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Autore: LarcheeX    12/05/2015    3 recensioni
Un impercettibile sorriso comparve sulla sua faccia, e per quanto fosse sadico, non potè sembrarmi più dannatamente sincero.
“Il nome è Sherlock Holmes. Sono il primo consulente investigativo al mondo."
~~~
“Ti sei ripreso da ieri?”
Era Watson.
Da vicino era ancora più stanco e acciaccato di quanto avessi constatato in precedenza, e sembrava profondamente annoiato, o semplicemente era il suo viso. Eppure sembrava che si aspettasse qualcosa da me.
{ Teen!lock || Storia a quattro mani }
Sherlock's POV: Larcheex
John's POV: DoubleDisasterDi
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non ci credo ce l'abbiamo fatta, siamo di nuovo qui.
Ohilà, come ve la passate, gente? No, non siamo morte, abbiamo solo la maturità!
è praticamente la stessa cosa.
Beh... forse.
In ogni caso siamo tornate con mio terzo capitolo. John è alle prese con un po' di magagne sentimentali (non è un caso se le parti di John le scrivo io...)
Spero vi piaccia.
E tranquilli che torniamo sempre. Circa.
Buona lettura!!




3. Stay away from Sherlock Holmes!
 
 
It started out as a feeling
Which then grew into a hope
Which then turned into a quiet thought
Which then turned into a quiet word
And then that word grew louder and louder
'Til it was a battle cry
{ Regina Spektor - The Call }
 
 
Avete presente Pinocchio? La favola del burattino che poi diventa un bambino, che aveva il naso che gli si allungava ogni volta che diceva una bugia?
Ecco, avete presente il Grillo Parlante? Il grillo che è la coscienza di Pinocchio, che cerca sempre di dissuaderlo dal fare scemenze che potrebbero rovinargli l’esistenza per sempre? Sì?
Grande.
 Allora posso pure iniziare dicendo che il mio Grillo Parlante, in quel momento, aveva letteralmente deciso di farsi una vacanzina all’inferno.
La consapevolezza di star facendo una cretinata affiorò solo quando già mi ero buttato a capofitto dietro a Sherlock Holmes, zoppicante, ma quasi dimenticando di esserlo.
Gli ero dietro, attaccato, guardandogli le spalle come se fossimo stati in un film poliziesco.
Non riuscivo a capire perché lo stessi facendo, davvero. Stavo dando alla mia giornata una piega decisamente assurda e pericolosa, ma sentivo che la cosa non mi dispiaceva affatto.
Stavamo veramente andando da Eric Nathan a riprenderci un cellulare.
Lungo il corridoio avanzammo con passo deciso, fianco a fianco, e mi sentii…forte.
Era strano, mi sentivo come se da fuori la gente potesse vedere in noi un esercito, o una fortezza inespugnabile. Eravamo solo uno strano tizio ricciuto e un tappo zoppicante, ma era quella la mia sensazione.
Mentre ci avvicinavamo all’entrata della mensa, incrociammo una ragazza.
Capelli color del miele, ed occhi scuri – finalmente riuscivo a guardare le persone negli occhi, Dio -.
Per qualche motivo andava di fretta.
Non riuscii a scorgerle bene il viso, ma Holmes – Sherlock - sembrò riuscirci, e subito dopo vidi dipingersi sul suo volto un’espressione tremendamente compiaciuta.
“Dove stiamo andando?” domandai, come riportato alla realtà.
“Da Henry Nathan, ovviamente.”
“Aspetta…aspetta, credevo si chiamasse Eric.”
“Irrilevante.”
Indovinai che non doveva avere una buona memoria per i nomi. Eppure, un minuto prima, aveva pronunciato il mio con una tale naturalezza, come fossimo da sempre compagni di scuola.
Arrivammo finalmente di fronte alla mensa, e potemmo scorgere Nathan appoggiato al muro con la sua aria da bastardo fighetto, allungare fin troppo le mani su una ragazza mora, che squillava in delle risate irritanti. Ci fermammo per un attimo, con gli sguardi puntati su di lui.
Sherlock lo guardò con attenzione, come scannerizzandolo dalla testa ai piedi, e poi sorrise.
“Come hai intenzione di riprendere quel cellulare?”
“La vera domanda è: cosa lo potrebbe spingere a ridarmelo? Ho elaborato tre diversi metodi, credo eseguirò il più plausibile, ma ho bisogno del tuo aiuto.”
“Ma esattamente, come potrei-“
“Ieri gli hai dato un pugno, se non sbaglio. Che tu ci creda o no, l’hai umiliato ed ora lo intimorisci.”
“Stai scherzando, vero?” mormorai, incredulo “è alto il triplo di me. Aspetta che mi avvicini e mi strapperà un organo o due e li userà come monito per tutti i zoppi del mondo…”
Holmes fece una risatina. Era evidentemente il suo modo di ridere alle battute. Non sembrava un tipo incline alle risate, e l’idea di essere riuscito a strappargli quel sorriso in un certo senso mi soddisfò.
“Stammi attaccato e fissalo con sicurezza. Vedrai che andrà tutto bene. Andiamo.”
Ancora una volta mi buttai verso il pericolo, a capofitto.
