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Autore: BabaYagaIsBack    28/04/2015    2 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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§ Can't get along with alcohol §

Ebbene, a casa di Seth Morgestern potete trovare tre cose: un divano accogliente, musica emessa da casse di ottima qualità e pareti insonorizzate per potersi godere al meglio qualsiasi album senza dover fare i conti con le lamentele dei vicini. Poi ogni tanto ci siamo anche Charlie e io, come stasera.
Quando ho visto il suo bel viso sorridente apparire dalla cucina mi si è levato un peso dal cuore; dopo le vicende con il proprietario di casa proprio non me la sentivo di restar sola con lui.

Così, con la serenità ritrovata, abbiamo dato il via al sabato sera tra una fetta di pizza ordinata al ristorante all'angolo e un sorso di birra fresca. Alla cena si è poi sostituita una partita ai videogiochi, uno spinello passato di mano in mano e, a ogni incontro perso, un'ulteriore sorsata – sta da sé, quindi, che il tasso alcolemico nel sangue è aumentato a dismisura, soprattutto nel mio caso. È così che in meno di due ore ho iniziato a sentir girare la testa e mugugnare lo stomaco, ma non demordo: darla vinta a uno di loro equivale a mettere in evidenza il gap esperienziale che ci separa.

Charlie nota la mia risata troppo allegra e la palpebra pesante, così mi allontana di mano il joystick: «Okay, per Jay la partita finisce qui» il suo essere responsabile emerge, facendomi storcere le labbra. So che lo fa per il mio bene, che è stato Jace a chiedergli di prendersi cura di me, eppure non posso far altro che trovarmi infastidita dalla cosa – seppur involontaria, questa è una resa.
Mugugno qualcosa, cercando d'allungarmi tanto da riprendere l'arma con cui ho provato a difendermi fino a ora, ma finisco con lo sdraiarmi malamente sulle sue gambe. Sento le cosce schiacciarmi il seno, mentre una delle ginocchia prova a stortarmi le costole e comprimere in modo alquanto pericoloso lo stomaco – è talmente pieno e gonfio che se Benton dovesse sbagliare a muoversi finirei con il vomitare l'anima.

D'un tratto Seth ci passa accanto, strappando il joystick dalla presa dell'amico: «Lasciala perdere e bere, almeno mi diverto un po'» scherza, consegnandomi sia il bottino della sua razzia, sia l'ennesima bottiglia appena stappata, da cui avrà preso sì e no un paio di sorsi.

Charlie gli lancia un'occhiata bieca, riluttante all'idea di vedere quanto misera possa diventare a furia d'ingurgitare alcol. Sul suo viso si legge la palese voglia di rimproverarlo, di ricordargli che in fin dei conti sono la cucciola del gruppo e non dovrebbero prendersi simili libertà, soprattutto in assenza di mio fratello, ma si trattiene, forse temendo di finire in mezzo all'ennesimo battibecco.
Sorrido a Morgestern, ringraziandolo per il supporto e il rifornimento, ma appena alle narici arriva il profumo di luppolo, la nausea fa capolino. 
Dovrei smettere ora che ho ancora un briciolo di lucidità, perché se dovessi arrivare alla fine anche di questa bottiglia, non avrei più alcun controllo né sulle mie azioni, pensieri o reazioni del corpo. E sarebbe anche meglio prendere qualche secondo di pausa dall'aria viziata del salotto.
«Devo-devo andare in bagno» dico con la bocca impastata, così Charlie si prodiga a farmi da sostegno mentre cerco di mettermi dritta.
Io barcollo malamente, sentendo la testa girare e lui mi regge.
«Devi vomitare?» mi domanda, spaesato. Sono certa che a nessuno di loro sia mai capitato di dover accompagnare una ragazza a rimettere; nelle serate passate insieme, Jace, Charles e Seth devono essersi accontentati di un angolo appartato, un cestino in mezzo alla strada o chissà che altro, ma al posto di aiutarsi l'un l'altro, devono essersi accontentati di ridere sguaiatamente di fronte al disagio dello sventurato di turno. Con me tutto ciò non è contemplato e, in mancanza del primogenito Raven che mi sorregge la testa, tocca a loro fare da fratelli maggiori.

