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Autore: Lady Warrior    15/05/2015    1 recensioni
Eva è l'unica donna rimasta al mondo. è stata salvata dall'estinzione del genere umano da una scienziata. Si risveglia dopo circa un millennio dall'accaduto, e scopre grazie a una voce meccanica registrata che il suo compito è ricreare il genere umano, grazie a una grande quantità di sperma conservato in alcune boccette dentro il bunker nel quale era stata rinchiusa. Eva si comporterà di fronte al mondo come una bambina, quasi come un animale, essendo l'unico essere vivente sul pianeta, e prenderà sul serio il suo compito. Ben presto, però, scoprirà di non essere sola e allora inizierà a porsi delle domande, e capirà che anche per lei vi sono delle scelte. Deve veramente portare a compimento il suo compito? Qual è il vero scopo della sua vita?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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† Un nuovo risveglio†
 
 
 
 
Suoni indistinti. Rumori. Parole. Parole su parole. Una scossa. Una puntura. Buio.
 
Eva si trovava in un tunnel, adesso. In una galleria bianca e blu, che vorticava attorno a lei. Lì dentro v’era un silenzio di tomba, non si percepiva alcun suono, alcun rumore, niente si muoveva, se non le pareti del tunnel. Davanti a lei, una luce accecante. Si sentiva spinta verso quel lume così grande, voleva andare lì e vedere cos’era, e d’altronde, qualcosa la stava spingendo in quella direzione. Eva non si sentiva più il corpo addosso, se provava a toccarsi da qualche parte, non trovava nulla. Dove portava quel tunnel? Dove si trovava? Era forse morta? Si guardò indietro. Non vide nulla, solo un’infinita prosecuzione del tunnel. Non sapeva cosa fare. Da una parte qualcosa la attirava verso la luce, dall’altra, una parte di lei voleva tornare indietro. Fu un momento. Sentì una sorta di scossa nel petto. Poi un’altra, e un’altra ancora, poi cadde all’indietro, la luce si allontanava sempre di più.
Sussultò, e si ritrovò nel suo corpo. Ora poteva udire suoni distinti: c’era qualcuno che camminava, altri parlavano, percepiva un ago nel suo braccio e una fasciatura sul suo ventre. Si sentì respirare. Era viva. Si sentì come se fosse nata per la terza volta. Le era stata data una terza possibilità, evidentemente.
Non aprì gli occhi subito: aveva paura di ciò che poteva vedere. Gli uomini non c’erano più. Come era possibile che sentisse le persone camminare? Udì qualcuno parlare una lingua sconosciuta e poi chiudere una porta. Istintivamente, la ragazza si accarezzò il ventre fasciato. Il bambino! Era di certo morto, non poteva essere sopravvissuto!
Così aprì gli occhi. Vide un soffitto bianco. Voltò lo sguardo. Qualcosa, un piccolo tubo di plastica sbucava dal suo braccio, facendovi penetrare del liquido trasparente. Si accorse in quel momento di avere una coperta sopra di sé. Aveva meno caldo con quella. Qualcosa, però, le suggeriva che non era sola. Con fatica, si pose a sedere. Un dolore lancinante, però, le colpì l’addome, e la ragazza gemette.
-Fa’ attenzione. La ferita non è ancora rimarginata, ma sei fortunata se sei ancora viva. I nostri medici hanno fatto un vero e proprio miracolo, a quanto sembra- disse una voce profonda, a tratti però gracchiante. La fanciulla sussultò, e con un leggero timore alzò il capo, e quel che vide la terrorizzò. Colui che aveva di fronte non era certo un umano!
-Tranquilla- le disse costui.
L’essere aveva una pelle verdognola, molto scura sul volto, in mezzo al quale pareva esserci una sorta di spaccatura. Gli occhi erano due buchi neri, e le labbra erano molto carnose. Sul capo, a circa metà del cranio, aveva una sorta di capelli rossi di media lunghezza, pettinati all’indietro. Indossava una sorta di tenuta blu scura, quasi nera, ricamata d’oro, e portava un paio di medaglie vicino alla spalla sinistra. Era seduto con le mani congiunte, e la stava osservando con quegli occhi neri più grandi del normale.
-Cosa sei tu? Non sei un umano! Perché sai la mia lingua? Dove sono? Cosa è successo?  Dov’è il bambino?  Vattene via! Lasciami in pace, voglio andare a casa!- disse Eva, spaventata.
L’essere accennò a una leggera risata.
-Una domanda per volta, signorina.  Io sono un Dresdan. Provengo dal pianeta Dresd. Abbiamo scoperto da poco questo pianeta, ma ci siamo subito affascinati dalla cultura degli umani, e ne abbiamo studiato la lingua. In questo momento ti trovi nel nostro ospedale, dove vengono curati i soldati. Siamo in mezzo alle rovine principali, penso che una volta questa struttura fosse una sorta di… supermercato. Sì, si chiamava così-
A quel punto Eva lo interruppe.
-Cos’è un supermercato?-
L’altro rise.
-Sei un’umana e non sai nulla che riguarda la tua cultura? D’altronde, mi dovrai spiegare cosa ci fai qui, visto che l’umanità è scomparsa da tipo 700 anni. Un supermercato era un luogo enorme dove gli umani compravano cibo e altre cose. Comunque, ritornando a noi, è accaduto che due ricognitori si trovassero vicino al luogo dove ti hanno sparato. Mi spiego meglio: erano lì in missione. Quando ti hanno vista, hanno avuto paura. Devi capirli, non hanno mai visto un alieno della tua razza, e pensavano tu fossi pericolosa, visto che avevi in mano una pistola. Quindi ti hanno sparato, e hanno chiamato il mio vice, che voleva ucciderti. Sono però sopraggiunto in tempo. Ti ho guardata, e ho compreso che non sei un pericolo. Oltretutto, un umana potrebbe davvero farci comodo: come potevo io, eliminare l’ultima superstite di una specie scomparsa? Se sei viva, significa che hai un ruolo nella storia dell’universo. Così ti ho fatto portare qui e ho ordinato ai medici di curarti. Riguardo al bambino, non so cosa parli. I medici hanno dovuto operarti, ma non hanno trovato alcun feto, né v’era nel luogo della sparatoria. Semplicemente, non sei mai stata incinta-
Cosa? La voce le aveva spiegato precisamente cosa doveva fare? Perché non era rimasta incinta? Non poteva avere bambini? Non era possibile. Non capiva nulla di tutto ciò che il tipo aveva detto. Sparatoria? Cosa significava? Ricognitori, soldati? Lei doveva tornare a casa! Doveva riprovare ad avere un figlio! Guardò male il tubo attaccato al suo braccio, e fece per toglierlo, ma l’alieno, fulmineo, la bloccò.-Io non lo farei- le disse.
-E perché mai?-
-Se lo fai, potresti sentirti davvero male- spiegò lui.
Eva guardò in basso, rattristata. Non poteva attendere. Doveva scoprire perché non aveva avuto il bambino, e soprattutto, doveva riprovarci! Ma pareva che prima dovesse attendere un tempo imprecisato presso quegli alieni inquietanti. Proprio mentre pensava ciò, si rese conto di aver caldo. Troppo caldo. Così si tolse il lenzuolo con disinvoltura. L’alieno si voltò di lato, quasi non la volesse guardare, anche se pareva tentato. Eva stava per chiedergli il perché del gesto, quando si rese pienamente conto di un dettaglio a cui prima non aveva dato molto credito: il Dresdan era vestito. –Perché sei vestito? E perché ti sei voltato?-
L’altro, senza accennare a guardarla, abbozzò un sorriso.
-Mi vedi strano? Sei tu ad esserlo, qui. Sei l’unica ad essere senza vestiti. Noi copriamo il nostro corpo, riparandolo dal freddo e da sguardi inopportuni. Non è educato guardare una fanciulla nuda- rispose.
-E perché? Io sono nata così-
L’altro scoppiò a ridere.
-Tutti nasciamo nudi-
-Lo so… volevo solo dire che non ci vedo nulla di male, ma forse hai ragione. Però non ho nulla con cui coprirmi, e col lenzuolo ho caldo-
-A questo si può rimediare- rispose l’altro, avviandosi verso la porta, chiamando qualcuno nella sua lingua e impartendogli alcuni ordini.
Poco dopo arrivò un suo simile con in mano qualcosa. Porse alla ragazza un vestito bianco decorato con alcuni pallini rossi, stretto in vita ma abbastanza largo nella parte inferiore. Eva lo prese in mano, guardandolo.
-Come lo devo usare?- chiese, senza vergogna. A questo punto l’alieno scoppiò in una risata bonaria, che tuttavia offese la ragazza, che incrociò le mani al petto.
-Il buco grande serve per la testa, negli altri due devi mettere le braccia- spiegò.
Eva guardò la stoffa, e fece come le era stato detto. Adesso il suo corpo era coperto dalla stoffa soffice e setosa. Oltre al vestito le era stato dato qualcos’altro.
-E questo?-
-Quelle sono mutande-
Mutande. Eva le lascio penzolare davanti a sé, prendendole tra pollice e indice. Non voleva chiedere aiuto a quell’alieno, voleva capire a cosa servissero da sola.
 