Ci notò appena varcammo la porta di ingresso. Staccò le spalle dal muro.
“Holmes. Ci si rivede” sorrideva, ma sembrava molto meno sciolto della prima volta che l’avevo visto.
Feci come mi era stato detto e lo guardai – negli occhi, come avevo imparato a fare - senza mostrare il minimo timore. “Oh…hai portato il tuo…amico, con te” pronunciò quelle parole guardandomi con una buona dose di minacciosità, ma non mosse un muscolo per toccarmi o intimorirmi.
La moretta che gli stava affianco con la sua minigonna - mini oltre ogni immaginabile livello - ci squadrò, ciancicando una gomma da masticare, con fare superiore.
“Sarei felice di fare conversazione”  iniziò Sherlock con un gran sorriso “ma saltando i convenevoli inutili, gradirei che tu mi restituissi il mio cellulare.”
“Come, scusa?” rise Nathan, sentendosi ovviamente provocato.
“Non penso tu sia sordo. Ridammi il cellulare.”
A quel punto la tentazione di tirare a quel bastardo un altro pugno e scappare di nuovo prese il sopravvento. Holmes aveva usato un tono fin troppo autoritario, troppo provocatorio, e troppo sicuro di sè.
Mi calmai. Non mi mossi.
Sherlock intanto si era avvicinato a Nathan, come dovesse dirgli qualcosa a bassa voce.
“Altrimenti, dovrò far presente a questa signorina che la tradisci con un’altra ragazza.”
Vidi Nathan irrigidirsi, contrarre la mascella e spalancare gli occhi. Per sua fortuna, la ragazza sembrava troppo assorta a guardare il suo riflesso sullo schermo del cellulare per ascoltare.
“Holmes, non so come tu abbia fatto, ma non hai prove per-“
“Sono certo che metterle la pulce nell’orecchio sarà sufficiente. Dopo di che, darà una controllata al tuo cellulare. E non farai in tempo a cancellare i messaggi, e woops, ecco la prova schiacciante.”
Mi trattenni a stento dal farmi due risate, vedendo Eric Nathan in seria difficoltà, bisbigliando improperi e maledizioni mai sentite prima di quel momento.
Ringhiò qualcosa di incomprensibile, e riconsegnò il cellulare a Sherlock. Lui sorrise vittorioso.
“Andiamo” mi disse poi, ancora in quel modo nuovo e allo stesso tempo così familiare, come se ci conoscessimo da tutta la vita.
Lo seguii senza esitare, occhieggiando Eric dietro di noi che esibiva la più bella faccia sconfitta e cieca di rabbia che avessi mai visto, mentre la moretta si avvinghiava alla sua spalla con le unghie smaltate.
“Come diavolo hai fatto?” chiesi poi, curioso come non mai.
“E’ stato semplice. Nathan è uno di quei ragazzi che pensano ad una cosa sola. La sua storia con quella ragazza è a lungo termine, la tradisce mensilmente. Quando siamo arrivati ho notato che aveva le occhiaie, aveva passato la notte fuori, ma la sua ragazza non le ha, quindi non ha passato la notte con lei.
Non ero del tutto sicuro della mia ipotesi, ma poi mi sono ricordato della ragazza che abbiamo incrociato nel corridoio.”
“Cosa?” lo guardai smarrito “Che c’entra lei con-”
“La tessera mancante del puzzle. Aveva anche lei le occhiaie, come Nathan. Questo mi ha portato ad ipotizzare che fosse lei la ragazza con cui ha passato la notte. Sembrava sconvolta e teneva stretti i pugni, mentre camminava, e questo mi ha dato la totale conferma . Evidentemente aveva incrociato Nathan e la sua ragazza, e la cosa non le deve essere piaciuta. Ovviamente, Nathan le ha promesso di lasciare la sua attuale ragazza ma non l’ha ancora fatto, e mai lo farà, almeno credo. Non potrà mai sbugiardarlo, perché questo vorrebbe dire ammettere a tutta la scuola che ha consumato un rapporto con un ragazzo fidanzato. E beh, è decisamente troppo rischioso.”
Concluse, con un sorrisetto trionfante.
“Questo…è…straordinario” esalai, estasiato.
Mi sembrò perplesso. Riprese a fissarmi in modo intenso, forse per capire se dicevo la verità.
“…Davvero?”
“Sì…è stato…straordinario. Parecchio straordinario.”
“Oh. In genere nessuno mi dice questo.”
“No? E…cosa ti dicono?”
“Fuori dai piedi.”
Scoppiammo a ridere mentre camminavamo.
Mi ero sbagliato, dunque: Sherlock Holmes sapeva ridere. Molto più di quel che immaginassi.
Lo vidi armeggiare col cellulare che avevamo appena recuperato, esuberante e felice, come un bambino a cui avevano appena regalato una fornitura di caramelle a vita. Probabilmente messaggiava con qualcuno.
“Mi dispiace un po’ per quella ragazza, però…Nathan l’ha ingannata.”
“Beh, mio caro Watson…lei si è lasciata ingannare.”
Storsi la bocca di fronte a quell’affermazione quasi spietata, ma decisi di non ribattere.
