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Autore: Espero    20/02/2005    3 recensioni
Alessandro Degliesposti nasce ad Assisi la notte di natale del 786 dopo cristo. Qui di seguito il racconto di un suo ricordo della sua quattrocentesca vita con il nome di Ismaele, cancelliere di Lorenzo de Medici, nato nel 1472. La sua avventura inizia alla mezza notte del 7 Aprile del 1492, nei pressi di Firenze, notte in cui Lorenzo morì. In questo racconto, che lui vive e trascrive come una sceneggiatura, discute con un morente Lorenzo sullo scopo della vita e il senso di questo breve lasso di tempo concessoci.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Canzone di mezza notte… Con questo nome mi piace chiamare quella nox animae in cui Lorenzo, prima di morire, si aprì a me per la prima ed ultima volta. Da allora è passato tanto tempo e vivo di un ricordo che nemmeno mi appartiene. Quando chiudo gli occhi sul presente e ripenso alla notte tra il sette e l’otto Aprile del 1492 non riesco a ricordarmi protagonista e mi sento come uno spettatore che assiste attonito ad una rappresentazione teatrale. Dunque chiudo gli occhi, buio in sala, abbiate pazienza, immortali uditori, di ascoltar la mia “Canzone di mezzanotte”. Il sipario si apre lentamente su un palco scarno, illuminato da una debole e soffusa luce blu. Il vago bagliore si fa più intenso ed ecco delinearsi un misero trono di legno, posato al centro della scena, che dà tutta l’aria di essere molto scomodo. Il palco tace e l’ombra di un vecchio claudicante entra in scena. Cammina lento, tossisce rumorosamente avvolto nel suo pesante manto e, giunto al trono, vi si rannicchia come un bimbo nel ventre materno. Tossisce ancora e con voce piana e rauca inizia: “Sono stanco, sono vecchio, sono malato. Per quarantatrè anni sono stato “il De ‘Medici”, “il Magnifico”, “il Principe”, “il Nemico”. In un’ epoca in cui l’uomo si riscopre uomo, in cui capisce che Dio lo predilige e lo ha messo al centro del creato, in cui nasce l’individuo con la sua identità, io, per quarantatré anni, non sono stato per nessuno… Lorenzo…” Il palco nero e blu trattiene il respiro ed ecco che dalle quinte sentiamo la voce sicura del secondo ed ultimo personaggio di questo canto. “Non vi capisco, sire, l’Italia mai in tutta la sua storia, dalla caduta della grande Roma, è stata in pace e voi in soli quarantatrè anni avete realizzato l’Utopia!”. L’ombra delle quinte da forma alla voce generando un nuovo fantasma, alto, snello e di giovane voce. Il vecchio sul trono riprende: “Mi sento così stanco, Ismaele… Chiamami colui che, come Narciso, ha cercato di afferrare se stesso e l’astratto fantasma della propria esistenza in uno stagnante e fetido specchio d’acqua.” La giovane ombra risponde: “Sire, voi delirate! Guardate ciò che avete costruito con la vostra sapienza! Un epos di pace che canteranno nei secoli! Avete insegnato all’uomo la pace!” Il vecchio ha la testa tra le mani e la scuote quasi in lacrime. “Basta… Basta… Basta!! Tu sei così pieno di speranze, Ismaele, ma con questa tua ingenuità mi mostri come io non abbia potuto nulla! Non di un passo l’uomo si è mosso! L’uomo, creatura di Dio, macchiato di un peccato insanabile e maledetto da Dio con una libertà troppo grande per questo bipede.” “Ma sire…” “Smettila con questo “sire” e con queste stolte idee di speranza verso l’uomo”. Il giovane, che fino ad ora era rimasto immobile al limitare della scena, cammina verso il trono e si inchina al veglio. “Perdonami… Lorenzo…” “Hai ancora molto da imparare, Ismaele, quando Atropo taglierà il filo di lana su cui arranco, l’uomo smetterà di ballare e festeggiare, cesserà l’edonismo e impugnare le armi. Nulla ho insegnato all’uomo ed egli, mentre io muoio, mi sussurra di aver fallito e non posso che sperare che tu, mio Ismaele, faccia tesoro del tempo che ti è stato dato e che ti è ridato ogni volta…” Il giovane uomo chinato si alza di scatto. “Non capisco Lorenzo!” Lo sguardo del vecchio è ricolto al vuoto, non si muove EL TEMPO FUGGE E VOLA MIA GIOVINEZZA PASSA E L’ETA’ LIETA, E LA LUNGA SPERANZA OGNOR PIU’ MI MANCA; NE’ PERO’ ANCOR S’ACQUETA IN ME QUEL FER DISIO, CHE MORTE SOLA PUO’ SPEGNER NELLA AFFLITTA MIA ANIMA STANCA Va, Ismaele, indaga l’uomo e fà che egli possa in te trovar scintilla di vera speranza e non germe di illusione.” Il giovane si incammina fuori dalla sala poi si ferma e si gira verso il trono. “Un’ultima cosa, Lorenzo… perché voi in pubblico vi siete sempre mostrato spensierato e felice della vostra vita?” “C’è sempre una parte da recitare nel mondo, Ismaele, e poi chi seguirebbe un principe triste e sconsolato?” In questo ultimo sussulto intercorre tra i due uno sguardo complice. Ritorna sui suoi passi, poggia una mano sulla spalla del maestro “Buona notte, Lorenzo” “Buona notte, Ismale, e buon viaggio” Ismaele esce di scena, Lorenzo chiude gli occhi e la luce si fa sempre più fievole. Lentamente, con solennità, il sipario si chiude. Questa è la mia “Canzone di mezzanotte”, quella che che canta di Ismaele, il suo primo maestro e il suo primo grande fallimento.
  
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