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Autore: Writer_son of Hades    16/05/2015    2 recensioni
In un passato lontano, gli uomini stavano distruggendo la terra. Gli dei, vedendo queste atrocità, scesero nel mondo e devastarono l'umanità. Solo un uomo e una donna, per ognuno degli dei esistenti, vennero salvati per diventare figli del dio che li aveva scelti.
Nel loro sangue di mortali, scorreva anche una parte dell'icore dorata degli dei. Generazioni e generazioni di discendenti si precedettero, portando pace e rispettando per gli dei e per la terra dove vivevano.
Mille anni dopo, una ragazza mortale, discendente di nessun dio, si ritrova a dover affrontare il suo destino.
Sarà veramente pronta ad abbracciare il ruolo così importante che le spetta?
(per questa storia ho preso spunto da alcuni aspetti della saga di "Percy Jackson")
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Capitolo III











Lui iniziò e ridacchiare. Smisi di muovermi e lo fissai.
                – Stai ridendo? – gli chiesi stupita.
Lui stava sorridendo. Si levò il cappuccio che copriva il volto mostrando una chioma castana e poi due occhi verdi.
                – Bé, sono sopra ad una ragazza che porta solo la biancheria intima, la situazione è parecchio ridicola. – affermò continuando a sorridere.
 