Mi fermai di fronte all’aula di Biologia, dove mi aspettava un’altra estenuante lezione.
“Beh…ci vediamo in giro, Holmes.”
Gli porsi la mano.
Me la strinse più calorosamente di quanto avrei mai potuto immaginare.
“Sherlock. Va bene Sherlock.”
“Allora, chiamami pure John.”
Sembrava che le cose tra me e quel ragazzo andassero al contrario: l’avevo salvato dai bulli il giorno prima e ora ci stringevamo la mano e ci presentavamo come due perfetti sconosciuti.
Tutto era così fuori posto, maledizione, avevo una tale confusione in testa. Confusione, sorpresa…diamine. Dopo tutti quei mesi di vuoto, quelle erano…emozioni?
“Arrivederci, John.”
Detto da lui, sembrava tanto una promessa.
 
 
 
Iniziò il mattino dopo. Repentino ed immediato, come se si fossero messi tutti d’accordo.
Il primo fu Mike.
“Non sapevo che tu e Sherlock foste amici…”
Mi girai, distogliendo lo sguardo dal libro di Antropologia, non potendo fare a meno di non capire.
“Come, scusa?”
“Tu e Sherlock. Siete amici, no?”
“Beh…” non seppi per quale motivo, ma inizialmente mi ritrovai ad esitare “…no, direi di no, ci conosciamo appena, l’ho solo aiutato con…una cosa.”
Sbalordito, Mike si piegò in avanti, con gli angoli della bocca che raggiungevano le orecchie.
“Cosa? Sherlock Holmes che accetta aiuto?! Pazzesco!”
“Veramente…è stato lui a chiedermi aiuto.”
La risata sguaiata prodotta dal mio compagno di banco in seguito alla mia affermazione, la diceva fin troppo lunga su quanto Holmes fosse un tipo solitario ed orgoglioso.
“Perché, tu…” tentai, una volta che si fu calmato “tu sei suo amico?”
“Non proprio” sospirò “…lo conosco dal Liceo. Io lo trovo un tipo apposto, alla fin fine. Certo, è sempre stato…particolare. Insomma, ha un’intelligenza sopra la media, e decisamente gli piace metterlo in chiaro” ridacchiò, ma mi accorsi di come si trattava di una risata bonaria e non irrisoria “quel che è certo è che a molta gente lui non piace affatto e che a quanto pare la cosa è reciproca. Da quel che so, non ha mai avuto amici veri e propri. Incredibile che tu abbia il primato!”
“Lo conosco appena!” protestai esasperato, ma Mike sembrò ignorarmi, e spostò lo sguardo sul suo libro.
 
 
 
“Tu…sei amico di Sherlock?”
Avevo dimenticato i miei libri di Chimica nel laboratorio il giorno prima. Mi ero fiondato a prenderli durante la pausa pranzo, ma invece di trovare i miei libri, trovai Molly Hooper  piegata sul microscopio. Appena mi vide entrare, quella fu la prima cosa che mi chiese, senza neppure salutarmi.
 “Come?”
Mi girai, interrompendo le mie ricerche per la stanza.
“Oh, scusami, sono un disastro” balbettò imbarazzata “sono fatti tuoi. Hai ragione, scusami.”
“No, no” tentai di spiegarle “…è che…Sherlock…insomma, lo conosco appena.”
Annuì poco convinta, tornando a piegarsi sul microscopio.
“Tu invece sei sua amica?” indagai, senza una precisa ragione.
“Oh…” la vidi riemergere ed arrossire appena, facendo un sorriso davvero malinconico “Lo conosco fin dal Liceo, e…vorrei molto…essergli amica…ma non credo che lui mi consideri tale. Cioè, credo non mi consideri affatto. E’ un po’ triste, io, sai-“ si interruppe all’improvviso, ed iniziò a farfugliare “accidenti, sto dicendo un mucchio di stupidaggini. Scusami, scusami, ti sto facendo perdere tempo, io-“
“Ehi ehi, calma. E’ tutto apposto, tranquilla. Non mi fai perdere proprio niente” cercai di tranquillizzarla, sorridendo e scrollando le spalle. Non c’era bisogno di una mente superiore per capire che quella ragazza era spaventosamente invaghita di Sherlock Holmes. Invaghita, e a quanto pareva, nemmeno lontanamente ricambiata. La vidi chinarsi nuovamente sulle piastre per microscopi. Io agguantai i miei libri – quei bastardi stavano sopra l’armadietto - e feci per uscire.
“Forse sei molto fortunato, John.”
“Come?”
“Nulla, scusami. Buon pranzo.”
Molly mi sorrise. E mentre uscivo dal laboratorio e andavo a mensa, pensai  a quanto quel sorriso sembrasse parecchio triste.
 
 
 
“Tu sei l’amico di Sherlock Holmes?”
Non avevo fatto in tempo neanche a dare il primo morso al mio panino, che mi trovai costretto ad alzare lo sguardo, e trovai una ragazza dalla carnagione olivastra, dei folti ricci neri e dalla faccia piuttosto arrabbiata, che mi fissava con insistenza, impaziente di ricevere una risposta.
“Ci conosciamo?” domandai, ancora incapace di realizzare che sì, era la terza dannatissima volta che qualcuno mi chiedeva di Sherlock Holmes nell’arco della mattinata.
