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Autore: BabaYagaIsBack    08/05/2015    1 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Ten
§ Changes in the air §

 

You wake up late for school, man, you don't wanna go
You ask your mom, "Please?", but she still says, "No!"
You missed two classes and no homework

But your teacher preaches class like you're some kind of jerk
You gotta fight for your right to party
Your pop caught you smoking, and he said, "No way!"
That hypocrite smokes two packs a day
Man, living at home is such a drag
Now your mom threw away your best porno "mag"

Fight for your right (to party) - Bestie Boys


Una voce squillante mi perfora le orecchie, ma fatico a volgere l'attenzione nella direzione da cui proviene.
«Miss Raven, le vorrei ricordare che questa è una scuola, non un centro ricreativo» così, sforzandomi, giro la testa verso la cattedra, osservando di bieco la figura della donna che vi sta dietro. I suoi occhialetti blu si appoggiano su di un orribile naso a patata, mentre i ricci biondo paglia contornano il viso stanco e rugoso di quella che è la Signorina Karen Connor.
Insegnante di storia pressoché dal paleolitico, questa donna è uno dei pilastri portanti della Saint Jeremy nonostante per le sue alunne sia solo una sorta di spina nel fianco. Quando si mette a parlare il sonno prende il sopravvento sulla buona volontà e le palpebre, quelle bastarde, diventano pesanti quanto macigni. Stare attente, con lei, diventa un'impresa titanica - eppure qualcuna di noi ci riesce. Come, ancora non lo so.

Ad ogni modo, ora la fisso dritta negli occhi e lei lo fa di rimando, sfidandomi dall'alto della sua autorità scolastica - ben più minacciosa di quanto possa mai essere io. E' in momenti del genere che vorrei cercare sostegno in qualche viso amico, evitando di combattere da sola questa battaglia tra le aule di una scuola privata fin troppo satura di sonnolenza, ma come ogni volta rinuncio ancor prima di provare – nessuna di queste spocchiose ragazzette in divisa blu può essermi d'aiuto e, men che meno, ve ne è una che io possa chiamare "amica".

Sarà che l'idea di avere una persona del mio stesso sesso affianco mi urta - forse perché avere il ciclo coordinato equivale allo scoppio di una bomba nucleare -, o sarà perché son cresciuta a suon di Jace e testosterone, ma non c'è alcuna compagna che abbia mai attirato il mio interesse. L'unica, se così si può dire tale, è la mia più cara e acerrima nemesi: Misha Jocelyn McCoy.

E già il nome preannuncia fastidio, una sorta di prurito che sappiamo non poter grattare.

I nostri trascorsi, così come il presente, non si possono definire dei migliori e il più vago tentativo di approccio "amichevole" si è trasformato in un'apocalisse – ho urtato la sua persona così nel profondo d'averla fatta diventare un'arpia e, anche a distanza di anni, vorremmo non aver mai incrociato il cammino l'una dell'altra. 

Con uno sbuffo chiudo la rivista musicale che ho sulle ginocchia, quella da cui mi sono distratta giusto il tempo di guardar fuori dalla finestra ed essere beccata.
Sbatto più e più volte le palpebre, alzando le sopracciglia e preparandomi a firmare la mia condanna – non che non ci sia abituata, certo, ma ogni volta è comunque stancante.

«Peccato. Sul serio» mi porto una mano sotto al mento: «Lei sa che in alcuni Paesi del Nord Europa esistono delle aule fatte appositamente per dar riposo alla mente? Ci si prende una pausa dalle lezioni per poi tornare più carichi di prima. La trovo un'idea geniale, uno stimolo incredibile per il corpo studentesco. A mio avviso l'Inghilterra non dovrebbe essere da meno, sa? Potremmo ottenere così tanti risultati positivi se adottassimo le stesse tecniche» vedo il viso della professoressa virare verso una preoccupante tonalità di rosso, ma la cosa non pare essere sufficiente a fermare la mia lingua.
Come credo di aver già sottolineato a sufficienza, l'istinto di autoconservazione deve essere stato tolto dalla lista di doti che mi sarebbero dovute essere recapitate a casa: qualcuno lo chiama masochismo.
«Vede, ad esempio... in questo momento il mio cervello è davvero stanco, Miss Connor. E credo che il litigio tra Enrico VIII e la Chiesa sia tra le storie più raccontate in queste aule, per non parlare di tutti i flirt che quell'uomo ha avuto. Un vero casino, sul serio» vado avanti imperterrita dimostrando, quantomeno, di sapere l'argomento di discussione del giorno - e potrei aggravare ancora di più la mia situazione se qualcuno, giusto qualche banco più in là, non si intromettesse.

«Ah, perché? Ti è rimasto qualcosa lì dentro?» L'intervento di Misha pare scatenare l'ilarità del suo gruppetto di amiche, accentuando il prurito che mi assale ogni volta che odo la sua voce - e per evitare di peggiorare la sensazione, decido di non voltarmi: tanto so che mi sta guardando, che non aspetta altro.

