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Autore: chicca2501    18/04/2015    3 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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~~13

Problemi di cuore

Le labbra morbide della ragazza si muovevano leggiadre sulle sue, in una danza dolce e sensuale che si stava protraendo ancora e ancora; fece scivolare le mani sotto la maglietta, risalendo la sua schiena; la sua pelle era morbida al tatto, soffice e profumata.
Sentiva una strana sensazione avvolgerlo, un calore intenso che si faceva strada nel suo cuore, accendendolo di una forte emozione, che non era passione, ma qualcos’altro, qualcosa di più intenso e profondo che lo bruciava dall’interno.
Finalmente capì cosa intendeva Nata quando gli diceva che avrebbe provato un’emozione, un amore incredibile per una persona a lui ignota fino a quel momento: quella sua innamorata misteriosa, la musa che secondo Nata lo avrebbe indotto ad amare veramente, lui, a cui l’amore che non fosse quello familiare o rivolto agli amici, era stato un sentimento mai provato veramente.
L’unica ragazza per cui si era preso sul serio una cotta era Camilla, ma con lei non era finita bene, e tutto per colpa sua…
A quel pensiero, percepì che quella passione che prima lo aveva fatto ardere si quietava per essere sostituito dalla paura. La paura di quella sensazione così splendida, del fatto che non avrebbe potuta ricambiarla come si deve a causa di inconvenienti dovuti alla sua personalità e ad agenti esterni.
Con una fitta di dolore rassegnato al petto si staccò da quella bocca così profumata, ma restando comunque con la fronte appoggiata sulla sua, a respirare la sua stessa aria, formando insieme a lei nuvolette di vapore sfuggenti.
La mora sorrise, guardandolo negli occhi, lo stesso sorriso sincero che gli aveva rivolto quando si erano baciati per la prima volta: un sorriso colmo di amore. Avrebbe voluto rispondere a quel sorriso, a quella muta dichiarazione negli occhi della giovane, ma, al contrario, si separò del tutto scostandosi.
La ragazza sembrò sorpresa da quella reazione, di sicuro si aspettava ben altro. Infatti, provò ad avvicinarsi a lui, mormorando: - Diego. –
Quel nome, il suo nome, pronunciato da lei assumeva un altro significato, e quest’ultimo lo trafiggeva come una spada al cuore.
- Mi dispiace, Francesca. – disse, cercando di sembrare sicuro della sua decisione. Dopodiché, corse via, perdendosi nel buio, lasciando una Francesca dal cuore spezzato a capire cos’era successo.
Tra i cespugli, due occhi sogghignarono.

