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Autore: Madam Morgana    17/05/2015    4 recensioni
C'è che adesso è felice, del traguardo raggiunto, c'è che, adesso, lei è la dottoressa Penelope James, quello che desiderava di essere da sempre, sin da quando ne ha memoria.
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«Penny, è meraviglioso, sono davvero felice. Però non voglio scoraggiarti, ho sentito dire che i ragazzi del Social Detoxification Center non sono tipi da sottovalutare» e stringe i pugni nel manubrio con fare di chi, sul serio, un po' ha timore.
Lui, personalmente, non si recherebbe mai in quel postaccio caratterizzato da un edificio decaduto, aiuole sottoposte ad atti vandalici, muri scritti, e quant'altro.
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Fallowey sospira, nasconde le mani grasse dentro le tasche del giubbino smanicato e scuote il capo, «L'ala nord è la peggiore, dottoressa, non credo possa fare qualcosa per loro» anche il tono di voce del direttore cambia, oltre all'espressione corrucciata. «Chi, ormai, di speranza non ne ha più. Chi è giunto al capolinea, dottoressa James.»
Penelope si volta dietro per dare una rapida occhiata alle porte nere.
E giura di averne sentita una socchiudersi piano, con un cigolio raccapricciante che le ha gelato il sangue.
Qualcuno li aveva ascoltati.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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2.


 
Penelope sbuffa, mentre mordicchia una matita. Fissa il foglio che ha davanti con fare assente.
Il signor Fallowey le ha dato un test da fare, prima di cominciare a lavorare con i ragazzi. Lei ha sempre odiato i test a sorpresa, anche quando frequentava l'università. C'è che Penelope James odia l'inaspettato, 'ché la sua vita è sempre stata organizzata, seguendo schemi di cui lei stessa è l'artefice.
E non sapeva di dover fronteggiare con un test, nonostante le domande siano abbastanza semplici. Insomma, a che serve un test? Lei è una dottoressa, ormai. Okay forse una novellina, ma pur sempre dottoressa rimane.
Il direttore l'ha lasciata da sola, così ti concentri meglio, le ha detto.
Decide, dunque, di cominciare a rispondere, mentre nota la semplicità delle domande.
Con una calligrafia ordinata e tondeggiante, ha quasi terminato la prima risposta quando, un cigolio proveniente dalla porta, la costringe a voltarsi.
La matita cade sul foglio, la punta si spezza «Chi c'è?» il tono di voce leggermente alterato. Deglutisce con fare nervoso, alzandosi poi dalla sedia.
Il rumore dei tacchi spezza il silenzio, afferra la borsetta e si guarda intorno. Male che vada, se qualcuno decidesse di farle qualcosa, può sempre prenderlo a colpi di borsetta in faccia. E non ha mai pensato quelle cose, lei, ma non nasconde che il Detoxification è un brutto posto, forse Ashton aveva ragione.
«Sono la dottoressa James» continua, nonostante trovi ridicolo parlare ad alta voce e pure da sola.
Ed il respiro si blocca nel momento in cui avverte una risata accennata, quasi lontana. Nota un leggero movimento della porta, ed allora si affretta a raggiungerla.
Esitante, poggia una mano sulla maniglia; il cuore corre all'impazzata sbattendo freneticamente contro la gabbia toracica, le labbra secche, la paura a mille, e – quando finalmente si decide ad aprire la porta – caccia un urlo liberatorio.
«Dottoressa James, ma cosa sta facendo?» Fallowey la fissa sbalordito, non del tutto certo che la ragazza sia in se.
Questa indietreggia, con occhi lucidi fissa il direttore, poi cade all'indietro, assicurandosi che la sedia sia pronta a sorreggere il suo peso.
«C – c'era qualcuno, dietro la porta» spiega, perché non vuole che il direttore Fallowey pensi che lei sia matta. Non lo è affatto.
Dal canto dell'uomo, nessuna sorpresa. Sospira stringendosi nelle spalle, poi torna a sedere dietro la sua scrivania.
