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Autore: Martyx1988    27/12/2008    3 recensioni
Una nuova generazione di combattenti per il nuovo torneo del pugno d'acciaio. "Cosa volete da noi?" gli domandò Alex sprezzante. "Da voi? Niente. E' voi che voglio" "Perchè?" chiese Mei Mei, senza alcuna esitazione nella voce. "Perchè vi vogliono mio figlio e mio fratello? Io vi voglio per lo stesso motivo. Sarete il mio asso nella manica, la mia arma per schiacciare la Mishima Zaibatsu e quei due pagliacci al suo comando una volta per tutte"
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Jin Kazama, Lei Wulong, Ling Xiaoyu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scontri e battibecchi

Lupo Nero era stato come un padre per lui, esattamente come per tutti i ragazzi della riserva. Li aveva educati alle tradizioni e ai valori dei pellerossa, li aveva fatti diventare uomini. Era morto da eroe, emulando i suoi più illustri antenati. Alex non avrebbe mai dimenticato quell'uomo e per lui aveva deciso di partecipare al Torneo del Pugno d'Acciaio. Voleva che fosse fiero di lui, voleva dimostrargli il suo valore di guerriero...e voleva vendicarlo, per non rendere vana la sua morte.
Il fiume scorreva sotto i suoi occhi, lento, eppure ad un orecchio esperto non sarebbe sfuggita la nota d'inquietudine e agitazione all'interno dell'abituale sciabordio delle acque. Ribolliva di rabbia per la morte di un amico, di un fratello, e cantava la sua rabbia al cielo, alla terra, alle rocce, agli alberi, al vento. Tutti insieme rendevano omaggio a Lupo Nero e al suo coraggio, accompagnandolo nel suo viaggio fino al cospetto del Grande Spirito.
Anche Alex iniziò a cantare sulle note della natura, la sua voce profonda saliva fino in cielo accompagnata dal vento, che aveva quasi completamente asciugato le copiose lacrime che il ragazzo aveva silenziosamente pianto, seduto a gambe incrociate sotto la grande quercia. Quello stesso vento gli scompigliava i lunghi capelli neri lasciati sciolti e gli solleticava il petto abbronzato e glabro.
Sembrava veramente un'aquila solitaria, pensò Mei Mei, che ormai lo osservava da molti minuti, tenendosi a debita distanza. La ragazza aveva le braccia incrociate al petto, nel tentativo di ripararsi dal vento freddo che Alex non sembrava nemmeno sentire. Ascoltò in silenzio il canto del ragazzo, e un brivido crescente la percorse per tutto il corpo. Qualcosa di magico aleggiava intorno a lui, come se tutte le forze della natura si fossero unite al suo dolore. Mei Mei ne ebbe paura e fece istintivamente un passo indietro, pestando inavvertitamente un ramoscello che si spezzò sotto il suo peso. Trattenne il respiro e si voltò verso la fonte del fastidioso rumore.
"Che ci fai lì?" le domandò imperioso Alex, senza nemmeno voltarsi.
Mei Mei continuò a retrocedere a passo lento e felpato, nella speranza di evitare una discussione col ragazzo, ma inutilmente.
"Ti ho fatto una domanda". Alex alzò il tono della voce.
"Ecco io...ero solo venuta a vedere come stavi...ma me ne stavo andando"
"L'ho notato". Mei Mei percepì una punta d ironia nella sua risposta ma, seppur irritata, fece finta di niente.
"Beh, allora vado. Scusa il disturbo"
"Aspetta, non ti ho detto che potevi andare". Il tono autoritario di Alex cominciava a darle veramente sui nervi, ad ogni modo si fermò. Il ragazzo si mosse dalla sua rigida posizione e si alzò per procedere verso di lei. La sua imponenza la mise in soggezione ma cercò di non darlo a vedere.
"A quanto pare combatteremo insieme" iniziò Alex.