“Mi chiamo Donovan” rispose lei, frettolosamente, riducendo i suoi occhi scuri a due fessure sospettose  “allora, sei suo amico?”
“Senti” cominciai, cercando di apparire calmo “Lo conosco appena, e non conosco te. Qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi cosa diamine sta succedendo?”
“Lo sapevo!” sentii sibilare la ragazza, poi si girò verso un altro tizio scarno e cadaverico alle sue spalle, annunciando: “Visto, che ti avevo detto? Non era possibile!”
Si voltò di nuovo verso di me e con l’aria di chi crede di sapere tutto, mi disse semplicemente: “Tu non puoi essere suo amico. Lui non ha amici.”
“Scusami, ma si può sapere chi sei?” esplosi, un po’ innervosito da quel comportamento.
“Te l’ho detto, mi chiamo Sally Donovan. Lui è Anderson” indicò con un cenno del capo il ragazzo dietro di lei “…Conosco Sherlock Holmes dal Liceo.”
“Uh, ecco qualcosa di nuovo…” borbottai ironico, a denti stretti.
“Come?”
“Niente.”
La vidi per un momento confabulare con Anderson, per poi tornare a squadrarmi con uno sguardo comprensivo, che però mi fece solo tremendamente innervosire.
“Ti do un consiglio: stagli alla larga.”
“Perché?” sbuffai, smettendo di guardarla in faccia.
“E’ totalmente fuori di testa. Lo sai cosa fa? Indaga. Omicidi, furti, scene del crimine di ogni genere. Lui è sempre lì. Lo fa da sempre. Ne va matto. E’ un completo psicopatico” soffiò con disprezzo.
Non mi piaceva il tono che stava usando. “E quindi?”
Donovan esibì una smorfia, per poi continuare: “Un giorno, secondo me, non gli basterà più. Un giorno, sarà proprio lui a diventare l’assassino!”
“Perché dovrebbe farlo?”
“Perché è uno psicopatico. E gli psicopatici si annoiano” mi rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Anderson, dietro di lei, annuiva convinto, come per darle supporto.
Li vidi finalmente intenti a girare i tacchi per andarsene e lasciarmi mangiare, ma prima, Donovan non macò di ripetermi il suo fastidioso monito, con tono grave ed intimidatorio.
“Stai alla larga da Sherlock Holmes.”
 
 
 
Uscito dall’aula di Biologia, potevo dirmi davvero sfinito.
Non sapevo perché, ma sentivo la gamba più difettosa del solito, e quasi mi trascinai verso l’uscita.
Era stata decisamente una giornata pesante. Le lezioni diventavano sempre più incomprensibili, per non parlare del fatto che nella mia testa echeggiavano ancora le parole di Donovan, come se me le avessero scolpite nei ricordi, come un dannato tarlo indisponente.
‘Stai alla larga da Sherlock Holmes.’
Ero sicuro di poche cose da quando avevo messo piede in quella scuola: primo, ero negato per la Chimica;  secondo, lì c’erano molti più fighetti presuntuosi che a Netley; terzoSherlock Holmes.
Mi ero visto scorrere davanti agli occhi milioni di cose dal giorno dell’incidente, e nulla esisteva e brillava con così tanta prepotenza e forza come Sherlock Holmes. Avevo ricominciato a guardare le persone negli occhi, senza un motivo particolare, e infilarmi nel letto e rendermi conto di essere tristemente destinato ad esistere non sembrava poi così male.
Ancora ci riflettevo su, mentre mi incamminavo spedito verso l’uscita, non particolarmente infarcita di studenti, pronto per saltare sul primo autobus ed andare a casa.
Ma non andò così.
Un ragazzo, probabilmente di una classe più alta (era molto alto e mediamente robusto), con capelli e occhi neri e luminosi, mi afferrò per la spalla quasi al volo, e mi si avvicinò con fare confidenziale. “John, giusto?”
Lo fissai interrogativo.
“Ah, io mi chiamo Greg Lestrade, piacere.”
L’aria si impregnò di qualcosa che avevo già sentito. Un deja vu da capogiro soprassalì la mia mente.
No, non poteva  essere, non di nuovo…
“Ho saputo…che tu e Sherlock avete fatto amicizia.”
“Oh mio Dio” mi lasciai scappare quasi gridando “no, per l’amor del cielo, lo conosco appena! Qualcuno mi vuole spiegare perché accidenti tutti non fate che domandarmi di lui, oggi?!”
Sul viso di Greg spuntò un sorriso tirato. Molto diverso dai ghigni inquisitori di Anderson e Donovan, e decisamente più benevolo. Mi diede una pacca sulla spalla, come un gesto solidale.
“Scusa davvero il disturbo” iniziò calmo, scrollando le spalle “è che Sherlock è sempre da solo, e nessuno ha mai…beh, fatto quello che hai fatto tu.”
“Ok, ho picchiato un bullo che gli stava crivellando lo stomaco di pugni. Mi spiegate qual è il problema?”
“Nessun problema, amico” continuò scuotendo la testa “solo che con un tipo problematico come lui-“
“Problematico?” lo interruppi, portando lo sguardo dritto ai suoi occhi.