«Ha finito il test, dottoressa?» chiede, dando una rapida occhiata al foglio che, però, non è stato del tutto completato.
«Io n – non...» deglutisce, sente il sangue tornare a percorrere il suo flusso regolare.
«Da domani lavorerà con quelli dell'ala est» conclude, incrociando le braccia al petto. Probabilmente non gli importa poi così tanto del test concluso o meno.
«Quelli delle porte azzurre?» e l'uomo annuisce.
Penelope torna a stringere la matita tra le dita, cerca di scrivere le risposte, ma la sua calligrafia, ora, è poco chiara a causa del tremolio alla mano.
«Mi dia il test, su, non ha poi così tanta importanza!»
Pazzesco, pensa Penelope.
Ha quasi rischiato un infarto per cosa? Per un test di poca importanza. Cerca di trattenere l'ira stringendo i pugni e deglutendo, fissa l'uomo che la guarda con un sorriso e poi annuisce.
Lei non può lasciar spazio alle emozioni negative, è pur sempre una dottoressa. Il suo compito è essere positiva e gentile con tutti.
«A che ora dovrò venire, domani, signore?» chiede, perché un po' quell'attesa la sta frustrando parecchio. Vuole solo svolgere il suo compito.
«Per le dieci va benissimo, i ragazzi non si svegliano mai prima delle nove, e poi devono fare la colazione, e che a loro piaccia o no, devono sorbirsi mezz'ora di messa» e lo dice ridendo, Fallowey, che quasi certamente conosce le menti contorte di quei ragazzini.
La invita poi ad alzarsi, mentre abbandonano la stanza, «Mi conceda di offrirle un caffè, dottoressa James, la prego» e lei annuisce, perché forse le ci vuole proprio, un caffè.
Insieme attraversano il corridoio, con Penelope che si guarda intorno, vigile ed attenta, e con Fallowey che non si cura più di tanto.
Si fermano solo quando sono vicini ad una macchinetta e... dov'è il bar?
«Si starà chiedendo perché siamo sprovvisti di bar, eh?» il direttore la rimbecca quasi come se fosse stato in grado di leggerle la mente.
Infila due gettoni dentro la fessura della macchinetta e pigia il tasto che consentirà al congegno di fare un caffè annacquato che ricorderà un po' l'acqua sporca, «C'era, un bar, una volta. Comunque a causa di quei sprovveduti, poi, l'hanno chiuso. La gente che ci lavorava ha deciso di darsela a gambe. Credo siano stati quelli dell'ala nord, a – » e Penelope lo blocca.
«Quelli delle porte nere?» perché ancora non l'è chiara tutta quella faccenda delle porte, delle sezioni e quant'altro. A lei viene facile suddividere i ragazzi grazie al colore delle porte.
«Sì, quelli delle porte nere, i ragazzi dell'ala nord. Ma credo siano stati aiutati anche da quelli della sezione est, delle porte rosse, per farle intendere. I cleptomani sono lì, quei ladruncoli non fanno altro che rubare» spiega, con un velo di tristezza in voce che tradisce la sua aura autoritaria.
Probabilmente quel posto era stato costruito con amore e buone intenzioni, una volta, e vederlo così dimesso e decadente provoca al direttore una morsa al petto che Penelope avverte.
«Mi va bene anche il caffè della macchinetta, signor Fallowey» e questi ride, riprendendosi dal suo stato di tristezza apparente.
«E lo credo bene, è il miglior caffè che una macchinetta possa fare!» delucida infine, porgendo un bicchiere alla ragazza.
Sorridono, i due, si scambiano pensieri e pareri ed a Penelope sta già simpatico, potrebbe anche perdonarlo per il test a sorpresa quando, un rumore raccapricciante li riporta alla realtà.
Un fragore causato da vetri rotti che si schiantano al suolo, poi delle risate e niente più. Il sangue di Penelope torna a gelarsi, e giura che nemmeno quel caffè possa scaldarla a sufficienza.
«Che sta succedendo?» e spera di avere una risposta degna di essere chiamata tale.
