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Autore: BabaYagaIsBack    04/05/2015    2 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Ten
§ Not a Mistake §


 

"Take me down to the fighting end
Wash the poison from off my skin
Show me how to be whole again
Fly me up on a silver wing
Past the black where the sirens sing
Warm me up in the nova's glow
And drop me down to the dream below"

Castle of Glass - Linkin Park


I giorni son passati senza che io riuscissi a rendermene conto e, dopo il bacio con Seth, di lui non ho avuto più notizie. Mentre Charlie ha condiviso decine di video stupidi e cercato di chiacchierare con me il più possibile, il suo migliore amico è sparito nel nulla - ed io non ho fatto nulla perché fosse diversamente. Non un messaggio o una chiamata, men che meno un'imboscata fuori casa o in qualsiasi altro posto. Me lo sarei aspettato, visto ciò che è successo.
Ho aspettato, arrovellando i pensieri su migliaia di fantasie che non avrei dovuto alimentare, ma le ore di silenzio si sono trasformate in giorni e alla fine, con l'amaro in bocca, ho ceduto all'ovvietà dei fatti: Morgenstern si è pentito.
Quasi sicuramente, una volta varcata la soglia del proprio appartamento, deve essersi domandato cosa diavolo gli sia saltato in mente. Baciare la sorellina del proprio amico non è certo qualcosa che si fa tutti i giorni, soprattutto se si è fidanzati con un'altra persona, si è litigato con il proprio "bestie" e si ha colpito la suddetta giovincella con un pugno ben piazzato al centro dello zigomo.
Il senso di colpa deve aver tradito la sua volontà e, con il senno di poi, deve aver capito di aver solo peggiorato le cose.

Non sembra esserci altra spiegazione.

Ed io non ho voluto fare alcuna prima mossa, nemmeno per accertarmene. Gli avevo promesso un messaggio: non gliel'ho inviato. Avrei potuto chiamarlo: non ne ho avuto il coraggio. Più ci penso e meno mi sento pronta a udire la sua voce, sentire il suo respiro - figurarsi incrociare il suo sguardo! 

Così, pur di non lasciarmi sprofondare in un letto di imbarazzo e paranoia, ho convinto Elizabeth ad accompagnarmi in una passeggiata lungo le vie della City, o di qualsiasi altro quartiere che possa tenermi la mente occupata.

Di fronte alla mia richiesta lei non ha fatto domande, si è infilata le scarpe e ha fatto gli occhi dolci a nostro padre per entrambe, spillandogli il denaro necessario per concederci una merenda ipercalorica e un qualche oggetto dalla dubbia utilità.
Suppongo che l'ombra dell'ematoma che ancora mi adorna il viso sia un'arma contro il buon cuore di mia sorella - perché nonostante tutto, come qualsiasi Raven, anche lei cela sotto al suo corpicino da adolescente riluttante un animo buono.
So di giocare sporco, ma in questi giorni ho bisogno di una spalla per riuscire a scacciare dalla mente i pensieri scomodi: e Liz, nel bene e nel male, è di grandissimo aiuto. Certo, ci sarebbe anche Charles Benton con cui passare il mio tempo, con cui sorridere e fingere che nulla di quello che è successo sia realmente accaduto, ma dubito fortemente che hai suoi occhi, anche sotto a strati di fondotinta, sfuggirebbe il lascito del pugno di Seth. Nemmeno riesco a immaginare la sua reazione e, a dire il vero, un po' la temo. Non so come la sua voce si alteri a causa della rabbia, men che meno ho idea di come il suo viso si contragga in certe situazioni - di certo, visto il suo solito buonumore, per ora non è una minaccia di cui mi debba preoccupare: a quanto pare né mio fratello né Seth devono avergli raccontato nulla.

