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Autore: Lady Warrior    04/05/2015    1 recensioni
Eva è l'unica donna rimasta al mondo. è stata salvata dall'estinzione del genere umano da una scienziata. Si risveglia dopo circa un millennio dall'accaduto, e scopre grazie a una voce meccanica registrata che il suo compito è ricreare il genere umano, grazie a una grande quantità di sperma conservato in alcune boccette dentro il bunker nel quale era stata rinchiusa. Eva si comporterà di fronte al mondo come una bambina, quasi come un animale, essendo l'unico essere vivente sul pianeta, e prenderà sul serio il suo compito. Ben presto, però, scoprirà di non essere sola e allora inizierà a porsi delle domande, e capirà che anche per lei vi sono delle scelte. Deve veramente portare a compimento il suo compito? Qual è il vero scopo della sua vita?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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†Risveglio†
 
 
 
 
Un brivido pervase il corpo di Eva.
Che cos’era? Non era mai stata cosciente. La ragazza non sapeva cosa era la vita. Si spaventò. Fino a un secondo prima era come se ella non fosse mai esistita, e ora provava qualcosa. Rimase immobile, perché non si rendeva conto di potersi muovere. E poi una voce.
“Buongiorno. Tu ti chiami Eva, sei un essere umano. L’ultimo essere umano. Chi ti parla è Emily Taik. Quando udirai la mia voce sarò morta. Il tuo compito è riportare in vita il genere umano perché possa ripopolare il mondo. Il tuo scopo è questo: è per questo che ti abbiamo ibernato, tu devi fare ciò per cui sei stata salvata. Segui le mie istruzioni, Eva. Alla tua destra c’è un grande scaffale con delle ampolle e varie siringhe, quelle con l’ago. Il liquido all’interno delle boccette si chiama sperma, e lo devi inserire dentro la siringa. Metti l’ago nella tua pancia e premi il pistone. Il sistema tecnologico presente nel fluido, oltre allo sperma, consentirà a questo di arrivare a destinazione, nonostante tutto. La pancia ti crescerà e dopo nove mesi metterai al mondo un bambino. Quando sarà nato dovrai fare un’altra iniezione e così via fino a un numero sufficiente di bambini di ambo i sessi. Ho fatto in modo, grazie alla tecnologia dell’incubatrice, che tu possa conoscere le funzioni base dell’essere umano: saprai parlare e comprendere le parole, saprai camminare, correre e saltare. Troverai del cibo congelato alla tua sinistra. Troverai una borsa lì vicino. Non ho tempo per inviarti ulteriori informazioni. Buona fortuna”
Dove era? Cosa era? Cosa stava accadendo? Dal nulla Eva si trovava proiettata in un luogo di suoni e odori. Sentiva ancora freddo, ma aveva paura di muoversi, quasi le fosse nocivo, quasi temesse di vivere, perché per quasi un millennio ella non era vissuta. Istintivamente socchiuse la mano. Provò un senso di rilassamento, e sentì qualcosa scorrerle dentro, percepì calore allo sforzo. Si rese conto, finalmente, di essere cosciente, si rese conto di essere qualcosa, si rese conto di esistere. Aprì leggermente gli occhi ma la fioca luce la accecò, e li richiuse. Sentiva l’aria scorrerle piacevolmente fino ai polmoni, rinfrescandoli. Poteva sentire il suo petto alzarsi e abbassarsi: era un’emozione fortissima. Si sentiva quasi come se potesse fare qualunque cosa, come se si fosse appena svegliata da un sonno durato mille anni. Provò ad aprire di nuovo gli occhi, e riuscì a tenerli aperti per un secondo. Piano piano si abituò. Vide il bianco del soffitto. Tutto era immobile. La voce ripetè il messaggio, come per essere sicura che Eva potesse udire. La ragazza voltò lentamente la testa verso destra, da dove proveniva la voce. Era troppo incuriosita, impaurita e allo stesso tempo eccitata all’idea di vivere per comprendere appieno quel messaggio. Non seppe come, ma riuscì a sedersi. Sentì la fatica dovuta allo sforzo di alzarsi. Mosse le mani per aria, come per afferrare qualcosa di inconsistente, quasi volesse comprendere come era fatto l’aere. Poggiò i piedi per terra, poi provò ad alzarsi, barcollò e cadde, sbattendo il braccio sinistro. Provò dolore, e si strinse il braccio. Era una sensazione brutta, spiacevole. Qualcosa di liquido le scese dagli occhi. La ragazza prese il liquido con le mani e lo passò sulla lingua. Era salato. Forse scendeva quando si faceva male.