Seth dal suo divano in pelle si gode la scena ridendo, forse di me, che sono fin troppo impacciata per reggere il loro confronto.
E la cosa mi dà ancor più fastidio.
Sento la frustrazione muoversi tra i fumi dell'alcol – perché in fin dei conti, se non resti allegro diventi una sorta di essere incazzoso.
Scanso Charlie malamente, quasi ringhiando come un cane. Non voglio che mi sorregga, men che meno che metta in mostra le mie debolezze. Bofonchio qualcosa, forse incitandolo a starmi lontano. Se devo essere sincera, ciò che più mi spaventa è apparire ancora piccina, innocua e innocente, quando in realtà sto per superare quella soglia sottile tra adolescenza e età adulta – e vorrei che anche loro, soprattutto Morgestern, lo notassero.

Barcollo in direzione della porta del bagno, anche se i passi sono instabili e i tappeti delle minacce terribili. So che da un momento all'altro potrei combinare il più tragicomico dei disastri, ma provo comunque a resistere. Aver allontanato Benton può essere stata la peggior scelta possibile, soprattutto ora che il piede scalzo s'incastra nella gomma che dovrebbe tener fermo il tappeto tra la camera e la mia destinazione. Sento la birra agitarsi nello stomaco al pari di un maremoto mentre la gravità fa il suo dovere e prima che me ne possa render conto sto precipitando in avanti. 
Chiudo gli occhi in un istintivo gesto di difesa, preparandomi a spiattellare il viso sul pavimento e poi vomitare tutto ciò che mi è possibile. 
È inevitabile che andrà così.
Va sempre così.

Ma prima che il dolore prenda possesso di me, la stretta di mani saldissime afferra il mio ventre, in un disperato tentativo di non spaccarmi il naso. Sento un altro corpo stringersi a me, barcollare per riuscire a tenere in piedi entrambi. E così, fin quando non sono certa di aver recuperato l'equilibrio insieme al mio salvatore, cerco di evitare che dalla bocca mi si riversino fuori i conati.
Aspetto qualche secondo, poi quando finalmente alzo lo sguardo in direzione di chi si è precipitato in mio soccorso, incrocio quello di Charlie. È scuro e furente, ben diverso da quello a cui sono abituata e per un solo istante temo le azioni che non son ben riuscita a controllare.

Certamente devo averlo offeso.

«Ti riporto a casa» sentenzia con fermezza, mentre con un colpo di braccia mi rimette dritta. Lo stomaco si ribalta ancora e l'urto del vomito si fa sempre più intenso.

Al prossimo colpo faccio una strage.

Scuoto la testa con veemenza, convinta che il tragitto in macchina potrebbe solo peggiorare la situazione: «Charlie... lasciami» mugolo, avvertendo l'urgenza d'abbassare la maniglia di fronte a me. Sono così vicina alla tavoletta del water e al contempo così lontana – e più la consapevolezza di ciò si fa strada in me, più vorrei spingerlo via un'ultima volta, per salvarci tutti dai succhi gastrici che si stanno agitando nello stomaco. 
Lui mi guarda con una sorta di strana riluttanza e, nella sua espressione, ora traspare l'uomo che sta diventando.
«Non mi hai sentito?» un nuovo strattone e, inesorabilmente, mi ritrovo a far coppa con le mani sulla bocca. 
Seth si precipita su di noi e, strappando la stretta dell'amico, finalmente mi libera. Lo sento spingermi verso il bagno e in men che non si dica mi ritrovo inginocchiata a terra, cercando di non sporcare ovunque. 

 

***
 

Nel buio delle palpebre ancora chiuse, inizio a risvegliarmi come un bocciolo a primavera, anche se con molta meno poesia a descrivere il momento. La bocca è terribilmente impastata, tanto che pare io abbia dormito per eoni. I muscoli sono intorpiditi e devo stirarmi più e più volte prima di riacquistare una sorta di mobilità. 


Nell'aria mi accoglie un delizioso aroma di caffè, undettaglio che in casa Raven assume la connotazione di "rarità", così non possofar altro che aprire gli occhi per cercare di capire quale occasione specialesia motivo di tale miracolo. 


La luce filtra da oltre le tende e, d'un tratto, mi accorgo non arrivare dalla solita direzione. Sfioro le coperte, le annuso scoprendovi un profumo che non mi appartiene: in quale letto mi trovo?

Salto in piedi sgranando gli occhi, cercando d'identificare il luogo in cui mi trovo, ma prima che le pareti, o le mensole piene di oggetti mi rivelino qualcosa, scorgo il viso paffuto e peloso di Chucky, il blue Prussia di Seth. 
Il gatto mi fissa con un certo astio, mentre io inizio a temere per la mia incolumità, sapendo quanto sia geloso del proprio padrone – e probabilmente anche del suo letto.
Svelta scivolo fuori dalle coperte per ridare al piccolo amico peloso il suo spazio, scoprendo qualcosa che forse avrei preferito non notare. Come nei peggiori romanzi rosa, a tratti simili alle teen fiction, mi ritrovo in calzini, mutante e maglietta, grazie al cielo abbastanza larga da coprire ciò che deve essere celato.