Liz d'improvviso si volta verso di me, mi riporta alla realtà chiedendomi se sono pronta, ed io per un attimo resto a fissarla, quasi debba riflettere sulle sue parole. Alla fine annuisco, convincendola a uscire.
Così, armate di paranoie e indecisione, ci incamminiamo lungo la via varando vari programmi per occupare il pomeriggio. Passo dopo passo, una proposta dietro l'altra, finiamo col sederci sui sedili di un vagone metropolitano mezzo vuoto. Una accanto all'altra, lasciamo scorrere le fermate senza prestar loro grande attenzione e, una volta arrivate nei pressi di Camden, mia sorella guizza in piedi precipitandosi senza spiegazioni fuori della carrozza. La raggiungo giusto in tempo per non restare chiusa tra le porte automatiche e, una volta afferrato il suo polso le chiedo: «Ma sei scema?»
Lei sgrana gli occhi, confusa: «Perché? Non hai detto che volevi passare al St. Cyr?»

Le mie labbra si schiudono, ma non ne esce alcun suono. Non ricordo di aver suggerito nulla di tutto ciò, eppure dalla sua espressione capisco di essere io quella svampita. Forse ho blaterato qualcosa tra un pensiero e l'altro, incapace di dare effettivamente un senso alle mie stesse parole, però non riesco a ricordarlo e, ora che  siamo qui, tanto vale sfruttare l'occasione.

Mi porto la mano libera al viso: «Ehm... sì, credo» sbuffo poi, ancora poco convinta. «Io... sono un po' stordita, scusa».
Elizabeth corruga la fronte, sembra improvvisamente preoccuparsi: come ho detto, da quando ho questo livido il suo atteggiamento nei miei confronti è drasticamente cambiato. 
«Vuoi tornare a casa?»
Sussulto.
«No, no! E' solo che... ci prendiamo un caffè prima?» Nicotina e caffeina sono solitamente un toccasana per il mio umore e, come lo so io, lo sa anche lei. Dopo tanti anni di convivenza ha imparato come tenermi buona. Non ho bisogno né di supplicarla né di persuaderla, mia sorella cede senza grandi complimenti. Mi conduce sottobraccio alla caffetteria più vicina, arrivando quasi a offrirmi lei stessa, con i soldi di papà, la dose di arabica necessaria per farmi smettere di sognare a occhi aperti - la fermo giusto qualche secondo prima che riesca a trovare il portafogli: già l'ho costretta a passare del tempo con me, non è corretto abusare ulteriormente di lei.

Sorseggiando il caffè, ci inoltriamo tra le strade di Camden in direzione del St. Cyr, un negozietto vintage in cui ho preso tra i capi d'abbigliamento che più preferisco. Avanziamo commentando i possibili acquisti, il tempo, i gossip che aleggiano tra i corridoi della scuola e alcuni film visti di recente fin quando, qualcosa di estremamente allettante, cattura l'attenzione di entrambe.
Una serie di vetrinette sabbiate su cui svetta la vetrofania di un'insegna volontariamente invecchiata ci chiama a sé al pari delle sirene con Ulisse e, persino nolenti, ci ritroviamo ad attraversare la strada seguendo la scia di profumo generata dalla carta stampata, ebbre all'idea di poter sfiorare in punta di dita chissà quali meraviglie - e soprattutto di poter spendere i soldi del nostro amato Jakob per qualche edizione particolarmente interessante. Già, perché sfortunatamente per il portafogli dei coniugi Raven, tutti e tre i figli hanno ereditato un certo amore per la letteratura. Il problema più grande però, è che i generi preferiti spazino in direzioni differenti e le librerie, quindi, si riempiano sempre più, dilapidando paghette e mance.


In men che non si dica ci ritroviamo quindi a oltrepassare la soglia del negozio, immergendoci in una moltitudine di scaffali, colori e tomi che mai ci saremmo aspettate dall'esterno, diventando così come due alcoliste in enoteca.