Provò a rialzarsi e stavolta riuscì a mantenere l’equilibrio. Fece un passo. Freddo sotto i piedi. Percepì il pavimento liscio e scivoloso. Accennò altri passi fino a ritrovarsi ad una superficie riflettente, uno specchio. La ragazza aprì la bocca ed emise un verso. Poteva parlare, poteva emettere suoni. Incredibile. Come una bambina iniziò a fare smorfie e a emettere suoni insensati, per comprendere la funzione della bocca, poi iniziò a pronunciare parole dotate di senso, e allora si ricordò del messaggio, ma ancora non aveva importanza. Osservò lo specchio: rifletteva una figura, e Eva capì che era la sua. Il suo volto allungato era illuminato dalle labbra rosse, una sporgenza con due buchi, che era il naso, e da due grandi locchi leggermente obliqui dalle iridi nere come le tenebre. Lo incorniciavano lunghi e lisci capelli color ebano, che le scendevano sulle spalle, e poi giù, fino al termine della schiena. Osservò il suo corpo longilineo, e si accarezzò i fianchi con le mani, per percepirlo, arrivando poi ai fianchi, alle gambe, ai piedi. Sul petto aveva due piccoli rigonfiamenti, che contribuivano a donare un aspetto curvilineo alò suo fisico. Li toccò delicatamente, e scoprì che erano morbidi. Quale era la loro funzione? Osservò le dita e iniziò a muoverle, a stringerle a pugno. Di nuovo si tastò il seno, non comprendendo ancora bene la sua anatomia. Fece qualche passò indietro, poi si guardò attorno. Molte boccette erano posate su quello che pareva essere un grande armadio. La ragazza ne prese una in mano e osservò il liquido bianco. Come a ricordarle cosa doveva fare si fece udire per l’ultima volta il messaggio vocale.
Fu allora che Eva prese pienamente coscienza. Afferrò la siringa e osservò il lungo ago, premendo contro di esso l’indice destro. Ritrasse subito il dito e lasciò cadere la siringa. Un liquido rosso fuoriusciva dal punto ove si era ferita. La ragazza lo osservò e lo mise in bocca. aveva un sapore metallico.
Guardò di nuovo le boccette.
Il suo scopo era ripopolare l’umanità, perché era l’ultima donna. Non sapeva dov’era, cosa poteva fare, non sapeva nulla, eppure quel messaggio rude e insensibile le pareva salvifico, perché le donava un senso alla sua esistenza. Doveva ripopolare il mondo. Senza riflettere né porsi domande, la ragazza afferrò la siringa, vi depositò dentro il liquido, iniettò l’ago nella pancia e premette il pistone. Sentì il liquido penetrarle dentro, scorrere nel suo intimo.
La sorprese un altro brivido, poi si diresse verso quella che la donna aveva chiamato borsa, poi trovò il cibo. Addentò un frutto. Sentì che era dolce, e subito lo allontanò dalla sua bocca, osservandolo, non riuscendo a capire come lei avesse potuto assaporarne il gusto. Tutto ciò le sembrava un miracolo. Lo addentò di nuovo, chiuse gli occhi e si lasciò abbandonare alla dolcezza di quel frutto. Poi afferrò una bottiglietta e bevve. Sentì la sua gola bagnarsi, e si sentì ristorata. Ancora non sapeva cosa erano la fame e la sete. Alla sua sinistra c’era una porta. La porta che si affacciava sul mondo. Barcollando salì gli scalini e la aprì. Il vento le scompigliò i capelli. Sentì la forza naturale passarle sulle braccia, e questo contribuì a farla sentire viva.
Fece due passi, ma quel che vide la lasciò allibita e impaurita.
