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Autore: SpectrumDark    17/05/2015    1 recensioni
Mi voltai dalla parte opposta, camminando e saltellando sulle radici degli alberi. Un senso di vuoto e freddo di colpì sul petto, proprio nel punto in cui mi aveva toccato quella strana ragazza. Toccai il petto con l’indice, era freddo. Così freddo da sembrare un punto morto. Mi voltai, correndo nella direzione della ragazza, ma improvvisamente l’aria si era fatta pesante, il respiro mi mancava, il cuore perdeva battiti. Mi accasciai a terra, sbattendo la testa su di una radice. Le palpebre iniziarono a chiudersi da sole. Un bagliore azzurro si avvicinò a me.
“Vai. Non sei fatto per stare qui. Ti proteggerò” sentii un tocco freddo sul viso e alzai lo sguardo verso la figura, era lei. Le sorrisi prima di chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno.
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secondo Capitolo




Mi svegliai nel mio letto sobbalzando. Era solo un sogno?
Mi passai una mano sul volto, guardandomi intorno. Sì, era solo un sogno. Sentii una stretta sul petto, un senso di vuoto colpì il mio stomaco. Non poteva essere solo un sogno. Chiusi gli occhi, buttando la testa sul cuscino e sospirando.
“Luke! Svegliati o farai tardi” mia madre bussò un paio di volte sulla porta della mia camera urlando, come ogni mattina. Mi costrinsi ad uscire dal letto e mi diressi verso l’armadio. Presi dei vestiti a caso e li portai con me in bagno.
Chiusi la porta a chiave prima di spogliarmi ed entrare nella doccia. L’acqua calda tamburellava sulla mia pelle, facendo rilassare le mie spalle. Sospirai, chiudendo gli occhi. Un altro noioso giorno in quell’inferno di scuola. Un altro giorno che avrei trascorso cercando di nascondermi da tutti. Un altro giorno identico al precedente.
“Luke! Ti muovi!?” mio padre mi riportò alla realtà urlando contro la porta del bagno. Mi sciacquai in fretta il corpo e i capelli. Uscii dalla doccia, asciugandomi con un asciugamano. I miei occhi catturarono la mia figura allo specchio, le occhiaie sotto i miei occhi erano scomparse e il volto sembrava meno tirato del solito. Mi fermai un momento per guardarmi meglio allo specchio. Non sembravo nemmeno io. Di solito avevo gli occhi cerchiati pesantemente di nero e lo sguardo tirato, malinconico e noioso, che rispecchiava esattamente come mi sentivo. Sentii brivido attraversarmi la schiena, mi voltai verso la finestra, ma era chiusa. Tornai a guardarmi allo specchio e vicino a me c’era il suo volto. Il volto di Selene che mi sorrideva. Fu per un attimo, per un secondo. Mi avvicinai di più allo specchio sbattendo più volte le palpebre. C’ero solo io ora. Il vuoto che provavo allo stomaco era sparito e non mi sentivo più triste come prima. Non era solo un sogno. Infilai i pantaloni neri e una maglietta a maniche corte del medesimo colore, con sopra una camicia a quadri neri e rossi. Appannai lo specchio con il fiato e scrissi ‘ciao’.  Poco dopo, sotto alla mia scritta, comparì una frase breve ‘ho sentito la tua solitudine ieri, sarò vicino a te tutto il tempo oggi’. Sorrisi e cancellai la frase con la mano.
Lasciai il bagno nel disordine totale e corsi verso l’uscita, senza salutare i miei genitori. Fuori il sole splendeva, segno che ero in assoluto ritardo. Odiavo il sole. Odiavo il modo in cui illuminava tutto. Odiavo il fatto che al sole tutti mi potevano vedere. Odiavo il giorno. Odiavo tutto quello che mi stava intorno. Le case, le persone, le risate, i sorrisi. Odiavo tutto quello che riguardava vivere. Odiavo tutto quello che la gente amava. Odiavo e basta.
Il sorriso che prima era comparso sul mio volto era stato sostituito da il mio solito broncio. Scuotendo la testa, guardai alla mia destra, sperando che lei fosse vicino a me. Il gomito si gelò all’improvviso, lo portai verso il corpo e lo tenni stretto vicino al fianco. Mi toccai istintivamente il petto, nel punto dove Selene mi aveva toccato ieri, era tornato caldo. Mi rilassai sapendo che lei era vicino a me.
 