- Camilla, ci vuoi dire chi è Seba? – ancora quella domanda. La rossa provò ad assumere un’aria indifferente, guardando i due ragazzi con occhi inespressivi.
- Chi? – la voce le uscì troppo acuta e stridula, segnale inconfondibile, soprattutto per persone che la conoscevano da tempo. Come a voler confermare i suoi pensieri, i due le lanciarono un’occhiata sospettosa, mentre sui loro visi si formava un piccolo sorrisetto di condiscendenza e sfida al tempo stesso.
- Non ti credo. – disse Leon, la voce dura nonostante l’espressione.
- Perché? Ti sto dicendo la verità. – ribatté la Torres, fissandolo con sguardo di fuoco.
- Non prenderci in giro. – sorprendentemente, a parlare era stato Maxi che la guardava impassibile da dietro il mezzo satiro. Nonostante lo conoscesse da abbastanza da tempo da poterlo considerare un vero amico, lui non le aveva mai parlato in questo modo, quasi sgridandola. Ma, come ogni cosa dall’arrivo dei Quattro, tutto stava cambiando.
- Non capisco perché dovrei farlo, Maxi. – a questo punto il ragazzo avrebbe dovuto abbassare la testa, scuoterla e sospirare, invece scoppiò in una grassa risata. Il suono di quelle risa si propagò insistentemente nella tenda, quasi ci fosse l’eco.
- Lo faresti eccome! Camilla, non siamo stupidi, sappiamo che nascondi qualcosa da tanti anni, o almeno io lo sospettavo, ma adesso ne abbiamo la conferma. – perspicace come sempre, Maxi riusciva a vedere la verità anche quando la si nascondeva attentamente, cosa che, data la faccia stupita e corrucciata di Leon, era una dote che pochi possedevano.
- Da quando non siete stupidi? – ennesima gaffe, adesso si che dimostrava di non essere stata totalmente sincera con loro.
Infatti: - Non cercare di cambiare discorso. – la parola era stata di nuovo presa da Leon, i cui occhi verdi scintillavano di fastidio che piano, piano si stava mescolando al rancore.
- Era solo una battuta. – mormorò mentre chinava la testa, non riuscendo a sostenere l’intenso sguardo dell’amico.
- Si, come no. – di nuovo Maxi. Sembrava quasi una delle strategie che lui ideava, attaccavano a turno e con affondi piccoli ma taglienti.
Fu questo che fece scoppiare Camilla, la quale alzò la testa, irata, e urlò: - Come se anche voi non aveste dei segreti! – lo sbalzo di umore della ragazza spaventò non poco i ragazzi. – Tu! – continuò, indicando il più alto – Tu nascondi al mondo di essere un mezzo satiro, mentre tu – il dito si spostò verso Maxi – tu hai tenuto nascosto tutto quello che era successo con Diego e lo fai ancora! Te lo ricordi Maxi, vero? – l’altro deglutì, indietreggiando di un passo.
- Quindi, se non volet… - lo sfogo della rossa venne improvvisamente interrotto da una vocina bassa e impaurita. – Scusate, posso entrare? – i tre si voltarono e trovarono Violetta ferma sulla soglia della tenda, titubante.
- Violetta, che ci fai qui? – domandò Leon con tono preoccupato.
- Sono uscita un secondo dalla tenda e ho sentito delle urla, volevo vedere se andava tutto bene. – rispose la ragazza, schiarendosi la gola e assumendo un’espressione sicura.
- Va tutto bene, Vilu. – disse Vargas, dolcemente. – Dai, ti riaccompagno alla tenda. – la spinse delicatamente verso l’uscita per poi sparire dietro di essa, non prima di aver lanciato un’occhiata ammonitrice a Camilla.
Nella tenda restavano solo il capo e lo stratega, che si guardavano negli occhi, quasi volessero vedere dentro l’anima dell’altro. Infine, Maxi si congedò, sospirando, lasciando la rossa con i suoi pensieri.
Quest’ultima sospirò e si sedette sul baule pieno dei suoi disegni, la testa fra le mani; l’avevano scoperta, avevano capito che anche lei aveva un segreto, qualcosa di pericoloso e compromettente da nascondere. E lei sapeva che, se lo avessero scoperto, sarebbe stata la sua fine.

Il buio entrava denso nella tenda, quasi fosse una presenza. Federico sentiva, ascoltava i suoni che emetteva la terra profondamente addormentata ma sempre pronta a svegliarsi al minimo disturbo.
Ormai ci era abituato, aveva capito che quello era il suo potere e lo aveva accettato, anche se questo gli faceva un po’ paura. Non era mai stato un grande naturalista, di quelli sempre attenti alla sopravvivenza del pianeta, lui pensava prima alla sua di sopravvivenza e dopo a quella di Madre Natura.
Ora, invece, non era più così; certo,doveva ancora lottare per vivere, ma aveva più consapevolezza di quello che era e di quello che poteva fare, doveva solo dimostrarlo a se stesso e agli altri.
Ricordava bene il colloquio con la Stregona degli Animali, quando gli aveva parlato dei suoi poteri, di come il suo fosse il più antico anche se non il più potente e che doveva dimostrare quanto questa vecchiaia influenzasse la sua forza.
Da quel giorno, di nascosto da tutti, si ritirava in un angolino e provava senza sosta, fino a quando non era stanco o non lo chiamavano; all’inizio era stato difficile senza il potere di Ludmilla che riportava in vita il suo come aveva fatto la prima e tutte le altre volte a seguire. Ma, dopo due settimane di tentativi, aveva sentito qualcosa, un mormorio sommesso che proveniva dal basso, una voce che sembrava attirarlo come una calamita verso il centro della terra. Fu allora che apparve, anche solo per pochi istanti: un viso di donna vecchio e rugoso ma sorridente, come se avesse aspettato per troppo tempo quel momento.
Da quel momento, la vide sempre più spesso, certe volte ci parlava pure; scoprì che era la Terra, quell’essere primordiale che aveva dato vita agli abitanti di tutti i mondi esistenti: Federico l’aveva paragonata a una nonna simpatica e allegra, ma saggia e sempre porta a darti consigli. Gli piaceva parlare con lei, lo aiutava a capire la vera essenza del suo potere, il quale, oramai, stava iniziando a farsi sempre più forte e intenso.
Sorrise a quei ricordi; lei e Terra erano molto affiatati, stavano per diventare un tutt’uno, come doveva essere.
Sospirò e si voltò dall’altra parte del letto, dove, come sempre, c’era Ludmilla. La bionda aveva un’espressione molto più dolce quando dormiva e sembrava più piccola della sua età. Com’era acida quando l’aveva incontrata, mentre adesso, invece, era una specie di angelo, anche se con qualche difetto. Si era affezionato molto a lei, e avrebbe voluto dirle quello che stava succedendo, le sue scoperte, tutto. Ma Terra glielo aveva sconsigliato; diceva che era meglio tenere il segreto, aspettare il momento opportuno per rivelare al mondo le sue nuove capacità.
Così, ora lui poteva solo immaginare il momento in cui le avrebbe rivelato questo grande segreto. Continuò a fissarla, fino a quando non si avvicinò alla sua testa, spostò una ciocca di capelli biondi e le diede un lieve bacio sulla guancia. Felice e rilassato, tornò a distendersi, stringendosi ancora di più alla ragazza. Non si rese conto che a quel tocco Ludmilla aveva sorriso.

