XXVI
Al tramonto un contadino stava passando per il bosco, quando
incontrò sulla sua strada una scena alquanto particolare. C’era una bella donna
sdraiata per terra, come se stesse dormendo; aveva lunghi capelli rossi e
ricci, che le ricadevano intorno al corpo disordinatamente e le labbra rosse
erano serrate in un’espressione sognante. Accanto a lei c’era un ragazzo,
anch’egli sdraiato per terra, con i capelli rossi, simili a quelli della donna,
raccolti in una coda ormai scompigliata e le labbra stranamente sorridenti. Il
contadino ipotizzò che i due giovani fossero fratello
e sorella, o forse due amanti che, per qualche scherzo del destino, avevano lo
stesso colore di capelli. Pensò che si fossero addormentati in quella strana
posizione, ma che qualcuno avrebbe potuto far loro del male, quindi decise di
svegliarli. Si avvicinò prima alla ragazza, affascinato dalla sua bellezza. La
sua pelle era liscia, ma pallida e fredda come il marmo, il contadino però non
si scoraggiò, non gli venne in mente all’inizio che potesse
essere morta, e provò a svegliarla.
-Ehi, bella signora, dovreste svegliarvi! Non è sicuro dormire
qui…
Niente da fare. La donna non si muoveva nemmeno di un millimetro e
non dava segni di vita. Un’idea orribile allora cominciò a farsi strada nella
sua mente.
Che sia morta?
No, non può essere…
Tentò poi di svegliare il ragazzo, ma nemmeno lui si muoveva né
accennava a svegliarsi. Toccò la sua gola e non ne sentì i battiti.
Indietreggiò inorridito. Come potevano essere morti e non emanare nessun tipo di odore? Poi pensò che in effetti
quella zona era molto ventilata; il vento doveva aver portato l’odore di morte
da un’altra parte, molto lontano da lì, come per non guastare quella scena così
perfetta. Quello doveva essere stato un suicidio o un massacro, ma come
potevano essere morti con il sorriso sulle labbra e in quella posizione così
naturale? Forse stavano dormendo, quando erano stati uccisi da un mascalzone di
passaggio.
E adesso cosa
faccio? Non li posso lasciare qui così. Potrei seppellirli…
giusto il tempo di tornare a casa a prendere una pala… tanto loro non scappano
di certo…
Una risatina isterica e nervosa gli uscì dalle labbra a quella sua
infelice battuta.
Il contadino si allontanò da quello strano spettacolo e tornò a
casa, dove ad aspettarlo c’erano due bambini strillanti che litigavano tra loro
per un giocattolo e sua moglie, una bella donna che iniziava ad avere qualche
ruga sul viso stanco, ma ancora bello e delicato. Baciò sua moglie e corse a separare
le due piccole pesti, che avrebbero finito per rompere il giocattolo conteso e
la lite sarebbe terminata in una tragedia di pianto.
-Ti vedo strano, qualcosa non va?
Glielo si leggeva in faccia che non andava tutto bene. Ma chi sarebbe mai riuscito ad avere un’espressione felice
al suo posto, dopo aver assistito ad uno spettacolo così ricco di macabra
bellezza?
-Va tutto bene, cara, ma devo tornare un attimo indietro. Dov’è la mia pala per scavare?
-Qui, aspetta che te la prendo. Ma a cosa
ti serve?
Non rispose per non turbare la moglie e per non far sentire una
cosa del genere ai suoi bambini. Ricevuta la pala dalla moglie, tornò nel luogo
dove aveva visto i due corpi. Arrivato lì, una strana
sensazione lo avvolse completamente, come se ci fosse stato qualcosa di
tremendamente sbagliato in quella strana e macabra morte.
Non c’è mai niente di giusto nella morte, non in quella di due
ragazzi così giovani. Chissà chi ha fatto loro una cosa del genere… c’è gente
strana in giro. L’unica cosa che posso fare per loro è seppellirli insieme,
forse avrebbero voluto così, dovevano essere molto
legati per morire così insieme. Spero che le loro anime siano
in pace.