Non faccio in tempo ad orientarmi, intontita da tanta tracotanza, che Liz sgattaiola verso la sezione dedicata ai gialli abbandonandomi a me stessa e alla confusione più totale. Sembra conoscere questo posto a menadito, eppure dubito che sia mai entrata qui dentro prima d'ora.
Involontariamente mi ritrovo quindi a fissare la sua schiena, cercando qualcosa di indefinito nel modo in cui si muove per il negozio finché, alle mie spalle, qualcuno entra nella libreria obbligandomi a muovere qualche passo verso l'interno.
Mi osservo attorno, probabilmente dando l'impressione di essere folle e, tra uno sguardo e l'altro, mi metto a cercare il reparto biografie. Nel mio scrutare tra le file di scaffali, non posso evitarmi di notare come il commesso più giovane, un tipetto dalla faccia glabra e con ancora qualche residuo di acne sulle guance, si sia messo a fissare con un certo interesse i movimenti di mia sorella, quasi ammaliato. Fortunatamente per lei, Liz ha la stessa bellezza di Jace, ma non si può dire altrettanto quando si parla di " abilità nel saperla usare". In questo caso, purtroppo, ha la mia stessa incapacità nel rapportarsi con il sesso opposto.

E se da un lato lei non si sta accorgendo di nulla, nemmeno di uno sguardo tanto intenso, dall'altro il commesso non sembra in grado di attaccare bottone - così, mossa da chissà quale senso del dovere fraterno, decido di prendere in mano la situazione.

Passando accanto a mia sorella, le pizzico il fianco distraendola dalla spasmodica ricerca di chissà quale volume e, maliziosamente, le strizzo l'occhio: «Qualcuno ha fatto colpo!» Affermo continuando a camminare con nonchalance per la libreria.
Lei all'inizio pare non capire, corruga la fronte e schiude le labbra, poi d'un trattò le gote le si fanno rosse e, con la stessa goffaggine mia, si mette a scrutare i dintorni. Lo sguardo di Liz si sofferma su tutti: dal vecchio che arranca per sistemare un tomo erroneamente preso, al cagnolino che dalla porta cerca di attirare le attenzioni del suo padrone. Le ci voglio molti minuti prima di accorgersi del commesso.

E se mamma e papà l'hanno graziata con la bellezza, non si può dire altrettanto con l'acume.

Gongolandomi nel successo appena ottenuto, certa che vi sarà un primo approccio, decido di lasciare a Elizabeth i propri spazi e, quasi saltellando, mi dirigo verso l'uscita. Le do il tempo di una sigaretta per riuscire a scambiare il numero di telefono con lui, poi me ne andrò senza remore verso il St. Cyr - dopotutto è abbastanza grande per potersi gestire da sola.

Armata di accendino e Chesterfield rossa, mi appoggio al primo angolo di muratura che trovo e, incurante delle condizioni climatiche, sfido la brezza leggera cercando di dar fuoco alla punta della sigaretta - ma la mia è una battaglia già persa in partenza, dovrei saperlo.
Mi ritrovo così a litigare con l'incessante venticello invernale. Provo più e più volte a creare uno scudo con l'unica mano libera che ho a disposizione, ma l'aria passa inesorabile da fessure che non riesco a coprire mettendo all'ingrasso la lista di imprecazioni che inizia a prendere forma nella mente.

Se stavolta non si accende...

D'improvviso altre due mani si chiudono a coppa intorno alla mia e, finalmente, metto un punto alla battaglia tra la fiamma e la brezza. Il tabacco s'infiamma e in un enorme respiro mi riempio i polmoni di nicotina: veleno puro per i bronchi, ma un toccasana per l'incapacità di gestire il nervosismo.
Involontariamente socchiudo le palpebre, mi lascio inebriare dal sapore acre della sigaretta per qualche momento e poi, ricordandomi del buon samaritano che è corso in mio soccorso, mi rivolgo a lui.
«Ti ringra-» peccato che le parole mi muoiano in gola.

C'era un motivo, se quando Elizabeth mi ha detto di Camden mi era apparsa come una proposta impossibile.

Lo sguardo crucciato di Seth mi schiaccia al muro e, come se non fosse già sufficientemente gravoso, lo diventa ancora di più quando mi rendo conto di cosa stia realmente guardando. Quello che fino a qualche giorno fa era un ematoma degno del peggior appassionato di risse da bar, ora non è altro che una chiazza giallognola che il fondotinta fatica a coprire - eppure lui sa dove è, lo trova subito. So che sta analizzando ogni sfumatura che non sono riuscita a camuffare con il trucco; e chissà cosa pensa.

