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Autore: DilettaMaselli    15/05/2015    1 recensioni
Un secondo e tutto può cambiare. Tutto può diventare più difficile e insopportabile.
La felicità si spezza, si commettono errori e la quotidianità diventa insopportabile. Ma la vita va avanti e sarà l'amore, l'amore più puro, a rendere tutto più luminoso anche se la luce non la si vede più.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ian si fermò davanti ai distributori automatici. Non aveva fame, ma era già passato un giorno dall'ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti e nonostante lo stress delle ultime ore, lo stomaco gli brontolava. 
Si trovava al Roosvelt Hospital di Manhattan, in uno di quei corridoi odoranti di candeggina dove di solito non passava mai nessuno. Almeno non in quel reparto. Chi poteva avere fame con un parente o un caro amico in fin di vita?
<< Io ho fame. >> disse piano, senza quasi accorgersi che le sue labbra si erano socchiuse per dire qualcosa. 
Da almeno cinque minuti stava fissando un Kinder Bueno, ma non aveva intenzione di comprarlo. Ian odiava i dolci. 
Si girò per assicurarsi che non ci fosse qualcuno dietro di lui ad aspettare il suo turno. Era solo ed era un bene. Aveva intenzione di scegliere il suo pranzo con tutta la calma del pianeta. 
Partì dall'alto: patatine fritte, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventisei.
Ci pensò su qualche istante, ma poi proseguì: patatine fritte grigliate, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventisette.
Ventisette, come gli anni di Giorgia.
Patatine fritte al peperoncino, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventotto. 
Quel giorno era esattamente il 28 settembre 2015. 
Salatini non salati, un dollaro e settantacinque centesimi, numero ventinove.
Salatini non salati?
Scrok Scrok, lo snak che scrocchia, due dollari, numero ventinove.
Pizzetta sottovuoto, due dollari e settanta centesimi, numero quaranta. 
Quaranta? Ma dopo il ventinove non c'è il trenta?
Seconda fila: tramezzino prosciutto e funghi sottovuoto, due dollari e settanta centesimi, numero quarantuno.
Quattro meno uno fa tre. Io e Giorgia stiamo insieme da due anni, ma arriveremo anche al terzo.
Ian inserì delle monetine e compose sulla tastiera a lato il numero quarantuno. Prese anche una bottiglietta d'acqua. 
Ma cosa stava facendo? Aveva scelto un tramezzino come se stesse scegliendo i numeri della lotteria. Non era Giorgia quella che ragionava in quel modo? Secondo lei tutto doveva essere ben ponderato ed avere un senso. Ma che senso aveva mangiare un tramezzino prosciutto e funghi perché quattro meno uno faceva tre? 
Tre. Tre anni insieme dobbiamo raggiungerli.
Ian decise di consumare il suo pasto appena fuori la stanza in cui avevano deposto Giorgia, come se fosse una merce. Un paziente uguale agli altri. Certo, per i dottori lo era, ma non per Ian. In quelle venticinque ore passate a contare ogni secondo che scorreva, avrebbe voluto dirlo ai dottori che Giorgia non era come gli altri. Insomma, lei era più importante. Lei veniva prima di tutti, di tutto. 
Ian sentì formarsi un nodo in gola, ma lo mandò giù con l'ultimo pezzo di tramezzino. In quelle venticinque ore non aveva versato una lacrima e non l'avrebbe fatto nemmeno in quel momento. No. Soprattutto adesso che di lì a poche ore sarebbero arrivati i parenti più stretti di Giorgia - madre, padre e sorella. Non voleva farsi vedere debole, non poteva.
In pochi sorsi finì anche la bottiglietta d'acqua e poi tornò a fissarsi le All Star rosso bordeaux, così come aveva fatto per tutta il pomeriggio precedente, la notte e quella mattina. 
Le All Star erano la passione di Giorgia: ne aveva di tutti i colori e di tutti i tipi. Le sue preferite, però, erano quelle bianche basse. Le più semplici, un po' come lei. 
Ian, invece, preferiva quelle alte. A dire il vero, non aveva mai amato le All Star. Ma in quegli anni Giorgia lo aveva talmente tanto ossessionato che alla  fine se ne era comprato un paio anche lui. E di sua spontanea volontà.
Tutto le ricordava lei. Come avrebbe fatto a dimenticarla?
<< Non ci sarà bisogno di dimenticare nessuno. >> si disse sottovoce.