«Credo che per lei si sia fatto tardi, dottoressa. E' meglio che vada,» e dicendo così la spinge verso il corridoio che la condurrà alla porta centrale, per uscire dal centro.
Penelope si volta, mentre Fallowey continua a spingerla «Signor Fallowey, la prego, io devo sapere!»
«Domani, dottoressa, domani» insiste l'uomo, senza indugiare sulla presa.
La lascia fuori, chiudendosi il grande portico dietro le spalle.
Penelope si guarda intorno, poi alza lo sguardo non appena l'ennesimo cigolio arriva al suo padiglione auricolare.
Qualcuno ride, beffardo, poi una finestra dell'ala nord si chiude.

«Com'è andato il tuo primo giorno?» Andrea è entusiasta. Le si legge in faccia. Scalcia via le scarpe, mentre sfila il foulard dal collo esile e lungo. Ripone poi il cappotto nell'appendiabiti ed infine si dirige in cucina, dove Penelope sta preparando un succulento pranzetto.
O almeno ci prova, considerando che non è molto brava a cucinare. C'è che preferisce starsene sui libri, capisce più la psicologia che un ricettario.
«Bene, mamma» spiega, anche se forse non è pienamente convinta della risposta. Ha conosciuto il signor Fallowey, direttore del centro, è una brava persona, ma è certa che nasconda qualcosa.
Dal canto di Andrea, però, nota come sua figlia stia mentendo. Sospira, avvicinandosi a lei, poggia una mano sul braccio della ragazza e si mordicchia le labbra con fare assente.
«Sei nervosa?» e Penelope vorrebbe rispondere , ch'è nervosa ed anche molto. Perché quel posto non è granché, di certo non si aspettava di lavorare lì, una volta finita l'università. Francamente aveva immaginato il suo primo lavoro in modo un po'... diverso, ma la realtà è un'altra ed alcuni sogni sono per principianti.
«No, sono solo concentrata. Voglio cucinarti qualcosa coi fiocchi» spiega, anche se Andrea non crede sia così. Penelope non si è mai preoccupata della cucina, alla fine a lei basta avere qualcosa in pancia, che poi sia una prelibatezza o un cibo congelato, poco le importa.
Andrea non parla, decide di lasciar scivolare la questione perché sa quanto sua figlia sia stressata, nell'ultimo periodo. Con la continua assenza di suo padre, con la paura costante che avverte ma che, comunque, cerca di reprimere. Perché ormai lei è la dottoressa James, non può di certo piangersi addosso.
«Non sforzarti troppo, facciamo che ti aiuto ad apparecchiare?» dice, aprendo l'anta del mobiletto accanto alla penisola, per cercare l'argenteria. Afferra poi coltelli, cucchiai e forchette, mentre corre da una parte all'altra della stanza per prendere i piatti.
E' smemorata, Andrea «Ho incontrato Ashton, oggi» continua Penelope, mentre rigira il mestolo dentro l'enorme pentola in ghisa.
Sua madre sgrana gli occhi, mentre il sorriso si espande a macchia d'olio, quasi come se volesse coprirle gran parte del viso.
«Oddio, davvero? E com'è andata? Come sta?» le domande escono veloci come acqua che sgorga in un ruscello. Armeggia poi con le posate, mentre apparecchia per due nel tavolo rettangolare di legno posto in mezzo alla stanza.
«Mi ha dato uno strappo al centro» prosegue la ragazza, perché forse non capisce tutta la felicità di Andrea, del resto sono amici, nulla di più.
«Si frequenta ancora con Leslie?» la rimbecca Andrea, 'ché forse lei si era pure fatta quattro calcoli. Del resto il sogno di una madre è vedere la figlia sistemata con un giovinotto sempre allegro, benestante e buono, il prototipo di Ashton Irwin, insomma.
Penelope sbotta, lascia scivolare il mestolo dentro la pentola e poi si volta guardando la madre, con cipiglio severo e braccia incrociate al petto.