*****************************
 

Lo guardai. – Ci conosciamo?
Ero sicura di aver già visto da qualche parte quegli occhi.
                – Non di persona. – disse alzandosi. Si avviò verso la finestra e la richiuse. Poi si rivoltò verso di me che mi ero seduta sul letto, cercando di riconoscere quel viso famigliare.
Mi guardò continuando a sorridere. – Dovresti … sì ecco … metterti qualcosa addosso.
                Io scossi la testa per risvegliarmi dai miei pensieri e mi infilai i vestiti che ormai erano caduti tutti per terra. Non feci in fretta, non ho problemi con l’intimità, erano anni che avevo dimenticato cosa fosse. Per tutto il tempo lui rimase in silenzio a fissarmi. Quando finalmente mi fui messa anche la felpa, mi sedetti sul letto a gambe incrociate e lo fissai.
                – Allora, chi sei? – domandai.
                – Ci siamo visti oggi davanti al tempio di Ade. – mi rispose incrociando le braccia al petto. – Ti stavano per prendere, ma io li ho distratti così sei potuta scappare.
Ora cominciavo a ricordare.
                Appena uscita dal retro del tempio con il sacchetto, avevo sentito una mano toccarmi la spalla. Mi ero voltata di scatto e un uomo con la divisa azzurra dell’Armata mi stava fissando con un brutto sorrisetto stampato in volto. Uno di quei sorrisetti che ti fanno già capire di essere spacciata.
                – Sempre bello arrestare qualcuno di prima mattina. – aveva detto in un ghigno. Avevo già iniziato ad odiarlo.
Poi aveva sentito un grido e l’uomo si era distratto cercando la provenienza di quel suono. Non mi era fatta sfuggire l’opportunità e avevo iniziato a correre via voltandomi indietro solo una volta, vedendo quegli occhi verdi che ora erano davanti a me.
                – Ora ricordo. – dissi guardandolo. – Ma perché sei qui? E perché volevi il mio zaino?
                – Dopo quello che hai fatto ti ho seguita. – spiegò. – Poi però ti ho vista picchiare quei due uomini e ho pensato che fossi davvero forte. Così …
                – Aspetta, aspetta. – lo fermai io. – Io mi stavo facendo prendere a botte da due uomini più grossi di me e tu hai semplicemente guardato e hai pensato che fosse forte?
Lui annuì.
                – E non ti è passato per l’anticamera del cervello che, magari, avessi bisogno di aiuto?! – lo sgridai.
                – Non credevo che lo volessi. – si limitò a dire, serio.
Io mi calmai. Forse era vero. Odio la gente che mi aiuta. So badare a me stessa.
                – Okay. – conclusi facendogli segno di continuare.
                – Così ti ho seguita fin qui, sono entrato dalla finestra e il resto lo sai già. – si appoggiò con la schiena al muro fatiscente.
                – Non mi hai ancora detto perché mi hai attaccata. – gli feci notare.
                – Tecnicamente sei tu che mi hai attaccato. – specificò lui. – Volevo solo istigarti e vedere di cosa eri capace.
                – E la tua diagnosi è? – chiesi un po’ adirata.
                – Che anche con mutande e reggiseno puoi mettere ko qualcuno. – disse sorridendo. – Anche se alla fine ho vinto io.
                – Cosa? Non è vero! – mi affrettai a ribattere. – Non hai neanche sfiorato il mio zaino.
                – Però alla fine eri tu quella sotto che non riusciva più a liberarsi. – fece un sorrisetto.
Io sbuffai. – Come vuoi. – poi tornai a fissarlo. – Come ti chiami?
                – Oh, perdonami. Io sono Arcadio, discendente di Pan, il signore delle selve. – fece un ampio inchino che mi fece leggermente ridacchiare.
                – Arcadio? – chiesi io, trattenendo una risata.
Lui annuì.
                – Che strano nome. – constatai io.
                – È in onore della terra natia di Pan, l’Arcadia. – mi spiegò avvicinandosi. – Come fai a non saperlo?
Vero. Sono stata così stupida a chiederlo.
                – Io … non sono andata a scuola. – ammisi. – Non ho potuto studiare molto bene la mitologia.
A Nuova Roma era indispensabile sapere la mitologia dato che gli abitanti erano i discendenti degli dei greci. Ma la storia la sapevo, più o meno. Me la raccontava mia mamma prima di andare a dormire.
Più di mille anni fa’ gli dei sono discesi dall’Olimpo e hanno distrutto l’intera popolazione mondiale. L’umanità stava distruggendo la terra e le sue meraviglie. Si scatenarono venti fortissimi, uragani, tsunami e terremoti. C’erano crepe nel suolo che portavano direttamente agli Inferi, intere città che andavano a fuoco e paesi travolti da valanghe di neve.
Così, dopo aver distrutto ogni singola forma di vita umana sulla superficie terrestre, ognuno degli dei decise di dare una seconda possibilità agli uomini scegliendo un uomo e una donna e di dargli una parte d’icore dorata, il sangue divino, che gli scorreva nelle vene, per procreare una progenie degna di un mondo migliore.
Così gli anni passarono e le generazioni crescevano con una parte divina nel proprio sangue. Insieme ad un rispetto profondo per gli dei, dei poteri derivati dall’icore dorata simili a quegli del dio ‘’creatore’’ crescevano con essi. Gli dei parlavano spesso con i loro discendenti, trattandoli come figli.
I discendenti crearono Nuova Roma e altre città per tutti coloro che erano degni di essere progenie degli dei.
                Ma era molto tempo che un dio in particolare non si faceva più sentire. Ade, il Signore degli Inferi. Anche i suoi discendenti stavano diminuendo drasticamente e per questo stavano chiudendo i templi. In quel preciso istante ci saranno stati vivi una decina di discendenti di Ade. Si erano sparse voci che spesso venivano uccisi, avendo paura della loro potenza, ma io non sapevo bene a cosa credere.
Senza la presenza del dio, i templi rimanevano vuoti, spogli e senza vita. I templi servivano a donare ciò che serviva ai discendenti del corrispondente dio per i propri poteri o per curare le varie malattie.