In realtà aveva sbagliato ad interpretare la sua sensazione; non
era sbagliata la loro strana morte, ma era sbagliata la sua idea di seppellirli
insieme. Erano stati sì legati in vita, ma non come credeva lui. Se avesse potuto vedere gli spiriti, avrebbe capito; avrebbe
visto due figure spettrali che si disperavano e che gli urlavano di non unirli
per l’eternità, come lo erano stati alla fine della loro breve vita. Purtroppo
non poteva sapere il terribile torto che stava facendo loro. Iniziò a scavare
una grande buca, abbastanza profonda per ospitare i
due sventurati per sempre. Dopo circa un’ora di lavoro pesante per la sua
schiena, che aveva già sopportato una giornata di lavoro nei campi, riuscì a
raggiungere una dimensione adatta; trascinò prima il corpo del ragazzo nella
buca e poi fece lo stesso con quello della donna, che cadde pesantemente sul primo
corpo. Li guardò un attimo, soddisfatto del suo lavoro. Richiuse
la buca con la terra che aveva spalato via e costruì una rudimentale croce di
legno, per segnalare ai viandanti la presenza di una tomba. Ci mise
sopra anche un fiore colto da un prato lì vicino, di più non poteva fare, non
poteva fare nessuna incisione perché non conosceva i
nomi delle due vittime. Se ne tornò poi a casa, con la coscienza più leggera.
*****
Il gruppetto di avventurieri era giunto
quasi al capolinea. Per Islanda il viaggio era finito, era arrivata a Benn ed era pronta a iscriversi ad
un’accademia di combattimento. Si ricordò di come le era piaciuto combattere
sotto la pioggia e una nuvola di ricordi felici la avvolse piacevolmente.
Quando aveva combattuto sotto la pioggia che le batteva sul viso, era riuscita
a sfogarsi di tutte le sue preoccupazioni, visto che
non poteva correre trasformata in tigre. Ora che ci pensava, con tutti i
problemi che c’erano stati in quegli ultimi tempi, era da un pezzo che non
andava a correre. L’ultima volta che si era trasformata era stata per un attimo
di amara follia, per sfogare tutte le sue tensioni e i
suoi dolori, ma, a dirla tutta, non aveva poi tutta questa voglia di
trasformarsi e andare a correre come invece succedeva un tempo. Le sue
debolezze le aveva già pagate care una volta e non
voleva ripetere gli stessi errori, andandosene in giro per i prati a correre
come un animale selvaggio.
Era giunto il momento di dire addio ai suoi amici. Era ancora
mattina quando erano arrivati a Benn, quindi Marse e
Jìrkan potevano tranquillamente continuare il loro viaggio. Questo voleva dire
che si dovevano dire addio, forse per sempre. Dopo tutto
quello che era successo, come potevano separarsi? Islanda non lo capiva, non
riusciva a immaginare come poteva separarsi dai suoi
amici, che l’avevano protetta fino a quel momento; soprattutto sarebbe stato
difficile separarsi da Jìrkan. Marse infondo era arrivato tardi e si era
riuscito a conquistare la rabbia della ragazza per non aver fermato Zaphir e il
suo folle piano suicida, ma comunque aveva fatto tanto
per loro, aiutandoli a scappare e proteggendoli e la rabbia nei suoi confronti
era svanita. Ma per Jìrkan era diverso. Lui c’era
stato sempre per Islanda, anche quando lei era scontrosa con lui perché il
ragazzo sembrava volersi mettere tra lei e Zaphir. Tra i due non c’era mai
stata calma e tranquillità a causa del loro amore per la ragazza e per questo
erano stati sempre rivali, ma Islanda gli voleva bene comunque.
Era innamorata di Zaphir, ma per lei era molto importante il giovane marinaio e
l’idea di dover perdere anche lui, la distruggeva.
Erano sulla porta della camera di Islanda.
La ragazza si era appena sistemata nella camera che l’avrebbe ospitata per
tutto il periodo dell’addestramento come guerriera. Immaginandosi come
guerriera le fece venire un attimo da ridere; ma come, lei, una semplice
ragazzina nata e cresciuta in un piccolo villaggio di contadini, che si
addestrava per diventare una guerriera? Alla ragazzina dovevano essere successe
parecchie cose per cambiare così radicalmente il suo stile di vita. In effetti di guai gliene erano capitati abbastanza da
convincere anche un santo a farsi guerriero.
-Come mai ridi?
-No, niente. Mi immaginavo nei panni di
una spietata e coraggiosa guerriera.
Anche Jìrkan rise per un attimo,
prima di tornare serio per salutare la ragazza.