«Mamma fattene una ragione, siamo amici io e lui, fin dai tempi del college e non potrebbe esserci nient'altro, l'amicizia con lui è speciale ed io ci tengo, non la rovinerei per qualcos'altro. E comunque sì, sta ancora con Leslie» conclude, tornando a cucinare.
«Ma a te Leslie nemmeno piace» e con questo? le urlerebbe Penny, ma non lo fa perché ha rispetto per sua madre.
«Non è a me che deve piacere, mamma» e spera che l'argomento Ashton Irwin cessi lì, perché comincia ad infastidirsi.
Andrea pare capirlo, scrolla le spalle ed ultima la tavola.
Penny conclude il suo stufato, poi lo lascia scivolare in due capienti scodelle, infine raggiunge sua madre e prende posto a capotavola.
«Parlami del centro, com'è quel posto?» chiede la donna, ma Penny non sa rispondere. Le piacerebbe, avere la risposta, ma comunque ancora conosce ben poco del posto. Senza contare che il signor Fallowey è parecchio restrittivo e racconta solo ciò che fa comodo a lui.
Penny trangugia l'ennesima cucchiaiata di minestra, mentre scrolla le spalle, «Ho conosciuto il direttore, un certo Fallowey, sembra un tipo alla mano» delucida.
Sua madre annuisce, spezzando altro pane da inzuppare nella brodaglia, «Immagino quanto sia bello l'edificio.»
Ma su questo potrebbe dire tutt'altro, Penny, che la catalogato come un vecchio maniero con vasta tenuta da ristrutturare. Insomma manca solo il cimitero privato e poi farebbe invidia alla casa degli Addams.
Storce il naso, indecisa se raccontare il vero oppure no, ma alla fine una bugia cosa potrebbe comportare? E dunque, «E' un bel posto, un grandissimo maniero dai colori sgargianti e dalle aiuole sempre verdi» mente, almeno sua madre sarà lieta.
«Hai conosciuto i ragazzi?» continua, del resto Penny conosce sua madre, sempre pronta a fare terzi gradi. Ancora una volta scrolla le spalle e continua con le cucchiaiate di stufato.
«Non ancora, probabilmente il primo incontro è domani. Oggi il signor Fallowey mi ha fatto fare un giro per conoscere il posto» e poi basta. Il silenzio.
C'è che Penelope si è stancata di raccontare, ed Andrea preferisce terminare la minestra che sua figlia ha preparato con amore.
E va bene così, con solo i rumori dei cucchiai che sbattono nelle ciotole.
Poi lavano i piatti, ed Andrea esce, 'ché ha una questione importante da svolgere, e Penelope – invece – preferisce rimanersene a casa, stendendosi un po'.

Fissa il soffitto, mentre si rigira nel letto.
Una pallida luce fioca trapela dalle tapparelle verdi abbassate fino a metà. Penny osserva i bagliori di un sole rossastro, mentre sorride.
Alla fine è contenta, e poco importa se il Social Detoxification è degradante. L'unica cosa che le preme è aiutare quei poveri ragazzi infelici, che ancora – però – non ha conosciuto.
Sospira, si morde le labbra a cuore e poi intreccia i capelli in una morbida treccia. Sta per lasciare l'ennesimo sbuffo, quando il cellulare prende a vibrare.
Sblocca lo schermo e Ashton lampeggia sull'ampio display.
«Penny!» la voce squillante dell'amico le lascia vibrare i timpani. Sorride, anche se non si capacita di come l'altro possa averla chiamata. Del resto ha conosciuto Leslie, poche volte si sono incontrare e sono bastate per fare un netto quadro di quest'ultima. Sciocca, oca, gallina ed anche gelosa marcia. Cosa ci veda di bello, Ashton, in una tipa come lei, questo ancora non l'ha capito.
Spera solo che non ne sussegua un cataclisma, dopo quella telefonata.
«Ash, ehi!» mormora, quasi come se avesse gli occhi inquisitori di Leslie addosso. Intreccia una ciocca bionda tra le dita e poi la lascia cadere, morbida, sulla spalla cerea.