Mentre arranco tra i pensieri alla ricerca di qualcosa da dire, soprattutto per giustificare la mia sparizione, il suo pollice mi si poggia sullo zigomo, accarezzando piano il lascito delle nocche di quella stessa mano.
Il contatto con il polpastrello di Morgenstern mi genera un brivido che dalla base della nuca scivola giù lungo la schiena e, per un attimo, temo di farmi sfuggire un gemito. Ha qualcosa di terribilmente dolce e piacevole, ma non posso negare di trovarlo anche terribilmente sensuale. E nonostante mi abbia toccata decine di volte, prima, ora ogni tocco pare avere un'intensità e significato diversi - purtroppo però, credo che questa sia solo una mia impressione.

«Io ringrazio la tua pellaccia dura, invece. Non pensavo avrebbe iniziato ad andar via così presto» afferma con espressione sempre più critica, analizzando il danno come un medico fa di fronte a un paziente.

Deglutisco a fatica, spalle al muro e palpito a mille - e più resto ferma, più il mio sguardo non riesce a impedirsi di cadere sulle sue labbra, due linee dure, di un pallore disomogeneo che non riesco a definire in alcun modo se non come "rosa perfezione". Si tratta di una cromia unica che, nella mia povera mente da donna che mai ha preso coscienza dell'amore e dei rapporti che vi ruotano attorno, è incantevole. Sì, perché a parte qualche ragazzetto frequentato giusto per estirpare dalla mente dei miei conoscenti l'ipotesi che potessi essere asessuata, non c'è stato altro che questo platonico sentimento per Seth - condito ogni tanto da qualche fantasia a luci rosse.

Cercando di ritrovare il contegno quasi perso, abbozzo un sorriso: «A dire il vero stava iniziando a piacermi. Era una tonalità di viola che faceva perfettamente pendant con le mie occhiaie.»
Peccato che, come sempre, il mio umorismo sembri ottenere l'effetto opposto a quello sperato.
L'espressione di Seth si fa più severa di quanto già non sia e, a dispetto di quello che avrei potuto immaginare, pigia il pollice su quel che resta del livido, facendomi sussultare e arretrare di quei pochi centimetri consentitemi.

Dalle labbra mi sfugge un verso quasi infantile e lui subito prende a rimproverarmi esattamente come una bambina.
«Sei stupida forse? Questo segno deve sparirti il più in fretta possibile» afferma. Incupendosi si morde il labbro per poi diminuire la pressione sullo zigomo: «Non riesco più a sopportare la sua vista.»

Un nuovo brivido mi sorprende, ma del piacere di prima non riesco a percepire alcuna traccia. Si sta colpevolizzando ancora, proprio come ha fatto qualche giorno fa sulla soglia di casa mia, appoggiato a quella porta che poi si è chiuso alle spalle. 

«Mi hai già chiesto scusa un'infinità di volte» dico svelta, temendo forse di farlo sentire più carnefice di quanto in realtà sia. In fin dei conti non ha alcun motivo di accusarsi tanto: è stato un incidente, punto. Non era nulla di premeditato, non dovevo essere io la vittima.
Tiro un sorriso: «e soprattutto lo hai fatto in modi decisamente inaspettati, quindi non credo ci sia bisogno che tu vada avanti a chiedere il mio perdono. Lo hai già, okay?»
«Dici?» mi incalza: «Perché nonostante le mie scuse e le tue promesse sei comunque sparita, mi hai evitato. E se sono riuscito a placcarti qui è solo perché ti sei dimenticata ancora una volta di disattivare la localizzazione.»

La gola si secca, così come le budella mi si strizzano. Se fino all'ultimo avevo inconsciamente sperato che non se la fosse presa per la mia assenza, mi sbagliavo di grosso.