“Lo conosco da cinque anni. Da quando mio padre è a capo di Scotland Yard” raccontò “a lui piace indagare, e io gli do informazioni attraverso mio padre. E’ sempre stato così. Per quanto ne so, tu sei la sua prima vera…conoscenza che non ha a che fare con il crimine.”
“Oh, ma andiamo…” quasi ridendo, voltai lo sguardo “in cinque anni non-?”
“Proprio no” mi interruppe serio “in cinque anni non l’ho mai capito.”
A quel punto serrai le labbra, amareggiato, ed era strano, perché mi sentivo come se quel ragazzo mi stesse affidando Sherlock. Ma non era così, eppure è quello che sentii nel petto, e…Dio, quanto era stupido, quanto era inverosimile. Ma la sensazione c’era tutta, per la miseria! Magari avrei dato una svolta alla mia vita, magari sarei riuscito a superare tutto, e magari le cose non sarebbero state più così tremende e grigie- e John, John, cosa cazzo vai a pensare? Non siamo in un film.
E una persona non diventa tua amica, di punto in bianco, solo perché è incasinata quanto te.
“Perché ce l’avete tanto con lui?” mi ritrovai a mormorare, con gli occhi bassi.
“Non è così” mi rispose Lestrade “Sherlock Holmes è una grande ragazzo.”
Fece una pausa, e di nuovo la sua mano si poggiò sulla mia spalla.
Mi sentii davvero come se mi stesse passando la fiaccola, e non potei più ignorare quella sensazione.
“E se siamo fortunati, un giorno, potrebbe essere anche buono.”
 
 
 
 
Affascinante come, invece di rassicurarmi, le parole di Lestrade mi trivellarono il cervello assieme a quelle di Donovan, di Mike, e di Molly, per tutto il tragitto in autobus.
Troppi pensieri sovrapposti mi affollarono la testa, e finii per arrivare alla conclusione che mi stavo davvero facendo fin troppi problemi per un ragazzo conosciuto solo pochi giorni prima.
Chiudendo gli occhi, tentai di fare mente locale.
Insomma, cosa aveva fatto di così straordinario quel dannato Sherlock Holmes?
Mi aveva guardato negli occhi.
Niente di che.
Aveva dedotto tutta la mia incasinatissima vita, spiattellandomela in faccia, rendendola così reale.
Niente di niente.
Mi aveva fatto arrabbiare, mi aveva fatto infuriare, mi ero sentito il fuoco dentro per un attimo.
Che senso aveva tormentarsi tanto?
E avevo sentito il fuoco dentro guardandogli spalle contro Nathan.
Davvero, cosa accidenti succedeva?
Mi aveva guardato negli occhi, per primo.
Forse saremmo potuti diventare davvero amici.
Dal giorno dell’incidente tutti i miei vecchi amici di Netley si erano totalmente eclissati.
Probabilmente erano proprio loro la causa dei miei ‘problemi di fiducia’, come continuava a chiamarli la mia analista. Sherlock Holmes sembrava la persona meno affidabile del pianeta, e allora perché mi ero fidato istantaneamente di lui?
Senza rendermene conto, la mia fermata era già arrivata.
Mi alzai rapidamente facendo leva sul bastone, fiondandomi fuori dal bus e quasi cadendo sul marciapiede.
Era ridicolo che io fossi scombussolato da una serie di eventi così insignificanti.
Ma, sorpresa sorpresa, niente sarebbe potuto essere più ridicolo della scena che si sarebbe svolta di lì a poco. Non ho idea della faccia che feci, quando mi sentii dare due leggeri colpetti alla schiena.
Mi girai di scatto.
“Buona pomeriggio, John Watson.”
Un ragazzo. No, un uomo. Piuttosto adulto, probabilmente un universitario in età da dottorato, vestito elegantemente e – ed era un ombrello, quello? - mi guardava dall’alto in basso con gli occhi a mezz’asta e l’aria di chi non aveva voglia di rispondere a delle stupide domande da comune mortale come ‘lei chi è, e come sa il mio nome?’
Per cui mi limitai ad aprire le labbra, ma senza emettere alcun suono.
“Eloquente, devo dire” sbuffò, con fredda ironia, cancellando il sorriso dal volto.
“Lei—“
“Oh, per ora lei mi sembra perfettamente ordinario.”
“Io—“ rantolai “—sì…sì, ma certo. Ovvio che sono—”
“Strano” borbottò, facendo spallucce, senza ingobbirsi minimamente dalla sua posizione fiera e regale.
“In questo caso è piuttosto insolito che mio fratello si sia interessato a lei.”
Non potevo crederci. Sentii come se la mia anima si rifiutasse di stare oltre nel mio corpo. La sentii distintamente scivolare via.
“Che cosa vuole da me?” chiesi deciso, anche se ormai lo sapevo già.
L’uomo tornò a fissarmi, glaciale.
“Che rapporti ha lei, con Sherlock Holmes?”
Quelle  parole mi diedero letteralmente uno schiaffo in faccia.
Eccoci qui, di nuovo.
Quasi ringhiai, a denti stretti: “Nessuno. Lo conosco da appena tre giorni.”
