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Autore: AnyaTheThief    18/04/2015    3 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Viktoria era sempre più confusa.

“Ma io... Ti ho sentito parlare nel sonno, e...” si rendeva conto mentre lo diceva che in effetti suonava un po' ridicolo pronunciato ad alta voce. “Non lo so, hai detto delle cose in un'altra lingua che non capivo, e poi hai detto quel nome, e ho creduto...”

“Woh.” la fermò lui, mettendo le mani aperte davanti a sé. “Aspetta, aspetta. Hai detto 'un'altra lingua'? Ho capito bene?” la guardava decisamente come se fosse impazzita, ma lei annuì con fermezza.

“Credo francese, o italiano.” asserì, certa di ciò che stava sostenendo. Lui sorrise divertito.

“Io non parlo nessuna di queste lingue. Probabilmente farfugliavo solo qualcosa di insensato...” cercò di minimizzare. “Ora dovresti andare: il sole tramonta, Cenerentola.” il suo sorriso si fece più caloroso.

“Ma...!” tentò di replicare lei, ma subito si rassegnò. Non potevano discuterne a lungo. Sospirò e si lasciò andare a sua volta ad un sorrisino, facendosi scivolare addosso tutti i dubbi di una questione che dopotutto non la riguardava.

Svuotò il doppiofondo della borsa. Ben le si avvicinò quando stava rimettendo le sue cose dentro di essa, e vi infilò un foglio ripiegato. Viktoria sollevò lo sguardo ed incrociò quello del ragazzo, che le sorrise di nuovo in maniera rassicurante.

“Forse questo ti chiarirà un po' le idee. Anche se non spiega come io diventi poliglotta durante la notte.” la canzonò amichevolmente.

Lei gli rivolse un sorriso poco convinto e frettoloso, e poi scappò di nuovo su per le scale.

Era ancora molto scossa da tutto ciò che era accaduto in meno di un'ora: sua nonna che parlava a chissà chi, il soldato tedesco, quella lettera... il... quasi-bacio che si erano scambiati lei e Ben...

Era stata l'esperienza più intensa di tutta la sua vita, non aveva mai provato una sensazione simile. Quando andava a scuola, un ragazzino le faceva il filo e qualche volta di nascosto si erano scambiati alcune effusioni, ma non avevano niente a che fare con ciò che aveva appena vissuto con Ben. Si aspettava soltanto che da un momento all'altro tutta quell'energia che c'era tra di loro esplodesse nella stanza, facendo crollare le pareti. Cercò di pensarci il meno possibile, quando ripercorreva con la mente quel momento si sentiva arrossire dalla testa ai piedi, e non avrebbe mai voluto attirare di nuovo l'attenzione dei tedeschi.

Non capiva, tuttavia, perché all'ultimo si fosse tirato indietro a quel modo. In realtà non è che non avesse ragioni di farlo, è che ce n'erano troppe tra cui scegliere: la differenza d'età, la paura della reazione di suo padre, il ricordo della moglie. O forse era preoccupato dalla pericolosità della situazione e dalla diversità delle loro razze. Sarebbe stato uno sciocco ad esitare per quel motivo, Viktoria non vedeva alcuna diversità tra etnie, e anzi quando si parlava di “razza”, le pareva sempre che si parlasse di animali: odiava quella parola.

Appena entrò in casa si appoggiò alla porta per un attimo, tirando un sospiro di sollievo. Come al solito suo padre la chiamò ansioso, e lei lo rassicurò. Non gli raccontò del soldato che l'aveva fermata, non voleva farlo preoccupare ed uscire dal letto prima del termine impostogli dal dottore.

Si chiuse semplicemente nella sua stanza dicendo di voler riposare un po' prima di cena, ed avidamente aprì il foglio ripiegato che le aveva lasciato Ben.

Divorò quella lettera con lo sguardo. Lesse e rilesse quelle parole senza quasi sbattere le palpebre, a bocca aperta.

 

“Cara Viktoria,

non posso fare a meno di scriverti questa lettera, perché ciò che vorrei dirti non può essere racchiuso nella manciata di minuti di conversazione che ci sono concessi ogni giorno, forse ancora per poco tempo.

Cara Viktoria, quello che vorrei dirti non è facile da comprendere, né mi aspetto che tu lo faccia, ma sei l'unica persona con la quale io possa parlare liberamente, e non voglio che tu pensi a me come a un maniaco; ho visto lo sguardo sul tuo volto questa mattina, e avrei voluto dirti tante cose, ma non potevo, non riuscivo...

Non ti ho detto tutta la verità su tua madre. Non ce l'ho fatta, non potevo sopportare che tu mi giudicassi negativamente o che mi vedessi come un bugiardo, perché questa storia ha dell'inverosimile. Fatico persino io a crederci, ma è la pura verità.

Quando tua madre venne nel mio negozio la prima volta, mi interessai moltissimo a lei, ma non solo perché era intelligente, piacevole ed appassionata d'arte. Lei mi ricordava tanto una persona che già conoscevo, in un certo senso. Assomigliava in maniera impressionante alla donna che vedo nei miei sogni sin da quando ero bambino.