"A quanto pare"
"Bene, allora un consiglio spassionato per il futuro: vedi di imparare il più in fretta possibile a muoverti silenziosamente se vuoi restare viva il più a lungo possibile. Il Torneo del Pugno d'Acciaio non è posto per goffe ragazzine alle prime armi". Fece per andarsene, senza degnarla di uno sguardo, ma per Mei Mei aveva superato il limite.
"Scusa tanto, Toro Seduto, se non sono stata addestrata fin dalla culla ad essere un grande guerriero, ma fino a pochi giorni fa me ne stava seduta dietro un banco di scuola a seguire una pallosa lezione di Filosofia, senza nemmeno immaginare di finire in questo posto dimenticato da dio con la prospettiva di rischiare la pelle. Perciò non venirmi a fare la predica, considerato anche il fatto che non sei tanto più grande di me e quindi nella posizione per farmi la paternale"
"Se sai di essere una schiappa per quale motivo hai accettato? C'è un particolare complesso adolescenziale che ti ha spinto in modo masochistico ad andare a morire o sei qui solo per irritare il sottoscritto?"
"Proprio tu parli di complessi, che vorresti rischiare le tue belle penne da aquilotto perchè sei frustrato e asociale"
"Sei talmente frivola e superficiale che non mi spreco a spiegarti il potere del silenzio e della meditazione"
"E tu sei talmente scorbutico, Piccolo Buddha, che non mi impegno neanche a starti ad ascoltare, perciò rifugiati nella tua sofferenza e nel tuo silenzio e lascia vivere serenamente gli altri"
Gli diede sfacciatamente le spalle e fece per andarsene, ma Alex la bloccò con forza per una spalla. Sentì la sua mano vibrare e percepì la stessa energia che scorreva in lei quando le si infiammava il simbolo. Ironia della sorte, il drago comparve sulla sua mano più nitido e potente del solito e l'energia prese il sopravvento.
Assecondò la presa di Alex e, voltandosi, lo afferrò per un polso torcendoglielo con un movimento veloce e fluido, ma il ragazzo rispose con una presa simile ribaltando la situazione e fece girare Mei Mei su se stessa, dando poi uno strattone deciso per farla cadere. La ragazza rimase un secondo il volo, poi atterrò saldamente sui due piedi e si inginocchiò tirandosi dietro Alex, che cadde rovinosamente a terra di schiena, esattamente davanti a lei.
Mei Mei incrociò lo sguardo stupito del giovane pellerossa e sorrise soddisfatta, ringraziando mentalmente la nonna per le lezioni di Tai Chi, quindi si sedette a gambe incrociate.
"Senti, io non sto simpatica a te e tu non stai simpatico a me, ma se vogliamo combinare qualcosa come squadra dobbiamo collaborare. Sei d'accordo con me?"
Alex, che nel frattempo si era rialzato e si era seduto di fronte a lei, annuì impercettibilmente
"Bene, quindi proporrei di ricominciare tutto da capo e andare poi avanti in una pacifica indifferenza". Gli tese la mano destra. "Io sono Melania, per gli amici Mei Mei"
Alex guardò perplesso la mano e si lasciò sfuggire un ghigno, quindi porse la sinistra.
"L'indiano saluta con la sinistra, con la destra uccide"
"Oh". Mei Mei si affrettò a cambiare mano, che subito scomparve dentro quella enorme di Alex. "Io sono Aquila Solitaria, per gli amici Alex".
Julia osservava con attenzione la scena dalla finestra della casa di Lupo Nero e si sorprese quando si rese conto di invidiare quella ragazza, semplice ma determinata, che era riuscita in qualche modo a scalfire la corazza che Alex aveva eretto intorno a sè dal giorno della morte della madre. In qualche modo Mei Mei stava dimostrando di poter essere un vero leader e forse, all'interno della squadra, era quello il suo destino. Rise tra sè al pensiero di Alex sottomesso da una semplice studentessa che gli arrivava a mala pena al mento. L'aquila solitaria che veniva domata. Stranamente quell'immagine le diede fastidio e provò un moto d'antipatia verso Mei Mei, che era riuscita dove lei per tanti anni aveva fallito. Probabilmente era tanto l'odio che Alex provava nei suoi confronti che non c'era speranza di diventare qualcosa di più che fratellastri in perenne conflitto.