“Lei lo conosce da appena tre giorni e gli presta il cellulare e lo salva dai bulli. Devo aspettarmi un lieto evento per la fine della settimana?”
Ancora una volta, qualcuno riuscì a farmi saltare la mosca al naso.
Non sapevo chi diavolo fosse, ma sapevo che mi irritava da morire.
“Che cosa vuole?”
“Quello che voglio da lei…è che lei, come posso dire, John…mi aiuti ad aiutarlo.”
“Che cosa vuole dire?”
“Io mi preoccupo per lui. Costantemente.”
“Che cosa. Vuole. Dire” sillabai, inviperito.
“Se le offrissi…una piccola somma per darmi informazioni?”
Chiusi le palpebre, ed inclinai il viso in avanti, come se non avessi sentito bene.
E invece avevo capito perfettamente, ma rifiutavo anche solo di concepire una cosa simile.
“Come ha detto?” domandai. Non perché ripetesse, ma perché ritirasse immediatamente quella ridicola proposta. E poco mi importava se volesse minacciarmi o quant’altro, ero zoppo e senza un padre, chi se ne fregava davvero. Magari quell’uomo non era neppure davvero il fratello di Sherlock Holmes.
Sembrò accorgersi che stavo bollendo, perché riformulò il concetto in modo leggermente più delicato.
“So che la sua famiglia è in difficoltà, Watson. E mio fratello non si confida con me…ma con lei, forse con lei sì” sorrise sornione, facendo roteare l’ombrello.
“No.”
“Come?”
“La risposta è no.”
“Non le ho ancora detto la cifra…”
“Non si disturbi.”
Mi aspettavo del disappunto, ma invece sul suo volto comparve nient’altro che un compiaciuto divertimento, così simile a quello di Sherlock di fronte al mio totale smarrimento.
“Lei è incredibilmente leale.”
“No” sibilai “è che, semplicemente, non mi interessa.”
Con il bastone mi feci forza, e balzai oltre la linea d’azione di quell’individuo, che senza perdere la calma, semplicemente si girò, e rimase a rimirarmi mentre zoppicavo verso casa.
“Scelga da che parte stare, Watson.”
Mi girai per chiedergli cosa volesse dire, ma lui era sparito nel nulla.
 
 
 
 
 
Sei occupato? SH
 
Avevo appena infilato la chiave nella serratura della porta di ingresso.
Ero in guardia per sorbirmi Harry, pronta a darmi il benvenuto con una qualche frecciatina o con qualche sguardo carico di disprezzo – e la cosa era quasi comica, considerando che era lei quella ubriaca sul divano - accompagnati però da una preoccupazione malcelata per la mia situazione di apatico zoppo.
E invece, mi arrivò quel messaggio.
Fissai lo schermo illuminato per quasi mezzo minuto. Non avevo le traveggole.
Con mano incerta, risposi più velocemente che potevo, nonostante non avessi mai avuto confidenza con i messaggi. Ma non feci in tempo ad inviare.
 
Sì, sono Sherlock. Ora ti stai chiedendo come faccio ad avere il tuo numero. L’ho chiesto a Mike. Per favore, dimmi solo se sei occupato. Sei lento ascrivere. SH
 
Sapevo che nessuno mi poteva sentire, ma comunque espressi tutta la mia esasperazione con un: “Oh, buon Dio”  tornando poi a digitare, mettendo fin troppa forza nello spingere i pulsanti.
 
No, non particolarmente. Sto tornando a casa…
 
Ottimo. Vieni a Baker Street. SH
 
Cosa? E perché?
 
Perché hai appena incontrato Mycroft, non è vero?  SH
 
Titubante, rilessi il messaggio più volte, per poi arrivare alla conclusione che ‘Mycroft’ era sicuramente l’uomo con l’ombrello – il fatto che si portasse dietro l’ombrello nonostante ci fosse il sole mi era rimasto in testa - e finii per capire che si trattava effettivamente di suo fratello.
 
Perché proprio Baker Street?
 
E’ abbastanza vicino sia a casa tua che a casa mia. E poi mi piace. SH
 
Involutamente, mi ritrovai a distogliere lo sguardo. Come se di fronte  a me ci fosse stata una persona vera, e non solamente lo schermo del mio cellulare.
Baker Street gli piaceva.
Mi piaceva che gli piacesse qualcosa. Quella era la prova definitiva che forse, per quanto non amasse ammetterlo, Sherlock Holmes aveva dei sentimenti.
 
‘Tu non puoi essere suo amico. Lui non ha amici.’
 ‘Incredibile che tu abbia il primato!’
‘Forse sei molto fortunato, John.’
‘Per quanto ne so, tu sei la sua prima vera…conoscenza che non ha a che fare con il crimine.’
‘Scelga da che parte stare, Watson.’
 
‘Stai alla larga da Sherlock Holmes.’
 
Sorrisi. Ecco un’altra cosa che non facevo da tempo: sorridere.
Girai i tacchi e tornai alla fermata dell’autobus.
Baker Street.
 
Ok. Arrivo.
 
 
 
 
 
 
Un quarto d’ora dopo ero seduto al tavolino del bar più anonimo del mondo, a Baker Street.