Quel giorno avevo rubato delle fialette di polvere d’ombra dal tempio di Ade che stavano smantellando. I discendenti di Ade la usavano per viaggiare nell’ombra senza sforzarsi.
                – Oh. – disse lui. – Mi dispiace.
                – Nessun problema. – risposi sovrappensiero.
                – E tu? Come ti chiami? – mi domandò.
                – Skia. – dissi guardandolo.
                – E poi sono io che ho un nome ridicolo. – mi canzonò sedendosi di fianco a me.
                – Ehi, ehi, ehi. – dissi fermandolo. – Credi di dormire qui, per caso?
                – Perché no? – domandò ironicamente mentre si stendeva. – Tanto ti ho già vista praticamente nuda.
                – Puoi smetterla di ripetere che mi hai vista in intimo? – stavo iniziando a stancarmi. – Perché sei qui? Non hai una famiglia?
                Lui si fece serio. – Potrei chiederti la stessa cosa sai.
Aveva ragione. Forse era da solo pure lui.
– In ogni caso, io sto da sola. Non viaggio con un’altra persona.
                – Bé, ora so il tuo segreto, per cui non puoi liberarti facilmente di me. – disse tra una sbadiglio e l’altro. – Possiamo dormire, adesso? È parecchio tardi.
                – Il mio segreto è che rubo e vendo a dei discendenti di Ermes. – lo canzonai. – Non è così sconvolgente. Se andassi a denunciarmi, non avrei problemi a nascondermi per tutto il tempo che voglio. Dopo di che verrei sicuramente a cercarti e ti ucciderei. E poi chi ti crederebbe, sei solo …
La sua risata mi interruppe. – Non è quello.
                Io lo guardai interrogativa. Ma di che parlava allora?
Lui notò che lo stavo fissando interrogativa. – Ma non lo sai?
                – Che cosa? – proprio non capivo a cosa si riferisse.
                – Oggi al tempio. – mi spiegò mettendosi seduto. – Hai aperto una crepa nel suolo.
                – Io … cosa? – non ci credevo. Mi alzai dal letto iniziando a camminare freneticamente.  Una crepa nel suolo? L’unica volta che l’avevo vista era stata quella notte che era successo il finimondo e la mia vita era finita. Che la mia famiglia era…no non potevo aver fatto una cosa del genere. Sentii una cosa strana nel petto. Una cosa che non sentivo da tanto tempo. La paura si insinuò nella mia anima e mi attanagliò il cuore.
                – Non te ne sei resa conto? – mi domandò curioso.
Io scossi la testa. Perché avrei dovuto farlo poi?
                – Bé, allora ti stupirà ancora di più quello che sto per dirti. – mi disse. – Gli unici discendenti che possono farlo sono quelli di Ade.
In quell’istante mi bloccai e smisi di camminare per la stanza. Fissai un punto davanti a me. Discendenti di Ade? Non era possibile. Ce n’erano pochissimi ormai e i miei genitori non lo erano affatto. O almeno, non ero riuscita a scoprire a che dio discendessero per cui ero solamente una mortale.
Era il secondo discendente che vedevo in due giorni ed entrambi sembravano davvero svitati.
                – Non è possibile. – dissi voltandomi verso di lui.
                – Sì che lo è. – ribatté lui alzandosi. – Devi accettarlo.
                – Sono una mortale. Non. È. Possibile. – ripetei scandendo meglio.
                – Non sono stupido. – mi fermò lui. Poi si avvicinò. – E nemmeno pazzo. So quello che ho visto.
                – Io non discendo da nessun dio. – ripetei, più a me stessa che a lui. – Sono una mortale. Una semplice mortale.
Succedeva. A volte se due discendenti da dei diversi facevano un figlio o anche se c’erano stati problemi durante il parto. Il bambino nasceva senza poteri o senza icore dorata nel sangue. Un comune mortale. Ma era una cosa davvero rara.
                – Non sei una mortale. I tuoi occhi, i tuoi capelli, la tua pelle. – ribadì lui mettendole le mani sulle spalle. – Sono chiari segni della discendenza di Ade.
                – E tu come lo sai?
Lui si fece serio. – Conosco … conoscevo una persona che era discendente di Ade.
                – Cosa le è successo? – chiesi dolcemente.
                Lui scosse la testa, come per cancellare un brutto ricordo dalla sua vista. – Non è importante. – sbottò. – Ora dormiamo. Domani ti porterò da un mio amico, che potrà aiutarti a capire.
                – Io non devo capire niente. – lo fermai mettendogli una mano al petto. – Io nemmeno ti conosco. Come posso fidarmi di te?
                – Devi. – mi disse di spalle mentre si toglieva il giubbotto, scoprendo un maglione blu scuro.
                – Non puoi dirmi cosa devo o non devo fare. – sbottai guardandolo mentre si toglieva anche quello con le scarpe e i pantaloni rimanendo solo un i boxer e una maglietta bianca.
                – Sì, invece. – infine si tolse anche la maglietta, mostrando il petto ben scolpito. Si mise a ridere. Io mi accorsi di avere la testa piegata di lato e lo sguardo imbambolato.
                – Mi faccio una doccia. – annunciò entrando in bagno.
Io sbuffai guardandolo scomparire dietro la porta. Aveva lasciato tutti i vestiti sparsi per il pavimento. Scossi la testa e mi tolsi la felpa restando in maglietta per andare a dormire. Mi misi a letto e spensi la luce. Mi addormentai nel giro di pochi secondi.
                Dopo un po’ sentii una ventata fredda e poi un corpo che si adagiava vicino al mio. Ero troppo stanca per reagire per cui ripresi semplicemente a dormire abbracciata da un dolce profumo di muschio e di foresta.






Spazio dell'autrice: E siamo arrivati a sabatooo! Capitolo fresco fresco e scritto durante i pochi momenti liberi che ho avuto questa settimana. 
Io sono ancora piena di verifiche e auguro a tutti quelli nella mia stessa situazione che "la fortuna sia sempre a vostro favore ragazzi!"
E con questo passo e chiudo! Ora vado a provare a studiare spagnolo e poesia.....
un abbraccio
Silvia


 
   
 
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