"NON SO NIENTE!". L'urlo dell'uomo legato alla sedia e insistentemente interrogato da Lei la riportò alla realtà.
"Sai, mi risulta difficile credere che tu non sappia il motivo per cui ti hanno mandato ad uccidere delle persone"
"Mi pagano per eseguire gli ordini e non indagare oltre. Dovrebbe conoscere i metodi della Mishima Zaibatsu, agente Wulong"
"Ah, quindi vi ha mandato la Mishima Zaibatsu"
L'uomo si contorse in una smorfia quando si rese conto di aver rivelato troppo.
"Diciamo non proprio" cercò di salvarsi.
"Ascolta, sacco di merda, piantala di giocare a Indovina Chi? perchè non sei nella posizione per farlo. Ti manda Jin Kazama sì o no?"
"No, non Jin Kazama"
"E allora chi?"
"Lee Chaolan, è lui che di fatto controlla la Mishima Zaibatsu. Kazama è solo un fantoccio"
Lei respirò profondamente mentre si portava dietro l'uomo, per poi renderlo inoffensivo con un colpo preciso sulla nuca che lo fece svenire. Si rivolse quindi a Julia, ancora alla finestra.
"La situazione è peggiore di quant pensassimo"
"Ma cosa vuole Chaolan dai ragazzi?" domandò Julia, portandosi al centro della stanza.
"Portarli dalla sua parte, suppongo. Al momento è l'unico motivo che mi viene in mente"
"E Kazama che ruolo ha in tutto questo?"
"Non lo so, ma ho un brutto presentimento. Bisogna terminare la ricerca il prima possibile. Chiama i ragazzi, mi serve sapere la prossima meta"

Il mercato di Damasco era affollato come al solito, rallegrato dai variopinti veli che coprivano i volti delle donne, resi ancora più sgargianti dagli incisivi e luminosi raggi del sole di mezzogiorno. Il frastuono era a tratti assordante, le voci si accavallavano l'una sull'altra, e chi riusciva a farsi sentire sopra gli altri vendeva la propria merce. Bracciali, spezie, abiti, stoffe, animali, su quei banchetti si poteva trovare qualsiasi cosa. Per questo motivo l'uomo tarchiato che stava seguendo si era recato lì quel giorno. Ma il suo interesse non era rivolto alle merci sui banchetti, bensì ai venditori. Al suo passaggio la folla attorno a lui ammutoliva e apriva un varco per rendergli il più agevole possibile il passaggio fino alla bancarella del mercante. Non gli serviva parlare, bastava uno sguardo per intendersi, e il venditore si abbassava per prendere un piccolo sacchetto carivo di monete e banconote, che silenziosamente porgeva all'uomo tarchiato, che sorrideva soddisfatto prima di proseguire nella riscossione. Era uno degli uomini più ricchi della città, e l'affitto dei mercanti era la sua maggior fonte di guadagno. Si accontentava della metà del ricavo della giornata, ma per molti venditori quella metà era indispensabile per mantenere la famiglia.
Gli venne in mente suo padre, che aveva portato avanti il proprio banchetto di spezie per anni, fiero del suo lavoro e di riuscire con esso a portare avanti una famiglia numerosa come la loro. Aveva tre figli, un maschio e due femmine, tutti avuti dalla stessa moglie, che spesso lo aiutavano a servire i clienti.