Insolito come però la persona che mi stava di fronte fosse la meno anonima che conoscessi.
Avevo ordinato una cioccolata calda, ed ora giravo il cucchiaino nella tazza, per farla freddare.
Nel frattempo Sherlock continuava a tenermi gli occhi addosso, trepidante e forse anche un po’ nervoso.
“Allora? Cosa ti ha detto quel viscido ficcanaso?” sputò ad un tratto, con impazienza.
“Tu non prendi niente?”
“No, non ho fame. Allora, che ti ha detto?”
Portai la prima sorsata di cioccolata alle labbra, e quando posai la tazza sul tavolino, scrollai le spalle, rilassato. “Hai così tanta fretta?” domandai.
“No, ma—“
“E allora rilassati. Abbiamo tutto il tempo.”
Un’espressione confusa gli comparve sul viso, ed era quasi divertente vederlo riflettere.
“Abbiamo tutto il tempo? Per cosa?”
“Non lo so, per…farci una chiacchierata?”
“Perchè dovremmo?” chiese, con un’espressione così innocentemente confusa da riuscire a non farmi arrabbiare, né a prenderla come una provocazione, o un rifiuto.
“Perché non dovremmo?”
Sherlock si rilassò sulla sedia, guardandomi come se gli avessi fatto scacco matto, per poi piegare le labbra in una smorfia tremendamente infantile, così tanto che mi trattenni dallo scoppiare a ridere.
“Perché…è una perdita di tempo!”
Lo ignorai totalmente.
Per farlo contento, iniziai la ‘chiacchierata’ proprio dall’uomo con l’ombrello.
“Quindi…quello era davvero tuo fratello?”
“Già” mugugnò, irritato solo al sentirlo nominare “quel grassone ficcanaso…”
“Mi ha offerto dei soldi per andare a dirgli le tue…confidenze.”
“Hai accettato?”
“No.”
“Peccato. Avremmo potuto guadagnarci qualcosa. Pensaci meglio la prossima volta.”
A quel punto risi, e fu piacevole vedere come anche a lui spuntò un’espressione divertita che non riuscì in nessun modo a nascondere.
“Non vai d’accordo con tuo fratello, eh?” chiesi poi, tornando ad attaccare bottone.
“Non mi aspetto che tu capisca.”
“Oh, no. Capisco perfettamente. Anch’io ho una sorella maggiore impossibile.”
Sorrise da un angolo della bocca.
“Più che mio fratello, lui per me è un nemico.”
Diedi un altro gran sorso alla cioccolata, e quasi mi ci strozzai.
“Ma dai. Nessuno ha ‘nemici’ nella vita reale.”
“E allora cosa si ha nella…’vita reale’?” mi domandò, con aria di sfida.
“Mah, fidanzate…persone che si apprezzano, che si disprezzano…amici” realizzai che avevo calcato il tono su quell’ultima parola. E mi resi conto che suonava come una proposta indiretta.
Cambiai argomento, imbarazzato.
“Tu…non hai una ragazza?”
“No. Non è davvero la mia area.”
“Oh…oh”  farfugliai “…allora un ragazzo?”
“No” pronunciò secco, quasi come fosse abituato a simili fraintendimenti, ammesso che di fraintendimenti si trattasse.
“Sei solo come me, quindi. Ok.”
Sorseggiai di nuovo la cioccolata, ma potei coglierlo a fissarmi con occhi preoccupati.
“John, te lo devo dire, io mi considero in una relazione con la mia attività di investigazione, per cui se stai tentando di…”
Quasi soffocai a quelle parole, e mi affrettai a rassicurarlo.
“No, no— per l’amor di—oh per l’amor di Dio, no, non ci sto…provando” chiarii, nel tono più lucido che potevo, per poi guardarlo dritto negli occhi e dargli la certezza di essere onesto “…dico solo…insomma, che…dico solo che qualsiasi cosa va bene. Va tutto bene.”
Forse fu solo una mia impressione, ma per un attimo nei suoi occhi mi sembrò di scorgere qualcosa come un ‘wow’, qualcosa che sembrava un ‘è la prima volta che a qualcuno vado bene così come sono, qualunque cosa io sia, qualunque cosa io faccia.’
Mi accorsi che pensare di significare tutto ciò suonava terribilmente presuntuoso, e abbassai lo sguardo sulla mia tazza, lasciando che quello del mio interlocutore invece  si perdesse fuori dalla vetrina del locale. Rimanemmo così per un buon minuto.
Finalmente finii la bevanda, e mi resi conto di come non me ne gustavo una da qualcosa che sembrava davvero un’eternità. Di come non mi gustassi davvero del cibo senza lasciarne buona parte da secoli.
Sorrisi da solo, come uno scemo, e ovviamente questo non sfuggì a Sherlock.
“Cosa c’è?”
“Niente. Non posso sorridere?”
“Certo che puoi. Mi chiedevo perché.”
“Non ne ho idea” feci spallucce. E probabilmente gli sarei sembrato il re degli idioti in un qualsiasi altro momento, ma non fu così. Sorrise anche lui, invece, ma probabilmente non se ne rese conto, e continuò a fissare assorto fuori dalla vetrina.
