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Autore: Stardust Revolution    09/05/2015    0 recensioni
Giappone.
Tra passato e presente.
Quando gli esseri umani incontrano spiriti e divinità e viceversa.
Quando i racconti si mescolano e con loro le storie e le vite.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La terra era secca, arida. Chiedevano aiuto gli alberi dai rami torti, braccia secche e annerite rivolte verso il basso, come se implorassero a mani spalancate. Le crepe sul terreno filtravano soltanto la polvere. Il cielo era di un azzurro pallido, il sole era una grossa, immensa palla di fuoco chiara che bruciava ogni cosa. Niente nuvole, nemmeno all’orizzonte. Da chissà quanti giorni.                           
Akio se ne stava seduto all’ombra e guardava fuori, dove proprio l’ombra finiva e dove la luce creava un’unica distesa di desolazione. La sua veste colorata donava alla sua pelle chiara quel poco di fresco che la manteneva ancora viva e non la rendeva secca come tutto il resto. L’aria attorno al tempio era bollente, nulla si muoveva, assente era il vento. Le statue immobili digrignavano i denti nella loro eterna staticità, colpa dello sculture che le aveva costruite con quell’espressione così cattiva chissà quanto tempo prima. Il laghetto era asciutto e non c’erano più pesci al suo interno. L’erba era secca e morta. E Akio piangeva silenziosamente. Si chiedeva perché la pioggia non arrivasse, si chiedeva perché non piovesse da così tanto tempo. Un’estate come quella non l’aveva mai vista, nei suoi trentacinque anni di vita. Viveva in quel tempio da molti anni oramai e i giardini tutt’intorno erano sempre stati rigogliosi e verdi, pieni di fiori e di profumi. Vedere tutto secco e morto gli faceva male al cuore. Forse le divinità hanno abbandonato questo luogo,si chiedeva Akio mentre si alzava e usciva fuori, camminando tra l’erba immobile. Non poteva sprecare quella poca acqua che aveva e quindi non poteva innaffiare tutte le piante, ma quelle stavano morendo e i fiori giacevano al suolo senza vita.                    
Con i piedi sul ponte guardò in basso, guardò il laghetto che prima era colmo di acqua fresca e  ora era prosciugato. Sembrava che il sole stesse risucchiando tutta l’energia vitale presente, lasciando le cose vive prive di ogni energia.                                                                                                                                      
Akio si portò una mano sugli occhi, la luce era troppo intensa e pareva che il sole avesse deciso di non calare più dal cielo. Aveva la gola secca, come ogni essere vivente che lo circondava: ogni filo d’erba chiedeva pietà, ogni centimetro di terra chiedeva acqua. Akio poteva sentire il dolore avvolgere l’aria. Ma fu quando vide il cadavere di un uccellino a terra che trasalì: l’animale era magro fino alle ossa e aveva lo sguardo immobile. Lo sguardo di chi non è più in vita. Le zampe come due rametti, le ali con poche piume, incapaci per sempre di volare.                                                 
Il giovane fece un passo indietro, ma perse l’equilibrio e le gambe gli si fecero molli, perciò si ritrovò ben presto a terra, col cuore in gola. Si chiedeva il perché di tutto quello, ma sembrava non esistere risposta. Quell’estate era la più calda di tutti i tempi. Molti di quelli che conosceva erano morti. Di fame, di sete, di strane malattie. Sembrava che il fatto che non piovesse più da tempo fosse un presagio di sventura. E così era, di certo. Perché tutto quello portava solo morte e dolore.Si portò le mani tra i capelli neri che risplendevano alla luce e restò in quella posizione, per qualche istante. Poi prese il corpicino magro e morto dell’animaletto, e scavò una buca nel terreno, dove lo seppellì.  Giunse le mani e pregò. Pregò per quell’anima ferita, per le anime di tutti. Pregò per l’acqua. Prego per la felicità di tutti. Ma non pregò per la sua. Si dimenticò di se stesso, per tutto il tempo della preghiera.                                                                                                                                
 E fu allora che accadde qualcosa, come in tutte le favole tristi. Dietro di lui apparve un’ombra e il cielo si riempì subito di nuvole scure. Il giovane uomo ebbe un lungo brivido e alzò la testa: nuvole? Da dove venivano così all’improvviso? Fino a qualche istante prima non c’erano.                                 
 “Sei un essere umano molto strano, tu.”, disse una voce, ridendo.                                                                     
Akio si voltò e quello che vide fu la figura di un piccolo bambino che aveva  in testa la parte superiore di un ombrello, usato come copricapo, che gli nascondeva parte del viso. Indossava un kimono colorato e aveva i piedi scalzi. Sotto i suoi piedi Akio vide quella che pareva proprio una pozzanghera d’acqua. Sgranò gli occhi, sorpreso. Il bambino rise di nuovo ,portandosi una mano sugli occhi. Reggeva in una mano una piccola lanterna.                                                                            
“Sei davvero strano. Ma è comprensibile. Il mio Maestro mi aveva avvertito che gli esseri umani sono strani.”, disse di nuovo.                                                                                                                          
“Il tuo maestro?”, balbettò Akio, ancora icredulo.                                                                                                                                 
“Il Maestro della Pioggia. Il mio maestro. Dice sempre che gli esseri umani sono scostanti, strambi e incomprensibili. Però dice anche che ce ne sono alcuni che sono anche molto gentili e che hanno uno spirito buono. Il Maestro mi ha mandato qui da te per dirti che si è commosso.”.                                           
“E … perché?”.                                                                                                                                                                    
 “Perché hai pregato per tutte le creature. Tranne che per te.”, sorrise il bambino con gli occhi nascosti.                                                                                                                                                                     
 “Ah … ma  io non desidero nulla.  Non ho bisogno di niente. Voglio solo che scenda la pioggia. Perché le piante stanno morendo. L’erba è secca, la terra grida, i fiori muoiono, gli animali e gli uomini pure. E anche il tempio soffre. E anche io. Ma non importa della mia sofferenza.”, disse chiudendo gli occhi e stringendo le mani ancora sporche di terra secca. Il bambino gli si avvicinò lentamente e ad ogni passo sotto i suoi piedi si formavano delle pozze d’acqua che Akio guardava affascinato. Poggiò una mano su una guancia dell’uomo, che si sentì invadere da una freschezza meravigliosa.          