«Ero curioso di sapere come fosse andata la giornata al centro» delucida infine, e lei rotea gli occhi. Possibile che tutti si ostinino a voler conoscere l'andatura del centro? Senza contare che, in fondo, nemmeno lei conosce molto. Non a sufficienza per parlarne, almeno.
«Ho solo conosciuto il direttore, farò l'incontro con i ragazzi, domani» gli spiega. Dall'altra parte della cornetta un “ah-ah” squillante. Ashton si rotola nel letto con fare assente, mentre affonda le mani nella sua chioma biondo rame.
Pare che la chiamata stia per altro, e non per sapere del centro. E nonostante ormai non siano più legati come prima, a Penny quella risposta è bastata per farle capire che c'è qualcosa che non va, sotto sotto.
«Qualcosa non va, Ash?» e lui scuote il capo, come se lei potesse vederlo.
«Eh? No, no, va tutto bene Penny» continua, forse più per convincere se stesso che l'altra.
Penelope si alza dal letto, arriva all'armadio e lo spalanca, cercando qualcosa di più fresco da mettere.
C'è che, se Ashton non si decide a parlare, andrà lei da lui «Posso auto-invitarmi a casa tua? Non la ricordo nemmeno più» ed allora gli occhi di Ashton diventano due biglie chiare, boccheggia non sapendo che fare, poi sospira ed infine, rassegnato gracchia un «Va bene» che a Penelope non piace nemmeno un po'.
Chiudono la chiamata, poi lei arraffa i vestiti e sfreccia via, indirizzandosi al bagno dove opterà per una doccia fresca.
Il bagnoschiuma ai lamponi scorre lentamente sul suo corpo esile di porcellana, mentre con fare assente si massaggia le braccia, poi le cosce ed infine il collo.
Quella chiamata di Ashton, così improvvisa – poi – l'ha un po' preoccupata.
Francamente non sa se sia giusto presentarsi a casa dell'amico, ma poco importa. Alla fine si conoscono da tanto, ed è giusto che lei lo aiuti. Senza contare che ormai il suo lavoro è quello: aiutare le persone.
Spazza via i ricordi allo stesso modo con cui l'acqua sta lavando via la saponata. Prende poi l'accappatoio e, infilandoselo, si dirige in camera per vestirsi.
Ci mette poco, lei, che non si è mai curata dell'apparenza.
Dopo una manciata di minuti è nuovamente fuori, 'ché ci vuole vedere chiaro, in quella situazione.

«Ehi, Penny, allora sei venuta sul serio» Ashton sembra sorpreso, nel vederla. Appoggiato allo stipite della porta, massaggia la sua cute chiara. Probabilmente non sa che fare, né come comportarsi, ma dallo sguardo non sembra essere felice, tutt'altro.
Penelope sbuffa, «Faccio sempre quello che dico» è diretta. Il suo sguardo inquisitorio lascia capire al maggiore che sarà meglio farla entrare.
E poi a lui non sono mai piaciuti gli interrogatori, figuriamoci fuori, dove tutti possono farsi i fatti loro.
Percorrono un piccolo corridoio, poi attraversano il soggiorno ed infine si ritrovano in cucina, dove alcune pentole e piatti sporchi sono ancora riposti sul lavabo, simbolo che, no, Ashton non cambierà mai: eterno sfaccendato.
«Siediti pure, ti offro un caffè?» ma lei scuote il capo. Si siede e poi incrocia le braccia al petto, facendo oscillare avanti ed indietro il piede della gamba destra, accavallata dapprima su quella sinistra.
«Non sono venuta per il caffè» ribadisce. Lui si siede di fronte a lei, boccheggia indeciso sul da farsi ed alla fine sbotta. Perché tanto conosce Penelope, non riuscirebbe a tenerle qualcosa segreta per più di dieci minuti.
Che poi lei sia specializzata a capire i bisogni della gente, quella è un'altra storia.