Esattamente, dopo il quarto d'ora passato in bagno a rimettere la pizza e l'acol, cosa mi sono persa?
Chi ha osato sfilarmi i pantaloni? E siamo sicuri che ci si sia limitati solo a questo?

 

Chucky miagola, mi chiama, così quando alzo lo sguardo sul suo musetto scuro mi pare di vedere una certa pena nell'espressione baffuta. 


Sì, so di aver preso peso.
E di non essermi fatta la ceretta nell'ultima settimana – oserei quasi dire "mese".
 


La consapevolezza di ciò non fa altro che peggiorare la situazione. Non so se piangere o nascondermi sotto alle lenzuola per le prossime ore, fin quando Seth non si deciderà a capire se sono morta o meno, o se ne uscirà di casa per andare al lavoro. Sì, mi sembra un buon piano.
Sto per fare dietro front e tornare nel letto, quando una melodia prende a riempire le stanze con allegria. Ci metto qualche istante a capire di che canzone si tratti, ma alla fine, con sorpresa, riconosco qualche giro di chitarra, dando un nome al brano: Hey Soul Sister.

I piedi si muovono involontari verso la porta, dove il desiderio di spiare al di là dello stipite si fa forte. Non credo mi sia mai capitato di restare sola con Morgestern a casa sua, di svegliarmi la mattina con la sua compagnia.

Strizzo gli occhi in direzione del salotto e, non scorgendo nulla, svicolo fuori dalla stanza, sospingendomi fin in fondo al corridoio. Mi sporgo appena in direzione della cucina e lì lo vedo, bello come sempre, mentre canticchia il testo della canzone che ha appena fatto partire. 
Vorrei potermi disincantare, ma non ci riesco. La mia attenzione s'impiglia in ogni dettaglio di lui: tra i capelli scuri tutti spettinati, tra le pieghe delle labbra che sorreggono la sigaretta. Tra le maniche mancanti di una canotta risalente a qualche concerto di anni prima e sulla coulisse dei pantaloni della tuta. Lo vedo muoversi con una naturalezza disarmante, inconsapevole del fatto che lo stia spiando. Si gira verso il fornello, osservando la moka. Ha la schiena ampia, molto più di quello che ricordavo e i muscoli sotto alla pelle chiara si muovono armoniosamente, lasciando all'immaginazione l'opportunità di fantasticare su centinaia di situazioni improbabili. 
Poi, a spezzare la magia, si volta verso il corridoio, scoprendomi in flagranza di reato. Per un attimo resta fermo a fissarmi, forse cercando di realizzare la situazione e poi, con tutta la sua delicatezza, scoppia in una fragorosa risata che mi fa schizzare il cuore in gola.

Con le mani provo a tirar giù l'orlo della maglia, cercando di coprire più coscia possibile. Qualcosa riesco a fare, ma pare sempre non essere abbastanza. I suoi occhi inoltre non si fanno sfuggire nulla, sono predatori, soprattutto quando si tratta di corpi femminili – però con me potrebbe non valere questa sua dote, in fin dei conti sono solo la sorella minore del suo migliore amico, ma ad essere sincere, un po' mi farebbe piacere sapere che ha guardato anche me così.
«Che c'è di così divertente?» gli domando, avvertendo con estrema chiarezza le guance scaldarsi.
Lui scuote la testa, poi mi fa cenno di raggiungerlo: «Sembri un pulcino spaesato, tutto qui» confessa, allungando una tazza di caffè nella mia direzione. Grazie al cielo tra di noi si frappone l'isola della cucina, unico scudo tra la mia pelle eccessivamente nuda e le sue possibili provocazioni.
Bevo.
«Charlie?» domando, sentendo l'urgenza di mettere insieme i pezzi del puzzle che è diventata la serata appena trascorsa.
Seth fa altrettanto, poi butta la cenere nel lavandino e fa un altro tiro dal filtro: «Si è assicurato che stessi bene, mi ha aiutato a portarti sul divano e poi si è rassegnato all'idea che fossi troppo stravolta per essere riportata a casa».

Ah...

«Quindi mi sono addormentata?»
«Brutalmente. Sul divano. Ho faticato non poco a portarti di là e sfilarti felpa e jeans» mi lancia un'occhiata scherzosa e il desiderio di seppellirmi sotto strati e strati di terra si fa concreto. Non posso credere che il ragazzo di cui sono cotta mi abbia dovuta spogliare mentre russavo come un facocero.
Avrei potuto sopportare il fatto di avergli vomitato nel bagno, ma con questo credo di aver raggiunto un picco impossibile da ignorare.