-E così è ora di salutarci.
-È un addio Jìrkan?
-Credo di sì.
La voce del giovane aveva perso completamente la freddezza che
aveva avuto in certe situazioni. Gli si poteva leggere in faccia la tristezza
per la separazione. Tutto nel suo viso preannunciava
quasi al pianto: la curvatura delle labbra che segnava indubbiamente verso il
basso, il mento e il labbro inferiore quasi tremanti, le sopracciglia
leggermente unite al centro, la fronte corrucciata e per concludere gli occhi
lucidi, pronti a lasciarsi andare al pianto. Tutto di lui sembrava che stesse
per sciogliersi di pianto. Islanda da parte sua non stava molto meglio; lo
stomaco minacciava di contorcersi talmente tanto da non farla stare in piedi,
al solo pensiero di doverlo salutare, magari per sempre.
Si stavano guardando negli occhi, quando il ragazzo non resistette
più alla tentazione e abbracciò Islanda. Anche lei
avrebbe voluto farlo e fu contenta della decisione di Jìrkan. Mentre si
abbracciavano dagli occhi di entrambi iniziarono a
scendere delle lente e salate lacrime, che bagnavano le une le guance
dell’altro. Stettero per un po’ in quella posizione, ma il tossicchiare molto
eloquente di Marse li riportò alla realtà.
-Forse è il caso di… ehm… andare…
I due non ci fecero molto caso e restarono ancora per un attimo abbracciati, ma poi Jìrkan si staccò lentamente da
lei, per paura di non riuscire più ad andarsene se non l’avesse fatto in
fretta.
-Resta…
Quella parola era stata a mala pena sussurrata, ma il ragazzo
l’aveva sentita forte e chiara, come se l’avesse urlata ai quattro venti. Stava
quasi per cedere e dire di sì, ma all’ultimo secondo non se la sentì, anche se
lo desiderava con tutto il cuore.
-Non posso… mi dispiace…
Anche le sue parole erano state
poco più di un sussurro, un leggero alito di vento nella calda mattinata della
città, che però travolse in pieno la ragazza che le ascoltava.
Con un ultimo sguardo triste i due amici si separarono e Islanda
fece un cenno di saluto anche a Marse, troppo lontano da lei per un saluto più
affettuoso.
Islanda era infine rimasta lì, sulla soglia della sua camera da
letto. Sola. Sola, dopo tanto tempo di quella strana compagnia
che non l’aveva più abbandonata da mesi. Sarebbe stato difficile
riabituarsi alla solitudine, così di colpo. Il vuoto adesso sembrava
insopportabile, ma sperava che in futuro sarebbe riuscita a riempire di nuovo
quel profondo cratere, che si creato inesorabilmente nel suo petto.
Stava ancora pensando alla sua nuova solitudine, quando un suono
di campana annunciò che era ora della colazione prima dell’allenamento del mattino. Strappata così dai suoi pensieri, Islanda si
recò in sala pranzo, pronta alla sua nuova e, forse più tranquilla, vita.
Così finiva un’avventura. Un importante periodo della vita di
questi ragazzi. Per qualcuno magari si era conclusa
bene, per altri un po’ meno e per qualcuno meno fortunato degli altri era stata
l’avventura conclusiva della vita. La cosa certa era che, per coloro che avevano superato quella prova, sarebbe stato
molto difficile, anzi impossibile, dimenticarsene. Ne avrebbero
sempre avuto il segno nel cuore, un po’ come una cicatrice invisibile, che
accompagna quelle già visibili sulla pelle.
FINE!!! credevo che non l’avrei più finita!!
Però un po’ mi dispiace che sia finita… grazie a tutti
quelli che l’hanno letta e spero che sia piaciuta! Lo so è da matti postare la
sera di Natale… però non resistevo!!
X Yum: la fine è un po’ brusca… però
pensavo che magari più avanti potrei scrivere il seguito perché qualche ideuzza ci sarebbe… per ora no perché c’è un’altra storia
che mi frulla in testa da un pezzo e ho iniziato a scrivere l’inizio
prima di dimenticarla!! Spero che sarà apprezzata anche quella… comunque nel seguito di questa potrebbe sempre esserci un
futuro per la coppia Islanda-Jìrkan! È tutto per ora!
Bye!!! ^.^