“Ha detto che ne vai matto.”
“Come?” si girò. I suoi occhi di ghiaccio diventarono due fessure.
“Donovan. Mi ha detto che ti piace indagare. Che ne vai matto.”
Con una mossa veloce, giunse le mani come in preghiera, e le portò vicino alle labbra.
“Intuizione soddisfacente, per una ragazza che ha il cervello di una gallina” proclamò, spietato.
“Intuisco che non andiate molto d’accordo…”
“Ci hai messo un po’ troppo. Intuisco che tu  non debba essere bravo con le intuizioni.”
Oh, ma che arrogante faccia da schiaffi— pensai, ma lasciai stare.
“Sì, hai indovinato” ammisi, appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendomi in avanti.
A quel punto mi fissò di nuovo. Quasi più intensamente della prima volta.
Lo sguardo passò da me al mio bastone.
E dal bastone, si spostò fulmineo fuori.
“Oh mio Dio” mormorò ad un tratto, e le sue iridi puntarono una persona tra la folla.
“Cosa?”
“Lui” indicò in un punto imprecisato oltre la vetrina.
“Lui chi?”
“Quell’uomo è un criminale. La polizia lo cerca da mesi!”
“Stai indagando su di lui?” chiesi, e non sapevo se essere spaventato o elettrizzato all’idea.
Che bugiardo…lo sapevo, invece: quella cosa mi elettrizzava da morire.
“Devo andare!”
Sparì da davanti ai miei occhi, e in un attimo fu fuori dal locale.
Fu un attimo anche per me.
La mente si svuotò.
Soldi sul tavolo.
Giù dalla sedia.
Raggiungilo.
Veloce.
Corri.
In un attimo, in un turbine di immagini dal bar alla strada, le sue spalle furono di nuovo di fronte a me, come quella volta contro Nathan.  Più veloce.
Lo raggiunsi e lo affiancai dopo pochi secondi di corsa, e non sembrava sorpreso di vedermi.
“E’ andato da quella parte!” mi gridò, come se sapesse che l’avrei seguito “Giriamo al mio tre!”
E in quel momento, il mio grillo tornò dal nulla: perché lo stavo facendo?
“Uno…”
Perché così la noia se andava? Perché non avevo voglia di tornare a casa?
“Due…”
Perché ne avevo abbastanza degli occhi di Harry così arrabbiati con me e allo stesso tempo così preoccupati? E adesso avevo bisogno degli occhi di Sherlock, occhi nemmeno minimamente preoccupati?
Occhi che credevano in me?
“…TRE!”
Svoltammo. Attraversammo l’incrocio, non curandoci se il semaforo fosse rosso o verde.
Sentii qualche insulto dietro di noi, probabilmente qualche automobilista infuriato.
“Scusi!” gridai di sfuggita, senza smettere di correre.
“E’ andato!” gridò Sherlock, correndo sempre più piano, camminando, e infine smettendo del tutto di muoversi  “Troppo tardi…andato. E’ inutile.”
Lo imitai, fermandomi, e appoggiandomi alle ginocchia per riprendere fiato.
“Inutile, già…” commentai aspramente, ancora incapace di sillabare bene le parole per il troppo fiatone.
“Sì, inutile. Non del tutto.”
“Cos-“
Oh, Dio.
Oh, mio Dio.
“Lo sapevo” esultò trionfante Sherlock, producendo il sorriso più sadico e bastardo mai visto sulla terra “sapevo che era psicosomatica!”
La mia gamba. Era…non sentivo più niente! Oh, Dio!
Ero talmente scioccato che respirare mi fu ancora più difficile, ma riuscii comunque ad urlare come un forsennato: “Io ho corso! HO FOTTUTAMENTE CORSO! Il mio bastone…è al Bar, io— il dolore…non c’è più!”
“Di nuovo, splendida intuizione, John.”
“Tu…TU LO SAPEVI! Tu l’hai fatto apposta! TU!” strillai furioso, mentre lui se la rideva divertito.
“Era un semplice trucco. In mia difesa, è stato divertente.”
“Divertente?!” gridai infervorito “Non c’era alcun criminale?! Non stiamo inseguendo nessuno?!”
“Precisamente.”
“Io—“
Ancora col fiatone, mi piegai di nuovo sulle ginocchia. Mossi di nuovo qualche passo, tastando il terreno con tutte e due le gambe, avanti e indietro, avanti e indietro, come un bambino che prova un giocattolo nuovo. Sherlock mi guardava come se mi avesse appena fatto un regalo. Ed effettivamente era così.
Tuttavia, incassò la testa nella spalle, pronto a ricevere un insulto.
“Io—grazie…” boccheggiai alla fine, con la voce totalmente spezzata dalla corsa.
Lui mi guardò sorpreso, per poi sorridere.
E nei suoi occhi colsi un ‘questa è la prima volta che faccio un regalo ad un amico’.
E con i miei occhi cercai di rispondere ‘questo è il regalo migliore che un amico mi abbia mai fatto.’
Forse sognavo troppo.
Forse la strada per essere amici era ancora lunga.
Ma mi stava bene così.
“Torniamo a casa?”
“Torniamo a casa.”
Ho voglia di esistere.
  
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