Morgestern sorseggia ancora il suo caffè nero, poi inizia a farsi vicino, pericolosamente: «Sai Jay, stamattina stavo facendo una considerazione alquanto singolare» d'improvviso le sue parole catturano tutta la mia attenzione e l'imbarazzo si attenua appena, dandomi modo di riacquistare una sorta di compostezza. Afferro con entrambe le mani la tazza, sporgendomi nella sua direzione per udire meglio: «Sei rimasta a casa mia per tutta la notte, alticcia e sola, eppure non sei ancora riuscita a perdere la verginità. Mi spieghi come è possibile?» il suo sorriso prende una piega tutt'altro che amichevole, così maliziosa da farmi incastrare il cuore in gola.

No, non può averlo detto sul serio. Non può aver citato un argomento del genere. E poi lui come fa a sapere certe cose?

Salto in piedi, rossa come un pomodoro in viso. Sono incapace di proferire qualsiasi tipo di parola, completamente sopraffatta dall'agitazione, così faccio quello che mi sembra più opportuno fare: scappare da lui. 
Senza esitazione mi lancio verso la porta, la spalanco senza esitazione e me la richiudo alle spalle con un tonfo.

E lui dovrebbe essere uno dei miei migliori amici? Mio fratello si è davvero fidato a lasciarmi nelle mani di un sadico del genere? Non posso crederci! 
Faccio per incamminarmi verso le scale e tornarmene a casa quando, Mrs. McFinnel, la vicina di Seth, mi riprende schiarendosi la gola. Sbatto le palpebre, incapace di capire per quale ragione mi stia fermando; dopotutto sa da sé che se c'è qualcosa di cui lamentarsi lo deve fare con Benton, l'unico di noi che le dà retta.
«Ragazzina, i pantaloni non vanno più di moda?» mi chiede, sistemandosi gli occhiali sul naso mentre mi anticipa nell'abbassare lo sguardo sulle gambe. La vergogna pare volermi prendere alla gola, mentre lacrime di disperazione iniziano a riempirmi gli occhi.

Perché a me?

Rientro in casa di Seth ancor prima di capire quale sia la mossa giusta da fare. Ovunque mi giri mi ritrovo persa in un mare di passi falsi. 

Morgestern mi guarda dal divano, ancora più divertito di prima. Se la ride come di fronte alla commedia più divertente della tv e io vorrei non essermi mai svegliata stamattina.
 

***
 

 

Rimettere piede in casa è equivalso a far scoppiare la terza guerra mondiale. Mia madre, spuntando dal salotto in cui mi ha aspettata per le ultime due ore, ha iniziato a urlare come il rapace che è da anni. Le sue grida stridono contro le orecchie deboli di una persona che è riuscita a star male solo con bevendo birra. 
«Dove sei stata Jane? Ti ho chiamata per tutta la mattina, signorina! Stavo già per chiamare la polizia» 
Addirittura? Non pensavo che una notte fuori potesse causare tutta questa tragedia, soprattutto sapendo che ero accompagnata dai vice di Jace.
Storco le labbra e cerco di non avere qualsiasi reazione che potrebbe peggiorare la situazione, come ad esempio fare una squallida battuta o evidenziare il fatto che è un comportamento pressoché nella norma alla mia età.

Catherine prosegue con le sue domande: perché non le ho risposto? Mi rendo conto della gravità della situazione? So a quali pericoli sarei potuta andare incontro? E perché nemmeno Charlie l'ha richiamata?

Così, richiamata da quei quesiti strillati, fa la sua comparsa nell'androne anche nonna Josephine. Il suo stravagante vestito in stile Disegual è un pugno nell'occhio, in totale contrasto con le pareti bianche e spoglie e, inevitabilmente, sposto lo sguardo su di lei, generando ancor più rabbia in mia madre.
«Jane, non azzardarti a ignorare ciò che ti dico! Questa volta hai davvero esagerato» e per dare ancora più enfasi alla sua minaccia mi strappa di mano la giacca.