Si svegliò nel bel mezzo della notte. All’inizio non capì né dove si trovava, né perché avesse mani e piedi legati. Poi, come un flash, rivide tutto: il portale che aveva creato, l’arrivo ad Atlantide, l’arrivo di… Una fitta di dolore si propagò dallo sterno in tutto il corpo, oscurandogli per un attimo la vista.
Cercò di riprendere il controllo dei suoi sensi, come faceva tanti anni prima, quando ancora viveva lì e tutto quello che adesso gli sembrava assurdo (la fata che aveva visto all’arrivo, la spada luccicante nel buio del suo aggressore) faceva parte della sua routine quotidiana. Respirò profondamente e rilassò i muscoli, in modo da ridurre la tensione del corpo e della mente e al contempo creare un po’ di spazio tra lui e la corda che lo stringeva in una morsa ferrea.
Dopo che ebbe completato l’operazione, aprì di nuovo gli occhi e si mise a studiare attentamente il luogo dove lo avevano rinchiuso: era una tenda di piccole dimensioni contenente solo il palo che lo teneva legato e un piccolo mobile in legno ormai marcio sul cui fianco vi erano stati intagliati dei cassetti, ognuno apribile grazie a un pomello dello stesso materiale; sul terreno, invece, vi era una scatola di ferro aperta, dentro la quale vi era riposto un coltello dalla lama sottile ma affilata con lo stemma della fiamma nera. Rabbrividì alla vista di quel disegno: aveva sempre odiato il nero e soprattutto il fuoco, cose che avevano sempre affascinato suo fratello. Ma, nonostante il marchio che portava, quella era comunque un arma, un modo per uscire da quel posto. Il primo impulso fu quello di allungare i piedi e prenderlo con essi per poi tagliare le corde, ma poi si rese conto che lasciare un coltello nella stanza di un prigioniero era un errore da principiante, un insulto a tutti gli anni di addestramento.
Perché, allora, era lì? Era una trappola? Doveva correre il rischio? Aveva la risposta all’ultima domanda, ed era positiva. Se non ci provava non sarebbe comunque riuscito a scappare, quindi che male c’era a tentare la sorte?
Con attenzione, distese le gambe e avvicinò i piedi legati al coltello, per poi prenderlo con essi. Appena lo fece,una risata risuonò nell’aria: - Wow, non ti facevo così intraprendente, German. – a quella voce l’uomo rabbrividì.
- Non mi vedi da tanti anni, sono cambiato; e poi, sono sempre stato intraprendente. –ribatté, e la sua voce gli parve sicura.
- Già, è vero. – sospirò l’altro, uscendo dall’ombra e mettendosi davanti a lui; lo seguì un’altra figura, alla cui vista German ringhiò.
- Vedo che hai già conosciuto il mio luogotenente. – sogghignò l’altro, indicando con un cenno il ragazzo accanto a lui, che ricambiò appena.
- Lo hai mandato tu, ah, Carlos? Hai cercato di rapire me e mia figlia attraverso lui! – sibilò l’uomo.
- Si, ma cos’altro ti aspettavi? – non aspettò risposta. Fece un segnale al suo sottomesso e, insieme, trasportarono il prigioniero recalcitrante fuori dalla tenda.