«Lo so che non sei venuta per il caffè» continua, mentre – invece – lui ne ha già presa una tazzina, nonostante il caffè proprio non lo gradisca.
E' giusto per ammazzare il tempo, e soprattutto non guardare le iridi chiare dell'amica che sembrano saettare irrequiete.
«Non ti forzerò a parlare, ma lo sai che mi accorgo se mi nascondi qualcosa, Ashton» dice infine, incrociando le braccia ossute al petto.
E lui lo sa bene, e nonostante non debba per forza parlarle di ciò, sente un'assurda pressione sulla gabbia toracica che lo costringe ad annaspare, quasi come se l'aria, Penny, gliela stesse togliendo, con quei occhi di ghiaccio che gli scavano le viscere.
E' frustrato, certo, ma non può andare avanti così. Non ce la fa proprio più.
«Voglio mollare Leslie, Penny» e lo dice tutto d'un fiato, per paura di fermarsi proprio quando non dovrebbe.
Probabilmente non è stata nemmeno giusta, come mossa, ma poco importa ormai. E gli occhi sgranati dell'amica, con tanto di bocca spalancata, gli fanno capire che, sì, l'ha realmente detto. Non è più solo un pensiero.
«Cosa? Come mai?» ha smesso di sorseggiare il caffè, lei che – comunque – Ashton le aveva offerto seppur la sua risposta era stata negativa. Alla fine è venuto annacquato, ed un po' le ricorda il caffè che il signor Fallowey le ha offerto. Quello della macchinetta.
Ashton china il capo, fissa il tavolo color nocciola e si mordicchia le labbra con fare di chi, sul serio, non sa a che scusa aggrapparsi.
«Mi sono reso conto che c'è qualcosa che non va, tra di noi» ribadisce, e sa che Penny capirà.
«Beh, il fatto che lei sia stressante non comporta questo, Ash, alla fine a lei piaci, ti am – » ma lui la blocca. Non vuole parlare di Leslie e di ciò che lei prova per lui.
C'è che non gli importa dei sentimenti della sua ragazza, non più «Penny, non m'interessa. Non più, francamente» gli occhi vacui si posano su quelli accesi di Penelope, che continua a non capirlo.
Ashton è contorto, alle volte, ha sempre fatto di testa sua fin dai tempi del college, ma non ha mai mollato Leslie, mai. Stanno insieme da così tanto tempo.
Il maggiore stringe i pugni, digrigna i denti e continua a fissarla, sembra essere deciso, determinato.
«Potresti pentirtene, Ash, pensaci bene. Magari le chiedi una pausa, ma non lasciarla così» perché, nonostante a lei, Leslie, non piaccia proprio, non osa immaginarsi come si sentirà se – sul serio – Ashton prenderà in considerazione di lasciarla.
Ma lui scuote il capo, convinto, 'ché nessuno lo ferma più, «Penny, come devo dirtelo? Mi piace un'altra.»
E questo basta a farle capire che, sul serio, lui non tornerà indietro.
 

BUUUUUH
 
Ehehehe, eccomi nuovamente qui, miei piccini bellissimi. State passando una
buona Domenica? Spero di sì, ecco!Allora, cosa ne pensate della storia? C'è
che Penelope èaffascinata dal centro perché alla fine vuole davvero aiutare
i ragazzi ma, come potete vedere, sarà abbastanza difficile. Senza contare che,
probabilmente, qualcuno continua a spiarla. Che sia lo stesso che aveva origliato
in mattinata? Chi lo sa! Comunque cosa ve ne pare del signor Fallowey?
Io lo vedo come un omone grasso ma gentile. Andrea è una brava mamma,
forse un po' ficcanaso ma sempre bravarimane. Ashton, invece, sembra essersi
deciso a lasciare Leslie. Non siete curiosi di sapere di chi si sia preso la cotta?
Ehehe, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate. I vostri pareri sono importantissimi
per me, senza contare che m'invogliano a scrivere, mi incitano a continuare.
Un grosso bacione, grandissimo. Ed alla prossima!

Madam Morgana.
   
 
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