Nonna alza le sopracciglia, del tutto confusa, poi decide di prendere una posizione all'interno del furioso soliloquio della donna che mi ha messa al mondo: «Suvvia, Catherine, tutti abbiamo passato almeno una notte fuori casa. Hai nostri tempi inoltre il cellulare nemmeno esisteva!» e un sorriso le tende le labbra corallo. Mamma si volta verso la suocera, la guarda con astio e rinuncia all'idea di replicare, forse sapendo che Josephine potrebbe testimoniare contro di lei, svelando quante notti sia rimasta a dormire con papà senza avvertire casa.
Ovviamente, avrebbe preferito che la vecchia si schierasse dalla sua parte, sostenesse il suo tentativo di farmi una ramanzina, peccato solo che la matriarca di casa Raven abbia una certa propensione nel preferire i nipoti alla nuora.

Mia madre scuote la testa, pesta i piedi e alla fine decide di fuggire in qualche angolo della casa per fumarsi in gran segreto una sigaretta. Lo fa spesso quando è nervosa, credendo di non essere mai stata scoperta e rimproverando me e Jace nel momento in cui facciamo altrettanto. Le piace l'idea di avere ancora una certa autorità su di noi, di poter dettare legge mentre lei è la prima a infrangerla.

Appena restiamo sole, Josephine ritorna con lo sguardo sulla sottoscritta, studiando fino in fondo la mia figura che, certamente, non può che apparire trasandata, visto che non ho né potuto pettinarmi, né lavarmi i denti o compiere qualsiasi altra sorta di igiene personale.

«Che c'è?» le domando, sistemando la borsa sull'attaccapanni ed estraendo sia telefono, sia portafogli, in modo da impedire a chiunque d'impicciarsi degli affari miei più privati.

Lei piega la testa da un lato, mi osserva con una certa insistenza: «Dimmi tu, chérie» e stringe le braccia al petto, trasformandosi improvvisamente in una sorta di caparbio generale. Vorrei poterle rifiutare una risposta, ma so che non si fermerebbe davanti a nulla pur di scoprire in quale situazione mi sia invischiata. Impicciarsi è una dote femminile, e mia nonna ha fatto di quest'affermazione uno dei suoi mantra – più che per piacere, comunque, per prevenzione. Se sa cosa combiniamo, sa come proteggerci.

Prima di risponderle faccio un sospiro, conscia di quali potrebbero essere i suoi pensieri dopo tale confessione.
«Sono rimasta da Seth» una delle sue sopracciglia si alza di scatto, in un gesto stranamente malizioso. Come previsto i suoi pensieri si spingono nelle direzioni in cui avrei preferito che non andassero. Come darle torto però? Senza Jace al mio fianco non ho mai pernottato da nessuno dei suoi amici e già questo può risultare strano, se, inoltre, la prima volta che capita resto a dormire dal ragazzo per cui ho una cotta, i sospetti diventano leciti.

Peccato che non sia successo nulla. 
Non potrebbe mai succedere nulla, visto chi è lui e cosa sono io.

«Non guardarmi a quel modo!» la rimprovero, cercando di mettere subito in chiaro la situazione: «Non sono stata bene, quindi i ragazzi hanno preferito lasciarmi riposare. Alla fine mi sono addormentata, tutto qui»
Nonna non pare ancora convinta, così, sfruttando il suo meraviglioso bilinguismo – abilità che ci aiuta a tenere nascoste a mamma le cose che non vogliamo lei sappia – mi fa la fatidica domanda: «Et de ce qui s'est passè?» 
Forse non è cosa risaputa, ma Josephine è nata a Parigi più di sette decenni fa e, durante i suoi studi all'estero, ha avuto la fortuna d'incontrare l'uomo della sua vita, un sergente dell'esercito inglese qualche anno più vecchio di lei: Philip H. Raven, il capostipite della nostra famiglia.

A quella sua curiosità reagisco con una vampata di calore, ricordandomi le parole di Seth prima che scappassi via dal suo appartamento.
"Sei rimasta a casa mia per tutta la notte, alticcia e sola, eppure non sei ancora riuscita a perdere la verginità. Mi spieghi come è possibile?"
Già, bella domanda vista la sua fama di donnaiolo incallito. E la mia innegabile, quanto ovvia, cotta nei suoi confronti. Oh, e i miei diciott'anni in arrivo.
«Rien, maman!» strillo, probabilmente diventando rossa come un pomodoro. Sgrano gli occhi e scuoto la testa, domandandomi come sia possibile, che un'anziana come lei, si permetta di fare supposizioni del genere nei confronti della nipote. Non dovrebbe considerarmi innocente e casta?
Le passo accanto, superandola e puntando in direzione delle scale, ma prima di salire mi soffermo ancora qualche istante: «Qu'est-ce qui vient à l'esprit?» elei, sogghignando, decide di darmi il colpo di grazia.
«Je t'encourage encore! Il serait aussi temps que tu le fasses».

   
 
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