Diego corse veloce fino alla tenda, il lungo mantello color della notte che gli svolazzava intorno e il cappuccio che gli copriva il viso. Sapeva di poterla trovare lì, la Veggente, si vedeva una luce soffusa proveniente dal suo alloggio.
Non si pregò nemmeno di annunciarsi, scostò il telo che fungeva da porta ed entrò. Certo, non si aspettava di certo quello che avrebbe visto quando sarebbe entrato: Maxi intento a sbaciucchiare Nata al centro della tenda; il ragazzo stava facendo scendere le mani dai fianchi fino al sedere della ragazza, mentre lei gli intrecciava le dita nei capelli. Non si erano minimamente accorti della sua presenza, così Diego, temendo che quei due iniziassero a fare sul serio davanti ai suoi occhi, si fece notare con un colpetto di tosse. I due ragazzi si riscossero e si voltarono, sbalorditi e entrambi arrossirono alla vista del moro, anche se Maxi sembrava più arrabbiato che imbarazzato.
- Diego. – mormorò la ragazza – Cosa ci fai qui? -
- Volevo parlarti, ma vedo che interrompo qualcosa. – rispose lui, anche se non poté evitare di fare un ghigno e strizzare l’occhio a Maxi, il quale gli rivolse un’occhiata di fuoco.
- In teoria interrompi qualcosa, quindi ciao. – a quelle parole, Diego rimase interdetto: Maxi non aveva mai parlato così. Ma non poteva dargliela vinta in questo modo. – Ok, riformulo la domanda: è urgente quindi, Nata, potresti gentilmente rimandare a dopo le effusioni con il tuo fidanzato? – le ultime parole le pronunciò a denti stretti, come a far capire che l’argomento che voleva trattare con la riccia era della massima importanza e che quest’ultima non poteva dire di no.
- Non rivolgerti così a…. – incominciò il più piccolo dei ragazzi, ma venne prontamente fermato dalla sua fidanzata, che gli sussurrò qualcosa all’orecchio, facendolo tranquillizzare. Dopodiché lo congedò.
 Tornò a rivolgersi a Diego, con aria abbastanza infastidita. – Allora cosa vuoi? – qualche attimo di silenzio carico di tensione, poi sentì la voce dell’altro che diceva:
- Era Francesca, vero? – il tono di voce sconsolato che aveva assunto la fece intenerire. Ovviamente sapeva di cosa parlava e non sapeva se essere contenta o meno che lo avesse scoperto.
- Si. – mormorò.
- Perché non me lo hai detto? – sussurrò il ragazzo. – Perché non me lo hai detto? – questa voce il suo tono era più alto.
- Perché… - cercò di dire Nata.
- Perché non me lo hai detto?! – adesso stava urlando, la voce stridula. Si avvicinò a lei fino ad essere a due centimetri dal suo viso. – Perché? – questa volta era un verso straziato. Nata pensò a come era lunatico questo ragazzo: prima faceva battutine, poi sembrava abbattuto, dopo urlava e infine era come se il dolore lo avesse sopraffatto.
La ragazza non sapeva cosa dire, cosa rispondere. Non glielo aveva detto perché voleva che lo scoprisse da solo, ma non poteva rivelarglielo senza che lui si incollerisse. Si limitò solo ad avvolgergli le braccia intorno al collo ed abbracciarlo e consolarlo, sospirando e sperando che tutto si rimettesse a posto. 
 