 
L’insegnante stava parlando da una buona mezz’ora e, dopo tre ore di lezioni, la mia attenzione se ne andò. Cercavo di vederla. Cercavo di rivedere il suo volto tra i volti dei miei compagni di classe. Ma non c’era traccia di lei.
“Hemmings! Mi potrebbe dire cos’ho detto?” mi voltai confuso verso l’insegnante di storia.
“Non ero attento” dissi abbassando lo sguardo “mi scusi.”
“Non è la prima volta che ti becco disattento! Credo che dovrai fare una visita alla preside” non potevo controllarmi. Era più forte di me. Non volevo reagire così d’impulso. Ma in quel momento, era la cosa più giusta da fare per me. Mi alzai dal banco, facendo cadere la sedia. Mi diressi a grandi falcate verso la professoressa e mi fermai a pochi centimetri dalla sua faccia.
“Mi sono scusato” urlai facendole spalancare gli occhi. Mi diressi verso la cattedra e spinsi via tutte le cianfrusaglie che vie erano sopra. Non potevo controllare gli scatti d’ira. Non potevo e basta. Non volevo essere così. Non volevo sentire urlare di nuovo le persone. Non volevo. No. No. Non volevo niente di tutto questo. E ciò, mi fece infuriare ancora di più. Un ragazzo all’ultimo banco si alzò e corse verso la porta. Forse voleva chiamare aiuto o voleva andarsene. Gli corsi dietro, afferrandolo per il colletto della maglietta e lo sbattei sul muro. Il ragazzo respirava a fatica. Lo sollevai da terra e iniziai a colpirlo ripetutamente sul volto.
Qualcosa di freddo mi toccò la schiena. Lasciai andare il ragazzo e mi girai verso la professoressa.
“Mi dispiace” guardai di nuovo il ragazzo, accasciato per terra, e il resto della classe. Alcuni avevano tirato fuori il telefono, altri si erano rifugiati in fondo alla classe. Non volevo fargli del male. Corsi fuori dalla classe, lasciando le mie cose all’interno. Corsi fino alla porta. Corsi oltre la porta. Corsi, senza una vera destinazione. Corsi lontano da loro. Corsi lontano da ciò che ero. Corsi lontano dai miei problemi. Corsi e basta.
 
 
Tornai a casa, nessuno mi gridava contro. Girai per le varie stanze, in cerca di qualche rumore, ma la casa era completamente silenziosa.
“Mamma?” chiamai abbastanza forte da far risuonare la mia voce tra le pareti dalla casa. Nessuna risposta. Sospirai di sollievo realizzando che ero da solo. Ma non solo del tutto. Feci una breve corsa fino alla mia camera. Spalancai la porta e me la richiusi alle spalle, buttandomi sul letto.
“Sto arrivando” sussurrai chiudendo gli occhi e aspettando il sonno.
 