Qualche istante dopo si materializzò il Dottor Robson davanti a lui. Da dove era sbucato, Ian non lo sapeva. Era certo che non fosse nella stanza di Giorgia. Forse era troppo occupato a navigare nel mare di pensieri che aveva in testa per accorgersi di ciò che accadeva intorno a lui. Forse stava affogando il quel mare.
<< Buongiorno. Lei è qui da ieri pomeriggio, forse dovrebbe andare a farsi una doccia e dormire un po'. >>
<< Sto benissimo, grazie. >> rispose freddo.
<< Lo dico per lei, la aiuterà a metabolizzare gli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore. La sua presenza qui non è d'aiuto a noi e nemmeno alla ragazza. Non si alzerà dal letto se lei continua a fissare il pavimento. >>
Ian si sforzò di sorridere, ma non aveva alcuna voglia di farlo. << Sa, lei mi ricorda il Dottor House. >>
<< Chiunque sia questo Dottor House dev'essere molto comprensivo perché ho deciso che può entrare qualche minuto nella stanza della signorina. >>
<< Dice davvero? >>
<< Certo, ma a patto che poi vada subito a casa. Uscire da qui la aiuterà a schiarirsi le idee. Sguardi come il suo ne ho visti tanti in questo reparto e posso assicurarle che più le persone rimangono qui, più si incupiscono. >>
Ian non era sicuro di voler entrare nella stanza di Giorgia. Era troppo doloroso immaginarla stesa su un letto in fin di vita, non poteva pensare cosa volesse dire vederla con i propri occhi. << Aveva detto che non avendo nessun tipo di legame ufficiale non potevo vederla, almeno non senza il consenso dei famigliari. >> 
Stava cerando una scusa, non era ancora pronto.
<< E' esattamente quello che ho detto, tuttavia in queste situazioni drammatiche vado spesso controvento.>> Sorrise. << Anche il Dottor House infrange il protocollo, qualche volta? >>
Il Dottor Robson stava iniziando a diventare irritante. Ian non sopportava tutto quel buon umore in un momento simile. 
Dovette fare appello a tutta la sua volontà per alzarsi dalla sedia e dirigersi verso la porta, di fronte a lui.
<< Grazie, Dottor Robson. >>
<< Mi raccomando, faccia una cosa veloce. >> Un'altro sorriso sgradito.
Ian entrò molto rapidamente. Tentennare davanti alla stanza rendeva le cose solo molto più difficili. 
Si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò al letto un po' intimorito da tutti quei macchinari che circondavano il letto della sua Giorgia. 
Come aveva previsto, lì dentro non era affatto un bello spettacolo. Giorgia aveva la testa fasciata da metà del naso in su. Anche un braccio era fasciato, l'altro ingessato. Il labbro inferiore era diviso a metà da un taglio non molto profondo e appena sotto il mento si intravedeva un grosso ematoma. 
Si avvicinò ancora un po'. Allungò una mano e le accarezzò le dita del braccio non ingessato. 
L'unica cosa che voleva in quel momento era sapere se sarebbe sopravvissuta. Tutto il resto era poco rilevante.
<< Forse. >> gli aveva risposto il dottore poco dopo averla stabilizzata.
<< Cosa... che... quali danni ha riportato? >> aveva domandato Ian incapace di formulare una frase per lo shock.
<< Non sono autorizzato a dirle nient'altro. Dovrà aspettare i famigliari. Posso solo aggiungere che se ce la farà... >> i suoi occhi guardavano oltre le spalle di Ian. << molte cose cambieranno. >>
Le strinse due dita della mano, ma non ebbe il coraggio di toccarla di più. Aveva quasi paura di farle male. Sembrava così fragile. 
<< E lei che ci fa qui dentro? >> sussurrò una voce. 
Ian si voltò. Un'infermiera piuttosto bassa e paffutella lo stava guardando con aria sprezzante. 
La guardò per un'ultima volta e senza dire una parola, uscì dalla stanza. 
Sì, aveva un gran bisogno di una doccia. Si diresse verso l'uscita, ma non sarebbe tornato a casa. Non lì, dove il profumo di muffin al cioccolato che comprava per lei in una bakery ogni mattina, si mescolava a quello di Giorgia. Dove c'erano tutte le sue cose e le foto appese sul frigo. Le sue All Star. I suoi orribili fiori finti. Il loro letto. 
Proprio perché tutte quelle cose gli ricordavano lei e ricordarla in quel momento faceva troppo male, decise di recarsi nel luogo del loro primo appuntamento. 
Tanto per non pensarci.

  
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