Violetta rabbrividì, il freddo che le stringeva le membra in una morsa glaciale e di certo non bastava il leggero cappotto di tela a ripararla.
Girò lo sguardo per fissare Leon, il quale, al contrario di lei, non sembrava per niente infreddolito; certo, lui aveva vissuto in quelle terre per molto più tempo e lei era una cittadina del XXI secolo fatta e finita.
Probabilmente il ragazzo sembrò notare che qualcosa non andava perché voltò anche lui il volto per guardarla, piantando quelle iridi color delle chiome degli alberi in primavera in quelle nocciola dell’amica, facendo sciogliere immediatamente quest’ultima.
Perché le faceva sempre questo effetto,? Perché ogni volta che la fissava le gambe le tremavano pericolosamente? Perché non riusciva a smettere di pensarlo? Aveva già avuto altre cotte, avrebbe dovuto saper gestire anche questa, ma c’era qualcosa che glielo impediva, qualcosa che le faceva battere forte il cuore quando le stava davanti e le parlava, o quando la addestrava, oppure quando rideva, mostrando quel sorriso da mozzare il fiato…
No, si doveva riprendere, doveva assolutamente farlo. Grazie a questo preciso ordine riuscì ad accorgersi che lo stava ammirando con un sorriso ebete stampato in faccia, che cercò subito di mascherare con una delle sue solite facce buffe. L’altro si mise a ridere, e di nuovo comparve quel sorriso che… no, doveva smetterla!
- Hai freddo? – quella domanda, per quanto semplice, la fece sobbalzare.
- Da cosa l’hai intuito? – ok, si era rimbecillita sul serio, probabilmente era l’effetto che esercitava su di lei quel dannatissimo ragazzo.
- Dal fatto che stai tremando come una foglia. – con un sorriso divertito indicò con il mento le gambe affusolate della ragazza che si muovevano in modo incontrollato. Se solo avesse saputo che non lo facevano solo per il freddo…
- Già. – sorrise, imbarazzata.
- Dai, che ti aiuto io. – con un unico gesto, avvolse le spalle della ragazza con un braccio, stringendola a se e sfregando una mano contro l’avambraccio della bionda. Quest’ultima arrossì violentemente, ma si lasciò comunque coccolare dal suo amico.
- Vuoi che ti riaccompagni alla tenda? – un’altra domanda, questa volta sussurrata al suo orecchio, un soffio di aria calda che le procurò brividi lungo la schiena anche più del gelido vento che soffiava in quel momento. Riuscì solo ad annuire.
Continuarono a camminare finché non furono in vista dell’alloggio di Violetta. Entrambi sospirarono, sia di sollievo perché potevano finalmente stare al caldo, sia di rassegnazione per il fatto che avrebbero dovuto separarsi di lì a poco e nessuno dei due lo voleva.
Entrarono ed entrambi si tolsero i cappotti pesanti, poggiandoli sulla branda e sedendosi sopra di essa dopo pochi istanti. Vedendo il bel cuscino poggiato in un angolo a Violetta venne un moto di sonno incontrollato, tanto che sbadigliò. Sentì la risatina soffocata di Leon provenire dalla sua destra e, per punizione, gli diede un piccolo scappellotto sulla nuca. Il ragazzo, per tutta risposta, continuò a ridere, coinvolgendo anche la bionda, la quale non poté trattenersi.
- Dai, se vuoi ti lascio dormire. – disse il mezzo satiro, così fece per alzarsi, ma venne bloccato dalla ferma mano della ragazza. – No. – sussurrò quest’ultima, sorridendo e attirandolo di nuovo sulla branda questa volta più vicino.
Un tremore incontrollato prese possesso del suo corpo quando il suo sguardo rimase incollato a quello di lui, esplorandone con gli occhi ogni dettaglio, dai lineamenti poco marcati al principio di barba che gli stava spuntando fino a quelle due magnifiche fossette. Violetta avvicinò la testa, era già successo altre volte che si trovassero in questa situazione, ad un passo dal baciarsi, ma ora non voleva fermarsi, no. Voleva appoggiare le labbra sulle sue, provare finalmente appieno quel sentimento che la stava opprimendo da quando si erano visti per la prima volta e che era cresciuto a poco a poco.
Nel mentre era sempre più vicina, mancava poco e ce l’avrebbe fatta. – No. – quella parola risuonò chiara nella tenda, facendola sobbalzare. Aprì gli occhi che aveva chiuso pochi istanti prima e, con il viso rosso per l’imbarazzo, si ritrasse.
- Scusa. – mormorò. 
- Non scusarti. – la consolò lui – Anche io lo avrei voluto fare. – quella frase non aveva senso; Violetta lo fissò, confusa. – Quindi tu provi il mio stesso sentimento? –
Leon piegò la testa all’indietro e si passò una mano sulla fronte come per asciugarsi gocce di sudore invisibili. – Si. – rispose. Quell’unica parola ebbe l’effetto di una bomba: il cervello della ragazza smise definitivamente di funzionare, mentre il cuore batteva all’impazzata e un tornado di emozioni si agitavano verso di lei. Un sorriso si fece largo sul suo volto illuminandolo.
- Aspetta. – come quel “si” aveva provocato un’esplosione di felicità, “aspetta” la placò bruscamente.
- Come? – il ragazzo sbuffò e disse: - Io… io non posso. Io non voglio rovinarti la vita. –
- Tu non mi rovineresti la vita, la miglioreresti. – la bionda mise una mano sulla gamba di lui.
- Invece no! – esclamò Leon, alzandosi – In questo mondo, io sono considerato un mostro! Mi disprezzano, capisci? È per questo che lo tengo nascosto. E se io stessi insieme a te, una dei Quattro, la più forte, la Dominatrice dell’Acqua, allora saresti coperta di vergogna, e io non potrei sopportarlo. – l’ultima frase si trasformò in un sussurro. Violetta lo fissò sbigottita; non sapeva cosa pensare. All’improvviso,un fiotto di rabbia le attraversò le vene, incendiandole il sangue.
- Ah, bene, capisco. – ribatté con voce fredda e Leon le stava per avvolgere le braccia intorno alla vita, quando aggiunse: - Capisco che sei un codardo. Capisco che stai cercando una scusa per non impegnarti in una storia seria. Beh, caro mio, ti credevo diverso, credevo che mi avresti sempre detto la verità, ma, a quanto pare mi sbagliavo. – si sollevò a sua volta di scatto.
- Dove vai? – domandò il ragazzo.
- A prendere un po’ d’aria. –
- Ma sei appena tornata. –
- Non m’importa. – detto questo, girò i tacchi e sene andò.