 
Ero nel solito cimitero. Non mi sembrava così tetro come la sera prima. Cercai Selene con lo sguardo, ma non c’era traccia di lei. Nessun bagliore blu mi era venuto in contro. Un senso di malinconia mi avvolse interamente il corpo. Lei c’era quella mattina. Lei era vicino a me. Lei era spaventata da me. Lei mi aveva lasciato solo.
“Luke!” mi voltai di scatto. Non avevo fatto caso che il cimitero si trovava tra un bosco e un maniero. Vidi la figura di Selene corrermi incontro. Il senso di malinconia se ne andò e camminai verso di lei.
“Che succede?” la ragazza si fermò distante da me, la sua voce era preoccupata.
“Non avere paura. È complicato da spiegare” mi fermai e pregai silenziosamente che non avesse paura di me.
“Non ho paura. Non puoi farmi del male, sono morta” alzò le spalle e si avvicinò di più a me.
“Ma allora è vero? Sei un fantasma?” lei annuì, guardandosi intorno.
“Insomma, che succede?” mi chiese dopo attimi di silenzio. Avevo sfruttato quel silenzio per osservarla meglio. Sullo specchio, quella mattina, non mi era apparsa così. Non era trasparente, ma bianca. Un bianco strano, irreale per il volto di una persona. Ma aveva colore.
“Mi dispiace, non mi va di parlarne” risposi fissandomi le scarpe.
“Non capisco come fai ad arrivare qui” mi rispose, cambiando argomento.
“Mi addormento e basta, non so perché sono qui” feci spallucce tornando a guardarla.
“Capisco. Non hai paura di tutto questo? Io sarei terrorizzata al posto tuo” non eravamo molto vicini, ogni volta che facevo un passo avanti, lei si allontanava.
“Non ho paura. È solo un sogno. È il mio sogno. Insomma, per certi versi, non è reale” sussurrò qualcosa che non riuscii a capire.
“Vuoi vedere una cosa?” mi chiese. Notai solo ora che non sbatteva mai gli occhi o dilatava le narici.
“Cosa?” chiesi avvicinandomi a lei. Questa volta non si allontanò, anzi, mi tese la mano e io l’afferrai. Era congelata. Sembrava fatto di ghiaccio. I brividi iniziarono a percorrermi la schiena e a farmi rizzare i peli di tutto il corpo.
“Mi dispiace. Lo dimentico, a volte” mi lasciò cadere la mano e iniziò a camminare su un sentiero che portava al maniero. Era circondato da alte e possenti mura, ricoperte da edera e altre piante rampicanti. Evidentemente quello era il retro, visto che c’era solo un piccolo cancello ricoperto di edera e non si intravedeva nessuna entrata principale degna di tutto quel lusso.
“Che posto è?” affrettai il passo per camminare al suo fianco.
“Era la mia casa” rispose in un sussurro. Chiusi l’argomento. Da il suo tono di voce sembrava portarle brutti ricordi e l’ultima cosa che volevo era vederla triste-se era possibile per un fantasma essere triste.
Aprì il piccolo cancello e si diresse verso la piccola porta. Il maniero era completamente costruito in pietra, ogni suo muro era ricoperto di edera, comprese finestre, porte e terrazzi. La raggiunsi, continuando a guardarmi intorno. Era una specie di giardino, con grandi alberi secchi e foglie per terra. Era evidente che nessuno ci viveva più.
“Luke, vieni?” mi voltai verso Selene. La porta era aperta e lei mi aspettava all’interno. La raggiunsi dentro. Dietro la porta c’era una grande cucina, ormai arrugginita e impolverata, ma comunque magnifica. Seguii Selene verso un’altra porta che conduceva ad una rampa di scale diroccata e polverosa. Salii piano i gradini della prima rampa e della seconda.
“Dove stiamo andando?” Selene sospirò e aprì la porta che stava sul pianerottolo della seconda rampa di scale. Davanti a lei si presentò un lungo corridoio, abbellito con quadri e varie statue sulla sinistra.
“Lo vedrai” mi rispose fermandosi davanti alla terza porta. L’aprì piano e sbirciò dentro. Solo ora mi accorsi che la casa era completamente buia e lei era la sola cosa che aveva illuminato il mio cammino. Un brivido mi percorse il corpo. Mi voltai verso le scale, che ora erano completamente avvolte da un fitto buio.
“Non aver paura, è solo un sogno” le afferrai la mano e la strinsi forte. Non era un ragazzo da film horror o da cose del genere. Ero un fifone. E  non m’importava se mi stavo gelando, non volevo essere lasciato da solo al buio. Selene ricambiò la stretta e mi portò al centro della stanza, dove c’era un grande tavolo di legno con rifiniture in argento.
“Di solito non posso interagire con gli oggetti” con la mano libera prese un pacchetto di fiammiferi sopra al tavolo e rise “ma questo è un sogno” mi lasciò la mano e accese tutte le candele che erano presenti sul tavolo. Poi ne afferrò una e accese le candele in giro per la stanza. Rimasi stupito da quanti libri c’erano in quella stanza. Era la biblioteca, una stanza intera di libri. Le pareti erano ricoperte da scaffali pieni di libri, solo la porta e il grande finestrone a destra non erano stati ricoperti da libri.
“È meraviglioso” Selene rise e afferrò un libro dalla copertina celeste. Non c’era un titolo.
“Mi sono ricordata di aver letto questo libro una volta. Parla del mio mondo, diciamo. Cioè, del mondo dove sono adesso. Non so come chiamarlo” rise di nuovo, porgendomi il libro.
“Non credo che riuscirò a leggerlo tutto ora” aprii la prima pagina, non c’era traccia di un titolo.
“Forse lo puoi portare con te. Non so come funziona” la guardai e le sorrisi.
La testa si riempì di grida e la stanza iniziò a girare.
“Luke! Vieni, mettiti seduto” il freddo si impadronì del mio corpo, le palpebre iniziarono a chiudersi da sole. Stavo tornando indietro. La tristezza prese il posto del freddo. 
   
 
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