«Certe battute chi te le suggerisce, Anna Bolena dall'oltretomba? Si spiegherebbe perché le è stata mozzata la testa...» ma prima che la mia nemica possa rispondere, Miss Connor si mette in mezzo alla discussione, ricordandoci il contesto in cui, purtroppo o fortunatamente, ci troviamo. La sua incapacità nel gestire la rabbia trapela dal colorito del viso e dalle vene che sporgono ai lati del collo e, in men che non si dica, eccola iniziare il proprio monologo.
«È possibile che non sappia mantenere un minimo di contegno, signorina Jane Jacqueline? Sono anni che la riprendiamo sempre per i medesimi motivi, eppure lei si ostina a non voler portare rispetto alle figure e all'istituzione stessa che è questa scuola!» Gli acuti si fanno sempre più intensi, esattamente come il rossore sul suo viso e le pupille dilatate.
Sbuffa e sbraita mentre appoggia il gessetto sul tavolo prima di portarsi le mani ai fianchi ossuti.
«A questo punto non ho altro da fare che chiederle di andare direttamente in presidenza. Mi aspetti lì, appena la lezione sarà conclusa ne parleremo con il Preside e i suoi genitori» e per evitarsi di esplodere di fronte a tutte le sue diligentissime studentesse, chiude il discorso ricorrendo all'autorità della segreteria – un'autorità il cui unico merito è quello di riuscire a fomentare la rabbia di Catherine.

Arrotolando la rivista e infilandomela spudoratamente sotto all'ascella, mi alzo con un sospiro scocciato.

Sto per incamminarmi verso l'uscita quando, con l'ennesimo acuto, aggiunge: «Mi auguro che questa passeggiata possa aiutare il suo cervello a rilassarsi, Miss Raven» e c'è d'ammetterlo, il commento della professoressa Connor è più simpatico di quello di Misha.

Abbozzando un sorriso lascio che il ticchettio delle scarpe – rigorosamente in vernice nera – scandisca la mia uscita di scena. Esito giusto qualche istante nei pressi del banco di Misha, valutando l'idea di usare la rivista come arma, ma poi mi ricordo di essere già abbastanza a rischio e, così, riprendo a camminare rinunciando alla vendetta.
Varco la soglia della classe come se stessi uscendo di galera e, appena fuori, al riparo dagli occhi iniettati di sangue della docente, prendo un lungo respiro di sollievo; per quanto io ami la storia e sia una feticista di biografie, non riesco a sopportare il modo di raccontare di alcuni professori, specialmente la Connor. Involontariamente questi soggetti riescono a farmi andare di traverso anche le tematiche più amate, facendomi così cadere in tentazione - è a questo punto che entrano in scena riviste musicali, artistiche o i fumetti.

Lentamente inizio a muovermi per il corridoio e, spostando gli occhi in ogni direzione, in modo d'essere certa di non correre alcun pericolo, cerco un punto strategico in cui far passare qualche minuto prima di andare a bussare alla porta di un Preside troppo formale per non sembrare lo stereotipo di qualche tv show dozzinale.

Arrivo in prossimità dei bagni in meno di qualche passo e, prima di superarli, devio al loro interno per concedermi a nicotina e tabacco. 

Ho già detto di essere masochista?

Appena l'uscio mi si richiude alle spalle porto la mano libera alla tasca, ma prima che possa tirar fuori il pacchetto di Lucky Strike, uno sciacquone mi fa sussultare.
Come sempre, dimentico di non essere sola.
Svelta nascondo il corpo del reato, conscia che se dovessi imbattermi nella persona sbagliata sarei pressoché rovinata, ma poi, giusto quando la porta di uno dei gabinetti si apre, compare Elizabeth.

Mia sorella strabuzza gli occhi e io faccio altrettanto, stranite dall'incontrarci qui. E' già successo, spesso a dire il vero, però ogni volta ci ritroviamo nella medesima situazione di disagio.

«Stavi fumando?» le domando subito, studiando la sua mise.
Lei corruga le sopracciglia, mi fissa di bieco: «No, non mi rovino i polmoni con certa robaccia, ma suppongo che fosse nei tuoi piani, invece» mi punzecchia, indicando con il mento la mano nascosta dietro la schiena. E da criminale messa all'angolo alzo le braccia in segno di resa, sollevando da una parte la rivista e dall'altra le sigarette – è inutile negare le mie colpe.

Liz sbuffa, andando verso i lavandini: «Ti hanno sbattuta fuori dall'aula un'altra volta?»

Ridacchio, sedendomi sul lavello accanto a lei: «Miss Connor non apprezza il mio humor» ammetto poi, quasi soddisfatta. Non dovrei esserlo, lo so, eppure non riesco a trattenermi.
«Dubito che a parte Charlie ci sia qualcuno che lo faccia» sentenzia lei socchiudendo le palpebre e lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato.

Appoggio la sigaretta tra le labbra, accendendola subito dopo. Mi concedo il lusso di tacere per alcuni istanti gustando il sapore acre della nicotina e avvertendo un certo bruciore in gola. Pace.

«Ti ha mandata in presidenza? Chiameranno mamma?»
Annuisco, buttando fuori una folata bianca: «I miei buoni propositi per quest'anno non coincidono con quelli che aveva in mente lei» sghignazzo tra me e me. So che dovrei far disperare meno Catherine, eppure non ci riesco: paio programmata per darle sui nervi e infrangere i suoi sogni su una prole perfetta.

Elizabeth scuote la testa e si concede un sorriso, poi afferra una salviettina di carta e si porta verso l'uscita: «La farai impazzire!» Butta ciò che ha in mano: «Ah! Sai che è arrivata una nuova studentessa? È del tuo anno, sta nella classe accanto alla mia. Pare venga dal Galles.»
Fisso mia sorella senza capire.
C'è qualche motivo per cui l'argomento debba interessarmi? O forse è stata influenzata anche lei dai discorsi di nostra madre, papà, nonna e Jace?

Prima che possa trovare una qualsiasi frase con cui affrontare il suo commento però, lei sgattaiola via, lasciandomi sola in un bagno che si riempirà presto di fumo.
 

   
 
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