Il cervo era a pochi metri di distanza. Con la sua vista acuta da cacciatore riusciva a vederne ogni singolo particolare: era un maschio adulta dalla folta pelliccia scura cosparsa di macchie più chiare, ovvero proprio quello che gli serviva.
Fece ancora qualche passo, nascosto da un cespuglio piuttosto folto, tipico di quella parte del bosco. In più, c’era la penombra di fine notte a coprirlo come una coperta; doveva aspettare ancora poco, aveva bisogno dell’alba per farlo; era solo questione di minuti.
Dopo poco la prima luce fece capolino tra le fitte fronde degli alberi, inondando di un bel rosa pallido le chiome verde scuro di quelle piante.
Il cacciatore sorrise: era giunto il momento. Con studiata lentezza tirò fuori dalla faretra una freccia, ma non una qualsiasi, quella con le piume di falco. Con grande precisione prese la mira, allungando la corda dell’arco il più possibile per compiere un arco perfetto. E, come aveva sospettato, non mancò il bersaglio.
Il cervo cadde improvvisamente a terra, in preda agli ultimi spasmi di dolore. Il cacciatore si avvicinò all’animale morente, un ghigno malefico sul volto; si avvicinò all’orecchio della preda e sussurrò: - Tranquillo, la tua morte non sarà vana. – dopodiché gli conficco il coltello nel corpo, dandogli il colpo di grazia. Peccato, pensò, avrebbe voluto vederlo steso agonizzante cercando di aggrapparsi alle ultime possibilità di sopravvivere, ma non c’era tempo per godersi quello spettacolo.
Poi, dopo averlo ucciso, gli squarciò il petto, frugandoci dentro. Rimase chinato sulla carcassa totalmente assorto in quella operazione fino a quando il sole non ebbe fatto del tutto la sua comparsa. A quel punto, estrasse una mano da quel che restava del cervo: in mano aveva un cuore.
Con un sorriso maligno stampato in viso e portò la mano sul cappuccio, togliendolo e scuotendo i lunghi capelli fluenti. Priscilla ce l’aveva fatta.

Angolo dell’autrice: Uff, finalmente ce l’ho fatta a finirlo. Ve lo giuro, questo capitolo è stato un parto e non so come mi è venuto, ma va beh, spero vada bene. Allora, Diecesca e Leonetta questa volta. Diego non vuole stare con Francesca e se ne scappa via senza dire niente, almeno Leon degna di una spiegazione Vilu.
Secondo voi qual è il segreto di Camilla? Chi è Seba? Qual è il segreto inconfessabile? Lascio spazio alla vostra immaginazione. Fa la sua comparsa di nuovo German, prigioniero del nemico. Poi, Diego è disperato per Francesca e và da Nata a farsi consolare. Federico sviluppa nuovi poteri, yuppi ye. E, alla fine, tan tan tannnn… appare qualcuno il cui nome vi è sicuramente familiare: Priscilla. Vi lascio così. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, accetto anche critiche e consigli.
Un bacione da Chicca2501

   
 
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