto
davanti al divano e
venne da me. Mi accarezzò il volto e poi fissò
Carlsile, letteralmente
impaurito.
< Edward… non
preoccuparti. Andiamo di là… non
voglio partorire in sala. > Gli dissi calma e tranquilla,
nonostante mi
tremassero le ginocchia.
Alla parola partorire, ebbe un
leggero sussulto. In
quel momento Alice e Rose scesero le scale. Sotto i capelli neri
intravidi un
cellulare. Con voce cristallina ed eccitata, Alice disse: <
Sì Charlie! Sta
partorendo! Le si sono appena rotte le acque! No, no, questa volta
credo
proprio che ci vorrà di meno che con Liz. Ti chiamo appena
posso. > E poi
riattaccò. Alzò lo sguardo e mi sorrise
raggiante. Poi sparì in camera mia e
subito sentii il suono dello scrosciare dell’acqua della
vasca.
< Carlisle… > Sussurrai a mezza-voce quando
sentii le prime fitte di dolore.
< Si Bella? > Mi domandò lui tenendomi per il
braccio mentre mi accompagnava in camera sostenendomi. Non mi
sfuggirono le sue
dita sul mio polso, intente a controllarmi.
< Carlsile, vero che ce ne hai di quella roba per
l’epidurale? > e non potei nascondere il tremore
mentre parlavo.
Lui rise sommessamente e mi rassicurò: < Quanta ne
vuoi, quanta ne vuoi. >
Edward, che mi teneva
l’altra mano, pareva più pallido
del solito.
< Rose! > Gridai e
lei comparve subito. Si era
accorta di cosa stesse succedendo ma voleva evitare di farsi odiare
ulteriormente da Edward. Mio marito però in quel momento
sembrava lontano
migliaia di anni-luce… Tanto distante da dimenticarsi di
litigare con sua
sorella. Le chiese:
< Rose, ti occuperesti tu di… ehm, di Elizabeth,
per favore? >
Lei annuì, ci rassicurò e poi svanì in
sala.
La sentii mentre diceva: < Liz, che ne dici se
adesso vieni con la zia e con lo zio? Andiamo di sopra a giocare?
>
Poi la porta della mia camera si
chiuse dietro di me,
allontanando tutti i rumori.
Mi sdraiarono a letto mentre l’acqua calda continuava
a scorrere e riempire la vasca…
< Edward… >
< Sì? > mi domandò lui agitato,
tenendomi la
mano.
< Sono contenta che tu sia qui. > gli dissi
stringendo le sue dita perfette.
Lui si aprì in un gran sorriso.
< Anche io. > e
poi si chinò a baciarmi la fronte su cui avevano fatto la
loro comparsa le
prime gocce di sudore…