  “Qual è il tuo nome? Il Maestro vuole saperlo.”, chiese il bambino
 “Akio Kitamura.”, rispose l’uomo.                                                                                                                                   
 “Akio. E’ un bel nome.”, disse assaporando quel suono. Poi alzò le mani al cielo e le nuvole si addensarono tutte. Si sentì un tuono in lontananza.                                                                             
“Il Maestro della Pioggia ha deciso che salverà ogni cosa dalla calura e dalla siccità. Porterà di nuovo la pioggia sulla terra e darà da bere a tutti gli esseri viventi. Infrangerà le regole per te, Akio. Non doveva piovere ancora per tanto tempo, ma i tuoi occhi lucidi e pieni di gentilezza, le tue mani colme di amore e pietà e la tua anima serena hanno commosso il mio Maestro. Per te, Akio, ora pioverà. Consideralo un regalo.”. Non appena tacque dal cielo iniziarono a cadere le prime gocce fresche di pioggia che, lentamente, riempirono ogni crepa nel terreno e coprirono ogni foglia seccacon un fresco abbraccio. Akio guardava in cielo esterrefatto, con le labbra aperte, gli occhi spalancati. Le sue mani sporche di terra si lavarono e la pioggia lavò via anche le sue preoccupazioni.               
“Io … io non so come ringraziarti. Non so cosa dire. Ringrazio il tuo Maestro per aver ascoltato le mie preghiere. Ma non deve dire che questo è un regalo per me.”, disse l’uomo tirandosi su, sorridendo, “Perché io non desidero niente.”.                                                                                       
 “Lui lo sa.”, disse il bambino, “Per questo ora farà piovere a lungo. Perché tu hai chiesto il bene per la terra e per chiunque. E, per adesso, è questo il bene di cui tutto e tutti hanno bisogno.”.                          
“Sei un Amefuri Kozo, vero?”, chiese Akio, “Il bambino della pioggia che arriva quando inizia a piovere. Il Maestro della Pioggia è una divinità, giusto?”.                                                                                                    
“Esatto, Akio. Io sono il suo allievo”.  
 “Grazie. Ringrazialo da parte mia. Lo ringrazierò ogni giorno e lascerò offerte per lui ogni giorno.”.           
 “Ne sarà felice.”sorrise l’Amefuri Kozo.                                                                                                                                     
“E io sarò felice nel saperlo felice.”, rise Akio.            
L’Amefuri Kozo si voltò e fece per andarsene, ma si fermò e tornò a guardare l’uomo, ancora una volta.                              
 “Il Maestro aveva ragione nel dire che non tutti gli uomini sono uguali. Sai, molti mi hanno fatto del male, molti altri mi hanno ignorato. Ma tu no, Akio. Tu non ignori, tu credi, tu preghi. Tu sai. Sai che le cose possono sempre cambiare, anche quando sembrano disperate. Mi piaci. E mi piace anche questo tempio e questo luogo. Credo che tornerò ancora.”.                                                                    
“Bene. Ci vediamo quando pioverà la prossima volta, allora.”, sorrise Akio, stringendosi nelle spalle, “Ti farò trovare qualcosa di buono da mangiare.”.                                                                      
“Ah, non vedo l’ora, dunque!”, e ridendo con la sua voce cristallina di bambino corse via, sparendo nella pioggia.


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Qualche tempo dopo Akio era impegnato a togliere le erbacce attorno al tempio. La pioggia le aveva fatte crescere e lui le toglieva regolarmente per aiutare i fiori e le altre piante a vivere meglio. Il giardino era rigoglioso, il verde e i colori dei fiori si mescolavano con armonia, gli uccelli sui rami alti cantavano sotto il sole e le farfalle volavano attorno alle piante colme di vita.                                    Mentre strappava l’ennesimo ciuffo di erba troppo cresciuta sentì una goccia di pioggia bagnargli il naso, poi un’altra gli cadde sulla fronte, un’altra sulla mano. Alzò la testa. Stava piovendo.                                
“Ciao.”, disse una dolce voce all’improvviso.                                                                                          
 Akio sorrise tra se e se, smise di raccogliere l’erba e si pulì le mani l’una con l’altra, poi si alzò, incamminandosi verso il tempio.                                                                                                           
 “Vieni. Ho qualcosa di buono per te. Bentornato.”, disse tendendo una mano senza guardare.  
Il bambino della pioggia strinse la mano del giovane uomo e,  insieme, entrarono nel tempio, mentre la pioggia suonava melodie diverse su ogni foglia, ogni sasso, ogni petalo. E tutto era verde, tutto era nuovo. Tutto era vivo.
  
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