Colta in flagrante, distolgo gli occhi dal suo volto ammettendo le mie colpe: «Permetti che dopo il modo in cui ti sei comportato fossi... spaesata? Non per sottolineare la cosa, ma tra amici non penso sia così normale baciarsi, dopo una litigata...» sento le guance scaldarsi e il cuore accelerare il ritmo. So alla perfezione a quali rischi potrei andare incontro, eppure non riesco a frenare la lingua. Potrebbe dirmi che è stato un errore, un atto di misericordia nei confronti del cucciolo ferito. Potrebbe scoppiare a ridermi in faccia, oppure chiedermi di che diavolo stia parlando - e io probabilmente morirei dall'imbarazzo.

Seth d'un tratto sospira, allontanando la mano dalla mia guancia. Si guarda attorno con fare disorientato e inevitabilmente mi ritrovo a prevedere il discorso che sta per fare.

Lo sapevo, dannazione!

Mi mordo con forza la lingua, cerco di attenuare il dolore che tra poco mi squarcerà il petto. So che sarà atroce, non posso permettermi di cedere di fronte a lui.

Morgenstern scuote la testa, sembra quasi divertito. Come biasimarlo? Di certo per lui quel bacio non è stato altro che una sciocchezza, non gli avrà dato alcun significato, non ci avrà ricamato sopra chissà quali fantasie.
«Sicuramente dopo una litigata con tuo fratello o Benton non mi sognerei mai di ficcargli la lingua in bocca» esordisce, iniziando a frugare nelle tasche del cappotto alla ricerca delle sue tanto amate Lucky Strike: «però tu non sei loro e...» si bagna le labbra, lo fa piano e in quel modo che ancora riesce a creare un senso di vuoto nel mio ventre. «Non credo di pentirmene, Jay» la fermezza con cui pronuncia quelle ultime parole mi lascia di stucco, annulla qualsiasi altra sensazione. Sto forse sognando? O è l'ennesima presa in giro a cui dovrò far fronte?

Arranco, improvvisamente incapace di distinguere la realtà dalla finzione.
«Sono la sorella del tuo migliore amico» per quanto la sua confessione mi stia lusingando e illudendo, c'è un dettaglio che nessuno dei due può ignorare: Jace.
Mio fratello non sarebbe affatto felice di sapere di quel bacio o di questa affermazione - per lui, ora, Seth non è altro che il nemico.
«Sì, Jay, lo so benissimo. Credi non ci abbia già pensato? E' da quando sei rimasta a dormire da me che non riesco a pensare ad altro.»

Oh.
Quindi il suo non è stato un gesto involontario, quel bacio l'ha voluto veramente...

Faccio per rispondere, per confessargli parzialmente ciò che per anni ho tenuto segreto, ma prima che possa dire qualsiasi cosa, una vocina fastidiosa prendere a strillarmi nella testa: Seth ha una fidanzata, Sharon, una ragazza con nulla da invidiare alle fotomodelle che troneggiano sulle copertine patinate delle migliori riviste di moda.
Seth non è fedele a lei, figurarsi se mai lo sarebbe a una come me, che di difetti fisici è piena e non può vantare nemmeno un carattere tanto affabile. Inoltre, Jace non lo perdonerebbe mai. Se sapesse che in un momento tanto delicato ha approfittato della sua sorellina lo etichetterebbe definitivamente come un traditore.
E allora che fare? Confessare o tacere? Se questa fosse la mia unica possibilità di realizzare un sogno taciuto per troppo tempo, per scoprire cosa vuol dire stare con la persona amata, sarei disposta a perderla per questi due motivi?

Ma a prescindere dalla risposta che potrei dare, la voce di Liz mi tedia dalla conversazione e, per evitare ulteriori casini, Morgenstern mi arruffa i capelli in una sorta di giocoso saluto eprima di sgattaiolare via. Se ne va lasciando il discorso tra di noi sospeso nello spazio che ci separa e si fa sempre più grande - ed io vorrei corrergli dietro per capire meglio, per confrontarmi con lui, peccato che non possa.

E una domanda, mentre lo scorgo sparire tra la gente, si fa impellente: voglio davvero sfamare il mio desiderio di lui a tal punto d'affrontare tutte le conseguenze che questo comporta?
 

   
 
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