Jamal era il maggiore, il più brillante, il più in salute dei tre. A lui erano sempre toccati i lavori pesanti, che gli avevano col tempo scolpito un fisico statuario, molto utile nelle risse tra i ragazzini del quartiere. In quelle occasioni il ragazzo aveva dimostrato una predisposizione per la lotta, mettendo in mostra uno notevole agilità mista alla giusta dose di forza. Suo padre non ne era rimasto particolarmente sorpreso, memore delle grandi imprese del nonno e della setta a cui la loro famiglia apparteneva da generazioni. Erano Assassini, un tempo gli spietati sicari dei sultani, sostenitori di un culto estremista e sanguinario, abili combattenti, infidi massacratori di uomini. La loro fama era andata col tempo scemando, ma alcuni focolai erano rimasti accesi qua e là per il Medio Oriente, inattivi. La tradizione voleva però che lo stile di lotta venisse comunque insegnato al maschio maggiore della famiglia, in gran segreto. Così Jamal era stato addestrato dal padre al combattomento a mani nude e col coltello, aveva imparato come uccidere un uomo con una sola mossa, e muoversi silenziosamente in mezzo ad una folla, a rendersi invisibile, e il suo fisico ne aveva tratto giovamento. A sedici anni ogni muscolo del suo corpo era difinito alla perfezione, scattante al primo segnale. L'esattore lo notò e non nascose al padre il desiderio di comprare il ragazzo per farne la sua guardia del corpo. Trovò però resistenza da parte del mercante, che rimase sempre sulla sua posizione: Jamal era intoccabile. Al pingue affittuario la risposta non andò a genio e la sua vendetta non tardò ad arrivare. Alcuni suoi scagnozzi bruciarono il magazzino in cui teneva le spezie, assicurandosi che dentro vi fosse anche il mercante. Jamal si impegnò con tutto se stesso per domare l'incendio, ma i suoi tentativi furono vani.
La sua famiglia si ritrovò di punto in bianco sul lastrico e la povera madre fu costretta a vendere le due sorelle di Jamal all'esattore, che le aggiunse al suo numeroso harem, per non finire per strada a chiedere l'elemosina. Quanto a lui, continuò a lavorare solo per amore di quella donna, ma quando anche lei morì, si dedicò anima e corpo a quello stile di combattimento perduto ma indomabile.
Le storie sui leggendari Assassini ritornarono a circolare per le vie della città, Jamal divenne in breve una specie di supereroe. Ma non era amatoi, bensì temuto. In breve era riuscito a rintracciare i sicari del padre, mandandoli al creatore con lo stesso metodo che avevano utilizzato col mercante. Non aveva neanche risparmiato le famiglie. Era diventato un mostro, senza pietà, ma di fatto nemmeno loro avevano avuto pietà nei confronti della sua famiglia. Occhio per occhio. L'ultimo obiettivo era l'esattore. Ne aveva seguito i movimenti per settimane, celato sotto il suo mentello grigio, col viso in ombra sotto il cappuccio, riparandosi dentro le scure ombre che i palazzi proiettavano sulle strade e sui vicoli.
Quel giorno, finalmente, avrebbe agito. Non sapeva di preciso cosa avrebbe fatto dopo, probabilmente sarebbe fuggito per iniziare una nuova vita in un'altra città. In quel momento gli importava del presente, della folla che nemmeno si accorgeva del suo passaggio, del vociare che alle sue orecchie giungeva ovattato, del collo taurino dell'uomo a pochi centimetri dalla sua lama.
Un urlo di donna attirò l'attenzione di tutti intorno a lui e a quel rumore il suo braccio si bloccò. Qualcosa iniziò a scorrere in lui, veloce, come se oltre a sangue e linfa nei condotti del suo corpo ci fosse qualche altro fluido. Si sentì pieno di energia, onnipotente. Sul dorso della mano armata comparve il disegno di un pugnale molto simile a quello che stringeva tra le dita. Un altro urlò e Jamal allontanò il braccio dalla sua vittima, guardando nella direzione della donna. Un uomo molto più vecchio di lei la stava strattonando per un braccio, il povero velo marrone le era caduto dalla testa, lasciando che tutto il mercato vedesse il suo bellissimo e giovane volto rigato dalle lacrime e deformato in una smorfia di terrore. L'uomo la stava minacciando con una mannaia, urlando alla folla tutto il suo disprezzo per quella creatura demoniaca. Doveva essere sua moglie, e a parer suo aveva guardato troppo insistentemente un giovane garzone di una bancarella lì vicino.