Credimi, non ho alcuna intenzione di impressionarti o di raccontarti una storia romantica di come mi innamorai di tua madre, perché questo non accadde. Ero felice con mia moglie, e quello che ci fu tra me e Marlene fu soltanto una splendida amicizia. La cosa più impressionante accadde anni dopo.

Un giorno vidi tua madre passeggiare con le sue due figlie. Una di loro era identica alla donna che sogno da quando ho memoria: eri tu. Improvvisamente capii perché tua madre aveva voluto acquistare i miei quadri e perché ne era rimasta così impressionata. La ragazza ritratta era uguale ad una delle sue figlie.

Ma c'è di più: nel mio sogno non vesti abiti normali, e non ti comporti in maniera ordinaria. Non direi nemmeno che sei tu, se non fosse per il fatto che quella donna ha il tuo viso. Nel mio sogno io mi inginocchio ai tuoi piedi e ti bacio la mano. Nel mio sogno sei una Regina.”

 

Viktoria si sentì mancare. Dovette sedersi sul letto, la lettera ancora in mano per miracolo, la mano le tremava visibilmente e la testa le girava.

Come faceva quell'uomo... Quell'uomo al quale non ha mai accennato nulla dei suoi sogni, a sapere...? Non poteva essere vero. Non voleva crederci. Ma perché avrebbe dovuto prenderla in giro su qualcosa del genere? Le si accese una lampadina.

Se avesse trovato quei quadri, avrebbe potuto svelare il mistero, vedere se davvero le somigliavano così tanto. Ma non aveva idea di dove cercare e chiedere a suo padre sarebbe stato troppo sospettoso. Perché sua madre li aveva comprati per poi non appenderli?

D'un tratto, Eva entrò nella sua stanza. Viktoria trasalì, interrompendo così bruscamente i suoi pensieri che non ebbe tempo di nascondere la lettera da qualche parte.

“Ehi, Vicky...” fece per dire sua sorella, fermandosi poi sull'uscio perplessa. “Cos'hai lì?”

Lei esitò parecchio. Quello era il suo segreto. In più, sua sorella era del tutto scettica sull'argomento, e non le aveva nemmeno raccontato quanto assurdi fossero diventati i suoi sogni ultimamente.

“Chiudi la porta.” le bisbigliò. Eva obbedì, e le si avvicinò, ma lei ebbe cura di ripiegare a dovere la lettera, in modo che non si potesse leggere nemmeno una parola di ciò che c'era scritto.

“Sai tenere un segreto?”

 

“Tu?? E quell'ebreo?!” esclamò Eva stupefatta, ma sua sorella la zittì.

“Taci, oca! Vuoi che lo sappiano tutti?” sibilò. Poi annuì titubante. “Non chiamarlo in quel modo. E' una persona molto gentile.” lo difese timidamente.

“Beh, ma è quello che è.”

“Non mi piace fare differenze. Per me è un uomo, ed è... adorabile.” arrossì vistosamente ed abbassò lo sguardo. Non era abituata a fare confessioni del genere a sua sorella, ma doveva pur sfogarsi con qualcuno riguardo tutte le cose che le stavano accadendo, e quello era il segreto che più la tormentava: gli altri erano solo dubbi e sue congetture. Eva la guardava con aria sospettosa e lesse sul suo viso un po' di invidia: il fatto che alla sua età fosse ancora zitella le premeva molto, ma d'altronde non aveva molte occasioni di conoscere coetanei, per di più ancora celibi.

“E non è che... l'altra notte...?” azzardò maliziosa.

“Co--? No! Per l'amor del cielo, Eva!” si finse indignata. “Lo conosco soltanto da pochi giorni.”

Cadde il silenzio per qualche istante, durante il quale la sorella maggiore fissò la minore come se non fosse del tutto convinta delle sue affermazioni. Ed infatti ecco che Viktoria cedette sotto lo sguardo pressante di Eva, e confessò: “E va bene. C'è stato... qualcosa.”

La vide sgranare gli occhi e accennare una smorfia come a dire “lo sapevo!”

“Non è stato nulla, non... Lui... Voleva baciarmi, ma poi si è bloccato.” sospirò mortificata. Fu quasi un sollievo dirlo ad alta voce, anche se sua sorella non era proprio la persona più adatta a darle consigli.

“E la lettera?” domandò improvvisamente Eva, facendo cenno al foglio che ancora sua sorella teneva in mano.

“Oh, questa...” doveva inventarsi qualcosa alla svelta. “Non è nulla. Parla della sua arte e mi cita qualche passo di un libro che non conosco.” aveva toccato il tasto giusto. Sua sorella odiava leggere, si sarebbe disinteressata subito alla questione, quando avrebbe capito che non poteva aiutarla in nessun modo e che, anzi, sarebbe stato persino noioso leggere quelle righe.

Ma Viktoria sapeva cosa doveva fare, ed aveva prefissato un ruolo preciso per Eva in tutta la faccenda.

“Devi aiutarmi.”  

  
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