Il Dresdan era voltato di spalle, le braccia incrociate sulla schiena. Stava attendendo che la ragazza avesse finito di vestirsi.
-Ho finito- disse lei.
Così egli si voltò, e quel che vide aveva del ridicolo. Quella ragazza gli infondeva un certo grado di tenerezza, e in quel frangente mostrava tutta la sua ingenuità. Era così ingenua che avrebbe potuto approfittare di lei senza che quasi ella se ne rendesse conto. Era ingenua, buona, incosciente. Doveva proteggerla, proteggerla da personaggi più istintivi e meno affidabili di lui, come Jyak, il suo secondo.
Comunque, Eva, con le mutande in testa a mo’ di berretto era davvero divertente. Stavolta il Dresdan riuscì a reprimere una risata. –Non lì- le disse –Le devi … nei buchi devi mettere le gambe. E poi tirare le mutande su, capito?-
La ragazza annuì, poi guardò l’indumento, e chiese a cosa servisse.
-Igiene- rispose sbrigativo.
Eva parve aver capito, e indossò correttamente le mutande. Il Dresdan si avvicinò al lettino. Eva si era sfilata la flebo, probabilmente per indossare il vestito, e non sapeva come rimetterla. Così con premura sistemò l’ago nel braccio della ragazza, che fece una leggera smorfia.
Il Dresdan poi allungò il braccio verso la ragazza, che lo guardò, stupita.
-Mi sono dimenticato di presentarmi. Mi chiamo Dwigh, piacere- disse.
-Oh, giusto. Eva. Mi chiamo Eva- rispose la ragazza, continuando ad osservare la mano tesa dell’altro.
-Dovresti stringerla. È un’usanza umana-
-Oh, sai più te di me sull’umanità- disse la ragazza, prima di stringergli la mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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