Qualcosa dentro Jamal lo spinse a fare un passo nella loro direzione, ma con la mente tornò al suo obiettivo primario. L'esattore non sembrava essersi minimamente accorto del pericolo che aveva corso e si era avvicinato ancora di più alla calca di gente. L'impulso di sorprenderlo nuovamente era forte, ma le suppliche della giovane donna presero il sopravvento, e il suo corpo agì.
Con un balzò superò la folla che si era riunita a cerchio intorno ai due e con un movimento fluido mozzò la mano dell'uomo che impugnava la mannaia, costringendolo a lasciare la donna per stringersi dolorante il moncherino zuppo di sangue. Prese poi la ragazza per un braccio e se la caricò in spalla. Lei si strinse subito alle sue spalle e insieme balzarono sopra i tetti delle case, sempre più lontani dal mercato, fino ai confini della città. Durante la corsa il pianto della donna si calmò e lei si strinse ancora di più al ragazzo.
Si fermarono sul tetto di una delle ultime case di Damasco, sotto la quale correva una strada sterrata che conduceva ad un piccolo agglomerato urbano vicino al deserto. Jamal fece scendere la donna dalle sue spalle.
"Quella strada conduce ad una piccolo paese. Prendi questi soldi e rifatti una vita". Le porse un pesante sacchetto pieno di monete, il ricavato dell'esattore di quel giorno, poi fece per andarseme, ma la presa gentile di lei sul suo braccio lo convinse a voltarsi.
Era veramente bella, con gli occhi a mandorla contornati da un filo di trucco nero, leggermente sbavato a causa del pianto. Le scure labbra carnose erano invitanti e i setosi capelli neri brillavano sotto gli intensi raggi del sole.
"Posso vedere il volto del mio salvatore?" chiese suadente, avvicinandosi a Jamal e portando le mani vicino al viso del ragazzo, per toglierli il cappuccio. Lui prontamente le fermò e si guardò intorno, ma la zona sembrava deserta. Lasciò quindi la presa e la giovane donna gli scoprì il volto. Anche lei rimase meravigliata dalla singolare bellezza del ragazzo, in particolare dai profondi occhi neri con cui la osservava. Il naso dritto e sottile si intonava perfettamente con le labbra appena accennate, e il volto ovale era incorniciato dai capelli castano scuro lunghi fino alle spalle, tenuti indietro da una fascia bianca che percorreva tutta la circonferenza del cranio. La donna sorrise maliziosa. "Sei molto bello"
"Forse ho fatto male a salvarti"
"Tu dici?". Poso le mani affusolate sul suo petto e si avvicinò di più. "Pensi che una giovane donna non abbia il diritto di godersi gli anni che ha? Pensi che avesse ragione mio marito?"
"Sul fatto che sei una creatura demoniaca sì"
La afferrò con prepotenza per la vita e fece aderire i loro corpi alla perfezione. Lei gli si aggrappò al collo e si avventò sulle labbra di Jamal, che subito costrinsero le sue a schiudersi per poterle esplorare la bocca con avidità. La donna rispose con lo stesso slancio ma si sentì pochi attimi dopo spinta via con la stessa violenza con cui l'aveva attratta a sè, la punta del pugnale a pochi centimetri dagli occhi.
"Il problema è che io sono più demoniaco di te".
Sparì tra le ombre di Damasco, esattamente com'era venuto.

Capitolo di Natale, anche se pubblicato qualche giorno dopo. E qui spunta il terzo membro della squadra, un po' inquietante come personaggio...
Grazie a tutti i lettori e commentatori!!

   
 
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