Il vento faceva vorticare a mezz’aria polvere mista a terra, producendo inquietanti sibili. Davanti alla ragazza v’erano quelle che parevano immense rovine di cemento e pietra. Tutto attorno a lei era grigio, persino il cielo plumbeo, che non accennava a nulla di buono. La ragazza fece qualche passo nella pietra. Tutto pareva abbandonato, senza vita, e per la prima volta da quando s’era destata la fanciulla si rese conto di essere inesorabilmente sola. Camminò, osservandosi attorno. C’erano grossi pezzi di cemento sparsi, come se qualcosa li avesse fatti crollare. Strani oggetti con gomme consumate, quasi del tutto decomposte, si trovavano vicino al cemento: alcune poggiavano a terra ribaltate, altre erano del tutto capovolte. Era tutto abbandonato. I piedi di Eva iniziarono a dolere, a causa del contatto con le dure e affiliate pietruzze del terreno, e la ragazza continuava ad avere freddo.
Arrancando, riuscì a salire su un grosso pezzo di cemento, e si guardò attorno. Tutto era grigio e tetro, rovinato.
Niente pareva essere rimasto del verde, della natura, niente di vivo o che ricordasse lontanamente la vita sembrava essere rimasto, se non Eva, in piedi, nuda, su un’enorme rovina non ancora decomposta di un grattacielo. Eva, che non conosceva la tecnologia, Eva, che non conosceva né il bene né il male, Eva, che era stata salvata per donare nuova vita.
La ragazza si sedette e osservò l’orizzonte. Il mondo doveva essere molto grande. Si sentì incredibilmente piccola di fronte a tutte quelle rovine, di fronte a quell’orizzonte così lontano, che forse segnava la fine della terra, di fronte a quel cielo plumbeo e soffice, e il suo compito le apparve tanto semplice quanto complesso. Doveva adempiere alla sua missione: gli uomini prima di lei gliela avevano affidata. Aveva già iniziato. D’istinto si accarezzò il ventre piatto.
Scese con un balzo dalla rovina, e iniziò a rovistare da tutte le parti, cercando qualcosa che la rimandasse al popolo al quale ella apparteneva. D’un tratto, dentro ad uno di quegli strani macchinari, trovò qualcosa. Delle perline legate ad un filo abbastanza lungo. Eva lo prese tra pollice e indice e lo osservò coi suoi occhi neri. Chissà a cosa doveva servire. Lo scosse, in attesa di una qualche reazione, ma non accadde nulla.
Allora vi infilò una mano dentro, e scoprì che aderiva bene al suo polso. La ragazza lo guardò e le piacque. Uscì dalla macchina col suo braccialetto, che le pareva un dono da parte di quelli che a lei parevano quasi dei, gli umani che erano venuti prima di lei. Camminò un poco, poi affrettò l’andamento, fino a riuscire a correre. Sentì il vento sfiorarle i capelli, farglieli danzare in qua e in là, carezzarle la pelle candida, entrargli in bocca, nel naso, negli occhi. Era la sua prima corsa. Stanca si fermò e fece due grandi respiri. Ancora si stupì dell’aria fresca che le riempiva i polmoni.
Si sedette per riposarsi. Vicino a lei c’era una pietra. L’afferrò e la guardò, incuriosita, notando che le sue dita si stavano tingendo di uno strano colore grigio. Allora mollò la presa sull’oggetto, che cadde per terra, con stupore della ragazza.
Si osservò le dita, poi le sfregò contro l’altra mano, e la polvere se ne andò. Allora Eva si tranquillizzò, e afferrò di nuovo la pietra. Iniziò a batterla per terra, per comprendere cosa potesse accadere, ma non avvenne nulla.
Allora prese un’altra pietra e la batté contro la prima più volte. Ad un certo punto ne scaturì una scintilla, poi scaturì qualche fiammella. Impaurita dal calore che emanava, Eva fece un balzo indietro e si nascose dietro un grande pezzo di cemento. Osservò il fuoco, preoccupata, pensando a come spegnerlo.
Proprio in quel momento, qualcosa le cadde sulla testa, poi sulla spalla destra, su quella sinistra, sempre di più. La ragazza guardò in alto: goccioline d’acqua stavano cadendo sul terreno. Eva aprì la bocca e lasciò che quelle goccioline le cadessero in gola, dissetandola. Guardò di sfuggita il fuoco, e vide che si stava spegnendo. Si lasciò sfuggire un esclamazione di sorpresa, poi fuggì via per ripararsi dall’acqua.
Entrò nel bunker e cercò di asciugarsi i capelli, poi si rannicchiò per terra, osservando il suo braccialettino di perline.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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